Ce l’ha mandato Dio, con rune favorevoli. Bëowulf: il paladino cristiano dalla pelle di lupo di Valentina Falanga
Il poema epico anonimo di Bëowulf è un documento eccezionale. Esso è una fonte primaria per la letteratura e la paleografia e allo stesso tempo una fonte secondaria per conoscere la cultura, la società, la religione dell’universo germanico che l’ha prodotto.
Un solo manoscritto ci è pervenuto in forma originale, scampato miracolosamente alle fiamme di un incendio avvenuto nel XVIII secolo, oggi è conservato alla British Library di Londra. Il poema fu composto fra la metà del VII secolo e la fine del X secolo in antica lingua anglosassone, conta tremila versi e sebbene sia stato scritto in Inghilterra i fatti narrati sono ambientati in Scandinavia[1].
La vicenda.
Bëowulf è il protagonista dell’intero poema, principe svedese stanziato nella regione del Götaland che compì mirabolanti imprese in compagnia dei suoi sodali. Combatté contro draghi, creature marine, mostri di ogni genere e soprattutto contro il mostruoso Grendel e la madre di quest’ultimo che terrorizzavano il popolo del re Hrodgar di Danimarca. Fino alla sua ultima impresa, che gli costò la vita, contro un drago che custodiva un immenso tesoro sotterraneo.
Il poema inizia con la narrazione dei solenni e ricchi funerali del re danese Scyld Scefing per poi concentrarsi sulle sciagure che si stavano consumando presso la corte di Hrodgar. «Grendel, quell’Orco feroce: infame vagabondo della marca, infestava putrescenti acquitrini, terraferma e paludi»[2], che improvvisamente irrompeva nella sala del banchetto e «tendeva agguati e trappole ai giovani e agli esperti»[3]. Mentre Grendel continuava ad infestare la regione, Bëowulf avuta notizia di ciò decise di salpare:«fluttuavano le correnti, la risacca sul greto. I guerrieri portarono nel ventre della nave armi, corazze lucenti, begli arnesi di guerra. […], già al secondo giorno aveva corso tanto la loro prua ricurva che i naviganti scorsero la terra, scintillanti rupi marine, ripide scogliere, promontori vasti. Passato il mare, il viaggio era alla fine»[4]. Una volta arrivati in Danimarca vennero condotti presso la corte del sovrano: «É qui arrivato, venuto di là della volta del mare, un gruppo di Geati, e il più autorevole fra loro, quei soldati lo chiamano Bëowulf»[5]. Hrodgar li accolse con tutti gli onori a loro dovuti e subito l’eroe propose al re danese la sua ardita impresa: «il problema di Grendel mi è stato rivelato nella mia terra in patria. […]. Così ho ricevuto il consiglio dalla mia gente, […] mi hanno veduto loro tornare, colorato di sangue, da scontri dove ho legato cinque giganti, ne ho distrutta un’intera famiglia. O abbattere, di notte, mostri marini in acqua. […]. E adesso tocca a me sistemare, da solo, la faccenda con Grendel»[6]. Le parole dell’eroe erano risolute e il re danese non poté far altro che accettarle, ben lieto che finalmente qualcuno fosse giunto a liberarli dal flagello. Bëowulf ed il suo seguito furono invitati alla festa che si tenne quella sera stessa nella corte: «così fece posto sulle panche al manipolo dei guerrieri geati. Andarono a sedervisi, quegli spiriti forti, famosi per fatti di gloria. Un vassallo serviva: reggeva in mano la ricca brocca di birra, versava il limpido liquido»[7]. Dopo la festa, lo stesso principe svedese e i suoi uomini si prepararono a conoscere Grendel, si addormentarono nella sala conviviale ed il mostro non disattese le loro aspettative: «Venne, di notte nera, il Viandante dell’Ombra di soppiatto»[8]. La battaglia venne ingaggiata e molti tra i danesi e i geati morirono inghiottiti, ancora nel sonno, dal mostro. A mani nude, senza spada ne scudo, Bëowulf lo sfidò: «si aprì una piaga, sul corpo del Mostro spaventoso: gli apparve sulla spalla una vasta ferita. I tendini saltarono, scoppiarono le casse delle ossa. A Bëowulf fu concesso il trionfo di quel duello»[9], infatti era riuscito a staccare un braccio a Grendel, il quale ferito a morte era fuggito nella sua palude. Il macabro trofeo venne esposto sotto la volta del soffitto a memoria dell’impresa riuscita e si preparò una straordinaria festa nella quale Hrodgar ricoprì l’eroe di premi di ogni sorta. Anche la regina omaggiò l’eroe donandogli gioielli ed una splendida collana. I festeggiamenti si conclusero e mentre si tiravano sospiri di sollievo per la pace ritrovata e ci si preparava per la notte irruppe nella sala del Cervo la terribile madre di Grendel. I guerrieri furono insieme con il loro capo furono costretti nuovamente al combattimento. Era chiaro che una nuova minaccia si profilava all’orizzonte ed il re Hrodgar pregò il sovrano svedese di inseguire ed uccidere la madre nel suo nascondiglio segreto. Bëowulf accettò, si diresse verso la palude, immergendosi nella laguna «e si trovò di fronte la Lupa degli Abissi, la gigantesca Donna della laguna»[10] e benché colpisse con tutta la forza che possedeva il mostro non accennava ad arrendersi, anzi riuscì ad immobilizzare l’eroe e l’avrebbe trafitto ed ucciso con una lama se non fosse stato per la cotta di maglia che lo proteggeva. Bëowulf divincolatosi dalla morsa balzò in piedi, l’occhio gli cadde su una spada, una spada magica, che si trovava nella caverna con la quale trafisse ed uccise la mostruosa madre: «colpì con forza, disperando della sua vita, così che la raggiunse duramente alla gola. Si ruppero gli anelli delle ossa: la lama traversò fino in fondo la cassa condannata della carne. La donna crollò sul pavimento»[11]. Bëowulf aveva compiuto l’impresa, uccisa la madre di Grendel, si diresse verso il corpo di quest’ultimo e gli mozzò la testa. Riemerse dalla laguna brandendo in una mano la sola elsa della spada titanica e nell’altra la testa del mostro che portò come trofeo al re danese. Dopo altri festeggiamenti Bëowulf con il suo seguito salpò alla volta della sua terra sulla quale regnò per moltissimo tempo.
La seconda sezione del poema descrive la lotta dell’eroe con il drago che: «aveva distrutto la fortezza della nazione, le terre verso il mare, la difesa del paese con le sue fiamme: quindi il re guerriero, il principe dei Wederas, studiò di vendicarsene»[12]. Il sovrano andò ad affrontare il drago che «venne strisciando, attorto e in fiamme, precipitandosi incontro al suo destino»[13], Bëowulf si trovava in difficoltà, il drago pareva essere invincibile, i colpi che gli infliggeva sembravano scalfirlo appena, in suo aiuto accorse il nipote Wīglāf, «era la prima volta che al giovane guerriero toccava fare fronte all’urto della guerra a fianco del sovrano»[14]. Fu uno scontro durissimo perché il drago «caldo, feroce, ostile, gli strinse tutto il collo con le sue grinfie amare. Lui e fu insanguinato, di un sangue d’anima. Sgorgava, il sangue, a ondate»[15]. I due guerrieri riuscirono ad uccidere il drago ma Bëowulf restò ferito gravemente e non poté godere «quel momento di trionfo fu l’ultimo delle sue gesta, del suo lavoro nel mondo. Poi prese, la ferita che gli aveva causato il drago di terra, a bruciare, a gonfiarsi»[16], morente ma ancora fiero intimò a Wīglāf di andare a dissotterrare il tesoro: «corri, ora, in fretta, perché io la veda, quell’antica ricchezza, quel patrimonio d’oro, e contempli a mio agio le sfolgoranti gemme tagliate, perché io più dolcemente possa abbandonare, davanti a quelle gioie prezioso, la mia vita e la nazione che ho retto a lungo»[17]. Così il nipote scese nell’antro del drago a saccheggiare un tesoro fatto di ori, gioielli e di pietre preziose con l’angoscia incalzante di risalire e trovare lo zio morto, il re era in fin di vita e il suo ultimo atto fu quello di sciogliersi «dal collo un cerchio d’oro, il re di intrepide idee, lo regalò al suo vassallo, al giovane armato di lancia; l’elmo splendente d’oro, l’anello e la cotta»[18]. Wīglāf tornò all’accampamento e diede il triste annuncio della morte di Bëowulf a tutto il seguito del re e subito si dispose che venisse organizzato il funerale per l’intrepido sovrano.
Chi era Bëowulf?
Questo poema ci restituisce una tipologia di guerriero che per molto tempo è stata sfuggente, anzi si credeva fosse solo un invenzione letteraria al limite del leggendario. Le testimonianze archeologiche sono diverse ed una fra le tante sono le incisione sulla Colonna Traiana che ritraggono uomini vestiti con pelli di lupo o con pelli di orso[19]. La colonna era stata fatta erigere per la vittorie che l’imperatore Traiano aveva ottenuto in Dacia tra il 101 d.C. e il 106 d.C. La Dacia era una regione che comprendeva uno spazio circondato dalla catena dei Carpazi a nord e dal Danubio a sud e abbracciava territori come quello dell’odierna Transilvania[20] e quindi abitati da popolazioni di stirpe germaniche che avevano nella loro tradizione certamente i berserkir e gli ulfhednar. Ma, anche la testimonianza letteraria di Tacito è fondamentale, seppur antecedente alla conquista della Dacia. Egli infatti riporta in un passo della Germania una descrizione che potrebbe essere quella degli uomini belva: «l’inizio di tutte le battaglie è il loro; costituiscono sempre la prima fila, spaventosi a vedersi»[21]. Alla luce di ciò, senza dubbio, Bëowulf può essere considerato un guerriero berserkr o meglio un ulfhedinn, è proprio il suo nome a rivelarci la sua natura ferina. Se scindiamo la parola berserkr in berr ossia “nudo” e in serkr ossia “camicia” otteniamo “portatore di pelle d’orso”. Essi potevano essere definiti anche ulfhedinn cioè “guerrieri avvolti in pelli di lupo”[22] e l’analogia con wulf e wolf nell’attuale inglese è chiarissima[23]. Essi combattevano con estrema destrezza, spregio del pericolo per la propria vita e di quella altrui tanto è vero che durante il combattimento acquisiscono le qualità dell’orso o del lupo sbranando, talvolta, i nemici. Sul campo di battaglia erano in preda a quello a quello che viene definito come berserksgangr cioè erano pervasi da un furore tale da urlare, ululare o bramire e mordere il proprio scudo. Così composti risultavano essere invincibili ai colpi degli avversari[24].
Il fatto che Bëowulf muoia alla fine del poema, probabilmente, è da ascriversi alla tradizione cristiana per la quale non poteva esistere nessun altro essere al di fuori di Dio che fosse invincibile ed immortale.
Il cristianesimo del poema.
Data la presenza di madri e figli mostruosi, draghi e sangue che scorre a fiotti ci si aspetterebbe che ad essere invocati siano Odino, divinità alla quale gli uomini belva erano votati, e suo figlio Thor[25], cosa che invece nel poema non ritroviamo affatto. La divinità che viene sempre invocata è il Dio cristiano, questo è un particolare davvero interessante in quanto ci dimostra che i Sassoni avevano già subito un processo di cristianizzazione e al momento che il poema venne messo nero su bianco Dio ha sostituito le divinità tradizionali. Esso è una testimonianza di transizione da una cultura pagana ad una cristiana. La presenza di Dio e quella del mostruoso Grendel nelle medesime pagine sono il sintomo di due culture diverse che si toccano, si confrontano e che si contaminano l’una con l’altra.
Questa duplicità convive, ad esempio, nelle parole di Hrodgar: «ce l’ha mandato Dio, con rune favorevoli […] contro l’orrore di Grendel»[26]. Le rune erano un modo di praticare la divinazione e quindi erano un mezzo con il quale ci si metteva in contatto con la divinità e cosa interessante da sottolineare è che durante la fase di evangelizzazione non vi è traccia di avversione nei confronti di questa forma di scrittura e dunque la prossimità delle rune con elementi culturali della sfera soprannaturale deve ascriversi con molta probabilità alla fase del loro declino funzionale[27].
Grendel, inoltre, viene descritto come un discendente della nefasta progenie di Caino e come tale è escluso dai piacere della vita, infatti, egli provava invidia ascoltando le musiche e le danze e vedendo le feste che si celebravano nella sala del Cervo. Questo fu un tema che tra i popoli scandinavi ebbe grande diffusione. Seppure l’eroe è ormai un eroe cristiano che invoca Dio la sua natura ferina resta tale ed essa è descritta in maniera evidente almeno in due passi. Il primo: «non avrebbero mai creduto, prima di allora, che un uomo riuscisse, a sua misura, a farla a pezzi»[28], qui si mette in evidenza la dismisura di Bëowulf in confronto con gli altri uomini che nel tentare l’impresa erano morti. Una tale dismisura proveniva solo e soltanto da Dio, al quale ripetutamente egli si rivolge.
Il secondo passo riguarda il confronto con il drago:«nacque un terrore reciproco, nell’uno come nell’altro»[29], questi versi indicano che il drago temeva Bëowulf perché ne percepiva l’essenza animalesca e quindi un nemico di pari forza e dignità. Ancora più chiaro risulta essere il passo che dice: «non passò molto, e i due mostri tornarono a misurarsi»[30], Bëowulf è un mostro e solo un altro mostro di eguale entità avrebbe potuto ucciderlo. Tutto ciò sta a significare che si era potuto cristianizzare la superficie e non le radici per le quali ci si sarebbe voluto ancora molto tempo. Il poema segna, inevitabilmente, il momento del passaggio da una cultura pagana ad una cristiana. Anche il funerale di Bëowulf ne è una prova, l’eroe non viene semplicemente sepolto ma gli si tributano tutti gli onori secondo la più classica tradizione funebre germanica: il corpo viene vestito riccamente insieme con tutti i simboli del potere: i gioielli e le armi. Infine, dato alle fiamme, il rogo era una tradizione che non apparteneva alla cultura cristiana e nonostante ciò fu l’ultimo saluto che il sovrano ricevette dai suoi sudditi.
Il signore degli anelli.
Il poema ci da ancora un altro spunto di riflessione: in alcuni gesti di Bëowulf o di Hrodgar si rintracciano quelle che saranno sia le radici del rapporto vassallatico beneficiario che si diffuse in tutta l’Europa medievale sia i fondamenti etici, addolciti e sacralizzati dal cristianesimo, propri della figura del cavaliere[31].
Un esempio di tutto questo potrebbe essere quando Bëowulf ed i suoi attendono Grendel nella sala del Cervo: «dormiva, la scorta fraterna, stretta addosso, una schiera di giovani guerrieri»[32], l’espressione “scorta fraterna” non è messa lì a caso ma, vuole sottolineare una profonda solidarietà e un’atavica abituata a concepire i rapporti sociali in termini familiari. La società guerriera germanica si modella sulla famiglia, crea artificiali legami di paternità e fratellanza tra i suoi membri, accanto alla famiglia discendente da un unico seno materno istituisce quella creata sulla e per la guerra[33]. Questa famiglia così costituita venne definita da Tacito con la parola latina di comitatus ed era presente in varie forme e con nomi diversi in tutte le società di tipo germanico. Al centro di essa vi era un capo che era certamente il primo ma, un primus inter pares, il quale dopo aver concluso le imprese non tratteneva solo per se stesso tutto il bottino ma lo spartiva equamente tra i suoi seguaci. Affiora quindi la cultura ed il concetto del dono che per la società germanica aveva un valore simbolico e concreto importantissimo. Ritornando ancora una volta al poema Bëowulf è definito «il signore degli anelli»[34], questa espressione voleva indicare sia colui che regalava gli anelli e che quindi teneva legati a se coloro i quali ricevevano tali oggetti sia un individuo diverso che si distingueva per le sue qualità ed attività dal resto della comunità. Il tema dell’anello fu messo in evidenza già da Tacito sempre nella Germania quando si trovò a descrivere gli usi ed i costumi dei Catti sottolineando che essi portavano al collo un anello di ferro. Questo simbolo, inizialmente, era un segno d’infamia ma, il fatto che venisse accettato dai suoi portatori lo fece diventare un definitivo simbolo d’obbligo guerriero. A coloro i quali lo indossavano si permetteva d’infrangere, nel comune interesse, i consueti doveri sociali perché essi non si occupavano di nulla che non fosse l’esercito della guerra e delle armi e la comunità li nutriva in cambio del loro impegno militare. Ciò che per un uomo comune sarebbe stato motivo d’onta era titolo di gloria per loro[35]. Ed proprio ciò che Bëowulf ed i suoi gregari fanno, sono uomini che passano il loro tempo compiendo imprese ed avventure e quando non sono impegnati in esse si dedicano ai piaceri del banchetto e della vita in generale.
Oltre ai gioielli un dono importantissimo erano sicuramente le armi ed in particolare le spade, nel poema Hrodgar «regalò, allora, a Bëowulf, la spada di Healfdene»[36] ed ancora la regina gli offrì «con grazia degli ori ritorti, due cerchi per il braccio, anelli, un mantello e la collana più splendida di cui a questo mondo io abbia mai sentito parlare»[37]. I gioielli e le armi riccamente gemmate e lavorate erano simboli di immediato impatto visivo e la loro ostentazione metteva in chiaro il ruolo di chi si aveva innanzi.
Bibliografia
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Tacito C., La Germania, Delirium, 2016.
Sitografia
http://www.treccani.it/enciclopedia/dacia_%28Enciclopedia-dell’-Arte-Antica%29/
Note
[1] S. Heaney, Beowulf, Fazi Editore, Roma, 2002.
[2] Beowulf, a cura di L. Koch, Einaudi, Torino, 2016, cit., p. 13.
[3] Ivi, cit., p. 17.
[4] Ivi, cit., p. 23.
[5] Ivi, cit., p. 35.
[6] Ivi, cit., p. 39.
[7] Ivi, cit., p. 45.
[8] Ivi, cit., p. 61.
[9] Ivi, cit., p. 71.
[10] Ivi, cit., p. 133.
[11] Ivi, cit., p. 139.
[12] Ivi, cit., p. 203.
[13] Ivi, cit., p. 219.
[14] Ivi, cit., p. 225.
[15] Ivi, cit., p. 229.
[16] Ivi, cit., p. 231.
[17] Ivi, cit., p. 233.
[18] Ivi, cit., p. 239.
[19] M. P. Speidel, Ancient Germanic Warriors. Warrior style from trajan’s column to icelandic sagas, Londra & New York, Routledge, 2004.
[20] http://www.treccani.it/enciclopedia/dacia_%28Enciclopedia-dell%27-Arte-Antica%29/
[21] C. Tacito, La Germania, Delirium, 2016, cit., p. 52.
[22] L. Oitana, I Berserkir tra realtà e leggenda, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2006, cit., p. 1.
[23] Christian Sighinolfi, I guerrieri-lupo nell’Europa arcaica. Aspetti della funzione guerriera e metamorfosi rituali presso gli indoeuropei, Rimini, Il Cerchio, 2004.
[24] L. Oitana, I Berserkir tra realtà e leggenda.
[25] M. Battaglia, I Germani. Genesi di una cultura europea, Roma, Carocci, 2013.
[26] Beowulf, a cura di L. Koch, Torino, Einaudi, 2016, cit., p. 37.
[27] M. Battaglia, I Germani, cit., p. 203.
[28] Beowulf, cit., p. 67.
[29] Ivi, cit.,p. 219.
[30] Ivi, cit.,p. 221.
[31] F. Cardini, Alle radici della cavalleria medievale, Bologna, Il Mulino, 2014.
[32] Beowulf, cit., p. 63.
[33] F. Cardini, Alle radici, cit., p.169.
[34] Beowulf, cit., p. 133.
[35] F. Cardini, Alle radici, cit., p. 179.
[36] Ivi, cit., p. 87.
[37] Ivi, cit., p. 105.

È nata a Torre del Greco, provincia di Napoli, il 10 gennaio 1991. Da sempre appassionata di storia, arte e letteratura il 24 novembre 2017 si è laureata con il massimo dei voti in Scienze Storiche, indirizzo medievale-rinascimentale, all’università Federico II di Napoli.
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