Al Maqdisi (Muḥammad ibn Aḥmad Shams al-Dīn al-Muqaddasī o al-Maqdisī) il grande geografo arabo, che descrisse la Sicilia di Soumaya Bourougaaoui
Fu contemporaneo del viaggiatore e geografo arabo ibn Hawqal. Al-Muqaddasi o al-Maqdisi, (Bayt al-Muqaddas o Bayt al-Maqdis / بيت المقدس significano “il Gerosolimitano”, fu l’autore della colossale opera Aḥsan al-taqāsīm fī maʿrifat al-aqālīm (“La migliore divisione per la conoscenza delle regioni”).
Al-Maqdasi aveva ricevuto un’educazione distinta, aveva deciso di trasferirsi a Gerusalemme (al-Quds, “la Santa”, o al-Bayt al-maqdis, “Il sacro Santuario”), aveva visitato Khorasan, L’Iraq e L’Iran fin dall’adolescenza. Dopo, egli si stabilì a Shiraz. Scrisse la sua opera nel 985 all’età di quarant’anni dopo aver durevolmente viaggiato in diversi paesi. Poi, nel suo testo, al-Maqdisi non descrisse soltanto Gerusalemme e le altre località della Palestina nel X secolo, ma anche ebbe un grande interesse orientato verso la Sicilia del suo tempo descrivendola senza averla visitata personalmente. Nel X secolo i due viaggiatori arabi, Al-Muqaddasi ed Ibn Hawqal, forniscono delle descrizioni dettagliate della città; Al-Muqaddasi nella sua opera intitolata Ahsan at-taqàsim fì mà rifat al-aqalìm (La migliore delle ripartizioni per la conoscenza delle regioni) scrive:
Palermo capitale di Sicilia, è situata sul mare in quell’isola. È più grande di al-Fustàt (il Cairo vecchio), ma è ripartita in diversi settori; i fabbricati della città sono di pietra e calce ed essa appare rossa e bianca. La circondano sorgenti e canneti, le fornisce acqua un fiume chiamato Wadì Abbàs (l’odierno fiume Oreto). I mulini sono numerosi nel suo mezzo ed essa abbonda di frutta e di produzioni del suolo e d’uva. L’acqua batte le sue mura. Possiede una città interna, nella quale si trova la moschea gàmî; i mercati sono nel sobborgo (rabad). Ha inoltre una città esterna dotata di mura e chiamata al-Halisah, in cui si aprono quattro porte (De Simone A., Palermo araba, in La Duca R., 2003).[1]
Il prof. Giuseppe Barbera nella sua ricerca Parchi, frutteti, giardini e orti nella Conca d’oro di Palermo araba e normanna scrive:
L’agricoltura siciliana, come mostrano le poche testimonianze utili a delineare il quadro del sistema e del paesaggio agrario palermitano negli anni del dominio arabo – le poche righe di Al Muqaddasi, nel suo libro La migliore divisione per la conoscenza delle regioni e soprattutto le numerose pagine del mercante e geografo dell’alta Mesopotamia Ibn Hawqal nel Il libro delle immagini della terra scritto dopo un viaggio del 972, presenta un’attività ben sviluppata in prossimità di fiumi e sorgenti, qualificata dalla diffusa presenza della piccola proprietà e dalle colture irrigue seppure con un’ancora ridotta presenza di innovazioni (Vanoli, 2001). Un’agricoltura fondata sulla tradizione classica anche se alcune innovazioni possono essere già giunte dall’Ifriqiyah, dove nel 948 con i governatori Kalbiti erano andati al potere i Fatimidi, creando un presumibile più forte collegamento con la importante cultura agronomica persiana ed egiziana.[2]

Possiamo considerare che la sua opera (“Aḥsan at-taqāsīm fī ma῾rifat al-aqālīm” oppure “La miglior divisione nella conoscenza delle regioni”), è di straordinario e grande valore anche storico, etnografico, culturale e universale. In un elenco dei più importanti abitati di Sicilia menziona ‘Al Yag (Aci) come “…città murata; posta sul mare; vi si beve acqua corrente”. La testimonianza di al-Muqaddasi lascia intendere come, dopo la conquista araba dell’abitato, i medesimi musulmani avessero fin da subito edificato, possibilmente integrandole con parte delle opere difensive superstiti di epoca bizantina, nuove fortificazioni a protezione di un borgo, che forse entrava nel novero delle città più importanti della Sicilia. Nessuna traccia sopravvive della ‘Al Yag musulmana. La testimonianza più antica risalente ad epoca normanna si data al 1092 d.C. In quell’anno Aci rientra nel novero delle donazioni volute dal Conte Ruggero in favore del vescovo/abate Ansgerio. Durante il regno di Ruggero II, Edrisi, intorno al 1150 d.C., descrive Liag quale “terra marittima di antica civiltà. Ha un mercato ed una pianura, con belle e fertili terre da seminare, di natura sì calda che vi si fa le messe pria che in tutt’altro paese della Sicilia. Di qui si esporta pece, catrame, legname e altre derrate in gran copia.”[3]
Note
([1]) Ved, Fara Misuraca, I Musulmani di Sicilia (Siqilliyah), in Brigantino- Portale del Sud. (www.ilportaledelsud.org).
([2]) Giuseppe Barbera, Parchi, frutteti, giardini e orti nella Conca d’oro di Palermo araba e normanna, Review n. 6 – Italus Hortus 14 (4), 2007: 14-27, pp. 15-16.
([3]) M. Amari, Biblioteca arabo-sicula, 1880/81, vol. I, p. 70.

Ha conseguito il suo dottorato nel 2018 in lingua e letteratura italiana con specializzazione in civiltà italiana presso la Facoltà di Lettere, delle Arti e delle Scienze umane-Università della Manouba, discutendo una tesi dal titolo: “La comunità ebraica nell’Italia Meridionale ai tempi di Federico II di Svevia”. L’obiettivo di questa tesi è quello di illustrare l’evoluzione della comunità ebraica nell’Italia meridionale, all’epoca di Federico II di Svevia lo Stupor Mundi. A differenza della maggior parte degli altri sovrani coevi Federico II, come accennato, quest’ultimo aveva un sincero interesse per la cultura ebraica perché crebbe nel Mezzogiorno, a Palermo, in un ambiente cosmopolita e multiculturale con una forte tradizione di convivenza pacifica tra cristiani e ebrei.
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