A Pievi per la Valpolicella

A Pievi per la Valpolicella Immagini e testo di Luca Palumbo

Quel che non ti aspetti è sempre più gradito. Ci sono giri studiati, organizzati, dai quali sai cosa aspettarti. Parti con la consapevolezza che andrai a vedere qualcosa di valore e ne pregusti, quasi, il sapore. Partire alla volta di Ravenna, Roma, Pomposa o Aquileia, ad esempio, equivale a sapere con certezza cosa ci aspetta. Sono cuori pulsanti. Senti il battito della Storia e dei personaggi che l’hanno fatta. A volte, invece, si parte giusto perché si ha un giorno libero, senza particolari mete e, tantomeno, privi di ogni aspettativa. E ti trovi di fronte San Giorgio in Valpolicella. Ecco. Quando arrivi in paese e vedi la sua abside, divenuta facciata, dopo che il “senso“ della chiesa è stato ruotato, non percepisci ancora il valore di quello che ti aspetta. Quando la oltrepassi, a cercare una porticina aperta e ti imbatti nel chiostro…ecco….li inizi a capire. Quando entri, in chiesa, e gli occhi si riprendono dal passaggio Sole-buio e cominciano a recepire… è l’orchestra. Una sinfonia di elementi che spaziano per secoli. Dai primissimi, prossimi allo zero, fino al quindicesimo. Notevoli sono gli elementi di reimpiego che si possono notare girando per le tre navate, a cominciare dalle colonne, romane, di reimpiego. Una poggia su un’ara funeraria, l’altra è una trave di edificio romano (tempio??) riutilizzata, in verticale. Il Ciborio è un capolavoro di arte longobarda, che daterei VIII secolo. Seppur non completamente originale, è un elemento di primissimo livello, paragonabile a quello visibile nel museo di Cividale del Friuli. Le quattro colonnine che lo sorreggono sono romane. Le tre navate sono ricche di affreschi di ogni epoca, ma quello visibile in zona absidale (quella originale, che ora è la facciata) è da restare incantati in piena ammirazione. A vederlo pensato sia ottoniano, e ne ho supposto un bel gusto bizantino. Mi ha riportato, per certi suoi elementi, agli affreschi ottoniani presenti ad Aosta. Al centro un Pantocratore, circondato dal tetramorfo. Ai lati dell’abside altri due affreschi coevi (sono sempre mie supposizioni) che rappresentano due santi, che non ho riconosciuto. Il chiostro (e anche, in parte, la zona absidale) sono ricchi di mattoni che riportano tracce di epigrafi. Ne ho contati più o meno una decina. Interessanti anche i capitelli, anche se, credo, pochi siano originali. Da notare che intorno alla chiesa sono presenti tracce di altri edifici di epoca romana. Tra le tracce, la più evidente è una grande ara funeraria, composta da blocchi squadrati di marmo. Pochi chilometri di distanza da Sant’Ambrogio Valpolicella (comune in cui si trova la Pieve di San Giorgio), a Sommacampagna (VR), è possibile osservare un altro gioiello, che, stranamente, ho trovato aperto. Infatti i volontari lo tengono visitabile solo la prima domenica del mese dalle 15 alle 18. Anche qui affreschi in controfacciata che ho supposto fossero ottoniani, In questo caso il Cristo è attorniato dai Serafini e dai santi. Sono tantissimi gli affreschi presenti, di tutte le epoche. Tra gli altri un bel giro di affreschi riguardante la vita di Santa Caterina d’Alessandria. Numerosi anche gli elementi di reimpiego. Interessantissima, in particolare, un’ara funeraria con epigrafe, che si trova alla base di una colonna. Da non perdere anche un frammento di grosse dimensioni, longobardo, incastonato in una delle pareti. Termino con la prima chiesa che ho visto. L’unica che conoscessi in partenza. San Michele a Pescantina, sempre in provincia di Verona. Si entra dalla porticina laterale e l’arco che la sormonta riporta un grafito con le misteriose quattro parole del Sator. Sator Opera Tenet Arepo Rotas. Sarebbe bello concludere in silenzio, sormontati dagli splendidi affreschi delle due chiese di Valpolicella. Un rigoroso silenzio pieno di ammirazione per due capolavori assoluti. Scampati, se non ho sbagliato i conti, al tremendo terremoto del 1117 che ha devastato la zona del Veronese e, da li, tutta la pianura padana.

Luca Palumbo
Sono un quarantaduenne alla perenne ricerca di castelli. Artigiano nel settore delle costruzioni meccaniche, ho la mania dei castelli e li vado a cercare dappertutto. Da qualche tempo ho iniziato ad interessarmi anche ai monasteri e alle chiese di epoca medievale, ma la passione più grande è per le merlature. Altre passioni sono per la meccanica ed i vecchi transatlantici. Transatlantici e castelli hanno in comune il fatto di esser realizzati dall’unione molte di molte persone che, come diceva un mio amico, si spezzavano la schiena per metterli in piedi, quando l’abilità dell’uomo era l’unica cosa che contava.
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