A bordo di una galea tra Genova e l’Oltremare di Antonio Musarra
«A chi giunge dal mare, il seno di Giano offre uno spettacolo d’ineguagliabile bellezza. Nel sole meridiano, Genova si staglia all’orizzonte, immobile, sospesa ai contrafforti che la sovrastano». Capita spesso di auto-citarsi, anche se l’auto-citazione può apparire un segno di civetteria. In questo caso non è così. Non v’è modo migliore di parlare d’una città che attraverso parole a lungo meditate. E vi assicuro che è quanto accaduto con l’introduzione al mio Genova e il mare nel Medioevo, recentemente edito da il Mulino. Per questo, mi auto-assolvo dall’auto-citazione, e proseguo: «E’ questa l’immagine fornita da molti viaggiatori medievali, colpiti dalle possenti strutture del suo porto, dalle mura imponenti, dai suoi palazzi ricoperti da marmi splendenti, dai suoi dintorni cosparsi di residenze di campagna, immerse in una vegetazione rigogliosa. E’ vero, Genova la si capisce meglio dal mare. E’ il mare a costituire, nel lungo millennio medievale, il primo ed essenziale richiamo per i suoi abitanti, i quali prosperano grazie al commercio e alle attività finanziarie, viaggiano da un capo all’altro del mondo conosciuto, si stabiliscono fuori patria, fondando qua e là non nuove città ma “atre Zenoe”, e nonostante ciò avvertono sempre e comunque il richiamo della madrepatria, eletta da tempo a “porta” d’Europa e del Mediterraneo».
Ora, cosa succederebbe se provassimo a calarci per un momento nella realtà dei viaggi per mare del tempo? Se salissimo a bordo di una galea genovese per compiere un viaggio alla volta di Alessandria d’Egitto? Magari in compagnia di qualche ambasciatore e di molti mercanti? E’ quanto il lettore scoprirà se avrà la pazienza di arrivare in fondo, dopo aver superato l’ostacolo iniziale: un essenziale discorso sulle fonti; anzi, su una particolare tipologia di fonte, di eccezionale valore. Sì, perché l’Archivio di Stato di Genova conserva oltre centoventi registri di bordo di galee genovesi, per la quasi totalità inediti, redatti tra il 1350 e il 1450 ca., densi d’informazioni sulla realtà dei viaggi per mare del tempo. La serie, nota come Galearum marinariorum, è suddivisa in due sottoserie: Galearum marinariorum rationes e Galearum marinariorum introitus et exitus, differenti per contenuto ma – com’è facile intuire – profondamente interconnesse. Nel primo caso siamo di fronte a una sessantina di matricole d’uomini imbarcati su galee a servizio del comune, generalmente suddivisi tra ufficiali, «socii» – la forza militare presente a bordo (in genere balestrieri) – e semplici marinai. Dello stato maggiore (quando è indicato, il che non sempre avviene) compaiono sovente soltanto i nomi, trattandosi evidentemente di persone note. Dei marinai e dei «socii», invece, è variamente segnalato il nome, il patronimico, la provenienza, l’attività svolta a terra, la data d’inizio del servizio e la paga mensile. La seconda sottoserie, Galearum marinariorum introitus et exitus, è assai più varia per contenuto. Si tratta di oltre sessanta libri mastri relativi all’esercizio finanziario d’una o più galee alle dipendenze del comune, contenenti informazioni sulla costruzione, l’allestimento o il riattamento delle imbarcazioni, sull’acquisto di materiali e di attrezzature mobili – per lo più alberi e remi, ma anche forniture belliche e oggetti d’uso comune (si va dalla grattugia per il formaggio alla «mannaia pro iusticia») –, consegnate ai patroni, agli scribi di bordo o agli artigiani in occasione del viaggio, sulla paga dei maestri artigiani e dei loro aiutanti, sul salario corrisposto all’equipaggio, sugli acquisti di cibo e bevanda (e, pertanto, sulla dieta dei marinai, degli ufficiali e dei passeggeri), seguite da notazioni relative alla conformazione degli equipaggi (nomi, ruoli e provenienze), alle rotte, agli scali, ai tempi di percorrenza, ai costi, ai tassi di cambio o ai sistemi metrici e ponderali in uso: una fonte, dunque, d’estremo interesse, in grado di fornire, in associazione con altre tipologie di fonti (legislative, notarili, cronachistiche), un panorama pressoché completo della prassi marittima tardo-medievale genovese.
Il lettore non si spaventi. Non è mia intenzione procedere ad un’analisi complessiva dell’intero fondo. Piuttosto, concentrerò la mia attenzione su un singolo registro, a suo modo rappresentativo dell’insieme. Si tratta del libro mastro della galea Sant’Antonio, conservato sotto il numero 724, noto agli studiosi perché utilizzato negli anni Sessanta del secolo scorso da John Day per uno studio sui prezzi delle derrate alimentari alla fine del Trecento[1]. Il manoscritto si presenta in discrete condizioni di conservazione. Si tratta d’un volume di carta filigranata – il soggetto è quello della freccia in scocca nell’arco rivolta verso l’alto –, rilegato da un foglio di pergamena di cm. 15 x 40,4, composto da cinque fascicoli legati assieme di dodici fogli l’uno piegati a metà, per un totale di sessanta fogli e centoventi pagine. Sul «recto» di ciascuna carta, in alto a destra, è presente una numerazione romana progressiva, da c. I a c. CXVI, certamente originale, la quale s’interrompe (pur conteggiandole) in corrispondenza delle numerose carte bianche e di diverse altre carte senza una logica precisa. La cartulazione originaria è integralmente visibile.
L’identità dello scriba, Iacopo di Compagnono, emerge dalla c. I, che funge da intestazione per l’intero manoscritto: «Cartularium in quo continentur raciones gallee domini Silvestris de Marinis, scriptis [sic] et compoxite in Ianua per me Iacobum de Compagnono scribam dicte gallee, et in dicto volo quod detur fides et ad mayolem cautellam pono signum meum talle». Nulla è noto della sua biografia se non l’appartenenza a una famiglia di tradizione notarile. In nessun caso, a ogni modo, egli si presenta come notaio[2]. Non v’è eccessiva disparità di scrittura tra i cinque fascicoli, tutti quanti redatti con un «ductus» piuttosto posato. Solamente nell’ultimo è possibile riscontrare una certa fretta, non tale, tuttavia, da pregiudicarne la lettura. Questa lieve disparità è spiegabile attraverso il contenuto: lo scriba vi annota, infatti, le spese personali compiute nel corso del viaggio. I primi quattro fascicoli contengono, invece, informazioni di carattere economico-finanziario riguardanti il periodo di tempo compreso tra il 21 gennaio 1382 e il 14 marzo 1383, verosimilmente nella redazione finale presentata dallo scriba all’Ufficio di Gazaria, preposto al controllo della navigazione in Oriente e nel Mar Nero (e poi, per estensione di competenze, all’intera navigazione mediterranea e atlantica). Il Liber Gazarie, raccolta di provvedimenti emanati tra il 1316 e il 1344 dall’Ufficio, stabiliva, infatti, che i registri delle navi mercantili dovessero essere redatti in duplice copia, una delle quali da depositare presso l’Ufficio prima della partenza, l’altra da portare a bordo[3].

Vi risparmio alcune elucubrazioni possibili circa la struttura interna del manoscritto, redatto in un sistema a doppia registrazione assai vicino alla partita doppia. Di grande interesse è il contenuto. La galea Sant’Antonio – per la precisione una galea da mercato a due alberi – prende il mare dal porto di Genova nella primavera del 1382 alla volta di Alessandria d’Egitto. Il comune è appena uscito da un’aspra guerra navale combattuta contro Venezia, che ha creato dissapori col sultanato egiziano. Le continue vessazioni subite dai mercanti genovesi, ma anche veneziani e catalani, da parte delle autorità egiziane avevano già portato, nel 1369, a una sospensione del commercio genovese e veneziano con l’Egitto e la Siria e a una dimostrazione navale congiunta davanti al porto d’Alessandria. Ma tutto s’era risolto con un nulla di fatto[4]. Nel 1383, i Genovesi dichiararono guerra all’Egitto, ufficializzando una situazione che si trascinava da troppo tempo. Non mancarono i tentativi di mediazione: un documento conservato nel fondo Diversorum dell’Archivio di Stato di Genova informa di come, il 9 gennaio del 1382, il doge Nicolò Guarco e il Consiglio degli Anziani stabilissero l’invio di due ambasciatori – un nobile, Cosma Italia, e un popolare, Marchione Petrarossa – presso la corte sultaniale (retta, a causa della minore età del legittimo titolare, dall’emiro Barquq) per trattare delle condizioni dei mercanti genovesi nelle terre nilotiche e siriane[5]. Ebbene: il 20 marzo, i due ambasciatori furono accolti a bordo della Sant’Antonio dal patrono, Silvestro de Marini, in procinto di salpare per l’Oltremare. Il verbo utilizzato – “accogliere” – non deve stupire: l’imbarcazione non è di proprietà del comune, che – com’è noto –, a differenza di Venezia, non aveva una flotta in pianta stabile, riservandosi di armare o noleggiare galee all’abbisogna. La Sant’Antonio è armata specificamente per un viaggio commerciale. Gli ambasciatori, dunque, vi salgono come normali passeggeri (ovviamente paganti).
Il viaggio è organizzato nei minimi dettagli. Dalla metà di gennaio alla metà di marzo del 1382 sono effettuate numerose spese, definite dallo scriba «pro aconcio galee», destinate, cioè, alla messa a punto della galea. In particolare, si acquistano 4 cantari e 52 rotoli di stoppa (pari a circa 2 quintali e mezzo), 5 cantari di pece di Romània, pece di fiandra, legname, chiodi, 6 cantari di sego di Caffa «pro ungendo galeam», e poi un numero elevatissimo d’attrezzature di bordo, obbligatorie secondo gli statuti – bandiere, remi, pennoni, sacchi, recipienti di vario tipo – e provviste durevoli: pesci salati, tonno, sardine, carne affumicata, lenticchie, fave, ceci, zucchero, spezie, riso, aceto, acqua. Particolare attenzione è dedicata, inoltre, al riattamento dello scandolaro, la camera di poppa destinato ad ospitare i mercanti e gli ambasciatori.
Il registro non specifica le misure dell’imbarcazione; tuttavia, secondo il Liber Gazarie, elencante le caratteristiche tecniche che una galea doveva possedere per recarsi «ultra Sciciliam, ad partes Romanie et Syrie», possiamo ipotizzare che la Sant’Antonio fosse lunga da ruota a ruota circa quaranta metri, larga al ponte sei metri ed alta al puntale tre metri e mezzo[6]. Insomma, v’era parecchio spazio per ospitare, oltre ai mercanti e agli ambasciatori, tutti i centonovantaquattro uomini dell’equipaggio, comprendenti il patrono, il comito, il subcomito, lo scriba, un cambusiere, sedici balestrieri, quattro cordai, due sarti, un calafato, un macellaio e ben centosettantaquattro rematori: grossomodo la cifra indicata dagli statuti per le galee in partenza per il Levante[7]. Lo scriba fornisce un elenco dettagliato di tutto il personale di bordo, la cui origine etnica è quanto mai varia: trentotto uomini si dichiarano genovesi, trentasei provengono dalla riviera di Levante, sedici da quella di Ponente, ma vi sono anche diciannove uomini provenienti dall’Appennino ligure, quattro dalla Corsica (in particolare da Bonifacio), due dalla Sicilia, singoli personaggi da Parma, Asti e Padova; e poi dal Levante: quindici da Pera, sette da Caffa (ma sono in totale ventinove coloro che provengono dal Mar Nero), cinque da Chio, due da Cipro, e poi altri ancora da Cordova, Maiorca, Trapani, Trebisonda, Simisso, Zara, i quali s’imbarcano tutti da Genova, secondo una prassi che non deve stupire. Non sempre lo scriba ne riporta la specifica mansione, anche se sappiamo che tra di essi v’era un «barberio» – una sorta di chirurgo –, un cuoco, un «senescalco», un trombettiere, un maestro d’ascia. In molti casi egli annota, però, la professione esercitata a terra, la quale poteva risultare di qualche utilità nel corso della permanenza in mare.
Di grande interesse è l’itinerario compiuto dalla galea. La partenza avviene da Genova il 20 di marzo. Inizialmente si naviga «per costeriam», lungo la costa, per brevi tragitti, fermandosi quasi ogni giorno. A fronte di centoquattro giorni di navigazione, l’imbarcazione è ferma ben centoquarantatre giorni: il viaggio di andata dura quarantaquattro giorni; quello di ritorno sessanta. Tuttavia, i giorni effettivi di navigazione sono quasi identici: quaranta all’andata e quarantadue al ritorno. La galea, a ogni modo, percorre in tutto oltre 5100 miglia marine (circa 9400 km) in centoventitre giorni di viaggio, a una velocità media di circa 41, 5 miglia (76,9 km) al giorno. Tra Castelfranco (Kastelli) e Sfakion, probabilmente perché spinta dai venti del Nord Ovest, essa compie in via eccezionale un giro di 85 miglia in un giorno; tra Gaeta e Genova copre, invece, una distanza di 300 miglia in quattro giorni.
Le numerose soste permettono all’equipaggio di scendere a terra piuttosto spesso per mangiare cibi freschi. Ciò non esime, naturalmente, dal dotarsi di vettovaglie abbondanti già al momento della partenza. Il 20 marzo si comprano, infatti, 100 cantari di biscotto (pari a circa 50 quintali), l’alimentazione di base del marinaio. Lo stesso giorno è corrisposta ai marinai anche la prima rata del salario. La prima tappa è La Spezia, dove si compra del pane, dei pesci e due barili di vino. Un più ampio rifornimento di vino è compiuto a Lerici, tradizionale luogo di rifornimento (al pari dell’intera riviera di Levante) del principale porto ligure. Il 23 marzo la nave è a Livorno; il 26 a Civitavecchia dove si compra dell’«erbagio»: verdure fresche ed erbe aromatiche; il 28 raggiunge Gaeta; il 30 è a Napoli, dove sosta sino al 2 aprile. Tre giorni dopo tocca San Lucido, sulla costa, quindi, in successione, Tropea, Messina, Reggio e nuovamente Messina. Dopodiché, abbandona le coste italiche: il 14 aprile la Sant’Antonio guadagna Corfù; il 22 Modone; poi effettua tre soste a Creta, a Castrofranco (oggi Francocastello), il 24 aprile, a Sfakion il 25, a Samarias il 26, località che si trovano in sequenza da Levante ad Ponente: si tratta verosimilmente di soste programmate per l’approvvigionamento dell’acqua. Dopo Samarias, infatti, si prosegue sino ad Alessandria, raggiunta il 3 di maggio. A questo punto inizia un lungo periodo di navigazione di cabotaggio nell’area del Mediterraneo sud-orientale della durata di quattro mesi e mezzo. L’itinerario compiuto dalla galea ha un ché di frenetico: ripartita l’8 maggio dal porto egiziano, la Sant’Antonio tocca in sequenza Beirut, il 14 maggio, Famagosta, il 20, ancora Beirut, il 22, Tripoli di Siria, tra il 23 ed il 28, ancora Famagosta, tra l’1 ed il 10 giugno, Alaya, sulla costa turca, il 14 di giugno, nuovamente Famagosta, tra il 20 giugno ed il 3 luglio, e poi di nuovo Beirut, il 5 luglio, Famagosta, tra il 7 luglio ed il 1 agosto, e infine Alessandria, il 10 agosto, dove si ferma sino al 22 settembre.
Non sappiamo quanto questo continuo andirivieni tra un porto e l’altro del Mediterraneo orientale dipenda dalla missione degli ambasciatori piuttosto che dalle necessità dei mercanti. Purtroppo, il registro non fornisce alcuna notizia sul tipo di merce presente a bordo. Le uniche notazioni circa l’attività mercantile esercitata dai passeggeri della Sant’Antonio, concentrate nell’ultimo fascicolo del manoscritto, riguardano lo scriba: lungo il viaggio, egli commercia grosse qualità di tessuti inglesi, irlandesi e fiorentini (due balle di lana inglese; cinquantacinque pezzi di Sayes d’Irlanda; ottocentotrenta pelli di ermellino; due pezzi di stoffa in lana fiorentina; cinque fasci di filo di velata acquistato a Napoli) e acquista pesce e carne salata, il tutto per un valore complessivo di 980 fiorini. A Famagosta, Beirut ed Alessandria compra, invece, ventotto pelli di cammello, 27 once di perle di Damasco (circa 990 grammi), e poi gioielli e stoffe di vari colori. E’ probabile che i mercanti presenti a bordo facessero altrettanto, ed è forse questo il motivo per cui il vitto del viaggio di ritorno risulta più consistente e vario. Il 10 agosto si compra, infatti, una notevole quantità di cibo: quaranta quaglie, cavoli, carne, pesce, uva, olio, pollastri, limoni, ecc. La rotta seguita è leggermente diversa da quella di andata. Si riparte il 22 settembre, passando sopra Creta, toccando Rodi, Zante, Corfù. Quindi si passa in Italia all’altezza di Otranto, dove si arriva il 29 ottobre. Dopodiché ci si dirige verso la Calabria, toccando Reggio e Messina, poi Gaeta; infine, si guadagna Genova il 21 novembre.
Non mi soffermo sui molti altri dati forniti dal registro, riguardanti i prezzi delle merci acquistate, i pesi, le misure, i cambi monetari: elementi tutti annotati dallo scriba, che utilizza monetazioni differenti a seconda del luogo, segnalando di volta in volta il relativo tasso di cambio. Quel che ho voluto mostrare è come sia possibile leggere dentro un registro del genere tutta la complessità della vita marinara del tempo. Il registro della Sant’Antonio è un esempio eloquente della quotidiana frequentazione marinara genovese, fatta di commercio e diplomazia, guerre ed esplorazioni. Elementi, questi, d’una storia che ha nel mare la sua sintesi più efficace.
Antonio Musarra
Post scriptum. E gli ambasciatori? La loro missione non avrà successo. L’anno successivo il comune si vedrà costretto a interrompere del tutto i traffici con l’Egitto, dando avvio a un conflitto che si concluderà con una pace precaria soltanto due anni dopo. Le ostilità, tuttavia, dureranno per decenni, influendo negativamente sulla bilancia commerciale.
[1] J. Day, Prix agricoles en Méditerranée à la fin du xive siècle, in «Annales. Économies, Sociétés, Civilisations», 4 (1961), pp. 629-656.
[2] Sono rari i casi in cui un notaio esercita funzione di scriba di bordo; li ho segnalati in un articolo recente, cfr. A. Musarra, Scrivere sulle galee. Notai e scribi di bordo a Genova tra xiii e xiv secolo, in «Itineraria», 11 (2012) [ma 2013], pp. 101-125.
[3] V. Vitale, Le fonti del diritto marittimo ligure, Genova, Siletto, 1951, pp. 64-65; G. Forcheri, Navi e navigazione a Genova nel Trecento. Il liber Gazarie, Genova, Istituto Internazionale di Studi Liguri, 1974, p. 120.
[4] La situazione è ben descritta in B. Kedar – E. Ashtor, Una guerra fra Genova e i Mamlucchi negli anni 1380, in «Archivio storico italiano», 133 (1975) [ma 1977], pp. 3-44, in particolare p. 5 e nota 1.
[5] AS GE, Diversorum Communis Ianuae, 497, c. 7 r. Anche Venezia inviò un’ambasceria al Cairo nel medesimo anno, cfr. AS VE, Senato, Misti, 37, cc. 89 v.-90 r.
[6] Forcheri, Navi e navigazioni a Genova cit., pp. 137-143.
[7] Ibid., p. 79.

è nato a Genova il 22 aprile del 1983.
Si è laureato in Storia presso l’Università degli Studi di Genova nell’ottobre del 2007 con una tesi dal titolo La guerra di San Saba. Genova nel Grande Gioco delle potenze marittime italiche nel Mediterraneo (relatrice: Marina Montesano; votazione: 110/110 e lode). Ha approfondito l’interesse per l’espansione genovese nel Mediterraneo basso-medievale, con particolare riguardo alla partecipazione al movimento crociato e alla presenza in Siria-Palestina, durante il corso di Dottorato di ricerca in Scienze Storiche, frequentato, fruendo di una borsa di studio, presso l’Università degli Studi di San Marino nel triennio 2009-2012 (IX ciclo). Il 12 giugno 2012 ha difeso una tesi dal titolo Praepotens Ianuensium Praesidium. Genova, la crociata e la Terrasanta nella seconda metà del Duecento (tutor: Anthony Molho; votazione: 60/60 e dignità di stampa). Il 24 luglio 2012 ha conseguito la Laurea Magistrale in Scienze Religiose presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose di Genova (Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale) con una tesi dal titolo Il latino di un notaio ecclesiastico tardo-medievale. L’inedita Historia translationis beati Ioannis Baptiste ad Civitatem Ianue di Nicolò de Porta (relatore: P. Prof. Mauro De Gioia, CO; votazione: 60/60 e lode). L’11 novembre dello stesso anno ha conseguito il Diploma in Archivistica, Paleografia e Diplomatica presso l’Archivio di Stato di Genova.
Nel 2014 ha ottenuto una borsa di studio da parte della Fondazione Spinola di Genova per la realizzazione di uno studio monografico sulle origini, lo sviluppo e il ruolo della famiglia Spinola nel contesto comunale genovese dei secoli XII-XIV. Nel 2015 ha partecipato in qualità di borsista all’VIIIe atelier doctoral «Sources pour l’histoire économique européenne (XIIIe-XVIIe siècle) – De la source aux réseaux», organizzato dall’École Française de Rome, dall’Università degli Studi di Siena e dall’Istituto storico italiano per il Medio Evo.
Ha all’attivo un’ampia partecipazione a convegni nazionali e internazionali, nel corso dei quali ha presentato i risultati delle proprie ricerche, incentrate prevalentemente sulla storia politica, istituzionale, economica e culturale del medioevo genovese (con particolare riguardo all’espansione mediterranea e al mondo coloniale), sulla storia della navigazione e della guerra navale nel Mediterraneo basso-medievale, sulla storia della partecipazione italiana al movimento crociato e sulla storia del viaggio e del pellegrinaggio in età medievale.
Autore di articoli e saggi, pubblicati in riviste nazionali e internazionali e in volumi miscellanei, redattore di voci per il Dizionario Biografico degli Italiani (Treccani), ha prestato particolare attenzione alla trascrizione ed edizione di documenti inediti, prevalentemente di provenienza notarile, per lo più legati alla vita a bordo delle galee genovesi nei secoli XIII e XIV.
L’interesse per il Levante crociato lo ha portato ad approfondire diversi aspetti dell’insediamento genovese, e italiano in genere, in Oltremare, mediante la redazione di articoli e pannelli per alcune mostre tenutesi presso l’Archivio di Stato di Genova, e la cura degli atti di un convegno, organizzato in collaborazione con Franco Cardini, incentrato sulla presenza italiana in Terrasanta (SISMEL, 2015). Tale interesse lo ha spinto ad ampliare lo sguardo verso altri soggetti presenti nel medesimo contesto, tra cui l’Ordine francescano.
Oltre alla pubblicazione della tesi di laurea specialistica (Pacini, 2009) e della dissertazione dottorale (Istituto Storico Italiano per il Medio Evo, 2016), ha curato, in collaborazione con Marina Montesano, la traduzione italiana delle opere di alcuni annalisti genovesi (Frilli, 2010), e si è cimentato nella redazione di una sintesi divulgativa sui rapporti tra Genova e il mare in età medievale (il Mulino, 2015).
Fra i suoi attuali interessi di ricerca rientrano alcune tematiche legate alla guerra navale nel Mediterraneo basso-medievale, con particolare riguardo alle fonti dei conflitti tra Genova e Venezia tra XIII e XIV secolo, e ai rapporti tra Genova e l’impero ottomano nel secolo XV; sta approfondendo, inoltre, alcuni aspetti della sensibilità religioso-folklorica dell’Italia tre-quattrocentesca a partire da alcune fonti cronachistiche e testamentarie.
E’ sposato con Sonia ed è papà di Francesco e Federico.
E-mail: a.musarra1983@gmail.com
Web: www.antoniomusarra.it.