Aristotele Fioravanti. Un friazy alla corte dello zar

La Cattedrale della Dormizione a Mosca
La Cattedrale della Dormizione a Mosca

Aristotele Fioravanti. Un friazy alla corte dello zar di Furio Cappelli

Il grande Mattia Corvino, il re umanista dell’Ungheria, volle Fioravanti al proprio servizio, e nel 1465 scrisse a tal fine ai Rettori del comune di Bologna, affinché concedessero il nulla osta.
Il re si era a lungo confrontato con la minaccia ottomana. Si interessava con molta intensità all’arte militare, studiando i trattati dei migliori teorici del settore, e non vedeva l’ora di avvalersi della maestria di un architetto unico al mondo come il Fioravanti (lo definisce singularis), che con la sua preparazione e con la sua esperienza poteva risolvere molteplici problemi logistici e strutturali dell’apparato difensivo del Paese.

Non a caso il Corvino era in rapporti d’amicizia con il duca di Milano Francesco Sforza, alla cui corte il Fioravanti era rimasto per lungo tempo. Nella capitale Buda era presente in pianta stabile un ambasciatore del duca lombardo, il medico Ambrogio Grifo, e si erano intavolate delle trattative, poi fallite, per un matrimonio con la figlia dello Sforza, Ippolita.

Il comune di Bologna concesse la licenza solo in seconda battuta, nel 1466, per via degli impegni inderogabili che trattenevano Aristotele in patria. L’invito di Mattia Corvino fu in ogni caso tenuto in gran conto, e non solo per motivi di prestigio. Si decise addirittura di mantenere lo stipendio mensile al Fioravanti durante la sua assenza. Si trattava infatti di un impegno che riguardava l’Europa cristiana, non solo l’Ungheria, visto che occorreva rafforzare le difese contro la minaccia dei «perfidi» Turchi (un atto della cancelleria comunale si esprime in questi termini). A quanto sembra, il nostro Aristotele si distinse in modo particolare con le opere di genio, allestendo o progettando ponti di barche sul corso del basso Danubio.

Mattia Corvino come riprodotto nella Chronica Hungarorum di Johannes de Thurocz
Mattia Corvino come riprodotto nella Chronica Hungarorum di Johannes de Thurocz

La grande svolta della sua vita, verso un punto ben più lontano dell’Europa orientale, si ebbe nel decennio successivo, nel 1475. L’architetto-ingegnere si era ritrovato in cattive acque, visto che una fallimentare attività economica di famiglia, la gestione di un mulino, lo aveva fatto precipitare in un mare di debiti. Occorreva quindi mettersi alla ricerca di un ingaggio conveniente, e le occasioni non mancarono. Mentre si trovava a Venezia fu raggiunto dall’offerta di Mehmet/Maometto II, il sultano che aveva conquistato Costantinopoli. Emulo di Alessandro Magno, di cui rileggeva di continuo le gesta, egli intendeva infatti circondarsi di letterati e di artisti di prim’ordine, abbinando l’immagine dell’esteta-mecenate a quella del conquistatore vittorioso che voleva far rinascere l’impero romano nel segno dell’Islam.

E un’altra offerta giunse dal principe di Mosca, Ivan III il Grande (1462-1505). Al pari di Mehmet era un autocrate risoluto, che agiva bensì in nome di Cristo. Dopo aver tenuto a bada l’Orda d’oro dei Mongoli, era riuscito a creare un potente Stato russo incentrato su Mosca, debellando la potenza delle illustri città rivali, come Nòvgorod. Voleva consolidare la sua immagine ergendosi a erede del distrutto impero bizantino, e per far questo, oltre a rafforzare il suo potere militare, doveva manifestare ai propri sudditi e al mondo intero la grandezza della nuova capitale, la «terza Roma» (dopo l’Urbe e Costantinopoli).

Per dare lustro alla propria discendenza era innanzitutto necessario un congruo matrimonio, e la sua scelta ricadde su Zoe Paleologo. Appartenente alla dinastia degli ultimi sovrani di Bisanzio, era figlia di Tommaso Paleologo, despota di Morea (Peloponneso), laddove si attestarono inutilmente le forze residue dell’impero sconfitto, cadute in modo definitivo nel 1460 sotto la dura pressione di Maometto II.

Tommaso, ormai ridotto al ruolo imbelle di imperatore pretendente, riparò a Roma, mettendosi sotto la protezione del papa. L’Italia giocò quindi un ruolo di primo piano nelle trattative per il matrimonio della figlia, che un arguto gesuita paragona a un affare di maquignonnage (vendita di bestiame). Da un lato il principe russo, impalmando Zoe, ambiva a dichiararsi erede di Bisanzio, dall’altro papa Sisto IV e il cardinal Bessarione (amico del Fioravanti) si proponevano di sfruttare la congiuntura ai fini della caldeggiata unione con Roma della Chiesa ortodossa. L’ambasceria che con tali proponimenti accompagnò la sposa in Russia nel 1472 ritornò a mani vuote. La stessa Zoe si sposò secondo il rito ortodosso, assumendo il nome di Sofia (in onore della divina Sapienza). Ma l’intreccio che si era stabilito con la Penisola doveva dare ben altri frutti.

Il gran principe aveva un ambasciatore a Venezia, Simeon Tolbuzin, che ebbe modo di invitare Aristotele Fioravanti a Mosca. Dopo l’unione con l’erede di Bisanzio, era infatti venuto il momento di trasformare la fortezza del Cremlino nel centro monumentale del nuovo Stato. Aristotele era l’uomo giusto per imprimere una robusta spinta iniziale, risolvendo in primo luogo le carenze delle maestranze locali. Era infatti bastato un terremoto tutt’altro che devastante, nel 1474, per rendere pericolanti le strutture della cattedrale dell’Assunzione, in corso di rifacimento dal 1472.

Ducato ugrico di Ivan III (1477-78)
Ducato ugrico di Ivan III (1477-78)

Aristotele si trovò così a scegliere tra Maometto e il principe russo. La sua preferenza cadde su Ivan III, complice forse l’amicizia che l’architetto intratteneva con il cardinal Bessarione. Il dotto umanista greco, che sognava la riconquista della «sua» Costantinopoli, lo avrebbe certo sconsigliato di mettersi al servizio del massimo nemico della cristianità.

Fu così che l’architetto bolognese giunse a Mosca, con il figlio Andrea e l’accolito Pietro al seguito, il 26 o il 29 marzo 1475.

Una lettera che il Fioravanti ebbe modo di scrivere il 22 febbraio 1476 a Galeazzo Maria Sforza, duca di Milano (1466-1476), è piena di entusiasmo e di meraviglia. Fu inviata in Italia per il tramite di suo figlio Andrea, che portava con sé un dono speciale per il duca, due maestosi girifalchi catturati nelle foreste russe. Aristotele tiene a sottolineare che sta lavorando con grande lena in onore dello Sforza, come se l’opera che sta prestando a Mosca possa riservargli un rientro trionfale in Italia, magari proprio al suo servizio (il che non fu comunque possibile, poiché il 26 dicembre Galeazzo fu assassinato). Ma un ampio spazio è riservato a una serie di belle notazioni sulla «gran terra» che lo ospita, a degna cornice dei rapaci inviati in omaggio. Mosca, innanzitutto, è una «zittà nobilissima et richisima et merchantescha». Giunto a una località del nord ricchissima di selvaggina, si era messo a cacciare zibellini, ermellini, lepri, e osserva che le sue prede spesso si rifugiavano nell’acqua, e vi rimanevano «per paura» ben 15 o 20 giorni, vivendo al modo dei pesci. In estate il sole non tramontava mai, a mezzanotte era alto sull’orizzonte «chomo da noi» in pieno giorno. E qui il Fioravanti si interrompe abilmente, come se i prodigi da raccontare siano ancora tanti, e tali da suscitare qualche naturale perplessità. Proprio a questo punto inserisce a memoria una fedelissima citazione della Commedia dantesca, il passo in cui il poeta fiorentino sta per raccontare qualcosa di talmente straordinario che a dirlo così come è si rischia di apparire menzogneri (Inferno, XVI, vv. 124-26). Forse è la prima volta che la voce dell’Alighieri risuona sulla riva della Moscova.

Italiani in Russia
Non dovette essere facile per un italiano ambientarsi in quelle lande, non solo per la rigidità del clima, ma soprattutto per l’attitudine tendenzialmente chiusa e orgogliosa degli abitanti. Tanto per cominciare, per loro gli stranieri erano «muti», perché non sapevano una parola della lingua locale. I russi, poi, non facevano grandi distinzioni tra i vari popoli del Mediterraneo. Per loro erano tutti frjazy, ossia «franciosi». Chiamavano in questo modo soprattutto i mercanti che facevano la spola con Bisanzio, dove era da secoli diffusa l’abitudine di chiamare «franchi» i popoli dell’Occidente. E quei mercanti che giungevano in Russia erano perlopiù italiani, in particolare quei genovesi che avevano creato nel XIII secolo una solida colonia in Crimea, Kaffa, nel luogo del vecchio abitato di Teodosia, nell’attuale Ucraina.
Dopo la venuta a Mosca di Aristotele Fioravanti, a parte qualche voce un po’ ostile alla presenza degli stranieri in patria, i «franciosi» acquisirono una dignità di tutto rilievo, e il termine frjazin, che venne a definire lo stile delle loro opere, denotava perizia tecnica e talento. Si ricorda molto spesso il contributo degli italiani nella realizzazione di San Pietroburgo, la città «imperiale» voluta dallo zar Pietro il Grande (1696-1724), ma occorre evidenziare che già lo stesso Cremlino, secoli prima, rinacque come complesso monumentale proprio grazie all’impulso degli architetti italiani, Fioravanti in primis.

Nella fase di demolizione della cattedrale i maestri locali rimasero stupefatti nel vedere che, grazie agli accorgimenti del Fioravanti, fu possibile radere al suolo in pochi giorni quel che aveva richiesto mesi di lavoro. L’architetto bolognese mise in opera un ariete costituito da due pali posti in diagonale, congiunti alla sommità, a cui era sospeso un palo trasversale. Tirando il palo dalla parte opposta al bersaglio, questo si scaricava con violenza sulla parete da abbattere. Gli operai russi rimasero sbalorditi, poi, quando Aristotele tirò giù i pilastri conficcando dei cunei di legno nei giunti di malta, tra un concio e l’altro. Dando fuoco ai cunei, la muratura cedeva con estrema facilità, grazie ai vuoti che si erano creati al suo interno.

Quando poi si passò alla fase realizzativa, l’ingegno dell’architetto bolognese continuava a fare faville. Fioravanti pensò bene di sostituire catene di ferro agli elementi lignei che venivano solitamente utilizzati per rinforzare la malta. Introducendo il metallo nel conglomerato delle strutture, aveva sostanzialmente inventato il cemento armato. E grazie alla robustezza dell’impianto così ottenuta, si poterono realizzare volte sottilissime, dello spessore di un solo mattone, secondo una tecnica di muratura «a foglio» del tutto inedita in terra russa.

Il nostro Aristotele fu vincolato al rispetto dei modelli architettonici tradizionali, a tal punto che, in prima battuta, ci rimarrebbe difficile credere che la cattedrale moscovita sia frutto di un architetto italiano, se non avessimo al riguardo informazioni documentarie estremamente dettagliate. Ma, nonostante l’inevitabile adeguamento ai canoni dello stile locale, il Fioravanti lasciò il suo tocco da maestro, anche al di fuori degli aspetti puramente tecnici.

L’interno, in primo luogo, ha un’intonazione ben diversa da quella di una tipica chiesa bizantina. In un edificio ortodosso solitamente si ha l’impressione che vi siano blocchi di spazio distinti, congiunti gli uni con gli altri intorno a un elemento centrale di spicco, su cui campeggia la cupola maggiore. La cattedrale del Fioravanti mostra invece uno spazio unitario di ampio respiro. Le navate e le cinque cupole hanno uguale ampiezza. Gli alti pilastri cilindrici, che i cronisti dipingono come «alberi di pietra», non creano alcun diaframma. Le volte del soffitto sono impostate allo stesso livello su tutta l’aula, secondo il principio delle chiese «a sala» che si ritrova nel duomo di Pienza del Rossellino (1459-1462). Per giunta, ogni spazio e ogni elemento architettonico scaturiscono dall’applicazione di un preciso canone proporzionale, in linea con una modalità armonica già tipica dell’arte gotica padana. L’effetto complessivo, prettamente rinascimentale, benché rispettoso della tradizione, era esaltato dal biancore dell’intonaco steso su tutte le pareti, oggi completamente ricoperte da affreschi.

L’aspetto esterno sembra refrattario a ogni innovazione, dominato com’è dall’emergere delle cupole e dalla successione dei tipici archi zakomary alla sommità delle pareti, in corrispondenza delle volte interne. Ma Fioravanti ha un colpo di genio. Riduce i risalti plastici delle absidi e delle decorazioni architettoniche, e tratta ogni parete come una superficie a sé stante, con una sensibilità tutta italiana nella cura del rapporto tra l’edificio e l’ambiente in cui si inserisce. In particolare, ruota leggermente l’asse della chiesa in modo che il fianco sud chiuda degnamente lo scenario della piazza prospiciente, come fosse la facciata di un palazzo. La Piazza delle Cattedrali, ancora ferma al suo assetto medievale, si trasformò così in un corridoio d’onore all’ingresso laterale dell’edificio, di fianco alla residenza del sovrano. Era il primo passo verso la definitiva configurazione del centro monumentale del Cremlino.

L’opera dell’architetto bolognese riscosse un successo immediato e unanime. Il metropolita, forse un po’ disorientato, compì in senso inverso la processione all’interno della chiesa durante la cerimonia di consacrazione, il che fece andare il gran principe su tutte le furie (da un errore del genere poteva venir fuori una robusta dose di malaugurio). Ma, a parte questo «incidente di percorso», tutto procedette nel migliore dei modi, e si rimase incantati di fronte a quella chiesa solenne e spaziosa, dominata dal vivido chiarore della luce. Luogo di incoronazione dei sovrani, e anche luogo di sepoltura del primo santo moscovita, il metropolita Pjotr, la cattedrale dell’Assunzione diveniva a tutti gli effetti la Reims della grande Russia, e il S. Pietro della Chiesa ortodossa, secondo la definizione della studiosa moscovita Anna L. Choroškevič. E come prima realizzazione del nuovo Cremlino, divenne un simbolo dello Stato russo, unificato per grazia del gran principe di Mosca. Con l’avallo del patriarca di Costantinopoli, il sovrano assunse poi l’illustre qualifica di zar (ossia Caesar) con Ivan IV il Terribile (1547-1584), nipote di Ivan III.

Il Cremlino
Ogni grande città russa aveva il suo cremlino (da kreml, castello). Il Cremlino di Mosca sorge laddove si formò il nucleo urbano originario, sul colle Borovickij, alla confluenza tra la Moscova e il torrente Neglinnaja (oggi canalizzato sotto il piano stradale).
Insieme all’adiacente Piazza Rossa (la «piazza bella» che funge da entrata solenne), dove campeggia la cattedrale di S. Basilio voluta da Ivan il Terribile, il Cremlino è inserito sin dal 1990 nella lista UNESCO dei siti che compongono il Patrimonio culturale dell’umanità.
La prima Mosca, difesa da un vallo e da palizzate, e con gli edifici in pareti di legno, risale all’XI secolo. Alla fine del XIII secolo, sul punto più alto, nei pressi della sede principesca, sorgono le cattedrali in pietra dedicate all’Assunzione, all’Arcangelo Michele e all’Annunciazione.
L’idea di base del complesso è mutuata dal Sacro Palazzo di Costantinopoli, con la residenza imperiale affiancata dalle cattedrali di S. Irene e di S. Sofia. Il Cremlino si adeguò in pieno all’illustre modello nel XV secolo, quando si presentò come una cittadella a sé stante, una sorta di Vaticano nel cuore di Mosca.
La cattedrale dell’Assunzione, cui il Fioravanti legò il proprio nome, fu ricostruita una prima volta nel 1326, quando il santo metropolita Pjotr trasferì la propria sede da Vladimir a Mosca, fornendo al gran principe Ivan I (1325-1340) il sostegno della Chiesa ortodossa al suo disegno di unificazione della Russia. Tra il 1365 e il 1367, su interessamento del gran principe Dimitri (1359-1389), viene ricostruita in filari di pietra bianca la cinta muraria, in funzione della nuova immagine della capitale. E con Ivan III il Grande inizia un completo restyling del complesso. Inaugurata la nuova cattedrale dell’Assunzione (1479), a partire dal 1484 i maestri di Pskov (città del nord-ovest, ai confini con l’Estonia) ricostruiscono l’Annunciazione, cappella palatina del principe. Si realizza poi, parte integrante della corte, il palazzo «a faccette» (così chiamato per la parete su piazza eseguita a conci sfaccettati, o a bugnato, di schietto stile ferrarese), con la sua enorme sala di ricevimento. L’edificio fu costruito nel 1487-91 dal lombardo Marco e dal ticinese Pietro Antonio Solari da Carona (morto a Mosca nel 1493), la cui stirpe ha legato il proprio nome al cantiere del duomo di Milano.
Aloisio da Caresana (Vercelli) intraprende nel 1499 la nuova residenza del sovrano. Inaugurata nel 1508, fu semidistrutta da un incendio nel 1532.
Alvise Alberti da Montagnana (Padova) nel 1505-09 ricostruisce la cattedrale dell’Arcangelo, che fungeva da mausoleo dei principi, impreziosita all’esterno da lunettoni a conchiglia di chiara impronta veneziana. Negli stessi anni sorge la torre campanaria dedicata a Ivan il Grande (1505- 08), opera del maestro lombardo Bono.
Nel 1485 si avvia il rifacimento del circuito murario. In sostituzione delle cortine trecentesche in pietra, parzialmente riutilizzate in fondazione, venne eretta un’elegante e solenne cinta in laterizio, punteggiata da 19 torri per una lunghezza complessiva di 2 km. Faceva da modello il Castello Sforzesco di Milano. La trasposizione dell’opera sulle rive della Moscova fu intrapresa su progetto del Fioravanti, e dopo la sua morte vide impegnati i predetti Pietro Antonio Solari, Aloisio e Alvise, tra il 1490 e il 1508. L’assetto definitivo della fortificazione si ebbe nel XVII secolo.

Per consolidare il suo impero, il sovrano non poteva fare solo affidamento sulla solennità dei nuovi edifici. Occorrevano fortificazioni, artiglierie e opere di genio militare. Del resto, come asseriscono i cronisti locali con disarmante sincerità, gli architetti italiani erano molto apprezzati in Russia perché erano bravi sia a costruire chiese che a fondere cannoni. Fioravanti, che di quella folta presenza italiana fu l’apripista, era in tal senso l’artista «fatto su misura» per le esigenze del principe. Ivan III, infatti, durante i lavori della cattedrale, non ci pensò due volte a saggiare la sua perizia nei teatri di guerra. In particolare, mentre era in corso la spedizione punitiva su Nòvgorod, Aristotele si distinse nel realizzare in pieno inverno un ponte di barche sul vorticoso fiume Volchòv, talmente ben riuscito da essere mantenuto in funzione anche a conclusione della campagna militare. E la perizia tecnica del Fioravanti segnò il suo destino, perché il sovrano lo considerò talmente prezioso e insostituibile da trattenerlo a corte fino alla fine della sua vita.

Il comune di Bologna, forse informato sull’avvenuta conclusione della cattedrale moscovita, nel 1479 richiese Aristotele al gran principe per poter avviare i lavori di consolidamento del Palazzo del Podestà su Piazza Maggiore, lavori che lo stesso Fioravanti aveva pianificato, ma Ivan III ignorò la richiesta, se non oppose un netto rifiuto. Leggenda vuole che l’architetto tentò la fuga da Mosca, ma venne riacciuffato dai soldati. Di certo era nelle sue intenzioni tornare carico di gloria in Italia, per trascorrere l’ultima parte della sua vita accanto alla famiglia. Ivan III lo dissuase con la forza, nell’inverno 1483, richiudendolo in prigione. Quando ne uscì, del tutto rassegnato, Aristotele continuò a servire il sovrano senza sosta, costretto magari a seguire le truppe come addetto alle artiglierie.

Tra le incombenze svolte spicca senz’altro l’avvio della nuova fortificazione del Cremlino, la cui realizzazione sarà avviata dopo la sua morte, con l’apporto di nuovi artefici italiani. Per un curioso paradosso, l’architetto che voleva tornare a servire gli Sforza, finì i suoi giorni nel cuore della Russia, avviando un’opera di architettura militare esemplata sul Castello ducale di Milano. La gloria di Aristotele eclissò ogni momento difficile del suo soggiorno forzato, e nella storia della famiglia Fioravanti non mancò un seguito in terra russa. Il figlio Andrea, che era stato con il padre a Mosca negli anni 1475-76, vi fece ritorno in cerca di fortuna. Nel 1552 un probabile pronipote di Aristotele trovò la morte sul campo, mentre militava al servizio di Ivan il Terribile. Giovannino, figlio di Paolo Fioravanti, cadde durante l’assedio di Kazan’, mentre lo Stato russo spingeva i suoi confini al di là del Volga, verso gli Urali e la Siberia.

Da leggere

Aristotele Fioravanti a Mosca. 1475-1975. Atti del Convegno, in “Arte Lombarda”, nuova serie, n. 44-45 (1976).
Prima di Leonardo. Cultura delle macchine a Siena nel Rinascimento, a cura di Paolo Galluzzi, Electa, Milano 1991.
Paolo Galluzzi, Gli ingegneri del Rinascimento da Brunelleschi a Leonardo da Vinci, Giunti, Firenze 1996.
Adriano Ghisetti Giavarina, Fioravanti (Fieravanti) Aristotele, in Dizionario biografico degli italiani, Fondazione Treccani, vol. 48, Roma 1997, pp. 95-100.

Cronologia

1420 ca.: Aristotele nasce a Bologna. Suo padre è l’architetto-ingegnere Fieravante di Ridolfo.
1437: Il 27 novembre provvede alla posa in opera del nuovo campanazzo del Palazzo del Podestà.
1447: Il Fioravanti, che era anche orafo, accusa a gran voce un collega di battere moneta falsa. Viene condannato per ingiuria.
1451-1452: È impegnato a Roma nello scavo e nel trasporto di colonne antiche destinate al nuovo coro di S. Pietro.
1453: Dopo la rottura, il campanazzo di Bologna viene rifuso, e Fioravanti ne cura nuovamente la posa in opera. Il 15 febbraio viene nominato ingegnere comunale.
1455: In agosto provvede allo spostamento della Torre della Magione. Il mese successivo raddrizza il campanile della pieve di Cento. Papa Niccolò V lo coinvolge forse in un progetto di spostamento dell’obelisco Vaticano. A dicembre opera il raddrizzamento del campanile di S. Michele Arcangelo a Venezia, che crolla però a lavori conclusi.
1457: Impegnato nelle verifiche sulle mura di Bologna, viene denunciato e condannato per aver tagliato una vigna e degli alberi da frutto di proprietà privata senza autorizzazione. La pena viene poi condonata.
1458: Cosimo de’ Medici richiede la sua consulenza per spostare un campanile a Firenze. Passa al servizio di Francesco Sforza, duca di Milano. A dicembre consolida il ponte coperto sul Ticino a Pavia.
1459: Il marchese Ludovico Gonzaga gli affida il raddrizzamento della torre presso la Porta Ceresio di Mantova, a capo di un ponte levatoio sul Mincio.
1459-60: È impegnato a più riprese a Parma, per la rettifica e il completamento del naviglio Taro.
1460: Passa in rassegna le difese e i castelli del versante settentrionale del ducato di Milano.
1461: Fornisce un parere sulla copertura a capriate dell’Ospedale Maggiore in corso d’opera a Milano, su progetto del Filarete.
1463: Compie una perizia sul canale del Crostolo, pomo della discordia tra Parma e Reggio Emilia. I Parmensi accusano il Fioravanti di eccessiva disponibilità verso i Reggiani, e non gli pagano le competenze dovute.
1464: Torna a stabilirsi a Bologna, dove riprende l’incarico di ingegnere comunale.
1465: Il re d’Ungheria Mattia Corvino scrive il 23 novembre ai Rettori di Bologna per richiedere la presenza del Fioravanti a corte.
1466: Probabile soggiorno in Ungheria, tra febbraio e novembre.
1467: Accertato soggiorno in Ungheria, tra gennaio e giugno.
1470-71: Realizza un acquedotto che corre da San Giovanni in Persiceto a Cento, per la lunghezza di km 42.
1471: Nel mese di giugno si reca a Roma per il progetto di traslazione dell’obelisco Vaticano promosso da papa Paolo II, ma il pontefice muore all’improvviso.
1471-72: Si trova a Napoli, dove gli viene affidato il recupero di una cassaforma precipitata nel fondale del porto.
1472: Tra agosto e settembre è impegnato nei lavori di verifica delle rocche bolognesi, e realizza probabilmente un progetto di restauro della facciata del Palazzo del Podestà.
1473: Mentre si trova a Roma per svolgere incarichi su conto di papa Sisto IV, viene raggiunto dall’accusa di aver spacciato moneta falsa a Bologna. Viene arrestato e processato, riuscendo a dimostrare la propria innocenza.
1475: Si indebita gravemente per la gestione di un mulino. Riceve a Venezia le proposte di lavoro di Maometto II e di Ivan III, e aderisce all’invito di quest’ultimo, che gli affida il rifacimento della cattedrale dell’Assunzione a Mosca. Il 26 novembre accoglie nella propria casa moscovita l’ambasciatore veneziano Ambrogio Contarini, di ritorno dalla sua missione in Persia.
1478: Realizza un ponte di barche sul fiume Volchòv durante la guerra contro Nòvgorod.
1479: Si inaugura la cattedrale dell’Assunzione. Il comune di Bologna richiede invano a Ivan III il rientro in patria del Fioravanti per gli importanti lavori al Palazzo del Podestà, che saranno poi intrapresi in sua assenza nel 1483.
1482: Conduce le artiglierie di Ivan III a Ninij Nòvgorod, durante la campagna contro Kazan’.
1483: Subisce un periodo di prigionia durante l’inverno per aver manifestato la volontà di ritornare in Italia.
1485: È capo dell’artiglieria durante l’assedio di Tver’. Svolge in questo periodo anche mansioni di zecchiere. Contribuisce al progetto di ricostruzione del Cremlino.
1486: Probabile anno di morte.

Il presente articolo è stato pubblicato sul mensile “Medioevo” (n. 206 marzo 2014) ed è tratto da https://independent.academia.edu/FurioCappelli.

furio_cappelliFurio Cappelli è dottore di ricerca in Storia dell’Arte Medievale e collabora alla rivista “Medioevo”.
Info: https://independent.academia.edu/FurioCappelli;
https://www.facebook.com/furiocap
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