
di Ornella Mariani.
La Rinascita
Dopo il drammatico sacco, benedetto e legittimato da Innocenzo III, i Latini non poterono occupare tutti i territori d’Oriente e un gruppo di abili e audaci Sovrani garantì l’indipendenza ai rifugiati, istituendo piccoli Stati ubicati fra Europa ed Asia: l’Impero di Nicea, durato fino al 1261; la Despotìa d’Epiro; il Regno di Trebisonda.
Nel 1204 il Basileus Alessio V era fuggito in Tracia e Costantino XI Lascaris, nipote di Alessio III, proclamato Imperatore aveva unito le vecchie Province asiatiche e rimesso insieme brandelli di una realtà politica la cui guida, alla sua morte, fu assunta dal fratello Teodoro I. Incoronato nel 1208 con l’appoggio bulgaro, che gli consentì di consolidare il dominio della Bitinia e di fronteggiare i Latini, si alleò con Leone II Re d’Armenia contro il Sultanato d’Iconio e tentò senza successo di recuperare Costantinopoli nel 1211.
Egli fu un eccellente e pragmatico uomo di guerra e rese Nicea referente del Senato, dell’Aristocrazia bizantina e dei Dignitari laici ed ecclesiastici di Costantinopoli. Nel 1206 tenne testa a due tentativi occidentali di detronizzarlo ma, riunito nella Cattedra della nuova capitale, l’Episcopato lo legittimò ed egli designò un nuovo Patriarca di Costantinopoli; nel 1219, riconciliatosi con i Latini, sposò la figlia dell’ Imperatrice latina Yolanda di Fiandra ed infine promise ai Greci il rilancio delle consuetudini orientali. Pur sconfitto a Poemanenum e a Bursa, infatti, recuperò gran parte dell’Anatolia Nord/occidentale mentre Baldovino I era costretto a difendersi da un’invasione di Kaloyan di Bulgaria.
Alla sua morte, nel 1222, alla guida dell’Impero niceno, ormai prima e solidissima potenza dell’Asia Minore da un punto di vista militare e politico, subentrò Giovanni III Ducas Vatatzes, in prime nozze coniugato ad Irene, figlia del predecessore. Con condotta energica ed illuminata, egli sanò le Finanze attraverso entrate regolari garantite da provvida difesa delle frontiere; efficace legislazione; incisivo potenziamento dell’ agricoltura e del commercio. Nel 1225 sconfisse a Poimanenon i pretendenti Latini al suo trono ed occupò, con Adrianopoli, molti dei loro possedimenti dell’Asia Minore in danno degli interessi veneziani. Spostato il suo interesse in Europa; presa Gallipoli e coalizzatosi con i Bulgari e gli Epiroti, nel 1235 cinse d’assedio Costantinopoli con l’ambizione di ricostruire l’antico Impero bizantino. Gli attacchi, tuttavia, fallirono per l’intervento congiunto di Genovesi, Pisani e Veneziani a favore di Baldovino II. Nel 1245, strinse rapporti con il S.R.I. sposando in seconde nozze Costanza, diletta figlia di Federico II. Parallelamente negoziò con Innocenzo IV la riconquista della vecchia capitale. Nel 1246, liberato dalla minaccia dei Turchi dall’ invasione dei Mongoli che li annientarono, intervenne in Epiro e prese Tessalonica conseguendo rilevanti successi anche in Macedonia ed in Tracia ed ampliando, grazie al sostegno di Ivan Asen II, la propria influenza anche nell’Egeo. Nel 1248, infine, affrancatosi dell’ngerenza dei Bulgari, circondò l’Impero Latino combattendolo fino alla morte.
Nel 1254, il controverso figlio Teodoro II Lascaris, stroncato a trentasei anni da una grave forma di epilessia e titolare di una solida eredità politico/economica, pur contrastando con successo i Bulgari in Tracia e sottraendo Durazzo e varie terre albanesi e macedoni al Despota d’Epiro Michele II e, pur rendendo la sua Corte un pregevole ed attivo centro di studi, avviò un duro regime autoritario e, malgrado la protezione del patriarca Arsenio, perse gran parte delle conquiste paterne; si alienò il favore dell’Aristocrazia e compromise irreversibilmente la successione.
Indifferente all’esigenza dell’Impero di un referente autorevole e credibile, contro la minaccia espressa da Manfredi di Sicilia che, occupate Durazzo e Corfù, aveva sottoscritto accordi di lunga durata col Despota d’Epiro Michele II e col Principe franco d’Acaia Guglielmo II di Villehardouin, egli aveva indicato alla Reggenza il Ministro/favorito Giorgio Muzalon. A nove giorni dall’insediamento del giovane Giovanni IV, costui fu assassinato e, nel 1259, una sommossa spianò la via al Generale Michele VIII Paleologo che, impostosi co/Imperatore e tutore del sedicenne Sovrano, lo fece accecare e confinare in convento.
Nella decisiva battaglia di Pelagonia, del settembre del 1259, suo fratello Giovanni Paleologo sconfisse duramente le truppe del Sovrano di Sicilia e prese prigioniero lo stesso Guglielmo II di Villehardouin. Malgrado la vittoria, Michele VIII comprese che l’ambìto ampliamento dei domini niceni esigeva enormi mezzi economici e militari per condizionare il ricompattamento dei nemici: i Latini; il Re di Sicilia; il Papato, più che mai determinato a restaurare il Patriarcato cattolico; i cugini greci di Occidente con i Regni dell’Epiro e di Tessaglia; i Veneziani, sparsi nell’Egeo; i Regni balcanici serbi e bulgari.
In mancanza di concrete risorse, si affidò ad una equilibrata politica diplomatica: opposti ai Veneziani i Genovesi, con essi concludendo il 31 marzo del 1261 il Trattato di Ninfeo, guardò all’Impero Latino di Costantinopoli ridotto ad un territorio limitrofo alla stessa città; fissò attenzione al peso espresso dalla Chiesa Romana sullo scenario internazionale; prese contatto con Urbano IV prospettandogli l’unificazione delle Chiese e, nel giugno del 1261, marciò sulla vecchia capitale, con un colpo di mano da essa spazzando i Latini; mettendo a fuoco lo storico quartiere veneziano; cacciando Baldovino e, sull’onda dell’ entusiasmo popolare, facendosi solennemente incoronare secondo rito bizantino a santa Sofia.
L’Impero d’Oriente, così restaurato, abbracciava solo una parte degli antichi possedimenti: in Europa, la Tracia con Adrianopoli e Selmbria, parte della Macedonia con Salonicco, la penisola calcidica e quella di Gallipoli, alcune isole dell’Egeo; in Asia, l’Anatolia occidentale. Venezia, invece, manteneva il possesso di Albania e Morea e parte delle isole dell’Egeo, alcune delle quali ricaddero sotto il controllo dei Genovesi che si insediarono nei sobborghi della capitale a Galata e a Pera e presero Lesbo e Chio, fondando ricche colonie sul mar Nero. Sussistevano, ancora in Europa, la Despotìa d’Epiro con capitale a Gianina; il Ducato di Atene; il Ducato di Neopatra o Principato della Grande Valacchia; in Asia, il Regno di Trebisonda e il Sultanato di Iconio. In sostanza, al suo interno l’edificio imperiale non disponeva più della sicurezza di un tempo e la popolazione era indebolita e disgregata da etnìe slave, bulgare, valacchie afflitte dal degrado economico, poiché i vecchi centri di florido commercio erano controllati dalle Repubbliche italiane.
In definitiva la restaurazione geografica, rischiando di non corrispondere ad un’adeguata rinascita politica, spianò la via all’ineluttabilità del declino.
Il Papa inizialmente aveva sostenuto il dominio franco in Grecia censurando l’accordo genovese/bizantino; ma, pur di sabotare Manfredi, ricambiò l’interesse di Michele anche se non in direzione a lui favorevole.
Verso la fine del 1261, intanto, Guglielmo di Villehardouin fu liberato; riprese il potere in Acaia previo giuramento di fedeltà all’Imperatore bizantino; revocò tale impegno col conforto della Chiesa romana ed ottenne l’appoggio di Venezia, risentita dal crollo dei suoi affari commerciali.
Inevitabile fu la guerra.
Dopo la prima e inefficace offensiva bizantina, i malpagati mercenari disertarono causando alla flotta genovese una cocente disfatta nella primavera del 1263, nel golfo di Napaulia. L’evento indusse il Basileus a disimpegnare i Liguri e a riaprire negoziati con i Veneziani cui, il 18 giugno del 1265, un accordo riconfermò i privilegi fruiti in passato. Ma il Senato veneto non ratificò l’atto, costringendo Michele nel 1267 a rilanciare l’alleanza con Genova che, pur ancora battuta a Taranto, accettò di buon grado previo riconoscimento della base di Galata.
La circostanza, nel 1268, orientò i Veneti al recupero della vecchia proposta sprezzante della pur pretesa esclusione della città marinara rivale. Il duplice impegno con le due Repubbliche permise alla Corona di sfruttarne l’antagonismo ma, per converso, indebolì la consistenza della Marina bizantina.
In Occidente, intanto, Carlo I d’Angiò era stato investito del Regno di Sicilia; aveva liquidato Manfredi a Benevento, il 26 febbraio del 1266; col consenso di Clemente IV a Viterbo il 27 marzo dell’anno successivo aveva concluso un’intesa con lo spodestato Imperatore Latino Baldovino II, col quale fissò un piano di conquista dell’Impero bizantino, garantito dall’alleanza di Serbi, Bulgari e di Guglielmo II di Villehardouin.
Per guadagnare tempo, Michele aveva appena accettato l’invito di Clemente IV a riunificare le due Chiese, quando costui si spense. Insperatamente si fece avanti un formidabile alleato: Luigi IX, che nell’ estate del 1270 condizionò i progetti espansivi del fratello coinvolgendolo nella Crociata contro Tunisi.
Nel settembre del 1271, al soglio pietrino ascese Gregorio X, acceso sostenitore della ricucitura dello strappo fra Chiese. Nel frattempo, il Basileus fece sposare l’erede Andronico alla figlia del Re d’Ungheria; dette in moglie al Gran Khane Nogai la figlia illegittima Eufrosina e concesse allo Zar Costantino di Bulgaria la nipote Maria, sicchè quando nel 1272, a causa del possesso delle roccaforti di Anchialo e Mesembria sul mar Nero, i Bulgari fecero irruzione nel territorio bizantino, i Tartari dell’Orda d’Oro li misero in fuga.
Il Pontefice, intanto, mirando a velocizzare la soluzione del nodo scismatico, esortò i Veneziani a non rinnovare patti con i Bizantini e favorì la fitta attività negoziale di Carlo d’Angiò nei Balcani. La pressione portò all’auspicato risultato: pur contro il parere della sua Chiesa, nel 1273 l’allarmato Michele persuase parte degli Ortodossi ad accettare l’atto stilato nel Concilio di Lione del 6 luglio del 1274, ove veniva sancita la supremazia del Papa e della sua fede. In cambio egli otteneva un armistizio biennale col quale Carlo d’Angiò rinunciava a velleità egemoni. Anche Venezia, infine, nel marzo del 1275 rinnovò gli impegni contratti con Costantinopoli.
In definitiva, per paralizzare l’offensiva vittoriosa dell’Angiò in Epiro, il Basileus aveva dovuto subìre l’asserita superiorità romana a condizione che i Latini non appoggiassero il Sovrano di Sicilia, già alleato di Venezia, dei Bulgari e dei Serbi. Il pedaggio pagato a questa scelta fu drammatico: una pesante crisi politica interna coinvolse il Patriarca Arsenio Autoreianus che lo scomunicò per aver fatto accecare l’Imperatore legittimo Giovanni Lascaris.
Il nuovo Primate Giuseppe I Galesiotes fu altrettanto deciso nel respingere i termini conciliari, rendendo necessaria una ulteriore e violenta sostituzione con Giovanni XI Bekkos.
I sudditi insorsero.
Nel frattempo, morto Gregorio X, a Roma il rafforzamento del potere angioino sfasciò il precario sodalizio romano/bizantino: l’elezione del francese Martino IV nel 1281 fece del Papa uno strumento utile agli interessi di Carlo d’Angiò. L’uno, infatti, imputando all’ambiguità di Michele il fallimento della riunione fra Ortodossi e Latini, condannò come scismatico l’accordo conciliare del 1274 e rinnovò la Crociata; l’altro concluse ad Orvieto un trattato per la restaurazione dell’impero romano usurpato sotto la guida di Filippo, figlio di Baldovino II; tutte le potenze occidentali e balcaniche, infine, si coalizzarono contro il Basileus cominciando con l’occupare Skopje.
Al Sovrano non restò che allearsi con l’Imperatore di Trebisonda Giovanni II Comneno, cui dette in sposa una figlia, mentre l’Angioino riprendeva quella minacciosa offensiva provvidenzialmente interrotta dai Vespri Siciliani: il 31 marzo del 1282 esplose l’insurrezione palermitana, finanziata dai Bizantini d’intesa con Pietro III d’Aragona. Nello stesso anno, al trono bizantino indebolito anche dalle lacerazioni con Genova e Venezia, ascese Andronico II Paleologo, sotto il cui governo crebbe nei Balcani la potenza serba e in Asia quella turca di Otman I, fondatore dell’Impero ottomano con capitale a Brussa.
Da quel momento, Costantinopoli non avrebbe più prodotto gli Imperatori vigorosi e carismatici che avevano arricchito la storia del passato!
Figlio di Michele VIII e di Teodora Ducas, il nuovo Sovrano contrastò senza successo i Turchi dilagati in Asia Minore, dopo il tradimento dei catalani Almogavari che, ingaggiati proprio contro costoro, concorsero alla devastazione di molte regioni dell’Impero. Nel 1295, associò al trono il figlio Michele IX. Dopo un paio di lustri di guerra civile, tuttavia, la morte stroncò il giovane e presto, malgrado gli sforzi di Giovanni Cantacuzeno e di Alessio Apocauco, l’Impero andò in rovina perdendo l’influenza politica e commerciale nel Mediterraneo a causa dello strapotere delle Repubbliche marinare e di un oppressivo sistema fiscale. L’indebolimento istituzionale favorì una serie di conquiste ottomane in Asia Minore: nel 1326 cadde Brussa, nel 1331 Nicea, nel 1337 Nicomedia e, pur fatti valere diritti sull’Epiro e recuperata la Tessaglia, il Basileus fu messo in ginocchio dai Serbi. Infine, benché avesse con successo riformato l’ordinamento giudiziario e favorito la rinascita letteraria ed artistica affidando la politica interna ai Ministri Teodoro Muzalone e Teodoro Metochito, non riuscì a sanare la frattura con la Chiesa di Roma né a prevenire lo scisma arsenita: dopo una decennale guerra civile, fu soverchiato dal nipote Andronico III e confinato in un convento, ove si spense nel 1341.
Al successore toccarono le più cocenti disfatte di quel periodo, per mano del Re serbo Stefano Duscian. Figlio di Michele IX, egli combatté vigorosamente Bulgari e Serbi ma non seppe opporsi ai Turchi che gli sottrassero Nicea e Nicomedia. Dette, tuttavia, impulso ai cantieri navali; avversò la pirateria navale; sottrasse l’isola di Chio ai potenti genovesi Zaccaria; riaffermò il suo dominio su Lesbo e Focea; tentò col Papato un riavvicinamento vanificato dallo scisma degli esicasti.
Gli successe il novenne Giovanni V Paleologo, asceso al trono nella cornice degli intrighi accesi dall’ Imperatrice/madre Anna: l’Impero crollò definitivamente, poiché la regione balcanica venne perduta a vantaggio dei Bulgari; i Turchi conquistarono Gallipoli, assicurandosi il controllo dei Dardanelli; la capitale turca fu spostata ad Adrianopoli, con grave pregiudizio degli interessi di Costantinopoli.
Il co/Imperatore Giovanni Cantazuzeno, esicasta ed incline all’Aristocrazia, entrò in aperto conflitto con la Reggente che sosteneva l’Ortodossia; riorganizzò l’Impero sulla base dell’esercizio collettivo della sovranità da parte della Dinastia; fu costretto a cedere ai Genovesi Selymbria ed Eraclea e, dal 1351, affrontò una nuova guerra civile contro Giovanni V che, pretendendo di governare in autonomia, occupò Adrianopoli ma fu battuto e messo in fuga dai Turchi Osmanli. A quel punto, l’usurpatore associò al trono il proprio primogenito Matteo mentre gli Osmanli, avvantaggiati dalle posizioni conquistate, prendevano Gallipoli. L’anarchia fu risolta alla fine del 1354 quando, con un colpo di mano, Francesco Gattilusio assegnò Costantinopoli a Giovanni V ed obbligò Cantacuzeno a ritirarsi in un monastero a Mistra.
Fra il 1369 ed il 1371, il Basileus si rivolse a Roma e Venezia per una Crociata antiturca: la barattò con la riunificazione delle Chiese, ma alla fine accettò di rendersi tributario dei Sultani Murad I e Bajezid I.
Dopo un ventennio di instabilità, nel 1391 Giovanni V si spense e nel torbido quadro della successione, s’inserì il figlio Manuele II, associato fin dal 1379: coniugato ad Elena Dragasˇ, per l’intera durata del mandato egli tentò di salvare i resti dell’Impero che l’inarrestabile avanzata turca aveva ridotto a Costantinopoli ed alla Morea; riuscì a difendere il trono dalle rivendicazioni del nipote Giovanni VII, cui affidò la capitale dopo il quinquennale assedio cui la sottopose Bajezid I; si imbarcò verso l’Occidente per sensibilizzare le Monarchie di Inghilterra, Francia, S.R.I. ed Aragona sul problema ottomano.
Nel frattempo la crociata anti-turca di Sigismondo di Lussemburgo fallì in conseguenza dell’infausto esito della Battaglia di Nicopoli del 25 settembre del 1396: gli Ottomani tennero così il fronte occidentale, ma furono solennemente battuti da Tamerlano nella Battaglia di Ankara del 1402.
Nel perdurare dell’interregno causato dalle lotte per la successione fra i figli di Bajezid I, a Giovanni VII fu possibile recuperare la fascia europea del mar di Marmara e di Tessalonica sicché, tornato in Oriente nel 1403, Manuele lo ricompensò nominandolo Governatore di Tessalonica. Nello stesso periodo, furono potenziate le difese della Despotìa di Morea, ove fu eretta in difesa del Peloponneso la muraglia Hexamilion. Tuttavia, nel 1422, Murad II condusse un nuovo assalto contro Costantinopoli.
Da quel momento, Manuele si sfiduciò; prese a trascurare i suoi impegni istituzionali delegandoli al figlio e nel 1424 accettò un trattato col quale s’impegnava a pagare un tributo annuo ai Turchi.
Il 21 luglio del 1425 si spense e Giovanni VIII guidò il governo per ventitrè anni, battendosi strenuamente in difesa di Costantinopoli; ma i suoi progetti fallirono ed il successore ereditò una situazione disperata.
Ultimo Imperatore d’Oriente, Costantino XI Dragazes era stato designato Reggente della Morea nel novembre del 1423. Quando Giovanni era andato in Italia ed Ungheria per cercare aiuti contro gli Ottomani, aveva stipulato un trattato di pace con Murad II e, investito della Despotìa, aveva avuto il controllo della costa del mar Nero e dell’Acaia, in mano occidentale dalla quarta Crociata.
Nel 1428 aveva sposato Maddalena, figlia di Leonardo Tocco spentasi a meno di un anno dalle nozze. L’evento non aveva condizionato i suoi piani di espansione: nel 1430 aveva preso Patrasso e la sua avanzata era stata fermata in Beozia da Turachan Bey. Tornato a Costantinopoli, aveva continuato ad esercitare la funzione di Reggente del fratello, impegnato in Occidente nel tentativo di riunificare le Chiese onde riceverne in cambio aiuti contro la valanga ottomana. Con la madre Elena aveva fatto fronte alle tensioni della popolazione, ostile all’iniziativa e, in più occasioni, aveva ancora sostituito Giovanni tornato in patria nel 1440, assai debilitato. Giunto in Morea per riassumere il controllo dei suoi territori, già vedovo, Costantino era passato a nuove nozze con Caterina, figlia di Dorino Gattilusio di Lesbo, ma il convoglio della sposa era stato attaccato dai Turchi di Murad e dalle truppe del cognato Demetrio Paleologo ad essi sodale nella speranza d’impadronirsi di Costantinopoli. L’assedio della città era stato respinto e Costantino era tornato in Morea, presto riconquistando l’Attica ma non riuscendo a prendere le veneziane Corone e Modone. Approfittando della temporanea vittoria cristiana contro i Turchi, aveva ancora tentato di espandersi, ma la sconfitta di Varna del 10 novembre del 1444 aveva consentito al Sultano Murad II di devastare la Morea, costringendolo ad accontentarsi dei territori residui.
Il 31 ottobre del 1448 Giovanni VIII si spense ed Elena Dragaš difese Costantinopoli dai tentativi di usurpazione di Demetrio: il 6 gennaio del 1449 a Mistra, Costantino XI fu incoronato Basileus dall’esercito, in assenza del Patriarca, e il 12 marzo successivo entrò nella capitale ove la madre gli consegnò le insegne e le chiavi delle tesorierie bizantine.
La situazione religiosa si manteneva critica: il Concilio di Firenze cui aveva partecipato Giovanni VIII aveva approvato l’unione delle Chiese, rimettendo l’Impero bizantino alla potestà spirituale del Papa; tuttavia, i sudditi rifiutavano la decisione.
All’epoca era Patriarca l’inviso Gregorio III il cui impegno di mediazione con Roma, degenerato nell’accusa di tradimento, gli valse l’esilio mentre al Sovrano non rstavano alternative per proteggere la capitale dall’affondo turco se non il ricorso al sostegno latino, subordinato proprio alla pacificazione.
La sua scelta fu pagata a caro prezzo: la ferma opposizione popolare impedì l’incoronazione ufficiale; nondimeno, insediatosi, impose dazi sulle merci nella convinzione di ripianare il debito pubblico inasprendo Venezia, alle cui proteste cedette quando la minaccia turca si fece concreta per la morte del sultano Murad II e la salita al trono del figlio Mehmet II, la politica del quale verso i Bizantini era vaga malgrado il rinnovo del trattato di pace già stipulato dal padre.
Diffidando di lui, Costantino inviò il Legato Leontari Briennio a Venezia, Ferrara e Roma per ottenere appoggi finanziari e militari; ma anche gli Occidentali restarono generici: Niccolò V assicurò il suo impegno previo immediato reintegro del Patriarca Gregorio III e snellimento procedurale per la controversa riunificazione. La sua cautela fu confermata nell’aprile del 1451, quando Mehmet II avviò la costruzione di una nuova fortezza contigua a Costantinopoli nel punto più stretto del Bosforo, così sorvegliando il passaggio di tutti i transiti ed effettuando violenti saccheggi culminati nel massacro di Epibation che provocò una massiccia insurrezione: il Sovrano ordinò l’arresto di tutti i Turchi risiedenti a Costantinopoli e la chiusura delle porte, prima di inviare due Ambascerie sollecitanti nel Sultano il rispetto del trattato vigente. Mehmet le liquidò seccamente e fece giustiziare una terza delegazione.
Il 31 agosto del 1451 Boghaz-Kesen fu completata: il Sultano poteva avviare il piano di perquisizione di tutte le navi in transito e l’isolamento della Morea.
Costantino allora rivolse pressanti appelli all’Europa sollecitando l’arrivo del Cardinale Isidoro di Kiev: venerdì 12 dicembre del 1452 a santa Sofia, fu solennemente proclamata l’unione della Chiesa d’Oriente con la Chiesa d’Occidente così attuando le risoluzioni proposte da Giovanni VIII nel Concilio di Firenze.
La città reagì con violenti torbidi, pur nell’ansia di un imminente attacco ottomano al quale l’Imperatore oppose il rafforzamento delle mura e il blocco delle navi occidentali nei porti, mirando ad indurre i Veneziani a pretendere l’aiuto della madrepatria.
Imperturbabili, i Turchi nel marzo del 1453 a Gallipoli, radunarono una enorme flotta: duecentocinquanta unità si schierarono di fronte alla capitale bizantina, mentre un’armata terrestre di circa centomila uomini fra cui ventimila bashi-bazouk si attestò avanti alla città dalla parte di terra.
Mehmet II disponeva di un enorme cannone costruito dal tedesco Urban ed in grado di sparare proiettili di sei quintali dalla distanza di un chilometro e mezzo, ogni novanta minuti.
Il 5 aprile egli inviò un asciutto ultimatum ai residenti: o la resa, o la morte.
Costantino non rispose.
Nelle prime ore del 6, fu aperto il fuoco ma tutta la popolazione era già impegnata sotto le mura per tamponarvi le crepe e apprezzabile fu l’impegno del governatore del quartiere veneziano Girolamo Minotto. In rada v’erano imbarcazioni provenienti da Galata e dalla Repubblica di Genova e due galere con settecento volontari dell’esercito privato di Giovanni Giustiniani Longo, esperto in Poliorcetica. In definitiva, Costantino disponeva di dieci navi bizantine, otto veneziane, cinque genovesi, una anconetana, una catalana ed una provenzale; cinquemila soldati e poco più di duemila Latini: decisamente esigue risorse, per far fronte alle tante decine di migliaia di Ottomani. Di fatto, la mattina del 6 aprile tutti erano ai posti di combattimento sotto la sua guida, a difesa della parte più vulnerabile delle mura.
Il Sultano aprì i bombardamenti dal lato di terra con una violenza terrificante: a sera, era stata demolita gran parte delle fortificazioni di Porta Carsio, malgrado le brecce fossero state sistematicamente ricomposte. Mehmet II sospese, allora, l’assedio ed attese l’arrivo di rinforzi che giunsero l’11 aprile, nel numero di ulteriori cinquantamila uomini.
In quelle drammatiche e convulse ore, dall’Ellesponto comparvero tre navi genovesi di Niccolò V e un natante da trasporto carico di grano, dono di Alfonso d’Aragona.
Dopo un mese di eroica resistenza, Costantino ebbe coscienza che la fine era vicina. Tuttavia neppure prese in considerazione le pressioni dei Ministri che lo scongiuravano d’abbandonare la capitale e salvarsi.
Il 26 maggio Mehmet II riunì il Consiglio di Guerra e fissò al 29 successivo l’affondo finale.
Nell’occasione il Basileus arringò i suoi, investendoli della difesa dell’onore cristiano.
Greci e Latini accantonarono le antiche ruggini e fecero devotamente sfilare le icone più venerate: egli ad esse raccomandò i sudditi e poi si disse pronto al sacrificio della vita in difesa dei valori della fede, della patria, della famiglia, contando sul Dio comune per la salvezza della città e dei suoi abitanti. A santa Sofia fu celebrata l’ultima liturgia cristiana e certamente la più dolorosa della storia dell’Impero bizantino.
Nella notte, assieme al fedele Girogio Sphrantzes il Sovrano ispezionò per l’ultima volta le mura.
Puntuale, nella livida alba fissata, Mehmet II diede l’ordine di attaccare: le campane delle chiese presero a suonare per avvertire dell’inizio della fase finale: per due ore e mezza i bashi-bazouk implacabilmente imperversarono; poi fu impegnata una seconda schiera, che Costantino riuscì ad annientare.
Gli ultimi ad intervenire furono i Giannizzeri: da quel momento, per i Bizantini non ci furono più speranze. Il Capitano Giovanni Giustiniani Longo fu ferito e gran parte dei combattenti si dette alla fuga ma, rincorsi e accerchiati, furono sterminati.
Il Basileus cadde eroicamente lottando: Mehmet ne fece seppellire le spoglie in una fossa comune per evitarne la venerazione ma memoria indiscussa della sua leggendaria figura resta testimoniata nella statua di fronte alla cattedrale di Atene ed in quella ubicata a Mistra.
La sua tragica fine in battaglia, assurta a simbolo della lotta della Cristianità contro i Turchi, gli valse la definizione di martire e la santificazione della Chiesa Ortodossa.
L’Impero di Costantinopoli era annegato nel suo sangue, confuso a quello di migliaia di sconosciuti eroi.
Bibliografia
G. Ostrogorsky: Storia dell’Impero bizantino
G. Ravegnani: I Bizantini in Italia
J. J. Norwich: Bisanzio
G. Herm: I bizantini
Ornella Mariani, sannita. Negli anni scorsi: Opinionista e controfondista di prima pagina e curatore di Terza Pagina per testate nazionali; autore di saggi, studi e ricerche sulla Questione Meridionale. Ha pubblicato saggi economici vari e:
Pironti, Per rabbia e per amore
Pironti, E così sia
Bastogi, Viaggio nell’ entroterra della disperazione
Controcorrente Editore, Federico II di Hohenstaufen
Adda Editore, Morte di un eretico (dramma in due atti)
Siciliano Editore, La storia negata
Mefite Editore, Matilde (dramma in due atti)
Mefite Editore, Donne nella storia
Collaborazione a siti vari di storia medievale. Ha in corso l’incarico di coordinatore per una Storia di Benevento in due volumi, (720 pagine) commissionata dall’Ente Comune di Benevento e diretta dal Prof. Enrico Cuozzo.