Bisanzio, storia di un Impero – 1a parte

Progressione cronologica dell'Impero Bizantino
Progressione cronologica dell’Impero Bizantino.

di Ornella Mariani.

Morto Teodosio I, il 17 gennaio del 395 la divisione dell’Impero Romano divenne definitiva.

Per quanto le due realtà territoriali costituissero in teoria un’unità, Commune Imperium Divisis Tantum Sedibus, in pratica erano ben distinte in organismi che nessun espediente politico avrebbe potuto fondere completamente. Se l’uno, infatti, era Latino, l’altro restava Greco/ellenistico rispettivamente prevalendovi il senso pratico dei Romani e lo spirito speculativo dei Greci.

Per separarne la gestione Diocleziano, che ne aveva già percepito profonde ed incolmabili le differenze geografiche, politiche, militari, amministrative, religiose e culturali, volle l’impianto tetrarchico: fu il primo passo verso quella scomposizione condivisa anche da Costantino col trasferimento della capitale da Roma a Bisanzio, indicatore di quello spostamento dell’asse romano poi consacrato da Costanzo e Costante; da Valentiniano I e Valente; da Valente e Graziano; da Graziano e Teodosio; da Arcadio ed Onorio.

Alla fine del IV secolo la frattura era un fatto storicamente compiuto e, da quel momento, le sorti dei due edifici resi uno solo dall’improbabilità, si mantennero separate malgrado i Bizantini seguitassero a considerarsi eredi del vecchio Impero e Romani di lingua greca; tentassero di ricostituire unità ed identità con l’avvìo della riconquista delle terre perdute e mantenessero il Latino come lingua ufficiale.

Se inizialmente si trattò di una ripartizione burocratico/amministrativa a carattere militare motivata, dalla difesa delle frontiere e dal passaggio dal Paganesimo al Cristianesimo, presto fu l’assetto geografico a contare. Vocata a riscuotere i dazi sui transiti di merci e divenuta Nuova Roma, l’antica Bisanzio si ritagliò ben altro ruolo storico grazie al suo allungarsi sullo sbarramento naturale che divideva i mondi – la regione pontica ed il Mediterraneo da una parte; la via trasversale dall’Europa continentale all’Oceano Indiano dall’altra; i percorsi dalla valle danubiana a quella irrigata dall’Eufrate dall’altra ancora – e, da appendice si trasformò in elemento di prosecuzione di una tradizione politica autonoma in ogni àmbito, compreso quello religioso.

A parte il favore della felice ubicazione, infatti, la lunga sopravvivenza dell’apparato monarchico d’Oriente fu garantita da un sostanziale principio unitario alloggiato nell’Ellenismo: restato sempre vivo, esso mantenne comunanza di idee e tradizioni in tutti gli strati sociali fino a trasformare Costantinopoli in referente di civiltà e consuetudini in grado di concorrere ad una coesione di ispirazione nazionalista fondata su una concezione ellenica non circoscritta in una razza, ma capace di assimilare le forze vive di Slavi, Bulgari Ungheresi, Armeni ed Arabi, dominandole con l’autorità della cultura.

Non a caso, quando la stirpe greca venne indebolendosi, pur fra luci ed ombre ne restò insoppressa la memoria al punto che anche i Barbari furono sempre inclini alla deferenza nei confronti della Corte orientale, quali che fossero le vicende dinastiche accadutevi fra il VI ed il XII secolo.

Anche la Chiesa greca esercitò grande ascendente sulla credibilità e sulla attività politica, amministrativa, sociale ed economica bizantina. Essa fu infatti concepita come instrumentum Regni per antonomasia; come vincolo di unità fra le varie componenti etniche e, con l’esercito, come forza unica a disposizione di un Imperatore ad un tempo Basileus ed Isaposto grazie ad un Clero il cui Patriarca, competitivo col Papa di Roma fino ad incrinare le relazioni fra Chiese, abdicando dalla propria autonomia a vantaggio di quella imperiale, ricevette prestigio, onori, ricchezze e privilegi.

Dal IV secolo, in definitiva, le due metà governate da Arcadio e da Onorio divennero Impero Romano d’Occidente e Impero Romano d’Oriente e, quando nel 476 l’ostrogoto Odoacre depose in Romolo Augustolo l’ultimo Imperatore occidentale consegnandone le insegne a Zenone I, la colossale Monarchia orientale, da quel momento per definizione Bizantina, mentre la decadenza spegneva le luci di Roma, era l’unica ad esprimere un significato ed una legittimazione politica tale da occupare la ribalta per oltre un millennio, ad onta della insufficienza di molti dei suoi esponenti.

Durante quella lunga e sofferta fase di trasformazione motivata dalle pressioni barbare e dai mutamenti religiosi, i successori di Giustiniano, infatti, incapaci di contenerli, consentirono nel 568 ai Longobardi di Alboino di prendere la più parte dell’Italia del Nord; agli Slavi di occupare i Balcani e ai Persiani di conquistare molte Province successivamente recuperate da Eraclio, pur a sua volta travolto dalla perdita di ampi territori incorporati dagli Arabi a partire dal VII secolo.

Nulla sarebbe stato mai più come al tempo dei Cesari.

Giustiniano era stato l’ultimo Sovrano di madrelingua latina seduto al trono di Costantinopoli: sotto di lui fu opposta resistenza ai Persiani, Ávari e Slavi; sotto di lui furono riconquistate le regioni occidentali nella prospettiva della Renovatii Imperii; sotto di lui Belisario e Narsete recuperarono alcune Province dell’ Africa settentrionale e parte della Spagna e dell’Italia al termine della drammatica guerra greco/gotica; sotto di lui l’Impero raggiunse la sua massima estensione territoriale. Si trattò di un tragico inganno: le controversie religiose, un intollerabile cesaropapismo, il sistematico impegno bellico si risolsero in una catastrofe economica e demografica di portata epocale. Fu, invece, proprio Eraclio, ancorchè spiazzato dalla comparsa degli Arabi, ad estrarre l’Impero dal disorientamento politico e dall’incertezza identitaria e a conferirgli una omogeneità fondata sull’ellenizzazione; sull’ufficialità della lingua greca; sulla sostituzione del titolo d’Imperatore con quello di Basileus; sulla istituzione della confessione ortodossa; sulla ripartizione territoriale in Temi: unità amministrative a carattere militare, fornendogli ragioni storiche di sopravvenza e di rispettabilità, malgrado l’alternanza di una decina di dinastie e di un centinaio di Imperatori dei quali trentanove impegnarono il trono per filiazione dinastica; quattro per adozione; quattro per elezione; nove per matrimonio ed una trentina per usurpazione, in un clima spesso connotato da contrapposizioni, congiure e guerre civili attizzate da avventurieri ambiziosi e sanguinari e da Imperatrici corrotte sulla cui nefasta azione s’allungò la lunga ombra del Papato.

Dopo aver respinto le invasioni arabe, l’Impero avviò un progressivo processo di ripresa del suo prestigio malgrado l’VIII secolo fosse dominato dalla questione iconoclastica che impegnò Leone III e che determinò la rivolta degli Iconoduli.

La querelle riesplose con vigore nel IX secolo, a tutto danno dei rapporti con la Chiesa Cattolica Romana e con il S.R.I.

Ma nuovi fasti attendevano la storia bizantina e le furono assegnati dalla Dinastia Macedone, tra la fine del IX e l’inizio dell’XI secolo: lustri durante i quali fu arginata la pressione romana mirata a rimuovere il Patriarca Fozio; fu guadagnato il controllo dell’Adriatico, di parte dell’Italia e di molti territori appetiti dai Bulgari; fu negoziata la strategica alleanza con lo Stato della Rus’ di Kiev.

L’Impero aveva raggiunto una connotazione ecumenica in materia religiosa ed una portata politica di enorme rilievo in materia di politica internazionale.

Poi, inesorabile come quella romana, venne la stagione della frantumazione le cui radici affondarono nella crescita dell’Aristocrazia terriera; nella comparsa dei Normanni e dei Turchi Selgiucidi; nell’avvento epocale degli Arabi; nella rottura delle Chiese nel 1054; nei conflitti crociati; nella cocente sconfitta di Mazinkert; nelle posizioni anti/occidentali degeneranti nel crollo di Costantinopoli nel 1204; nella fondazione di un Regno feudale di breve durata: l’Impero latino e con la fine del potere bizantino polverizzato in tre Stati: Impero di Nicea, Epiro e Trebisonda.

Eventi le cui conseguenze, maturate nel tempo, esplosero all’improvviso: nel 1453, quando gli Ottomani conquistarono Costantinopoli, il sipario calò definitivamente sull’Impero Bizantino, già Impero Romano d’Oriente.

Gli Imperatori

Dinastia Costantiniana: Costantino I, 306/337; Costantino II, 337/340; Costante I, 337/350; Costanzo II, 350/361; Giuliano, 361/363.

Non dinastico: Gioviano, 363/364.

Dinastia Valentiniana/teodosiana: Valentiniano I, 364/364; Valente, 364/378; Graziano, 378/379; Teodosio I, 379/395; Arcadio, 395/408; Teodosio II, 408/450; Marciano, 450/457.

Dinastia Trace: Leone I, 457/474; Leone II, 474/474; Zenone, 474/491; Basilisco, 475/476; Anastasio, 491/518.

Dinastia Giustinianea: Giustino I, 518/527; Giustiniano, 527/565; Giustino II, 565/578; Tiberio II, 578/582; Maurizio, 582/602.

Non dinastico: Foca, 602/610.

Dinastia Eracliana: Eraclio, 610/641; Costantino III Eraclio, 641/641; Eraclio II, 641/641; Costante II, 641/668; Costantino IV Pogonato, 668/685; Giustiniano II Rinotmeto, 685/695.

Non dinastico: Leonzio, 695/698; Tiberio III Apsimaro, 698/705; Giustiniano II, 705/711; Filippico Bardane, 711/713; Anastasio II, 713/715; Teodosio III, 715/717.

Dinastia Isaurica: Leone III, 717/741; Costantino V, 741/741; Artavasde, 741/743; Costantino V, 743/775; Leone IV il Cazaro, 775/780; Costantino VI il Cieco, 780/797; Irene, 797/802; Niceforo, 802/811; Stauracio, 811/811; Michele I Rangabè, 811/813; Leone V l’Armeno, 813/820.

Dinastia Amoriana: Michele II il Balbo, 820/829; Teofilo II, 829/842; Michele III l’Ubriaco, 842/867.

Dinastia Macedone: Basilio I, 867/886; Leone VI, 886/912; Alessandro, 912/913; Costantino VII, 913/959.

Dinastia Lecapeno: Romano I, 920/944.

Dinastia Macedone: Romano II, 959/963.

Dinastia Foca: Niceforo Foca II, 963/969.

Dinastia Zimisce: Giovanni Zimisce, 969/976.

Dinastia Macedone: Basilio II, 976/1025; Costantino VIII, 1025/1028.

Dinastia Argiro: Romano III, 1028/1034.

Dinastia Paflagonico: Michele IV, 1034/1041.

Non dinastico: Michele V, 1041/1042.

Dinastia Macedone: Zoe, 1028/1050.

Dinastia Monomaco: Costantino IX, 1024/1054.

Dinastia Macedone: Teodora, 1055/1056.

Dinastia Gerontas: Michele VI Bringas, 1056/1057.

Dinastia Comnena: Isacco I, 1057/1059.

Dinastia Ducas: Costantino X, 1059/1067.

Dinastia Diogene: Romano IV, 1068/1071.

Dinastia Ducas: Michele VII, 1071/1078.

Dinastia Botaniate: Niceforo III, 1078/1081.

Dinastia Comnena: Alessio I, 1081/1118; Giovanni II, 1118/1143; Manuele I, 1143/1180; Alessio II, 1180/1183; Andronico, 1183/1185.

Dinastia Angeli : Isacco II, 1185/1195; Alessio III, 1195/1203; Alessio IV, 1203/1204; Isacco II, 1203/1204.

Dinastia Ducas: Alessio V, 1204/204.

Dinastia Canabo: Nicola, 1204/1204.

Dinastia Lascaris: Costantino XI, 1204/1204; Teodoro, 1205/1221.

Dinastia Ducas: Giovanni III, 1221/1254.

Dinastia Lascaris: Teodoro II, 1254/1258; Giovanni IV, 1258/1261.

Dinastia Paleologi: Michele VIII, 1259/1282; Andronico, 1282/1328; Michele IX, 1295/1320; Andronico III, 1328/1341; Giovanni V, 1341/1376.

Dinastia Cantacuzena: Giovanni VI, 1347/1354.

Dinastia Paleologi: Andronico IV, 1376/1379; Giovanni VI, 1379/1391; Giovanni VII, 1390/1390; Manuele II, 1391/1425; Giovanni VII, 1399/1402; Giovanni VIII, 1425/1448; Costantino XI, 1449/1453.

Le vicende dell’Impero da Arcadio agli Isaurici

Dal IV al principio del VII secolo, si alternarono al trono bizantino la Dinastia Teodosiana -395/457-; la Prima e la Seconda Dinastia trace – 457/610.

Mancato Teodosio, gli successe il figlio diciassettenne Arcadio, sotto tutela prima di Rufino e poi di Eutropio che ne favorì le nozze con Eudossia, figlia di un Generale franco. I due tutori furono eliminati da violenti intrighi che portarono al potere il goto Gainas.

Ad Arcadio subentrò il settenne Teodosio II di cui ebbe cura la sorella maggiore Pulcheria che, con i suoi favoriti, tenne le redini di uno Stato disgregato dalle invasioni persiane, vandale ed unne. In quel periodo furono comunque fortificate le mura che resero inespugnabile Costantinopoli e fu promulgato il Codice Teodosiano nel quale furono raccolte le costituzioni imperiali da Costantino in poi.

Dopo il mandato di Marciano, col quale l’esperienza dinastica si concluse, in mancanza di un preciso ordine successorio la dignità imperiale fu conferita a Leone I il Grande.

Nato in Tracia, egli fu il primo Imperatore bizantino di provenienza barbara: era Tribuno militare quando fu acclamato dall’esercito. Sostenitore delle risoluzioni del Concilio di Calcedonia, suscitò forti opposizioni da parte dei Monofisiti di Egitto e Siria ma in Occidente conservò l’unità dell’Impero, ritenendo subordinati alla sua autorità Maiorano e Livio Severo, considerati sempre Cesari e mai Augusti. Morto Severo, nel 465 egli assunse la potestà anche occidentale affidandone il governo al Patrizio Ricimero ed elevando al trono romano il parente Antemio, prima di lottare a più riprese Vandali e Goti e di spegnersi nel 474.

Gli successe il nipote Leone II, figlio di Arianna e Zenone, già dall’età di cinque anni associato alla guida dell’Impero ma morto a soli sei mesi dall’insediamento. Suo padre usurpò il potere amministrandolo fra rivolte sociali e agitazioni religiose aggravate dalla pubblicazione dell’Henoticon, col quale credette di poter conciliare i Monofisiti ed i Cattolici. L’iniziativa intervenne pesantemente sui già fragili rapporti con la Chiesa di Roma, saldandosi alle dispute verificatesi fra il 343 ed il 398 sulla questione ariana ed alla polemica accesa nel 404 dalla deposizione del Patriarca Giovanni Crisostomo, contro la volontà papale. La condanna espressa da Felice III degenerò nella scomunica irrogata nel 484 al Patriarca di Costantinopoli Acazio, colpevole di aver sollecitato quell’editto imperiale.

La frattura si sarebbe ripianata solo nel 519, col riconoscimento della scomunica da parte di Giustino I.

La dissennata politica ebbe gravi ripercussioni anche in Italia, mentre la stessa Costantinopoli era minacciata dalle incursioni dei Goti. L’Imperatore, allora, si accordò con Teodorico incaricandolo di riconquistare la penisola contro Odoacre ed adottando quella soluzione gravida di conseguenze politiche e storiche che, affrancando i Bizantini dall’invasione gotica, consegnò l’Occidente ai Barbari.

Zenone fu detronizzato con una cruenta rivolta promossa da Basilisco, la cui semestrale esperienza di governo precedette l’avvento di Anastasio.

Già Silentiarius e forte di una considerevole rispettabilità, costui sposò la vedova del predecessore e gestì una fase tormentata da guerre interne, esterne e religiose. Tuttavia godette del favore popolare grazie ad una consistente riduzione fiscale ed esibì notevole energia nell’amministrazione dell’Impero.

A parte le invasioni slave e bulgare risolte con la fortificazione di mura lunghe dal Propontide al mar Nero, egli fu coinvoto nella Guerra Isauriana e nella Guerra Persiana: l’una causata dai seguaci di suo fratello Longino, sconfitto a Cotyaeum nel 493; l’altra accesa dalla presa di Theodosiopolis ed Amida e risoltasi con un trattato di pace.

In politica interna adottò atteggiamenti moderati e mantenne i principi dell’Henoticon zenoniano finché, nel 512, l’estremismo ortodosso e le ribellioni popolari lo indussero ad adottare un programma marcatamente monofisita, strumentalizzato da tal Vitaliano per organizzare una insurrezione congiunta con gli Unni e debitamente stroncata.

Anastasio designò successore il nipote Giustino, che impresse una svolta alla politica bizantina tenendosi prudentemente a distanza da questioni teologiche; tentando di instaurare un clima di serenità; mantenendo viva l’Ortodossìa contro il pericolo ariano.

Era nato nella Provincia romana dell’Illyricum verso il 435. Scampato ad un’incursione unna ed arruolatosi nella Guardia Imperiale, malgrado analfabeta aveva raggiunto il grado di Generale e di Comandante della Guardia di Palazzo e, ancorché ottantenne, per ardimento e genio militare nel 518 fu acclamato in campo Imperatore Romano d’Oriente. Fervente cattolico e consapevole della propria insufficienza politica, si circondò di qualificati consiglieri; abrogò l’Henoticon di Zenone; in virtù del potere, della ricchezza e della rispettabilità conseguiti, ristabilì le relazioni con la Chiesa di Roma; promulgò nel 523 l’Editto contro gli Ariani da cui scaturirono la guerra con gli Ostrogoti e le persecuzioni di Teodorico contro l’Ordine senatorio romano; si avvalse della fedele assistenza del nipote Flavius Petrus Sabbatius, adottato figlio col nome di Giustiniano ed a vantaggio del quale, nel 525, soppresse la legge che inibiva ai Senatori di contrarre matrimonio con donne di classe sociale inferiore, consentendogli di sposare la mima Teodora.

Era il primo colpo inferto alle pretese dell’Aristocrazia corrotta e parassitaria dell’Impero.

Da Papa Giovanni I solennemente accolto a Costantinopoli, fu incoronato Imperatore Cristiano e il devoto consenso dei sudditi gli valse la trasformazione della città di Anazarbus in Giustinopoli, malgrado i suoi ultimi anni di governo fossero agitati dal conflitto con i Persiani.

Il 1° aprile del 527 una sempre più vacillante salute lo indusse ad indicare il successore in Giustiniano. Quattro mesi più tardi, si spense.

Cesare fui e son Giustiniano,
che, per voler del primo amor ch’i’ sento,
d’entro le leggi trassi il troppo e’l vano
(Dante: Paradiso, VI – 10-12)

L’imperialismo giustinianeo si saldò a due grandiose imprese: il riordino delle leggi romane e la ricostruzione territoriale dell’Impero, l’uno distante dai reali interessi dei sudditi; l’altra esigente sacrifici per essi insostenibili.

Malgrado i suoi trentotto anni di governo ispirati al modello riformista di Cesare Augusto inducano a considerarlo il più grande Imperatore d’Oriente dell’epoca tardoantica, i giudizi restano controversi.

Procopio di Cesarea scrisse impietosamente che era …affabile e mite con chiunque; non rifiutò mai a nessuno un’udienza, non si irritava nemmeno con chi, in sua presenza, teneva un discorso o un comportamento poco corretto. Ma neanche arrossiva davanti alla gente che aveva già destinato a morte; non lasciava trapelare ira o sofferenza verso chi lo aveva offeso; al contrario, con espressione tranquilla, occhi abbassati e voce sommessa, ordinava lo sterminio di migliaia e migliaia di innocenti, la distruzione di città, la confisca di interi patrimoni… Giustiniano era più leggero della polvere nei suoi giudizi…

Più sfumata, invece, è l’opinione dello storico contemporaneo Michel Kaplan: …Giustiniano incarna la diversità, la grandezza ma anche le contraddizioni dell’Impero. Originario dell’Illirico, di lingua latina, regna su un impero in cui si parla il greco o anche, in Oriente, il siriaco o il copto. Minacciato in Oriente, riconquista l’Occidente ma trascura la difesa dei Balcani. Benché autoritario, rischia di cedere davanti alla rivolta ‘Nika’… Portavoce dell’aristocrazia ortodossa, fa chiudere l’Accademia di Atene per il suo paganesimo e fa ricostruire la basilica di Santa Sofia, destinata a restare la più grande chiesa della Cristianità fino alla caduta di Costantinopoli. Nel contempo sposa una donna monofisita…

L’ambizione a rifondare l’Impero nella interezza degli antichi splendori lo spinse a proclamarsi Legge vivente e rappresentante di Dio in terra nell’accezione teocratica già propugnata da Costantino. Ad essa saldò la convinzione che un buon governo si accreditasse solo attraverso buone leggi: istituita una commissione di sedici esperti coordinati dal Magister Officiorum Triboniano, la impegnò nell’analisi di oltre duemila testi dai quali, il 16 novembre del 534, fu estratto il Corpus Juris Civilis redatto in latino e consistente della più articolata ed omogenea compilazione giuridica della Storia.

Giustiniano era nato verso il 482 nella macedone Uskub, in suo onore chiamata Iustiniana Prima.

La madre, Vigilantia, era sorella dell’Imperatore Giustino che lo dotò di un’istruzione adeguata in Diritto ed in Teologia; lo nominò Console nel 521; lo designò poi Comandante dell’Esercito d’Oriente ed infine lo associò al trono ed indicò successore, autorizzandolo a sposare quella Teodora che molto influenzò le sue scelte politiche assieme all’abile Generale Belisario.

Quando fu al potere, l’Impero viveva una fase di grave instabilità causata dalle pressioni esercitate dai Barbari in Occidente e dai Persiani in Oriente: certamente si propose nuovo Traiano per ingegno e romanità di sentimenti; certamente fu spregiudicato, scaltro ed ambizioso e ad un tempo generoso e tollerante; certamente fornì grande impulso alla cultura e all’edilizia pubblica e sacra arricchendo la capitale di pregevoli opere, compresi la basilica di santa Sofia realizzata dagli architetti Antemio ed Isidoro, il monastero di santa Caterina sul Sinai, gli edifici di san Vitale e sant’Apollinare Nuovo di Ravenna con i preziosi mosaici che lo ritrassero assieme a Teodora con l’aureola dei santi. Tuttavia il giudizio della posterità oscilla fra la deferente memoria della sua attività e l’avversione suscitata dai tanti scandali di cui fu protagonista, come testimoniarono Giovanni di Efeso e Procopio, estensore d’una Storia segreta assai dura nei confronti della coppia imperiale.

Il suo impegno politico/legislativo si distinse in tre periodi: quello dal 528 al 534, in cui furono elaborati il Novus Iustinianus Codex, il Digesta seu Pandectae, le Institutiones Iustiniani sive Elementa e il Codex repetitae praelectionis; quello dal 535 al 542, connotato dalle Novellae Constitutiones; quello dal 543 al 565, ovvero quello dell’inizio della decadenza.

Ligio all’ideale romanico, Giustiniano rese assoluta l’autorità imperiale subordinandole le periferie; attuando una politica di consolidamento dei territori fuori e dentro i confini; siglando, nel 532, un accordo di pace con la Persia; autorizzando nel 533 una spedizione contro i Vandali dell’Africa del Nord; trascinando dal 535 una ventennale guerra con gli Ostrogoti in Italia; contrastando i Visigoti e riconquistando la Spagna sudorientale. In definitiva, alla sua morte, quasi tutte le regioni affacciate sul Mediterraneo erano raccolte sotto la corona bizantina, tranne la Gallia e la Spagna settentrionale, ma incombevano le ostilità dell’irriducibile Cosroe di Persia e, nei Balcani, la minaccia di Slavi, Unni e Bulgari. Solo col primo, nel 533, egli raggiunse un’intesa: pur di concentrare le energie militari nel conflitto con i Goti, accettò di corrispondergli un tributo pur nella consapevolezza di esporsi ad un accordo riduttivo del prestigio bizantino; economicamente svantaggioso e politicamente esaltante l’arroganza dell’avversario.

Fu un errore fatale: a parte l’occupazione di Sirmio da parte dei Gepidi nel 536; a parte il saccheggio della Macedonia e l’avvicinamento dei Bulgari alle mura di Costantinopoli nel 540, con conseguente rinuncia alle velleità di conquista dell’Occidente, proprio Cosroe assalì la Siria; devastò Antiochia e razziò l’Armenia mentre le vie balcaniche erano depredate da orde di Slavi che misero a ferro e fuoco l’illiria e la Tracia.

Altrettanto manchevole ed ambigua fu la politica interna: la contrapposizione fra le fazioni dei Verdi e degli Azzurri provocavano continui torbidi antidinastici ed i suoi avversari avevano tentato di intronizzare Ipazio, nipote di Anastasio, scatenando la sanguinosa terribile insurrezione di Nika domata con fermezza dall’ Imperatrice Teodora e dal Generale Belisario. In seguito, abbandonate a se stesse; oppresse dalle dure esazioni dei Governatori; sottoposte al taglieggiamento di briganti e all’insulto di soldati invano deputati a difenderle, anche le Province si sollevarono mentre divampavano i contrasti accesi dai Monofisiti e mentre le frontiere orientali erano minacciate dai Parti e l’Occidente era preda della formazione di Stati romano/barbarici.

L’Imperatore aveva fondato il suo impianto politico/religioso sulla convinzione che l’unità imperiale risiedesse nell’incondizionata unicità dell’adesione all’Ortodossìa. Ma i radicali d’ogni sponda respingevano gli assunti teorizzati dal Concilio di Calcedonia allo scopo di conciliare le differenze dogmatiche e la lettera di Leone I a Flaviano di Costantinopoli veniva ritenuta espressione diabolica, con la conseguenza di respingere quanto di provenienza ecclesiale romana. Obbligando i sudditi alla sua fede nella Trinità e nell’ Incarnazione, Giustiniano aveva reso il Credo Niceno simbolo unico della Chiesa, concedendo valenza legale ai canoni dei quattro concili ecumenici; occupandosi di decreti relativi a donazioni, fondazioni ed amministrazione dei beni ecclesiastici; intervenendo nelle elezioni e nelle prerogative del Corpo episcopale; regolando financo la vita e gli obblighi del Clero. Le circostanze, in sostanza, imponevano alla Corona un duplice impegno: la preservazione del legame tra Oriente ed Occidente, possibile solo nell’osservanza delle deliberazioni calcedoni; il controllo e la conciliazione delle fazioni orientali, ad esse refrattarie.

Se l’impossibilità a comporre tali incompatibili esigenze aprì la via ad una sola opzione: con l’Occidente romano, o con l’Oriente, l’insistente ingerenza negli affari dottrinali e teologici risultò sgradita al Papato cui sfuggiva che egli riteneva l’Ortodossìa un dovere dello Stato, tale da indurre alla persecuzione di Pagani, Eretici e Giudei; da chiudere la scuola neoplatonica di Atene; da escludere i dissidenti religiosi da ogni atto giuridico e dalla dignità civile e militare. Non mancarono, pertanto, ribellioni placate con feroci rappresaglie: quella dei Samaritani in Palestina nel 530; quella dei Giudei a Cesarea nel 556; quella coeva dei Montanisti in Frigia. Malgrado la condanna del IV Concilio ecumenico calcedone, i Monosifiti contarono sulla protezione di Teodora: Papa Silvero, che aveva chiamato a Roma Belisario, era stato arrestato, deposto ed esiliato proprio a causa dell’Imperatrice, regista della elezione del diacono Vigilio apocrisario a Costantinopoli. Benché poco incline alle pressioni di lei, egli restò in carica dal 537 al 555 entrando in polemica con lo stesso Giustiniano che, senza attaccare il Concilio calcedone e volendo gratificare i Monofisiti, ne nominò due al Patriarcato di Alessandria e Costantinopoli. Poiché il discusso sinodo non aveva condannato Teodoreto di Cirro né Teodoro di Mopsuèstia né Iba di Edessa, i cui scritti proclivi al Nestorianesimo erano respinti dal Monofisismo, fu egli stesso, nel 544 a disapprovarli: il V Concilio ecumenico di Costantinopoli confermò le risoluzioni dei precedenti concistori di Nicea, Costantinopoli, Efeso e Calcedonia ma bollò come eretiche le dottrine di teodoro di Mopsuèstia. Vigilio rifiutò di ratificare la decisione. Rimandato in Italia, morì nel 555 nel corso del viaggio e il successore Pelagio, rimesso alle volontà di Giustiniano dal quale era stato designato, fu gelidamente accolto a Roma: gran parte dell’Episcopato rifiutò di riconoscerne l’autorità, in particolare i Vescovi di Aquileia e Milano che avviarono il lungo Scisma dei Tre Capitoli. In definitiva, il tentativo di unificazione religiosa proposto da Giustiniano si rivelò ambiguamente inadeguato e insufficiente, quanto la politica estera: come già i suoi predecessori, pur concentrando ambizioni egemoniche nel Mediterraneo e progettando la riconquista delle vecchie Province romane, egli aveva intrapreso la guerra conto i Sassanidi di Persia inviando in Italia Belisario che, contro il suo intento di rendere tributario lo Stato ostrogoto, aspirava a fare della penisola un territorio imperiale romano. Il dissenso, l’invidia e le rivalità di Corte gli erano valsi il confino al presidio delle frontiere d’Oriente ma, stabilita la pace ad Est nel 545, era tornato in Italia: gli Ostrogoti avevano ripreso Roma quando l’eunuco Narsete, accusato di tradimento da Procopio, lo aveva defraudato delle prerogative ed aveva sconfitto definitivamente i Goti riprendendo tutta l’Italia e arginando le scorrerie alemanniche in danno del Nord. Per un breve periodo, Belisario era stato tenuto in prigione ma, perdonato e reintegrato nel prestigio, nel 549 aveva piegato i Bulgari; ripreso ai Visigoti gran parte della Spagna inferiore e, nel 553 sottratto ai Vandali il Nord dell’Africa con la battaglia di Ad Decimum. Al contrario, Narsete non era riuscito a contenere l’invasione longobarda nella penisola, mostrando tutto il carattere effimero delle riconquiste imperiali: nel 559 i Bulgari si spinsero fino alle porte di Costantinopoli, risparmiata solo da una estemporanea alleanza con gli Ávari.

Il bilancio definitivo della politica giustinianea, in sostanza, si mantenne mediocre e contraddittorio: se è vero che bandì manifestazioni pagane; concesse alle Comunità giudaiche uno Statuto di Tolleranza; istituì forme di assistenza per i deboli e gli emarginati; rivisitò la condizione femminile e conferì dignità umana agli schiavi, considerando omicidio volontario il diritto del padrone ad ucciderlo; impose una sorta di collaborazione fra Stato e Chiesa sollecitando i seguaci delle antiche eresie: Manichei, Ariani e Montanisti, ad accettare l’Ortodossìa; convocò Concili e fu autore di inni liturgici e trattati teologici, è vero anche che il fallito tentativo di conferire unità religiosa all’Impero consistette di una indebita interferenza dogmatica tale da inasprire le contrapposizioni fra Cristiani ed Eretici e da indurre la stessa Chiesa alla ostilità verso il suo sfrenato Cesaropapismo, malgrado egli ponesse fine allo scisma monofisita in fieri dal 483 e sancisse nelle Novellae il riconoscimento della sede romana come la più alta autorità ecclesiastica.

Tutti i praticanti confessioni diverse dalla sua, dovettero arrendersi al suo codice decretante la distruzione dell’Ellenismo o alle conseguenze riferite da Giovanni di Efeso, Giovanni Malala e Teofane: persecuzioni, esilio, morte, indipendentemente dalla casta di appartenenza: una intolleranza amplificata nel 529 dalla pretesa di sottoporre al vaglio della Corona le dottrine platoniche dell’Accademia di Atene!

In estrema sintesi: il Paganesimo fu perseguitato fino alla totale soppressione; le popolazioni fedeli ad altri culti dovettero rinunciarvi; gli Ebrei furono sottoposti a dure restrizioni e ad ingerenze negli affari della Sinagoga, fino al veto della lingua giudaica nelle funzioni; Samaritani e Manichei furono stroncati, gli reagendo con continue rivolte contro il rigore delle prescrizioni, gli subendo indicibili vessazioni, fino alla pena capitale per rogo o per annegamento.

Si trattò, alla fine, non dell’asserita politica illuminata ma di un dispotismo ipocrita e spietato, evidenziato anche dalla crudeltà e dalla faziosità con la quale egli protesse funzionari corrotti ed inetti e da una megalomania accentratrice che scardinò le fondamenta economiche e politiche di un Impero travolto da avventure militari e belliche ingiustificabili quanto fragili negli esiti.

Il 14 novembre del 565, ottantatreenne Giustiniano si spense e, ricordato come Imperatore Piissimo, fu iscritto nell’elenco dei santi nel Sinassario di Costantinopoli quale filantropo e protettore della fede ortodossa.

Gli successe il nipote Giustino II che, avvantaggiato dal ruolo di Maestro di Palazzo e dalle nozze con Sofia, nipote dell’Imperatrice Teodora, aprì la stagione delle successioni adozioniste.

All’atto dell’insediamento egli sembrò sensibile alle istanze popolari: la proclamazione di una tolleranza religiosa universale accese molte speranze, ma ben presto favorì l’arroganza dell’Aristocrazia e si rese complice del disinteresse dei Governatori delle Province circa la salute dell’Impero. Inoltre, in dispregio della prosciugata finanza pubblica, aprì vari fronti di guerra concludendo tragicamente il mandato: le sue truppe furono sterminate sul Danubio dagli Ávari; il rifiuto a corrispondere il tributo annuo concordato con la pace del 561 riaccese il conflitto con i Persiani che invasero la Siria, occuparono Antiochia e presero oltre trecentomila prigionieri; permise ad Alboino di creare le premesse per diventare padrone assoluto dell’Italia, mentre a Costantinopoli si badava alla sicurezza dei soli confini di Nord e ed Est. Non pago dei gravi danni inferti all’economia, su consiglio del Patriarca Giovanni di Simio, nel 572 riprese anche la lotta contro i Monofisiti finché l’evidente mancanza di equilibrio, nel 574, obbligò il Consiglio di Corona alla nomina di un successore. In quel grève contesto, col solo conforto della moglie, in un raro rigurgito di lucidità, Giustino adottò il Generale Flavio Tiberio Costantino e lo designò Cesare, prima di ritirarsi a vita privata e di spegnersi obnubilato dalla follìa nel 578.

Il nuovo Imperatore avviò energici interventi di bonifica: consapevole della difficoltà a piegarli, ammise gli Ávari nell’Impero e si dedicò alla questione persiana contando di proteggere le frontiere dal potente nemico. Di fatto, in due anni ne contenne la spinta in Armenia, Iberia e Cappadocia e si dette ad un piano di efficace vigilanza sull’Esarcato italiano che nel 580 divise in cinque Province: Annonaria; Calabria; Campania; Emilia; Urbicaria. Ma in quello stesso anno, quando la pace sembrava raggiunta, infranta la tregua gli Ávari cinsero d’assedio Sirmio e la violenza slava si abbatté sulla Tracia e sulla Tessaglia.

Non ci fu tempo per rimedi: nel 582 Tiberio II morì nella più sostanziale impotenza, lasciando alla guida dell’Impero il Generale Maurizio cui aveva concesso la mano della figlia Costantina.

Il governo di costui fu funestato da guerre incessanti da ogni parte dei confini e solo la sua grande abilità impedì il crollo dell’Impero: in Spagna si riconciliò col Re dei Visigoti Recaredo; con una felice intuizione, nel 585 ristrutturò i domini bizantini in Africa e in Italia istituendo gli Esarcati e ponendo sotto la direzione dell’Esarca Smaragdo, a Ravenna, i distretti di Liguria, Pentapoli, Istria, Veneto, Roma e Napoli; conquistò l’Armenia; sollecitò il Re franco Childerico ad assalire i Longobardi; conferì al Patriarca di Costantinopoli il titolo di ecumenico, irritando il Papa e intervenne negli affari di successione della Persia: nel 589 il Re persiano Ormazd entrò in conflitto col primogenito Cosroe che lo depose ed assassinò ma che, incapace di far fronte alla legittima reazione popolare, si rifugiò presso i Bizantini promettendo loro la restituzione delle Province armene se lo avessero aiutato a riprendere il trono. Maurizio acconsentì: Cosroe rientrò in possesso del suo Regno e l’antica rivalità fu archiviata.

Conclusi trattati d’amicizia con i Persiani, nel 591 l’Imperatore avviò il graduale trasferimento delle truppe imperiali nella fascia danubiana per contenere gli Slavi inoltratisi nel Peloponneso; ma nel decennio successivo, quando ordinò all’esercito impegnato contro gli Slavi di svernare in territorio nemico in previsione della attenuazione delle ostilità, fu soverchiato da un imprevedibile ammutinamento: dopo averlo catturato e decapitato, i soldati elessero in campo il grezzo, crudele, dissoluto e sanguinario centurione Foca, autore anche della spietata esecuzione dei figli del Sovrano.

Quel brutale assassinio fornì a Cosroe il pretesto per vendicare l’amico; rompere la tregua; forzare le frontiere; devastare l’Armenia; spingersi in Mesopotamia, Siria, Palestina e Cappadocia; attaccare Edessa. Così all’inizio del 604, richiamate le truppe dalla Tracia ed aumentato il tributo agli Ávari, Foca allestì una catastrofica spedizione antipersiana: tutto il territorio dell’Impero fu scosso da un’insostenibile guerra civile aggravata da carestia e peste. Per recuperare alleati, in tiranno pensò di spendere la moneta dell’ Ortodossìa e, espulso il Patriarca di Alessandria, ordinò che nessun dignitario ecclesiastico in Siria e in Egitto fosse nominato senza il suo previo consenso. Poi, ridotte le tasse e simulato un clima di solidarietà con Roma, strinse amicizia con Papa Gregorio e con il successore Bonifacio che nel Foro Romano, il 1° agosto del 608, col servile Smaragdo, fece erigere in suo onore una colonna in stile corinzio mai più prevedendo che nell’ottobre del 610 egli fosse catturato, torturato, assassinato, smembrato e condannato alla damnatio memoriae. Una congiura ordita dall’Esarca di Cartagine Eraclio il Vecchio, dal Prefetto di Costantinopoli Prisco, genero dello stesso usurpatore, e dal nipote Niceta portò infatti alla sconfitta delle truppe imperiali e all’assedio della capitale: il 3 ottobre del 610 Eraclio entrò nella città e, arrestato Foca, lo decapitò personalmente ponendo fine ad una mostruosa autocrazia.

Proveniente dalle fila dell’esercito, egli era stato uno dei migliori Generali di Maurizio durante la guerra del 590 contro i Persiani: solennemente incoronato dal Patriarca Sergio I, sposò Fabia Eudocia spentasi nel 612 e, in mai approvate seconde nozze, impalmò l’intrigante nipote Martina dalla quale ebbe dieci figli.

Proclamato Imperatore in uno dei più foschi e drammatici momenti della storia bizantina, egli progettò la riscossa pur dovendo far conto con un erario vuoto; con un esercito disorganizzato e con Province scosse da insistenti invasioni: sempre più spavaldi e contrari ad ogni proposta di pace, i Persiani si erano spinti all’ occupazione di Gerusalemme donde avevano asportato anche il Santo Legno della Croce. Nel 614 sferrò una disperata controffensiva ma, nel giro di un anno, fu costretto a rientrare nella capitale minacciata dalla incombente aggressione di un nemico che ormai aveva travolto anche Calcedone e che nel 618 occupò l’Egitto, mentre Tracia e Mesopotamia cadevano sotto gli affondi di Slavi ed Ávari cui, pur di salvare il salvabile, fu deciso di corrispondere il preteso tributo annuo. Solo nel 622, aggregata ogni possibile risorsa, il carimatico ed energico Imperatore puntò sulla Cappadocia; vi respinse i Persiani; occupò Armenia e Media; sconfisse Cosroe. Nel 624 riprese l’infaticabile offensiva e, dopo un vano tentativo di forzare l’Assiria, riuscì ad occupare la Cilicia e ad entrare in Mesopotamia ove sul Saros batté ancora l’irriducibile avversario. Nel biennio succesivo, il conflitto si estese all’ Occidente: Cosroe persuase gli Ávari a rompere i trattati e si dispose all’assalto dell’Anatolia ma, a più riprese, Eraclio respinse l’uno e gli altri chiudendo la fase bellica nel 627 con l’annientamento persiano a Ninive: il Sovrano cadde vittima di una rivolta ed il suo successore Shiroe dovette arrendersi ad umilianti condizioni di pace.

Grazie ad Eraclio, l’Impero era salvo.

Nel 629, dopo avere anche restituito a Gerusalemme la sacra reliquia, egli tornò a Costantinopoli dedicandosi ad una politica di ripianamento dei danni causati dalle lunghe e numerose guerre. Ma, pur nei tanti aspetti positivi, il suo governo produsse ferite irreversibili: la mancanza di giusta valutazione del pericolo arabo ed il coinvolgimento in questioni politico/religiose lo resero impopolare: il tentativo di conciliare Monosifiti e Cattolici attraverso la promulgazione dell’Ekthesis, lungi dall’accordare le parti, degenerò nell’eresia monotelita; inasprì le contrapposizioni; scontentò gli Ortodossi e suscitò la condanna dei Vescovi occidentali e del Papato, nella cornice di un massiccio movimento degli Arabi che, nel 636, sconfiggevano tre eserciti imperiali in Siria e Palestina.

Quei lampi di gloria, dunque, si spegnevano in una contagiosa rovina: Rotari sottrasse ai Greci molti territori italiani; l’Occidente andò perduto ed il periodo ancora Romano dell’Impero d’Oriente si concluse definitivamente. Anarchia, intrighi, veleni ed usurpazioni prevalsero fino all’avvento degli Isaurici che, a fronte della perdita di molte periferie e della riduzione del territorio, conferirono ai Bizantini, pur nella loro eterogeneità etnica, quella compattezza utile ad opporre resistenza ai nemici.

Nel 638, in esito ad una congiura ordita dal figlio naturale Atalarico, cui fece amputare naso e mani, Eraclio, che aveva fatto incoronare già da neonato il figlio di primo letto Herakleios Neos Konstantinos, noto come Costantino III, regolò la successione associandolo al trono con Eraclio II detto Eraclione.

Essi furono coImperatori nel 641, mentre gli Arabi prendevano l’Egitto e mentre l’Impero veniva devastato da nuovi scontri di parte; ma, morto Costantino di tubercolosi a quattro mesi dall’insediamento, Eraclio II restò Sovrano unico con una immagine appannata dal sospetto d’avere avvelenato il fratellastro. La rivolta esplosa contro di lui favorì l’usurpazione di Costante II, figlio di Costantino III. Egli impose il Monotelismo con un editto del 648 e deportò in Crimea Papa Martino I che lo aveva censurato; difese l’Impero dalla pressione araba in Asia e dalle incursioni slave in Europa; pianificò, nel 663, la riconquista dei territori occidentali, mirando a riaffermare la superiorità bizantina e condusse, pertanto, una energica azione nel Mezzogiorno italiano contro i Longobardi fissando a Siracusa la nuova sede imperiale e contando di porre in essere un’ampia operazione antislamica che gli valesse il controllo del Mediterraneo. In quello stesso periodo, si recò per qualche giorno a Roma che saccheggiò orrendamente, fino ad ordinare alle sue truppe di asportare i magnifici ornamenti del Pantheon. Tornato sull’isola, proprio a Siracusa restò vittima di un complotto che spianò la via della successione al figlio Costantino IV Pogonato in un clima di dure persecuzioni religiose e di sconvolgimenti di Corte: Costante II aveva assegnato a tutti i figli il titolo imperiale, ma avendo esercitato il potere solo Costantino IV, incombeva il rischio che alla sua morte il trono andasse ad uno dei fratelli piuttosto che al proprio figlio sedicenne Giustiniano II il Rinotmeto. Così, nel 681, egli defraudò dei titoli i germani Eraclio e Tiberio, tagliandogli il naso: mutilazione ritenuta motivo di inabilità all’Impero. Da quel momento, invalse l’uso di escludere dalle prerogative i figli cadetti a tutela dei diritti del primogenito che, in quel caso, governò dal 685 al 695 estinguendo la dinastia per assenza di ascendenza.

Dispotico, mentalmente instabile, crudele, irresponsabile, egli fu l’incarnazione del peggior dispotismo.

Alla morte del Califfo Yazid, inviò in Armenia, Siria e regioni caucasiche una spedizione per la riconquista di Antiochia. Il nuovo Califfo Abd al-Malik, impreparato ad un impegno bellico, accettò una tregua decennale fondata sulla cessione dell’Armenia, dell’Iberia e di metà del tributo cipriota. Della tregua il giovane Sovrano profittò per attaccare i Bulgari; vendicare la sconfitta del 689 e reclutare nuove risorse militari nel Nord/Est dell’Asia Minore. Forte delle nuove truppe, nel 691 ruppe la tregua con gli Arabi ma, tradito dagli Slavi, fu sconfitto e perdette l’Armenia. Il disastro infiammò l’opposizione e, sul finire del 695, complice il Patriarca, un gruppo di cortigiani attuò il colpo di Stato: la Fazione Azzurra insediò al trono Leonzio che condannò il predecessore al taglio del naso e della lingua ed infine all’esilio a Cherson.

In quella fase, gli Arabi presero l’Esarcato di Cartagine: il nuovo Sovrano la recuperò grazie all’esperienza navale del Patrizio Giovanni che, perduta la regione nel giro di un anno, riparò a Creta. Nell’isola, co un colpo di scena, fu proclamato Imperatore l’Ammiraglio Apsimaro: mutato il nome in Tiberio III, egli entrò in armi a Costantinopoli e, riservando a Leonzio l’amputazione inflitta a Giustiniano II, lo relegò in convento. Nel frattempo proprio costui, ancorché inabile, nel 705 aiutato dal khane bulgaro Tervel riprese posto sul trono e dedicò il secondo mandato alla vendetta, seminando il terrore in Costantinopoli; perdendo la Cappadocia e varie zone della Cilicia nella annosa guerra contro gli Arabi; irrogando la pena di morte agli usurpatori e ristabilendo relazioni con il Papato: nel 711 invitò a Costantinopoli Papa Costantino per valutare i canoni ecclesiastici, ma una nuova insurrezione in appoggio all’armeno Varten degenerò in colpo di Stato.

Assunto il nome di Filippico, egli fece decapitare Giustiniano II e ne mandò la testa alle genti di Roma e Ravenna dandosi, per i due anni successivi, all’impegno di governo e, acceso monotelita, revocando i patti riferiti alla riunione delle Chiese d’Oriente e d’Occidente.

L’indignato Pontefice pilotò una violenta guerra civile a Costantinopoli che, mentre gli Arabi invadevano l’Asia Minore, fu assediata dal Re dei Bulgari Terbel. Esito di tale disordine, nel 713 fu l’eliminazione fisica di Filippico, sostituito da Anastasio II del quale si ignorano riferimenti biografici. E’ indubbio che governasse dal 713 al 715, tentando di riorganizzare l’esercito e di contrastare gli Arabi insediatisi nelle Province bizantine dell’Asia Minore, in Siria e a Rodi; che non opponesse resistenza alcuna alla detronizzazione operata da Teodosio III; che accettasse financo di ritirarsi in convento ove nel 721 fu assassinato, dopo un debole tentativo di opposizione a Leone III subentrato allo stesso Teodosio. Costui, morto in un monastero di Efeso e già coltissimo esattore delle imposte, fu a sua volta deposto nel 717 dal Generale Leone III che gli aveva sequestrato il figlio a Nicomedia.

La fase in cui al potere si trovarono contemporaneamente Leone III Isaurico, Gregorio II e Liutprando fu una delle più importanti della storia di quei secoli: l’Impero bizantino marciava verso lo sfacelo per l’anarchia militare interna e per i pericoli incombenti ai suoi confini.

Leone III Isaurico rappresentò per i Bizantini la stessa energica riscossa già incarnata da Eraclio.

Quando il suo governo iniziò, il Generale arabo Maslam aveva già occupato Sardi e Pergamo in Asia Minore; aveva già distrutto le fortificazioni della Tracia; si era già acquartierato sotto Costantinopoli e, nel settembre del 717 era stato raggiunto da una potente flotta araba che i Bizantini decimarono con il loro celebre fuoco greco. Le sue truppe patirono freddo e fame, consentendo ai Bulgari in aiuto all’Imperatore di sconfiggere alcune divisioni in Tracia e in Bitinia: l’attacco del 717-718, pertanto, fu l’ultimo che gli Arabi effettuarono su Costantinopoli limitandosi in seguito a scorrerie che impegnarono Leone nel Caucaso e in Armenia.

Leone III era incolto e rozzo, ma grazie ad un grande intuito politico ed al genio militare dai gradi infimi dell’esercito era asceso al trono: incoronato nel 717, fu presto coinvolto da una gravissima querelle religiosa riferita all’Editto sull’Iconoclastia del 726. Sotto gli auspici del rescritto imperiale, era nata una setta inconoclastica cui s’erano opposti il Clero ed ampie fasce popolari, trascinando la polemica per oltre un secolo. Capofila della protesta in Occidente era stato Gregorio II e fra le conseguenze della iniziativa imperiale vi fu la sottrazione al controllo bizantino da parte dell’Esarcato di Ravenna: l’Esarca Paolo fu assassinato; gravissimi torbidi segnarono Napoli; il Duca di Roma fu accecato e il contagio della rivolta costrinse l’establishment di Costantinopoli a ratificare le elezioni avvenute in molti centri. L’Imperatore si era persuaso che nella Chiesa cristiana fossero entrate consuetudini contrarie ai precetti della Bibbia: se le Chiese scismatiche monofisite e nestoriane avevano conservato l’autenticità liturgica, la Chiesa bizantina esibiva un eccessivo fasto ed era accusata da Arabi ed Ebrei di idolatria e paganesimo. L’Editto del 726, pertanto, proibì il culto delle immagini e ordinò la rimozione anche della figura di Cristo posta sopra la porta bronzea del palazzo di Costantinopoli.

Gregorio II reagì conferendo alla contrapposizione effetti di eccezionale dirompenza: in Italia Liutprando si avvantaggiò della crisi politico/diplomatica per occupare Ravenna e spingersi nel Ducato romano con la conclusione di un sostanziale rafforzamento papale sancito a Sutri, ove fu di fatto avviata la formazione del Patrimonio di san Pietro con tutte le successive implicazioni; falliti i tentativi negoziali fra le parti, fu deposto il Patriarca Germano; per ritorsione, il governo bizantino confiscò il patrimonio ecclesiale in Sicilia e Calabria assegnando la giurisdizione delle Diocesi locali al Patriarcato di Costantinopoli; nel 731 il nuovo Papa Gregorio III scomunicò Leone III e gli iconoclasti.

Nel 741, Leone si spense ma la lotta fu proseguita dal figlio Costantino V Copronimo che, rafforzati i confini dell’Asia Minore e dell’ Egeo, sconfisse i Bulgari; alloggiò in Bitinia duecentomila Slavi di Tracia e Bulgaria; batté ed uccise il Khane bulgaro. Quanto all’Italia: egli perse definitivamente Ravenna nel 751; mantenne Venezia, la Sicilia, la Calabria e parte della Campania e, revocata ogni protezione al Papa, costrinse Stefano II a ricorrere all’aiuto di Pipino il Breve per difendersi dai Longobardi.

Da quella circostanza scaturì la consacrazione del Re franco e dei figli a Reims nel 754, con conseguenze storiche irreversibili per il futuro dell’Europa.

Complessivamente l’attività politica di Leone III era stata positiva; egli aveva esteso a tutto l’Impero la ripartizione in Temi; aveva restaurato l’esercito con un Codice Militare; aveva assegnato alla Marina un Codice Nautico; aveva rilanciato l’agricoltura con un Codice Rurale a tutela della piccola proprietà e contro i latifondisti; aveva pubblicato l’Ecloga, modificando la giurisprudenza giustinianea; aveva diminuito la potenza economica del Clero lottando il fanatismo e contrastando i traffici derivanti dal culto delle immagini e delle reliquie, malgrado Gregorio II gli contestasse il diritto di legiferare in materia religiosa.

In quell’aggrovigliato contesto, già nel giugno del 741 Costantino V restò vittima della usurpazione del cognato Artavasde; tuttavia, ricostituito un esercito di fedelissimi, lo sconfisse a Sardi nel 743 e riprese il suo ruolo di Basileus ton Rhomaion.

AntiImperatore per una manciata di mesi, intanto, l’armeno Artavasde, già strate¯gos di Anastasio II, per rovesciare Teodosio III aveva precedentemente stretto con Leone Isaurico un accordo suggellato dalle nozze con la di lui figlia Anna. La parentela con l’Imperatore, successivamente, ne aveva avvantaggiato la carriera e, da Maestro di Palazzo, era divenuto Comandante del Tema di Opsikion. L’ambizione era tanto aumentata che, profittando dell’impegno di Costantino ai confini orientali contro gli Arabi, prese Costantinopoli e si fece incoronare. Durante il brevissimo mandato, abbandonò la politica iconoclasta e restaurò l’Ortodossìa ottenendo l’approvazione di Papa Zaccaria; conferì alla moglie il titolo di Augusta e nominò coImperatore il figlio maggiore Niceforo, mentre pose il minore Niceta a capo del Tema armeno. Poi, pur disponendo del sostegno dei distretti di Thrake e di Opsikion, si garantì quelli di Anatolia e Thrakesion: lo scontro si consumò nel maggio del 743 e si concluse con la sua sconfitta, alla quale seguì dopo qualche mese la caduta anche di Niceta: il 2 novembre Costantino V rientrò nella capitale e, disposto l’accecamento dell’usurpatore, rinchiuso con i figli nel monastero di Cora, regolò i conti con la sorella Anna mandandola, dopo ben trent’anni, a gettare le ossa del marito nelle Tombe di Pelagio, fra i resti dei criminali. In campo civile e militare, egli fu considerato Benemerito dell’Impero: perdette l’Italia media, ma contrastò con successo Bulgari ed Arabi.

Dal 775, la sua opera fu continuata dal figlio Leone IV il Cazaro che, in una prima fase sembrò illuminato e tollerante; poi si accanì come il nonno nella persecuzione della Chiesa romana; mantenne buoni rapporti con i Longobardi; accolse a Corte il transfuga Adelchi col quale preparò una campagna in Italia contro i Franchi, provocando la legittima reazione armata di Carlo Magno.

Leone IV si spense nel 780, dopo un solo lustro di governo, lasciando il trono al figlio novenne Costantino VI il Cieco, per il quale fu reggente la madre Irene.

Al momento del suo matrimonio, ella aveva giurato che non avrebbe mai accettato il culto delle immagini sacre di cui era invece fautrice; poi, dimentica dell’impegno, entrò in contrasto con la Corte restaurandolo e suscitando la ribellione della Guardia Imperiale contro il Concilio convocato a Costantinopoli nel 786 e riconvocato a Nicea ed ancora a Costantinopoli dopo aver subìto e risolto nel 781 l’aggressione dell’arabo abbaside Ha¯ru¯n al- Rashi˘d che, alla testa di centomila uomini, marciò sul Bosforo occupando la riva opposta della capitale ed al quale versò novantamila dinari aurei, in cambio della liberazione dei prigionieri. Nel 787 Irene tentò di raggiungere un’intesa con Carlo Magno, la cui figlia Rotrude avrebbe dovuto sposare l’erede alla corona bizantina.

Il progetto fallì: nel 790 l’ala armena dell’esercito le si ribellò e Costantino si affrancò dalla sua tutela col sostegno di tutta la fazione manichea e pauliciana, aprendo una travagliata stagione per l’Impero: ella lo fece arrestare, ma un’insurrezione la costrinse alla fuga. Perdonata dal figlio, fu dopo un anno associata al trono ma ella, nel 797, incolpandolo dello scandalo sollevato dal suo divorzio, lo fece deporre ed accecare tenendo il controllo della politica come Imperatore e Autocrate dei Romani fino a tutto l’802. In quello stesso periodo, in corrispondenza dell’incoronazione di Carlo Magno a Sacro Imperatore, progettò l’unione delle due corone ma il Generale Niceforo, figlio di Artavasde, la rovesciò e la esiliò a Lesbo il 9 agosto dell’ 803, mai più prevedendone la canonizzazione avvenuta nell’864.

Al trono per nove anni, il nuovo Imperatore, superata l’agguerrita resistenza interna di alcuni ufficiali dell’ esercito, avviò una radicale riforma tributaria; riorganizzò le forze armate reclutandone di nuove negli ambienti rurali e tassando anche i beni ecclesiastici per finanziarlo. In materia religiosa proseguì la politica di Irene restando fedele al culto delle immagini ed abolendo l’Iconoclastia. Sotto il suo governo furono recuperati i territori balcanici occupati dagli Slavi e fu condotta una lunga lotta diplomatica con Carlo Magno per la definizione dei confini tra l’Impero d’Oriente e d’Occidente: la si concluse fra l’803 e l’810 con la giurisdizione di Costantinopoli su Dalmazia, Istria, Ducato Veneziano e Mezzogiorno italiano, restando al controllo del S.R.I. Roma, Ravenna e la Pentapoli. Nell’806 Niceforo, sconfitto da Bulgari ed Arabi, fu costretto ad esosi tributi: il tentativo di ribellione si risolse con una disfatta e con la morte, il 26 luglio dell’ 811 a Pliska.

Lo scettro passò al figlio Stauracio che, ferito in quello stesso scontro campale, fu Imperatore per soli due mesi: fu infatti costretto ad abdicare in favore del cognato Michele I Rangabè già Maestro di Palazzo e marito di sua sorella Procopia. Sostenuto dal partito ortodosso, egli perseguitò gli Iconoclasti e consentì ai Bulgari di depredare gran parte della Macedonia e della Tracia fino ad essere sconfitto, nella primavera dell’813 a Bersinika con la conseguenza che, nell’estate successiva, Leone l’Armeno fu acclamato al suo posto ed egli fu esiliato come monaco nell’isola di Prote, ove si spense nell’845.

Il nuovo governo si concentrò sull’Iconoclastia poiché il Sovrano era persuaso che la situazione di disagio in cui versava l’Impero dipendesse non dall’inefficienza del suo apparato militare ed economico, ma dalle eccessive concessioni rese al culto delle immagini. Nell’814, difesa con successo Costantinopoli da una incursione bulgara, promosse un Concilio in cui, deposto il Patriarca, lo sostituì con uno di sua fiducia ed avviò una stagione di dure persecuzioni. Anche nel suo caso lo scontento esplose, risolvendosi in un complotto del Natale dell’820, quando egli fu assassinato da Michele il Balbo subentratogli nella guida dell’Impero.

Dagli Amoriani all’avvento dei Comneni

Dopo anni di lutti e di colpi di scena, gli Isaurici fecero spazio alla dinastia amoriana: il nuovo Imperatore proveniva dalle fila dell’esercito ove aveva prestato servizio assumendo il grado di Generale, sotto Leone V. Arrestato per un tentativo di colpo di Stato e liberato dai suoi sostenitori, aveva ucciso il predecessore e, malgrado parteggiasse per l’Iconoclastia, si mostrò tollerante in materia di fede inimicandosi i sudditi per le seconde nozze contratte con la figlia di Costantino VI, già consacrata suora. Superata la rivolta militare mirata a detronizzarlo, fu sconfitto dagli Arabi che presero Creta nell’826 e gran parte della Sicilia nell’ 829. D’improvviso, per cause che sfuggono alla storia, egli si spense lasciando al trono per i successivi tredici anni il figlio di primo letto Teofilo II.

Già nell’829 associato al trono, egli è ancora una figura storicamente controversa: da certa storia è considerato uno dei più illuminati Imperatori del Medioevo bizantino; da certa altra è ritenuto un insignificante tiranno. Di fatto, risanò il bilancio dello Stato; contrastò la diffusa corruzione; combatté energicamente per l’Iconoclastia seminando oppressioni cui non si sottrasse neppure la moglie. Sotto il suo governo, l’Occidente fu teatro d’un’aspra guerra fra Siciliani e Saraceni, mentre l’Impero era coinvolto nel continuo confitto con i Califfi di Baghdad a causa dell’accoglimento di esuli persiani e della circostanza che uno di essi, convertito al Cristianesimo, avesse impalmato sua sorella e fosse stato promosso al gradi di Generale. Le sorti del conflitto, inizialmente favorevole ai Bizantini, nell’838 si ribaltarono e Costantinopoli fu schiacciata da un drammatico assedio concluso, dopo cinquantacinque giorni, con la distruzione della frigia Amorio; il massacro di trentamila dei suoi abitanti e la riduzione dei superstiti in schiavitù. Tuttavia, da un punto di vista economico, si registrò una rinascita legata anche al rilancio delle Lettere e delle Arti ed alla costruzione dell’Università. Il 28 gennaio dell’842, debilitato da molti mali, Teofilo si spense lasciando il trono al figlio Michele III l’Ubriaco, col quale la dinastia si estinse venticinque anni dopo: aveva due anni e fu la madre Teodora, protagonista di censurabili vicende sentimentali, a tenere la reggenza. Ostile all’Iconoclastia, con la complicità del Patriarca di Costantinopoli ella ne ottenne la condanna facendo spazio alla più liberale tendenza emersa da un Concilio tenutosi nell’843; adottò come favorito Teoctisto; lo associò al trono suscitando la ferma opposizione di suo fratello Bardas, esigente uno spazio politico nel governo; nell’855 gli affidò addirittura la correggenza, sollevando corale indignazione.

Ancorchè giovanissimo, Michele intervenne d’autorità: espulse il personaggio dalla Corte e, a fronte dell’ ulteriore tentativo di legittimarlo avanzato dalla madre nell’856, ne dichiarò cessata la reggenza e, d’intesa con lo zio Bardas, la arrestò a vita facendone giustiziare tutti i collaboratori, a partire da Teoctisto. Insediatosi, affidò al solidale parente il ruolo di Cesare ed il comando delle operazioni contro Arabi e Bulgari: nello stesso 856, essi furono reiteratamente sconfitti fino a perdere, in due anni, quasi tutti i territori conquistati.

Leale col nipote, Bardas proprio con i Bulgari concluse una proficua alleanza che li impegnava al reciproco aiuto militare in caso di necessità, mentre il Patriarca Fozio ne proponeva l’evangelizzazione. Nell’860, inopinatamente Michele assunse il comando dell’esercito peggiorando i rapporti con gli Arabi: i Bizantini sarebbero stati travolti se, nell’861, egli non avesse deciso la ritirata. Malgrado tali incertezze, l’azione globale del suo governo portò ad un netto miglioramento della situazione anche se la sua tendenza cesaropapista fu causa di scontro con il Papa Niccolò I a seguito della deposizione di Ignazio. Patriarca dall’846, costui nell’858 aveva accusato apertamente di incesto Bardas, negandogli la partecipazione alle funzioni ecclesiali ed indignando l’Imperatore dal quale era stato deposto e sostituito con Fozio, più incline alla sua volontà. Presto archiviata, la vicenda fu rilanciata nell’866 da un singolare evento: Bardas fu assassinato dal macedone Basilio, elevato al rango di favorito e di Comandante dell’ esercito. Costui, l’anno successivo, ingelosito da alcune concessioni di Michele ad un servo, congiurò contro di lui e lo uccise: era il 25 settembre dell’867.

Il regicidio gli spianò la via del trono, sul quale restò saldamente seduto per diciannove anni ma l’intera vicenda provocò un ulteriore strappo nelle relazioni fra Roma e Costantinopoli: Fozio era dotato di vasta cultura, ma era un laico ed aveva suscitato profonda ed indignata impressione la circostanza che, nella notte di Natale dell’857, egli avesse potuto, con alle spalle soli sei giorni di impegno religioso, essere designato Patriarca. Il Sinodo convocato da Papa Niccolò I nell’863 in Laterano lo aveva scomunicato ed aveva dichiarato illegittima la deposizione di Ignazio ma, in quel funesto 867, Fozio aveva inviato ai Patriarchi orientali una enciclica con la quale imponeva al Credo l’aggiunta del filioque ed al Clero l’obbligo al celibato ed il veto di amministrare la Cresima, così fortemente inasprendo le tensioni e creando le premesse al Grande Scisma del 1054.

Nato ad Adrianopoli in una poverissima famiglia di contadini armeni ed entrato nei favori dell’ Imperatore per ben nota avvenenza, Basilio si era distinto per l’efficacia militare contro gli Arabi e per una riuscita campagna siciliana conclusa con la riconquista della Calabria e della Puglia. Una volta al governo, conferì stabilità economica all’Impero ostacolando il progredire della feudalità latifondista e favorendo la ricostruzione di molti edifici fra cui la Nea Ekklesia, i cui elementi innovativi rilanciarono lo schema delle quattro colonne. Accanto alla fiorente edilizia, manifestò grande tensione legislativa riepilogando l’attività di Giustiniano nei sessanta volumi detti I Basilici, pur terminati dal figlio. Per allentare, poi, la tensione con la Chiesa di Roma sorte a causa dell’appoggio fornito a Fozio I, restituì alla dignità di Patriarca di Costantinopoli Ignazio I, gradito a Papa Adriano II: la decisione fu ratificata nel Concilio di Costantinopoli dell’869. Fozio fu costretto all’esilio in un monastero del Bosforo per poi essere richiamato ancora come Patriarca nell’877,alla morte di Ignazio, in omaggio alla grande popolarità e, questa volta, con l’imprimatur di Giovanni VIII. Ma, al Concilio di Costantinopoli dell’879/880, egli pretese la revoca delle deliberazioni conciliari dell’869 e reiterò i punti di divergenza con Roma contestualmente assumendo che la Bulgaria, dove nel 865 il Cristianesimo era diventato religione di Stato, ricadesse sotto la giurisdizione del Patriarcato di Costantinopoli. Lo stesso Pontefice, indignato lo fece ancora oggetto di scomunica: quella lunga stagione di contese dogmatiche sancì il primo e netto distacco della Chiesa Cattolica dalla Chiesa ortodossa, malgrado il Patriarca, deceduto nell’897 in Armenia, fosse poi santificato dalla Chiesa ortodossa.

Basilio si spense il 9 agosto dell’886 in esito alle conseguenze di un incidente di caccia, lasciando al trono il figlio Leone VI il Sapiente. Sotto di lui, nel 902 caddero le città sulla costa orientale siriana e, col crollo di Taormina, la Sicilia e la Calabria divennero completamente musulmane. Sul fronte orientale, ancora gli Arabi conquistarono l’Armenia e nel 904 il disertore greco Leone di Tripoli prese Tessalonica mentre Simeone di Bulgaria recuperava la fascia balcanica: nel 907 Costantinopoli subì un duro assedio e ne fu liberata solo previo impegno ad onerosi tributi annui. Non mancarono a Corte anche problemi più strettamente privati: Teofano, moglie imposta a Leone da Basilio e reclusa in un convento, il 10 settembre 897 era morta ed egli aveva chiamato a Costantinopoli la vecchia amante Zoe Zautze per sposarla l’anno successivo. Data alla luce una figlia, però, ella morì e, deciso ad avere un erede, l’Imperatore passò a nuove nozze con l’oscura Eudocia Baianè incontrando diffuse resistenze: il terzo matrimonio all’epoca era vietato e punito con la sospensione dai sacramenti. Nella Pasqua del 901, anch’ella si spense nel partorire un maschio: compresa la difficoltà ad ottenere una dispensa anche per un quarto connubio, Leone profittò dell’amicizia del nuovo Patriarca Nicola il Mistico e, scelta come amante Zoe Carbonopsina, figlia dell’ammiraglio Ermerio, nel 905 ne ebbe un altro figlio. Il 6 Gennaio del 906 il neonato fu battezzato col nome di Costantino e le nozze, celebrate segretamente, furono annunciate al Popolo ma mai approvate: perseguendola con la scomunica, la legge canonica configurava poligamia la quarta unione.

Quando Nicola si dispose comunque ad aiutare il suo Imperatore, sulla sua strada si pose di traverso il Vescovo Areta di Cesarea, pronto a contrastare l’iniziativa.

Leone richiamò Eutimio, predecessore di Areta e rigoroso moralista e gli propose il ruolo di Patriarca se avesse sostenuto le sue ragioni coniugali. Eutimio si riservò ed egli si rivolse al Papa Sergio III contando di ricevere un parere favorevole, stanti le difficoltà della Chiesa in Italia meridionale. Ma a sorpresa, il 25 dicembre e il 7 Gennaio del 907, Nicola il Mistico gli interdisse l’ingresso a santa Sofia costrigendolo ad abdicare, con la complicità di Andronico Ducas. L’atto di rinuncia, tuttavia, esigeva la firma dei Patriarchi di Costantinopoli, Alessandria, Antiochia, Gerusalemme e Roma.

Indotto da senso pratico, il Papa autorizzò l’apertura di un processo sulla vicenda coniugale del Sovrano: l’eletto Eutimio concesse la dispensa per le quarte nozze ed accettò la coppia come penitente a santa Sofia, pur non concedendole il sacramento eucaristico.

Leone accettò: il piccolo Costantino VII fu legittimato e da quel momento fu accompagnato dall’aggettivo Porfirogenito.

Nell’autunno del 911 Leone decise di sottrarre Creta agli Arabi: l’assedio durò sei mesi risolvendosi in un nulla di fatto. Nel 912, intanto, le truppe furono raggiunte dalla notizia di un peggioramento della sua salute: il Sovrano si spense l’11 maggio di quell’anno, succedendogli il germano Alessandro in reggenza di Costantino VII. Egli rifiutò di pagare ancora tributi a Simeone di Bulgaria e riaccese la guerra ma nel 913 morì, lasciando l’Impero e l’erede ad un Consiglio di reggenza guidato da Nicola il Mistico fino al 919 benchè, di fatto, la politica fosse amministrata da Romano I Lecapeno fino al 944, per preservare l’Impero da un probabile colpo di Stato.

Il 17 dicembre del 920, già Comandante della Marina bizantina, egli divenne Imperatore. Il suo governo fu subito funestato da una terribile carestia e i contadini, cedendo la terra ai latifondisti che accumularono enormi patrimoni, accesero aspre contrapposizioni. Nel 934, il Governo varò una serie di provvedimenti miranti a colpire le grandi proprietà: obbligo ai titolari a restituire ai possessori gli immobili non pagati o obbligo a integrarne le somme se pagate al di sotto del valore. L’iniziativa rese Romano molto popolare e, malgrado l’insofferenza dei ceti alti, egli garantì all’Impero una stagione di stabilità che gli consentì di ingaggiare guerra ai Saraceni, attaccati in Armenia, e, dopo il 940, alla Rus’ di Kiev. I figli naturali non persero tempo: profittando della sua assenza lo deposero e poi lo costrinsero a ritirarsi in convento il 16 dicembre del 944, malgrado fosse stato uno fra i più illuminati Imperatori orientali: egli aveva salvato l’ Impero dalla disgregazione; attenuato i contrasti religiosi; eliminato il pericolo bulgaro. Ma a furor di Popolo, gli usurpatori vennero presto detronizzati ed esiliati da Costantino VII. Solo nel 945, quand’era già trentanovenne, costui potè governare in modo autonomo ed attuare una serie di riforme ed iniziative delle quali la più felice fu l’avvicinamento proprio alla Rus’ di Kiev. Nel 947, poi, ratificando la linea già adottata dal predecessore, ordinò l’immediata restituzione delle terre sottratte senza indennizzo dall’ Aristocrazia ai contadini e regolamentò i beni dei soldati.

Amante della scultura, della pittura e della musica, egli creò il sistema enciclopedico e progettò una sorta di archivio delle tradizioni religiose e civili dell’Impero antecedentemente al periodo dell’Iconoclastia. Tra le opere di cui volle la raccolta, particolare spazio conferì alla Geoponica dal contenuto agrario; fra quelle, infine, attribuitegli spiccano il De cerimoniis aulae byzantinae e il De Administrando Imperio.

Nel settembre del 959, la malattia lo indusse alle proprietà delle famose acque termali di Brussa donde, consapevole del peggioramento, partì per Costantinopoli: vi si spense il 9 novembre successivo lasciando il trono al figlio Romano II; un giovane criminale, inetto, debole, corrotto e privo di interesse per la politica.

Nel 946, appena settenne, egli era stato sposato a Berta, figlia di Ugo di Provenza, morta nel 956; nello stesso anno, pertanto, passò a seconde nozze con l’intrigante Anastos, detta Teofano, e fu associato al trono. Il governo fu in concreto amministato dal Generale Niceforo II Foca che riconquistò Creta, Aleppo e la Cilicia e da Giovanni Zimisce che sconfisse gli Arabi in Mesopotamia.

Il Sovrano si spense senza sollevare alcun rimpianto il 15 marzo del 963 a ventiquattro anni, avvelenato dalla moglie che sposò il Foca. Lasciò due figli minorenni: Basilo e Costantino.

Per quanto indebita la sua occupazione del potere, Niceforo II Foca fu uno dei più prestigiosi Generali della storia bizantina. Da giovanissimo era entrato nell’esercito; sotto Costantino VII, era diventato Comandante del confine orientale, e, pesantemente sconfitto dagli Arabi nel 956, si era riscattato con una serie di vittorie siriane negli anni successivi. Nel 960 aveva guidato una spedizione contro Creta, conquistata dopo dieci mesi di assedio e, ritornato nell’Est, fra il 962 e 963 prese la siriana Aleppo.

All’inattesa morte di Romano a Cesarea, aveva dovuto difendersi dagli intrighi dell’eunuco Magister Officiorum Giuseppe Bringas e, aiutato dall’Imperatrice vedova e dal Patriarca, quale Comandante Supremo dell’esercito orientale marciò su Costantinopoli ove i suoi sostenitori avevano già rovesciato il rivale. Per la sua enorme reputazione fu incoronato Imperatore insieme agli eredi di Romano II e, sposata Teofano contro il parere del Patriarcato, riprese la sua energica politica belligerante. Fra il 964 ed il 966 conquistò la Cilicia e ne ridusse in schiavitù le genti; mentre il Patrizio Nicetas riprendeva Cipro, travolse la Mesopotamia, la Siria e mise in ginocchio Antiochia; nel 967 avviò attività militare anche contro i Bulgari, ma ebbe minor fortuna con le guerre occidentali. Dopo aver rifiutato il tributo al Califfo fatimita, inviò una guarnigione in Sicilia ove il tentativo di riprendere l’isola, si risolse in un disastro. Nello stesso anno si riconciliò con gli Arabi di Qayrawan; ricostruì Taranto da essi distrutta in precedenza e resistette alle pretese di Ottone I, che aveva attaccato il patrimonio bizantino nell’Italia meridonale. Naturalmente la finanza pubblica fu messa a dura prova dalle guerre: per ripianarla, Foca ridusse le spese di Corte; revocò l’immunità del Clero; proibì la fondazione di nuovi monasteri ma, con l’introduzione di tasse e la conseguente inflazione, perse parte della popolarità.

Le rivolte e l’abbandono della moglie, che cospirò contro di lui col nuovo amante Giovanni Zimisce, lo stroncarono: fu assassinato nella camera da letto del castello di Bukoleon a Costantinopoli.

Il suo pur brillante governo era stato incorniciato da intrighi di Corte, crudeltà ed amori illeciti: le sue nozze con Teofano, infatti, erano state segnate dall’astinenza sessuale poiché egli, castissimo, a margine dell’attività militare, indulgeva alla sola preghiera ed al digiuno mentre ella si dava a dissolutezze d’ogni sorta a causa delle quali fece uccidere l’ingombrante Bringas, edotto delle sue lussuriose abitudini. La vivace Imperatrice introduceva nell’alcova solo giovani dotati di eccezionale bellezza: messi da parte il siriano Constantin Siriatos e il soldato Nimio Niceta, volse la sua attenzione allo stratega armeno Giovanni Zimisce, che sposò in terze nozze.

Valente Generale di Foca, per legittimare la sua ascesa al trono, costui inizialmente aveva deciso di impalmare Teodora, la sorella di Romano II i cui figli, Basilio II e Costantino VIII, pensò di associare al trono. Poi, invece, contrasse con Teofano quel vincolo che la Chiesa rifiutò di benedire in quanto fondato su un delitto. Nel tempo, tuttavia, ottenne l’appoggio del Patriarca Polinto; sconfisse i Bulgari; riconquistò la Siria ancora una volta sottratta dagli Arabi; assicurò la pace in Italia meridionale convenendo un trattato con Ottone I, al cui figlio Ottone II dette in moglie la Principessa bizantina Teofano; morì, infine, avvelenato da Basilio II, diciottenne primogenito di Romano II e fratello del sedicenne Costantino.

Michele Psello riferì che amava vestire di porpora e di ornarsi di perle e che era sostanzialmente misogino: fu, infatti, l’unico Basileus bizantino celibe. Appena incoronato, egli nominò Costantino coImperatore e si dette alla soluzione di due spinose questioni: quella riferita ad un suo omonimo prozio, aspirante a prendere il potere; quella riferita alla scelta dell’erede al trono, stante l’inaffidabilità del germano. Poi, oppose all’Aristocrazia militare delle Province un ceto emergente proveniente dai settori dell’ Economia e della Burocrazia, sostenendo i piccoli terrieri. Tuttavia, ben presto maturarono problemi che in tredici anni di governo produssero ben due guerre civili, l’una promossa da Bardas Sclero, Comandante supremo delle truppe orientali; l’altra da Bardas Foca, aspirante al trono quale nipote di Niceforo II, deposto ed assassinato da Giovanni Zimisce.

La prima insurrezione fu sopraffatta da Basilio II grazie all’abilità della Marina del Corno d’oro e dalla competenza militare di Bardas Foca. Ma gli scontri si protrassero per ben oltre due anni, finché in primavera del 979 i due rivali vennero a diretto duello: Sclero fu ferito in volto da Foca e si rifugiò dal Califfo abbaside di Baghdad.

Nel 985 Basilio fece arrestare l’omonimo parente ma era ancora condizionato da una catena di nuovi infausti e recenti eventi: nel 980 Samuele di Bulgaria s’era proclamato Zar ed aveva invaso la Tessaglia nell’intento di ricrearvi una fascia d’influenza. Le tensioni s’erano protratte al 986: i Bulgari avevano preso Larissa e l’Imperatore era stato duramente sconfitto. Informato della circostanza e fornito di uomini e mezzi del califfato, Bardas Sclero si proclamò Basileus ma, giunto in Anatolia comprese che la Nobiltà non lo avrebbe sostenuto: Bardas Foca, assegnatosi a sua volta il medesimo titolo, propose al vecchio avversario di unire le forze per aggredire la Corona.

Il sodalizio durò poco: a tradimento Foca fece arrestare Sclero e assunse il comando delle truppe contando di sfiancare Basilio con la frammentazione dell’esercito: una parte sarebbe stata impiegata sull’Ellesponto; l’altra a Crisopoli.

L’Imperatore cercò l’alleanza di Vladimir di Kiev che gli concesse seimila temibili Variaghi in cambio della mano della Principessa bizantina Anna. La Corte, tuttavia, non gradì il patto poiché il Principe di Rus’, ritenuto un barbaro, era considerato vizioso e dissoluto già per il solo disporre di un migliaio di concubine.

Al di là dei pregiudizi, l’unione era politicamente vantaggiosa anche per le sue implicazioni religiose: lo poso, poi santificato dalla Chiesa ortodossa, cercava una confessione per la sua gente e, valutate le offerte dell’Islam, della Comunità ebraica e della Chiesa di Roma, le aveva respinte tutte riservandosi di ascoltare un sermone in santa Sofia. Entusiasmato dai racconti della funzione liturgica bizantina, accettò di rafforzare la parentela con la conversione all’Ortodossia.

Nel gennaio del 989 i Variaghi approdarono a Costantinopoli e qualche giorno dopo irruppero nell’ accampamento di Bardas Foca; lo distrussero; presero solo tre prigionieri rispettivamente impiccandone uno, impalanone l’altro e crocifiggendone il terzo. L’avversario caricò Abido, ma la città resistette e Basilio II le mandò in soccorso un contingente guidato da suo fratello Costantino VIII: all’alba del 13 aprile ordinò l’ attacco.

Fu un bagno di sangue.

Basilio liquidò Foca tenendo nella destra la spada e nella sinistra una icona della Vergine.

Sclero, invece, accettò le condizioni di resa e, a pace conclusa, fu nominato Consigliere imperiale mentre l’adesione confessionile di Vladimir sanciva l’ingresso della Rus’ nella Comunità dei Paesi cristiano/ortodossi.

Nel 989, la pace trionfava nell’Impero Bizantino e il Sovrano poté promuovere la guerra ai Bulgari. Partì nella primavera del 991 per Tessalonica e fino al 995 sottopose la Bulgaria ad assedi e devastazioni sistematici quanto indicibili. Nel 992, per arginare le scorrerie degli Ottoni, decisi a ricostituire l’Impero Romano, concluse un accordo con Venezia che, contro favori commerciali, avrebbe trasportato le truppe bizantine dalla Grecia in Italia. Nel 995 radunò quarantamila unità ad Antiochia per spostarsi verso la Siria le cui regioni contigue erano vessate dagli Arabi: difese tenacemente Aleppo e tornò a Costantinopoli ove il 1° gennaio del 996 emanò la Novella. Con essa Basilio confiscava ai terrieri tutte quelle proprietà acquistate dal tempo di Romano I in poi e le rendeva ai precedenti proprietari onde contenere l’espansionismo delle grandi casate. Molte grandi famiglie andarono in rovina, tanto più perché costrette a pagare l’allenlengyon: una tassa che, indebolendo i ceti alti, garantiva cospicue entrate al bilancio dello Stato. Ancora nel 996, a Costantinopoli una delegazione tedesca chiedeva per Ottone III una sposa bizantina: per l’Imperatore, pur pronto alla guerra, era un’imperdibile apertura verso la pace; ma la nipote che egli propose, nella speranza di vedere un suo erede seduto al trono del S.R.I. e dell’Impero bizantino, morì subito dopo le nozze. Dopo il lutto, nel 1001, ad Ottone III fu offerta la bellissima Zoe: partita per Bari, ove avrebbe incontrato il futuro marito, ella fu raggiunta dalla notizia che egli era mancato. Alla fine del 900, intanto, lo Zar Samuele aveva preso Durazzo, la Bosnia e la Dalmazia: Basilio intervenne in soccorso delle popolazioni rivolgendosi ancora al Doge Pietro Orseolo aspirante, in cambio dell’aiuto, alla nomina di Dux: tra il 1000 e il 1004 fu riconquistata tutta la penisola balcanica orientale. L’impegno bellico si concluse il 4 ottobre del 1014 con la battaglia di Cimbalongo, a margine della quale la ferocia delle punizioni irrogate ai Bulgari valse al Sovrano l’appellativo di Bulgaroctono. Nel 1023 egli condusse una vittoriosa spedizione in Anatolia ma nel 1025, quando si accingeva a recuperare la Sicilia e Roma, la morte lo stroncò.

Era il 15 dicembre: l’Impero aveva raggiunto la sua massima espansione; l’istituzione monarchica era stata rafforzata; la finanza risanata: egli poteva, a buon diritto, essere ricordato come uno dei migliori Imperatori della storia bizantina. Non lasciando eredi maschi, la Dinastia Macedone proseguì, per i successivi trentadue anni, attraverso la linea femminile. Al trono, intanto, ascese Costantino VIII, sprezzante della politica; amante della mondanità; crudele ma di grande levatura intellettuale. La sua presenza fu gradita solo ai latifondisti per l’abrogazione delle leggi varate dal fratello.

Sessantottenne, l’11 novembre del 1028, dopo soli tre anni di regno, egli si ammalò: avendo tre figlie, di cui una in convento, la scelta della successione riguardò Zoe e Teodora. Optò per la prima, coniugata all’ aristocratico Romano Argiro, insediatosi col nome di Romano III.

La decadenza si avviò lentamente, enfatizzata dal succedersi in quarant’anni di otto Imperatori nessuno dei quali governò a lungo; nessuno dei quali fu autore di iniziative interne o esterne a favore dell’Impero; nessuno dei quali si distinse per un qualche merito a partire da Romano III, le cui spedizioni intraprese in Sicilia e Siria contro gli Arabi si rivelarono una catastrofe e la cui politica finanziaria di difesa degli interessi dell’Aristocrazia terriera si risolse in un fallimento: la moglie stessa lo assassinò sposando nello stesso giorno l’amante Michele il Paflagorico, valoroso soldato condizionato dall’epilessia. Il governo dell’Impero, pertanto, fu gestito dal fratello Giovanni l’Orfanotrofo le cui riforme finanziarie e militari sembrarono rilanciare le sorti dell’Impero.

Michele IV morì in un monastero, senza eredi maschi; l’Imperatrice adottò il nipote Michele V detto il Calafato: egli cercò di ribaltare la politica del predecessore esiliandone il germano e relegando la zia in un monastero ma, in seguito ad una rivolta dei legittimisti, che in Zoe identificavano l’ultima discendente della dinastia Macedone, fu deposto ed accecato nel 1042.

Sessantaquattrenne, Zoe governò con la sorella Teodora e con il terzo marito Costantino IX Monomaco, un affascinante e sofisticato senatore quarantenne estratto dall’Aristocrazia burocratica della capitale ma non privo di capacità politiche e militari: fronteggiò, infatti, con abile energia le molte insurrezioni esplose fra il 1043 ed il 1047; nel 1045 rese effettiva l’occupazione dell’Armenia; respinse Russi e Pecceneghi dall’ area balcanica ma non contenne l’avanzata normanna nell’Italia meridionale. Per arginarla tentò una soluzione diplomatica con Leone IX che la condizionò all’improponibile accettazione della dottrina e della supremazia romana. Notevole fu il suo impegno culturale: rifiorì la letteratura con Michele Psello, Giovanni Mauropo e Giovanni Xifilino; si diffuse l’arte; fu aperta l’università di Costantinopoli con le facoltà di diritto e filosofia.

Costantino IX si spense l’11 gennaio del 1055: da lui in poi, la politica di conquista andò attenuandosi; perdendo credibilità e forza, l’Impero venne sottoposto a continui attacchi di nuovi nemici: Turchi, Pecceneghi e Normanni; la Chiesa di Roma, grazie all’indebolimento del suo più potente avversario, potè accingersi ad affermare la sua sovranità universale; il Patriarca Michele Cerulario d’accordo col Metropolita bulgaro rinnovò lo scisma foziano affermando l’indipendenza di Costantinopoli da Roma e la sua supremazia sulle Chiese dell’Oriente Cristiano, confermata dal titolo di Patriarca Ecumenico.

Nel 1043, dunque, sotto Costantino IX si storicizzò il Grande Scisma contrassegnato dalla reciprocità delle scomuniche fra Leone IX e Michele Cerulario ma, in realtà, epilogo di una secolare vicenda fondata sul nodo dell’asserita autorità romana sui quattro Patriarchi orientali; sull’inserimento del filioque nel Credo Niceno; sulla giurisdizione nei Balcani; sulla ecumenicità del Patriarca di Costantinopoli; su una serie di cause minori riferite a variazioni liturgiche e, sostanzialmente, su un solido sentimento scismatico maturato nell’àmbito della cultura antioccidentale.

L’ultima esponente dei Macedoni fu Teodora: durante il regno di Romano III, ella era monaca del monastero di Petrion. Era stata richiamata dalla sorella Zoe, dopo la violenta deposizione di Michele V e dopo la morte di Costantino IX Monomaco. Guidò l’Impero per un brevissimo periodo, inimicandosi il ceto militare e nel 1056 si spense facendo posto a Michele VI Bringas Gerontas detto Stratiotico, Imperatore per un solo anno: figlio adottivo di Teodora; deposto nell’aprile del 1057 da una rivolta militare; contrastato da Michele Cerulario, egli finì i suoi giorni in un monastero nel 1059.

Al trono ascendeva Isacco I Comneno.

Esponente dell’Aristocrazia militare, proclamato Imperatore nel 1057 dalle truppe d’Asia, con l’appoggio del Patriarca Cerulario conquistò Costantinopoli e costrinse Michele VI all’abdicazione. L’esigenza di intensificare la lotta contro i Arabi, Bulgari e Pecceneghi lo obbligò ad una dissennata politica fiscale che lo isolò: obnubilato dalla pazzia, nel 1059, a circa due anni dall’insediamento, egli affidò al Cerulario la scelta di un successore e lasciò il trono. Il Patriarca designò Costantino X Ducas che, appena al potere, ridusse il numero dei soldati per risparmiare sulle spese militari. L’iniziativa consentì ai Turchi Selgiucidi di devastare l’Armenia nel 1064 e agli Ungari di invadere Belgrado.

In definitiva, i suoi otto anni di governo si rivelarono un autentico disastro, malgrado emanasse provvide leggi e arricchisse le casse dello Stato.

Il suo successore fu per caso introdotto nella vita di Corte: Romano IV Diogene, membro di una famiglia prestigiosa della Cappadocia, nel 1067 fu convinto alla corpirazione forse proprio dai figli di Costantino X. Scoperto ed arrestato, mentre attendeva l’esecuzione, fu portato al cospetto dell’Imperatrice reggente Eudocia Makrembolitissa che ne fu a tal punto colpita da graziarlo e, una volta vedova, da sposarlo contro le vane proteste del primogenito Michele Ducas e del cognato Giovanni Ducas. Epperò, poco dopo le nozze contratte il 1° gennaio del 1068, emersero divergenze politiche: l’accresciuta potenza dell’esercito urtò con le posizioni antimilitaristiche della Sovrana e del Senato malgrado i consistenti risultati conseguiti sui Turchi tra il 1068 ed il 1070. Diversa invece fu nel 1071 la sorte dello scontro a Mantzikert contro il Sultano Alp Arslan, anche per il tradimento in campo di Andronico Ducas: preso prigioniero, l’Imperatore dovette accettare umilianti condizioni di pace e, una volta libero, si trovò detronizzato. Pur accettando la sopraffazione in cambio della vita, Romano IV fu accecato e morì in conseguenza del brutale trattamento, mentre l’Impero registrava una serie di disfatte che portavano al trono Niceforo III, capo dei mercenari normanni, e relegavano in convento l’insignificante Michele VII Parapinace.

Sedicente discendente della gens Fabia romana e della famiglia bizantina Focas, Niceforo III Botaniate era stato Generale sotto Costantino IX e sotto Romano IV, diventando Comandante dell’esercito in Asia. Nel 1078 si era ribellato a Michele VII ed al suo Ministro delle Finanze Nikephoritzes e, con la complicità dei Turchi Selgiucidi, aveva marciato su Nicea ove si era proclamato Imperatore. La sua iniziativa ebbe il favore del Clero e della Nobiltà che lo preferirono a Niceforo Briennio: nel marzo del 1078 entrò nella capitale e fu solennemente incoronato dal patriarca Cosma I.

Con il Generale Alessio Comneno eliminò il rivale ed altri antagonisti, ma non riuscì a contenere l’invasione turca in Anatolia né l’occupazione armena della Cilicia. Per rafforzarsi pensò di sposare Eudocia, vedova di Costantino X e di Romano IV e madre di Michele VII, ma l’iniziativa fu stroncata da Giovanni Ducas ed egli impalmò Maria di Alania, vedova dello stesso Michele, così violando le norme ecclesiali. Respinti e negati i diritti di Costantino Ducas, figlio della sposa, si espose all’impopolarità e ad una serie di intrighi in esito ai quali divenne sostanzialmente dipendente di Alessio Comneno che stroncò la ribellione di Niceforo Basiakes nei Balcani e di Niceforo Melisseno in Anatolia.

In quello stesso periodo, l’Impero fu costretto ad affrontare la pretestuosa aggressione di Roberto il Guiscardo, sedicente protettore delle prerogative negate a Costantino Ducas. Poiché ad Alessio erano stati affidati robusti contingenti da opporre ai Normanni, la fazione guidata da Giovanni Ducas cospirò per rovesciare Niceforo. Non avendo aggregato alla sua causa l’adesione dei Turchi Selgiucidi né di Niceforo Melisseno, l’Imperatore fu costretto ad abdicare nel 1081 e a ritirarsi in un convento ove presto si spense.

Si accingeva ad indossare la tiara il trentatreenne Alessio I Comneno.

Fonte principale della storia di questo periodo è l’Alessiade scritta dalla sua primogenita Anna: se ne desume una fase molto travagliata nella quale, già Gran Domestico delle armate dell’Occidente, egli inizialmente eliminò a vantaggio di Botaniate, gli usurpatori Niceforo Briennio; Niceforo Basilacio e Niceforo Melisseno; contando sul sostegno dell’Imperatrice Maria d’Alania, si alleò con i Ducas sposandone Irene, figlia di Andronico; coinvolse nella ribellione anche Giorgio Paleologo. In seguito, promesso a Niceforo Melisseno il titolo di Cesare, i Comneno e i Ducas si incontrarono nella tracia Tzurullon e concordarono l’incoronazione di Alessio per la Pasqua del 4 aprile del 1081.

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Bibliografia
G. Ostrogorsky: Storia dell’Impero bizantino
G. Ravegnani: I Bizantini in Italia
J. J. Norwich: Bisanzio
G. Herm: I bizantini

Ornella Mariani

Ornella Mariani, sannita. Negli anni scorsi: Opinionista e controfondista di prima pagina e curatore di Terza Pagina per testate nazionali; autore di saggi, studi e ricerche sulla Questione Meridionale. Ha pubblicato saggi economici vari e:
Pironti, Per rabbia e per amore
Pironti, E così sia
Bastogi, Viaggio nell’ entroterra della disperazione
Controcorrente Editore, Federico II di Hohenstaufen
Adda Editore, Morte di un eretico (dramma in due atti)
Siciliano Editore, La storia negata
Mefite Editore, Matilde (dramma in due atti)
Mefite Editore, Donne nella storia

Collaborazione a siti vari di storia medievale. Ha in corso l’incarico di coordinatore per una Storia di Benevento in due volumi, (720 pagine) commissionata dall’Ente Comune di Benevento e diretta dal Prof. Enrico Cuozzo.

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