Bisanzio, storia di un Impero – 2a parte

Progressione cronologica dell'Impero Bizantino
Progressione cronologica dell’Impero Bizantino.

di Ornella Mariani.

I Comneno

Quella dei Komnenos, i cui membri si distinsero per l’energica attitudine al comando, fu certamente la famiglia di maggior prestigio nella storia bizantina. L’Impero era ridotto a Tracia, Macedonia, Grecia e ad una manciata di centri costieri dell’Asia Minore quando, abbattuto Niceforo III Botaniate, una delle tante insurrezioni portò al trono Alessio I il cui governo fu condizionato dalla potenza dei latifondisti, causa principale della disgregazione politica interna.

Terzogenito di Giovanni Comneno, che non aveva accettato di sostituire l’abdicante Isacco I, egli servì Romano IV Diogene; si distinse nelle lotte contro i Selgiucidi; combatté per Michele VII e per Niceforo III in Asia Minore, Tracia ed Epiro col suo valore accendendo la gelosia del Consiglio di Corona fino a doversi armare per difendere la credibilità familiare, se credito deve darsi alla versione fornita da Anna Comnena nell’Alessiade.

In realtà, la ribellione comnena fu solo l’ultimo anello d’una catena di guerre civili nel corso delle quali i Generali tentarono di rovesciare il regime senatoriale dell’Aristocrazia: in qualità di Gran Domestico delle armate occidentali, Alessio aveva già eliminato a favore del Botaniate gli usurpatori Niceforo Briennio e Niceforo Basilacio ma, alla fine del 1080, era insorto a Nicea anche Niceforo Melisseno: in quell’occasione, astenendosi dall’intervenire, egli cercò il consenso della Corte ed in particolare dell’Imperatrice Maria di Alania, già moglie di Michele VII Ducas e dello stesso Niceforo III. A partire da quell’evento, la potente Dinastia si alleò con gli antichi rivali Ducas sposando la sua Irene ad Andronico Ducas ed Alessio I ebbe l’appoggio di Giovanni Ducas e di Giorgio Paleologo. Blandito Niceforo Melisseno con la promessa del titolo di Cesare, le due casate si incontrarono nella tracia Tzurullon: Niceforo III abdicò ed Alessio I, trentatreenne, vestì la tiara nella domenica di Pasqua del 4 aprile del 1081.

Come primo atto politico, adottò Costantino Ducas, figlioletto di Michele VII e Maria d’Alania; lo proclamò successore; instaurò una convivenza con la madre nel Palazzo di Mangana; lo fidanzò alla neonata Anna per poi revocare disposizione successoria ed impegno nuziale in corrispondenza della nascita di Giovanni; infine, spentosi Costantino, confinò in convento Maria d’Alania.

I circa quarant’annni del suo governo furono connotati da un’ininterrotta serie di conflitti iniziati con l’attacco di Roberto il Guiscardo e del figlio Boemondo che, sbarcati in Epiro col consenso di Gregorio VII a sua volta coinvolto nell’aspra contrapposizione per le investiture con Enrico VI, presero Durazzo e Corfù ed assediarono Larissa. Gli eventi volsero a favore dei Bizantini quando l’uno fu costretto a tornare in Italia per soccorrere il Papa e l’altro si rivelò incapace di gestire la conquista.

Tornato in Oriente e più volte sconfitto dai Veneziani, Roberto si spense ad Itaca il 17 luglio del 1085 con gran sollievo del Basileus che manifestò la sua riconoscenza al Doge Vitale Faliero e al Patriarca di Venezia concedendogli rispettivamente i titoli di Protosebastos e di Hyperthymos e l’esenzione del dazio commerciale in tutti i territori dell’Impero.

Più complessa si mantenne la situazione in Asia Minore: dopo la sconfitta subìta da Romano IV Diogene a Manzikert, i Selgucidi si erano allargati all’Anatolia e già verso il 1080 Sulaimān, nipote di Alp Arslān, aveva istituito il Sultanato di ar-Rūm con capitale Iconio, nell’area dalla Cilicia all’Ellesponto.

In mancanza di alternative, Alessio I concluse un trattato nel quale gli riconosceva la giurisdizione su Nicea a condizione che non fosse saccheggiata la Bitinia. Presto, però, tensioni fra gli eredi del Gran Sultano Malikshah portarono a una frantumazione politica dell’Impero turco e a guerriglie nelle quali Sulaima¯n fu costretto al suicidio ad Antiochia.

Era il 1085: se la circostanza favorì il decennale impegno bizantino sul fronte europeo, l’anarchia dilagante nei territori turchi permise all’Emiro Abul Kasim di prendere Nicea e attaccare Nicomedia, mentre l’Emiro Tsacha occupava Smirne e le isole di Lesbo e Chio. Altrettanto sfavorevole si presentò il clima sul versante occidentale ove nuove incursioni peceneghe e poi cumane fecero ripiombare i Balcani nel caos aggravato dai Manichei Bogomilli con i quali si accordò Tsacha per progettare l’assedio di Costantinopoli dal mare e per entrare nel Chersoneso. Ma fu il durissimo inverno fra il 1090 ed il 1091, a ribaltare gli eventi quando, nel timore di un’aggressione congiunta da Est e da Ovest, Alessio stipulò un’alleanza strategica con i Cumani combattendo l’epica battaglia di Levounion, sulle sponde della Maritza il 29 aprile del 1091: per i nemici dell’Impero, una catastrofe; per i Bizantini la più grande vittoria riportata da più di mezzo secolo.

A quel punto, il Basileus rilanciò il trattato di pace stipulato con Kilig˘ Arsla¯n che consolidò la rinnovata amicizia con l’assassinio dell’ingombrante Tsacha.

E tuttavia, nuove nubi incombevano all’orizzonte: i Crociati!

Contro la minaccia turca di Anul-Kasim, proprio Alessio aveva chiesto l’aiuto di Urbano II e del Conte Roberto di Fiandra, inviando una delegazione al Concilio di Piacenza ed offrendosi di ricucire lo strappo scismatico di Michele Cerulario.

Il Papa aveva bandito la prima campagna santa.

Il primo gruppo di Europei, con Pietro l’Eremita, giunse a Costantinopoli il 1° agosto del 1096: non si trattò di combattenti, ma di avventurieri sanguinari e fanatici che l’allarmato Imperatore dirottò in Asia Minore ove si resero autori di razzie ed indicibili crudeltà in danno della popolazione civile. I Turchi li liquidarono, ponendo il Sovrano bizantino in una situazione di delicata ambiguità.

I contingenti successivi normanni e francesi con Goffredo di Buglione arrivarono in dicembre col recondito proposito d’impadronirsi dell’Impero, malgrado prestassero giuramento di fedeltà feudale e promettessero di restituire, quando le avessero conquistate, Nicea, Chio, Rodi, Smirne, Efeso, Filadelfia, Sardi e gran parte dell’Asia Minore.

Alessio I li rifornì dei generi di prima necessità e li fece traghettare al di là del Bosforo nell’aprile del 1097, parallelamente concludendo intese segrete col Conte di Tolosa Raymond de saint-Gilles, nemico personale del Buglione.

La prima operazione bizantino/crociata fu la conquista di Nicea, lasciata indifesa dal Sultano Kiliğ Arslān occupato con i Turchi della dinastia Dānishmand nell’armena Melitene: nel rispetto dei patti, essa fu consegnata a Manuele Boutoumites; poi, la marcia proseguì per Dorileo ove, il 1° luglio del 1097 i Turchi furono respinti nell’interno anatolico; infine si entrò in Antiochia ove, contro le intese, Boemondo istituì un Principato indipendente mentre il suo emulo, Raimondo di Tolosa, fondava la Contea di Tripoli. Fermatosi a Cipro ed incaricato il cognato Giovanni Ducas di occupare Smirne, Efeso, Filadelfia e Sardi, il Basileus invanò denunciò l’iniziativa dei due.

Il 26 giugno del 1098, fu sgominato Kerbogha e, pur nel clima di torbide contrapposizioni, il 15 luglio del 1099 fu presa anche Gerusalemme; ma solo l’abile talento diplomatico di Alessio I favorì il rilascio degli ostaggi crociati catturati a margine della sconfitta di Ramleh. Ciò malgrado, quando egli ancora sollecitò la consegna di Laodicea e dei centri della costa siriana, Boemondo incaricò Tancredi di assediarli.

L’evento frantumò l’apparente unità della coalizione ed indusse il Sovrano ad occupare le piazzeforti della Cilicia, Laodicea e la costa fino a Tripoli. Fu allora che Boemondo, diffusa voce del suo tradimento, ottenne l’appoggio di Pasquale II per una spedizione contro i Cristiani Orientali mentre i Bizantini rafforzavano le difese di Durazzo e si spostavano a Tessalonica.

Pur forte della benedizione papale, nell’ottobre del 1107 sconfitto due volte a Valona, l’esercito normanno fu obbligato ad umilianti condizioni di resa: in cambio del controllo di Antiochia e del titolo di Sebastos, Boemondo rinunciava a qualsiasi pretesa egèmone sull’Adriatico; si riconosceva vassallo di Alessio, cui confermava il possesso di Laodicea e delle fortezze in Cilicia; accettava di restituire i feudi, alla sua morte.

Sei mesi dopo si spense, ma Tancredi restò saldo nei possessi ereditati mentre maturava il confronto bizantino col potente Regno d’Ungheria. Con provvida lungimiranza, l’Imperatore concordò le nozze del figlio Giovanni con Piroska, figlia di Ladislao I, prima di affrontare una stagione d’anarchia religiosa.

Gli ultimi anni del suo governo, infatti, furono connotati da terribili persecuzioni in danno dei Pauliciani e dei Bogomilli il cui capo, Basilio, fu sottoposto al rogo, in un clima di delazioni ed insostenibili sospetti di natura teologica; dall’inasprimento del conflitto con i Turchi; dalla querelle familiare accesa dalla consorte che pretendeva la garanzia della successione per il genero Niceforo Briennio, già Panhypersebastos, contro le diverse pressioni di Anna Dalassena, incoronata Imperatrice, designata Augusta e di fatto Reggente.

Malgrado tali incidenti di percorso, Alessio fu autore dell’autentica Rinascita dell’Impero grazie a leggi e riforme che, in contrasto col centralismo romano, fecero spazio alla feudalità: in particolare la Pronoia, ovvero l’assegnazione di terreni a compenso del servizio militare prestato.

E fu la lunga e tormentata stagione di Giovanni II, noto come Calojanni o Giovanni il Bello.

Fin dall’infanzia, divisa col coetaneo turco Axuch, egli era stato oggetto dell’amore incondizionato del padre, ma del rancore della madre ed in particolare della sorella Anna miranti alla sua esclusione ereditaria a vantaggio del marito di costei, Niceforo Briennio contro le volontà esplicite di Alessio I che, il 5 agosto del 1118, gravemente ammalato, gli consegnò l’anello imperiale e lo fece consacrare Basileus dal Patriarca Giovanni IX. Tuttavia, mentre in spregio delle disposizioni del coniuge, la basilissa Irene favoriva l’insediamento del genero Niceforo, nel giorno stesso del funerale del padre, Anna ordinò l’assassinio del fratello: malgrado la complessiva inefficacia politica, il giovane Basileus, che risparmiò la vita del cognato ed obbligò la germana alla vita claustrale, fu molto amato per integrità morale, ardimento, generosità e sincerità di fede: i sudditi lo considerarono il più grande dei Comneno.

Appena insediato, nominò Gran Domestico il vecchio compagno d’infanzia Axuch; poi, stroncata una nuova impennata pecenega, sconfisse con una guerra lampo i Serbi di Rascia, i Dalmati e i Croati costringendoli a riconoscere la sua autorità; infine, tra il 1124 ed il 1128, contrastò con successo anche gli Ungari, mai più prevedendo che Venezia gli dichiarasse guerra per il mancato riconoscimento delle esenzione daziarie concesse da Alessio I: l’8 agosto del 1122, infatti, il Doge Domenico Michele inviò a Corfù settantuno navi che, incapaci di espugnarla, ripiegarono su Rodi, Chio, Samo, Lesbo e Andros puntando a Cefalonia. Costretto a trattare, Giovanni barattò la libertà delle isole con i privilegi richiesti ma, per condizionare le fortune commerciali venete, incrementò le relazioni con Genova e Pisa. Verso l’aprile del 1143 consolidò l’amicizia con la Chiesa di Roma, riscontrando una solenne lettera di Innocenzo II con la disponibilità a riesaminare le questioni controverse. In quel periodo, egli aveva già attaccato i Turchi Selgiucidi ed annesso l’Attalia all’Impero; aveva condotto, tra il 1130 ed il 1135, cinque nuove felici campagne contro l’Emiro turco Gha¯zi¯ ibn Danishmed, cui aveva sottratto l’Asia Minore; nel 1136 aveva ucciso l’Emiro in battaglia, in un lustro riconquistando i territori perduti da Bisanzio da circa un secolo.

Privo di rivali, si accinse a riprendere Cilicia ed Antiochia assoggettate al potere occidentale e sulle quali vantava diritti anche Ruggero II di Sicilia. Finanziò, pertanto, una guerra antisiciliana di Lotario III e si dedicò agli Stati Crociati di Palestina e Siria. Nel 1137 puntò al Regno armeno e, alla guida di una grande armata composta anche da Peceneghi, prese Isso e Alessandretta acquartierandosi alle porte di Antiochia sulla quale il 29 agosto con potenti trabucchi fece partire un massiccio lancio di pietre.

Raimondo di Poitiers capitolò previa nomina a Vicario Imperiale Bizantino; ma Giovanni pretese la resa incondizionata, imponendo al Re di Gerusalemme Folco del Monferrato di accettare che, quale parte storica dell’Impero, Antiochia dovesse essere resa al suo Sovrano.

Senza spargimento di sangue e senza razzie, le chiavi della città gli furono consegnate e a Raimondo furono promessi in feudo i centri che l’esercito bizantino col suo aiuto fosse riuscito ad espugnare: Aleppo, Shayzar, Emesa e Hama. Successivamente, il Basileus mosse verso l’Armenia i cui Principi deportò a Costantinopoli e, nel marzo del 1138, con i vassalli crociati, marciò sulla piazzaforte di Shayzar per condizionare l’arabo Zengi. Ma, ignaro dell’imminente arrivo di Zengi, l’Emiro si arrese malgrado nel giro di quattro anni tutte le conquiste siriane ed i territori settentrionali fossero riguadagnati dal nemico.

Nel corso della nuova campagna in Attalia, nel 1142, l’erede al trono Alessio II si spense: Giovanni incaricò il secondogenito Andronico ed il terzogenito Isacco di portarne le spoglie a Costantinopoli per la solenne sepoltura ma, durante il viaggio, anche Andronico morì misteriosamente.

Il dolore non distolse l’Imperatore dagli oneri militari: ad Antiochia informato della ribellione di Raimondo di Poitiers, gli mandò un ultimatum e si spostò in Cilicia per svernare. Avrebbe ripreso le operazioni in primavera se, nel marzo del 1143, durante una battuta di caccia, non fosse stato gravemente ferito: nella Pasqua del 5 aprile, ritenendo Isacco non estraneo al decesso di Andronico, incoronò Manuele I e l’8 successivo si spense.

Avvenente, affabile e coltissimo; sposato alla pia Berta di Sulzbach, cognata dell’Imperatore Corrado, egli si rivelò abile politico; ottimo soldato; efficiente stratega; fine diplomatico. In definitiva, un grande statista.

Prima di portarne le spoglie a Costantinopoli, fece erigere in Cilicia un monastero nel luogo ove il padre era mancato; poi nominò Reggente Axuch; lo incaricò di precederlo nella capitale ed arrestarvi Isacco, che aveva le chiavi del tesoro e delle insegne imperiali; gli ordinò di riunire il Clero a santa Sofia e notificargli che, a fronte della sua consacrazione, gli sarebbero state erogate ogni anno cento piastre d’argento; inoltre, giunto nella capitale, designò Primate Michele Curcuas e fece scarcerare il fratello; infine sedò le contestazioni alla sua incoronazione, causate dalle sue relazioni adulterine e dalla spiccata propensione per la Chiesa di Roma. All’inizio del 1144, recuperò i castelli prossimi ad Antiochia occupati dopo la morte di Giovanni II da Raimondo d’Antiochia, in sprezzo degli oneri vassallatici.

A Natale di quello stesso anno, l’atabeg turco Zengi annesse la Contea di Edessa al suo Sultanato suscitando la reazione di tutti gli Stati Crociati: Raimondo fu costretto a chiedere perdono e Manuele gli concesse un sussidio regolare, solo dopo averlo visto inginocchiato sulla tomba di Giovanni II.

Tuttavia, la pace era distante.

Nel Natale del 1145 i Sovrani di Francia annunciarono il loro arrivo in Oriente: memore dei problemi creati dai primi Crociati al nonno Alessio I, il Basileus gli mise a disposizione i rifornimento utili, mirando a liberarsene rapidamente poiché lo scontento serpeggiava nella popolazione ostile alla tregua sottoscritta con i Turchi ed agli Occidentali stessi, considerati una costante minaccia, potendo coalizzarsi ed esautorare l’Imperatore.

Appreso che alcuni facinorosi franco/tedeschi progettavano di assalire Costantinopoli, Manuele fece spargere voce dell’essere in atto in Anatolia un’imponente mobilitazione selgiucide: se i Crociati non fossero subito sbarcati in Asia minore, sarebbero stati annientati. Qualche giorno più tardi, la confortante notizia che costoro erano stati sterminati sotto Dorileo, fu turbata dalla comparsa della flotta di Ruggero I sotto le coste di Costantinopoli, alla guida di Giorgio di Antiochia: costui aveva già espugnato Corfù; razziato Atene e Corinto e rapito a Tebe le celebri tessitrici dell’industria della seta.

Furente, Manuele si rivolse ai Veneziani che, a marzo del 1148, accettarono di prestare aiuto per sei mesi in cambio di nuove esenzioni. In aprile la spedizione era pronta, ma un colpo di scena ribaltò i piani poiché, mentre i Cumani invadevano l’area bizantina, l’improvviso decesso del Doge ed i danni conseguenti ad una violenta tempesta impedirono alla Marina alleata di procedere.

Il blocco marittimo di Corfù fu attuato solo in autunno e l’Imperatore si recò a Salonicco per incontrarvi Corrado di Hohenstaufen, reduce dalla Terrasanta, concludendo la seconda crociata con un significativo atto di solidarietà: curò personalmente il Sovrano tedesco ammalatosi ad Efeso, ottenendone per il marzo del 1148 navi che raggiungessero la Palestina. Intanto, contro le prescrizioni, il Re di Francia attraversò l’Anatolia mantenendosi distante dalle coste: sottoposto a continui assalti turchi dei quali incolpò i Bizantini, abbandonò i compatrioti a se stessi e tornò in patria, mentre in settembre, opportunamente scortato, Corrado III muoveva per Tessalonica: nel Natale del 1148 il fratello Enrico II Duca d’Austria avrebbe sposato Teodora, nipote del Basileus, con quelle nozze solennizzando l’intesa per un’imminente campagna italiana. Per converso, il fallimento francese produsse la singolare alleanza del Capetingio con Ruggero I, entrambi persuasi dell’attività fiancheggiatrice di Manuele a vantaggio dei Turchi. Così, quando essi rivendicarono Antiochia e Gerusalemme, la coalizione di Corrado e di Eugenio III ne congelò le pretese fino al 15 febbraio del 1152, quando a Bamberga l’Imperatore tedesco si spense esigendo in punto di morte, dal nipote/erede Federico I, il rispetto del patto con i Bizantini. Malgrado lo Staufen né desiderasse combattere a fianco di costoro né accettasse di spartire con essi i territori eventualmente conquistati, dopo un anno firmò col Papa un accordo relativo alla ripartizione delle Province meridionali dell’Italia. Tuttavia, proprio quei mesi furono fatali a molti dei protagonisti della politica internazionale: l’8 luglio del 1153, morì Eugenio III cui subentrò Anastasio IV; sei mesi dopo, si spense Bérnard de Clairvaux, ispiratore delle Crociate; il 26 febbraio del 1154 mancò Ruggero di Sicilia, cui successe Guglielmo I; infine cessò di vivere lo stesso Anastasio IV, cui fece seguito Adriano IV.

Svolta una campagna punitiva contro i Comuni italiani del Nord, Federico I fu incoronato a Roma mentre Manuele verificava l’improbabile alleanza col S.R.I. e la necessità di ricorso alla guerra per recuperare i pezzi d’Italia perduti: appreso che le Baronie pugliesi, opponendosi a Guglielmo, aspiravano a tornare sotto la protezione dell’aquila bizantina, incaricò i Generali Michele Paleologo e Giovanni Ducas di contattarle e di chiedere anche allo Staufen la disponibilità a sostenere una campagna antisiciliana. Egli si mostrò incline alla proposta, ma le sue truppe, fiaccate dal caldo e dai rischi epidemici presenti nel Sud, gli imposero di schermirsi.

Manuele non se ne dette pensiero: il fronte d’opposizione alla Monarchia sicula s’era allargato e, verso l’inizio dell’estate del 1155, il Conte Roberto di Loritello incontrò a Vieste il Paleologo: vantaggi ai nemici degli Altavilla, in cambio del ritorno dell’isola al possesso bizantino.

La coalizione fece la sua prima tappa a Bari, alle cui porte l’esercito di Guglielmo I fu decimato con grande soddisfazione di Adriano IV, che non voleva gli Altavilla come confinanti; ma le trattative per la guerra totale furono avviate solo in settembre, previo reclutamento di mercenari campani. Il 29, le truppe pontificie conquistarono Campania e Puglia: finalmente Manuele avrebbe realizzato il sogno d’essere incoronato Imperatore dal Papa ed avrebbe conferito al suo mandato un significato ben più alto di quello assunto da Federico I.

Epperò, Guglielmo era tutt’altro che sconfitto: riorganizzato l’esercito, ai primi del 1156 egli varcò lo Stretto mentre la sua Marina puntava su Brindisi, sotto assedio bizantino. Il suo arrivo determinò moltissime defezioni e Giovanni Ducas, travolto da forze soverchianti, fu preso prigioniero.

Il 28 maggio del 1156 la lega antisiciliana crollò: implacabile, Guglielmo fece passare per le armi ribelli e disertori e radere al suolo Bari, a monito per gli altri centri insorti.

Manuele non era impensierito da tale evento, quanto dall’ipotesi che Federico I ritentasse l’impresa di conquista del Sud: se l’eventualità si fosse verificata, e con risultati favorevoli, anche i territori bizantini avrebbero rischiato di essere fagocitati dall’ambìta riunificazione dell’antico Impero romano. Ritenendo, pertanto, più vantaggioso e prudente un accordo con i Siciliani contro il Sovrano tedesco, inviò come Legato di pace alla Corte di Guglielmo I il giovane Alessio, figlio di Axuch: all’inizio della primavera del 1158 egli concluse un patto segreto e, nell’autunno successivo, il Basileus potette marciare sulla Cilicia ove un tal Thoros II d’Armenia, evaso dal carcere di Costantinopoli quindici anni prima, nel 1151 aveva assassinato il Governatore imperiale di Mopsuetia. A sette anni dal delitto, giustizia non era stata ancora fatta a causa della protezione fornitagli dal Principe di Antiochia Rinaldo di Châtillon. Costui, arruolatosi all’epoca della seconda crociata nell’esercito di Raimondo d’Antiochia del quale aveva sposato la vedova Costanza, aveva creato un suo feudo e promesso a Manuele la consegna del criminale, in cambio della Signorìa antiochena. Tuttavia, una volta investito, insieme avevano saccheggiato orrendamente Cipro. Deciso a pareggiargli i conti, Manuele si pose in marcia ma Rinaldo gli si presentò al cospetto umilmente vestito di una tela di sacco ed accettò quattro condizioni per avere salva la vita: la custodia di Thoros; l’immediata resa di Antiochia; la fornitura di una guarnigione permanente e la sostituzione del Patriarca latino con un Patriarca ortodosso.

Qualche giorno più tardi, giunse da Gerusalemme Baldovino III: i due Sovrani, peraltro imparentati dalle nozze dell’uno con la nipote dell’altro,Teodora, festeggiarono il recupero di Antiochia nella quale Manuele entrò nella Pasqua del 12 aprile del 1159. Due anni dopo, la loro consolidata amicizia s’infranse poiché, pronto ad attaccare Aleppo alle frontiera tra Impero e territorio arabo, il Basileus incontrò messaggeri di pace di Norandino che offriva il rilascio di circa seimila prigionieri cristiani in cambio di un’alleanza contro i Turchi Selgiucidi. Con viva costernazione dei Crociati la proposta fu accolta: grazie ad essa, a fronte della pace con Norandino, anche il Sultano selgiucide Arslan s’impegnò a rendere all’Impero tutte le città di popolazione greca già conquistate; a sospendere le incursioni; a fornire contingenti armati ogni volta che fosse stato necessario.

Vedovo intanto da due anni di Berta; padre di Maria ed Anna e desideroso di un erede maschio, nel Natale dello stesso 1161 Manuele sposò Xene Maria, bellissima figlia di Costanza d’Antiochia e Raimondo di Poitiers dalla quale nel 1169 ebbe Alessio II.

A primavera del 1162 morirono Baldovino III di Gerusalemme e, privo di eredi, il Re d’Ungheria Geza II: la guerra per la successione si protrasse per sei anni, finché il Basileus conquistò la Dalmazia, la Bosnia e la Croazia con pregiudizio commerciale per Venezia e vantaggi per Genova, Pisa e Amalfi. Nel 1166, Papa Alessandro III gli chiese aiuto economico contro Federico I e, pur consapevole della inattuabilità del progetto per la pessima reputazione di cui in Occidente Manuele godeva, gli offrì la corona romana riunificata in cambio della ricomposizione dello scisma.

L’Impero aveva finalmente raggiunto un solido equilibrio, ma il clima si surriscaldò nel 1171, quando i circa centomila Veneziani stanziali a Costantinopoli attaccarono ed incendiarono il quartiere genovese a Galata: gli arresti e le confische irrogate alla più parte di essi infuriarono il Doge che ne dispose il rimpatrio, mentre centoventi navi salpavano da Venezia alla guida di Vitale II Michiel. Nel corso del viaggio, un contagio di peste provocò migliaia di morti: fu quanto bastò perché l’Imperatore si negasse ad ogni tentativo di mediazione e perché il Michiel, tornato nella città lagunare, vi fosse linciato quale responsabile del fallimento della spedizione punitiva contro i Bizantini.

Il 15 maggio del 1174 Norandino morì ed anche i Turchi danishmendidi, orfani del referente ed esposti alla potenza selgiucide di Kilij Arslan, si rivolsero al Comneno esigendone la protezione. Nell’estate del 1176 egli si mise in marcia per Iconio ove fu raggiunto da proficue proposte di pace: contro il parere del suo Stato Maggiore proseguì, ma i Selgiucidi lo attesero a Miriocefalo e lo sconfissero pesantemente, pur offrendogli come onorevole tregua la distruzione delle fortificazioni di Dorileo e di Subleo. Egli, ovviamente, accettò perdendo ogni possibilità di riprendere il controllo dell’Asia minore.

Nel luglio del 1180, tuttavia, mise a segno una felice intuizione diplomatica attraverso le nozze del suo decenne Alessio II con la novenne Agnese, figlia di Luigi VII. Poi, il 24 settembre del 1180 si spense.

Nessun Imperatore bizantino aveva ed avrebbe rivelato il suo eccezionale talento politico.

Alessio II ascese al trono all’età di undici anni, ma fin dal 24 marzo del 1171 era stato designato erede ed incoronato co/Imperatore nella chiesa della Vergine alle Blacherne.

Fino al compimento del sedicesimo anno gli furono Reggenti la madre ed il suo amante, il Protosebasto Alessio Comneno; ma il cugino Andronico I, prese a presentarsi paladino dell’Impero contro le ingerenze dei Latini e gli intrighi della discreditata coppia e, certo del consenso popolare, marciò su Costantinopoli aggregando alla sua causa Maria, la sorellastra del giovane Sovrano, ed il marito Ranieri, esclusi dal Consiglio di tutela: la loro congiura fu sventata ma una massiccia rivolta popolare esplose, invece, nel maggio del 1181. Dopo sanguinosi scontri, gli Imperiali prevalsero ed il Patriarca Teodosio si propose garante della pace, ma il ribelle non recedette neppure quando la Corona gli inviò contro truppe comandate da Andronico Angelo, battuto a Charax in Bitinia. Una volta a Costantinopoli, Andronico I fu sostenuto dai sudditi e dai mercenari paflagoni contro tutti i Latini presenti in città, soprattutto Pisani e Genovesi accusati di appoggiare il regime dell’Imperatrice/madre nel frattempo trasferita e sorvegliata a vista. L’usurpatore prese il potere nel maggio del 1182 e, per dare legittimità al colpo di Stato, dispose la solenne incoronazione di Alessio II e l’arresto della Sovrana la cui condanna a morte per alto tradimento fu firmata dal giovane figlio: l’esecuzione ebbe luogo nel settembre del 1182 e spianò la via ad Andronico I, contro il quale fu organizzato un complotto duramente punito, a conferma di un regime sanguinario invano stigmatizzato dal Patriarca Teodosio Boradiota.

All’inizio dell’autunno del 1183 egli fu acclamato Basileus: pochi giorni dopo, Alessio II fu strangolato, decapitato e buttato a mare e, solo a distanza di due anni da quel delitto, Isacco II Angelo rovesciò il despota affidandolo al linciaggio di una folla inferocita.

Il nuovo Imperatore, cui furono sottratte Tessalonica dai Normanni e la Dalmazia dagli Ungheresi, fu debole e privo di attitudini militari; oberò di tasse i sudditi, rendendosi assai impopolare; fu sconfitto a più riprese dai Bulgari fra il 1190 ed il 1194; stipulò incoerenti intese con Federico I finché, nel 1195, fu detronizzato, arrestato e fatto accecare dal fratello Alessio III.

Il figlio Alessio IV riuscì, però, a fuggire; a riparare presso Filippo di Svevia e a procurarsi il sostegno dei Veneziani. Nel 1202, egli contattò anche Baldovino del Monferrato e, con i leaders dell’armata latina, sottoscrisse il Trattato di Zara col quale, in cambio dell’appoggio economico e militare alla campagna santa e dell’impegno a ricomporre l’antico scisma, gli sarebbe stato restituito il trono. Tuttavia, il 24 di giugno del 1203, quando i Crociati giunti a Costantinopoli tentarono di insediarlo, furono ostacolati da una violenta insurrezione di massa: i sudditi, considerandolo un traditore e rifiutando di accettare la supremazia della Chiesa romana, preferirono restaurare il padre. Solo ad agosto Alessio salì al trono in correggenza; ma, a fine estate, i rapporti con i Latini si guastarono e la Corona fu posta a fronte di un duro ultimatum circa il rispetto dei patti di Zara. Dell’anarchia divampata, profittò Alessio V Murzuflo che rovesciò il regime e fece strangolare i suoi predecessori, pur facendoli poi seppellire con tutti gli onori.

Costantinopoli insorse compatta: Niceta Coniata testimonia che il 25 gennaio del 1204 una grande moltitudine si raccolse avanti a santa Sofia assieme all’Alto Clero ed al Senato per eleggere un nuovo Basileus. Dopo tre giorni di torbidi, fu designato un tal Nicola Canabo la cui carriera imperiale fu brevissima: in una manciata di ore, fu soppresso dalle guardie variaghe di Alessio V.

L’usurpatore, nel frattempo, chiuse i negoziati con i Crociati e con i Veneziani rifiutandosi di onorare le promesse contratte precedentemente e facendo raddoppiare la guardia delle mura. I capi latini, fra cui il Doge Enrico Dandolo, progettarono l’assalto a Costantinopoli e lo scontro più aspro fu quello che Alessio V sostenne contro Enrico di Fiandra. Costui fece razziare Filea sul mar Nero e le sue truppe subirono un’imboscata imperiale; tuttavia, malgrado il massacro delle retrovie nemiche, i Bizantini furono sconfitti e privati del vessillo e di una protettiva icona d’oro della Vergine. Il 9 aprile i Crociati attaccarono la città e, il 9 maggio successivo, la sottoposero ad un orrendo sacco: per tre giorni le vie furono insanguinate finché, crollato l’Impero, una commissione composta da tre rappresentanti latini e tre della Repubblica veneta insediò sul trono Baldovino IX di Fiandra, con il nome di Baldovino I di Costantinopoli.

A conclusione di una terrificante strage e del furto e della distruzione di reliquie e preziosi capolavori d’arte, era nato l’Impero Latino d’Oriente. Parallelamente al Sovrano, fu eletto il nuovo Patriarca: il veneziano Tommaso Morosini.

Sulle macerie dell’antico Impero bizantino, sorsero nuove realtà statuali: l’Impero di Nicea, l’Impero di Trebisonda, la Despotìa d’Epiro. A Baldovino furono lasciate la vecchia capitale, parte della Tracia, le isole di Samotracia, Cos, Lesbo, Samo, Chio, la Bitinia, la Misia e l’alta sovranità su tutti i Principi latini; Venezia ebbe un quartiere sul Corno d’Oro, Gallipoli, Rodosto ed Eraclea, un gran numero di isole minori dell’Egeo e dell’Jonio fra cui Creta, territori in Morea e Acarnania e la Dalmazia così fondando un enorme Impero coloniale in danno di Genovesi e Pisani; il Marchese Bonifacio del Monferrato ebbe col titolo di Re Salonicco e la Macedonia; gli altri Crociati si spartirono territori asiatici ed europei.

L’Impero Latino d’Oriente visse poco più di mezzo secolo ed ebbe una ingloriosa storia, malgrado si proponesse di dirigere il movimento crociato e contrastare l’Islamismo: rinnovata la guerra con i Bulgari, infatti, Baldovino fu sconfitto e preso prigioniero ad Adrianopoli dallo Zar Calojanno il 14 aprile del 1205.

Ma l’Impero Bizantino era veramente finito?

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Bibliografia
G. Ostrogorsky: Storia dell’Impero bizantino
G. Ravegnani: I Bizantini in Italia
J. J. Norwich: Bisanzio
G. Herm: I bizantini

Ornella Mariani

Ornella Mariani, sannita. Negli anni scorsi: Opinionista e controfondista di prima pagina e curatore di Terza Pagina per testate nazionali; autore di saggi, studi e ricerche sulla Questione Meridionale. Ha pubblicato saggi economici vari e:
Pironti, Per rabbia e per amore
Pironti, E così sia
Bastogi, Viaggio nell’ entroterra della disperazione
Controcorrente Editore, Federico II di Hohenstaufen
Adda Editore, Morte di un eretico (dramma in due atti)
Siciliano Editore, La storia negata
Mefite Editore, Matilde (dramma in due atti)
Mefite Editore, Donne nella storia

Collaborazione a siti vari di storia medievale. Ha in corso l’incarico di coordinatore per una Storia di Benevento in due volumi, (720 pagine) commissionata dall’Ente Comune di Benevento e diretta dal Prof. Enrico Cuozzo.

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