
di Ornella Mariani.
Sul finire del IV secolo, dalla pianura olandese segata dal Sala, i Salii migrarono verso la Gallia ove il merovingio Clodoveo, convertito al Dio di Clotilde,- come egli amava definire la religione abbracciata dalla moglie- fu protagonista di una serie di imprese: nel 488 sconfisse il generale romano Siagro; nel 500 i Burgundi; nel 506 gli Alemanni; nel 507 i Visigoti, fino ad impadronirsi dei territori dei Ripuari, stanziali lungo le rive del Reno, e fino a creare un enorme Regno europeo cristiano, rendendo i Franchi il più potente Popolo barbaro del Medio Evo.
Alla sua morte, nel 511, l’assenza di personaggi di spessore, indebolì la dinastia merovingia a vantaggio degli intriganti Maestri di Palazzo, o Maggiordomi, tanto più attivi quanto più fannulloni i loro Sovrani: deposto Childerico III, fra il 752 e l’888 la guida di quelle genti fu assunta dalla stirpe carolina, le cui origini storiche sembrano far capo ad Arnolfo Vescovo di Metz ed ai suoi discendenti: Pipino I il vecchio, di fatto eminenza grigia della itinerante corona; Pipino II di Héristal, Carlo Martello, Pipino III il Breve, Carlo Magno.
Proprio sotto Pipino II di Héristal, Maggiordomo d’Austrasia, il potere della monarchia si consolidò e con la vittoria conseguita a Testry nel 687 egli, divenuto anche Maggiordomo di Neustria, assunse il titolo di Dux Francorum.
Al governo gli successe il figlio Carlo Martello, consegnato alla storia dal grandioso successo riportato nella battaglia contro gli Arabi a Poitiers, nel 732. Gli subentrò nel 741 Pipino III il Breve, riconosciuto Sovrano di diritto da Papa Zaccaria e, alla sua morte, nel 768, il Regno fu diviso fra i figli Carlo e Carlomanno.
Il primo, con un colpo di mano, prese il potere e fondò in Occidente un Impero enorme e potente che la nemesi volle smembrato dai suoi discendenti, poiché egli: Re di Neustria; Re di Borgogna; Re dei Franchi; Imperatore del Sacro Romano Impero; simbolo dell’omogeneità cristiana europea, pur nella sua lungimiranza, cadde in clamorose sviste politiche: non previde che la vastità stessa dei suoi domini sarebbe stata causa della disgregazione politica e territoriale; né percepì che, seppure la consacrazione papale aveva conferito forza e legittimità al suo ruolo, la feudalità piegata ai fini amministrativi e militari dello Stato se ne era posta come forza centrifuga e fattore di dissoluzione. L’insorgenza di gruppi nazionalisti e l’esigenza diffusa di autonomia finirono, infatti, col frantumare l’unità imperiale, fino ad implicare il declino anche dell’auspicato progetto di unificazione italiana: i mediocri successori di Carlomagno, smarriti in annose faide familiari, non riuscirono a conciliare la tradizione germanica della monarchia franca con la tradizione romana dell’unità imperiale e storicizzarono il disagio già latente quando egli stesso, deceduti Carlo e Pipino e designato alla successione il terzogenito Ludovico il Pio, unto Re d’Aquitania a Roma all’età di due anni da Papa Adriano e incoronato a Reims da Papa Stefano IV, affidò il governo dell’Italia: una realtà pressoché autonoma, al nipote Bernardo.
L’ingloriosa caduta della dinastia cominciò proprio con Ludovico: sopravvissuto ai germani e restato unico erede, nell’813 era stato convocato in Aquisgrana ed investito della successione dal padre morente e col consenso dei Grandi laici ed ecclesiastici.
In quel periodo l’intero territorio, scompigliato da una Aristocrazia sempre più spavalda ed insofferente all’autorità centrale e squassato da forti elementi di attrito fra l’Oriente germanico ed l’Occidente romanizzato, era stretto nella morsa delle minacce quasi da ogni lato delle sue frontiere: dai Saraceni a Sud, dai Normanni a Nord, dagli Slavi ad Est.
Malgrado si manifestasse arrendevole, mite, influenzabile e tollerante anche in materia religiosa, Ludovico era privo di carattere, bigotto, ipocrita, feroce, codardo ed incapace di controllare quel groviglio politico: la sua inammissibile subordinazione anche al Clero minore, non solo aveva suscitato lo sprezzo del Papa, ma aveva provocato una montante tracotanza episcopale, ribaltando i rapporti fra Curia Romana ed Impero ed evidenziando l’ambiguità sulla quale esso era stato artificiosamente costruito: Carlomagno avrebbe dovuto, nella continuità della tradizione imperiale romana, essere Sovrano di Roma e, come tale, Sovrano temporale anche del Pontefice che lo aveva, per converso, consacrato nella dignità, con tale atto autovocandosi alla funzione di dispensatore del seggio imperiale.
La contraddizione dei ruoli, fra Papato ed Impero, ora denunciava l’insorgenza di un conflitto dall’ esito annunciato, per il supremo governo della società. Così, una lunga, tormentata e turbolenta stagione fece da sfondo ai governi che, succedutisi fino a Lotario, segnarono il tracollo della tradizione carolingia, appannando la memoria dell’ultimo Cesare del periodo delle grandi invasioni e del Sovrano che aveva eccitato la fantasia popolare, incarnando l’archètipo dell’eroe dotato di forze e poteri sovrannaturali cui, per una paradossale ironia della sorte, era subentrato il meno capace dei figli: le Débonnaire.
I suoi primi anni di governo furono impegnati nel programma di riordino degli uffici di Corte. In quell’ambito, egli espulse dal Palazzo tutti i figli illegittimi del padre; relegò la sorella Gisela, accusata di scarsa moralità, in un convento; riformò l’ordine pubblico ed ecclesiastico; combatté i Bretoni che si sottraevano al pagamento dei dovuti tributi; nello zelo paranoico della confessione, vietò anche già solo di leggere gli antichi canti germanici; fece bruciare le Canzoni delle Gesta rispettosamente raccolte dal genitore; sostituì saggi e letterati con cortigiani a vario titolo; istituì la brutale pratica di accecamento dei nemici, suscitando anche nei figli sentimenti di avversione, di ripulsa e di orrore.
Nell’817, convocata una Dieta ad Aquisgrana, associò all’Impero e designò alla successione l’intrigante primogenito Lotario e, in quella sede, nel rispetto dei princìpi dell’Ordinatio Imperii ispirati al mantenimento dell’unità imperiale, distribuì il patrimonio: al secondogenito Pipino assegnò il Regno d’Aquitania e al terzogenito Ludovico il Germanico il Regno di Baviera, disponendo che entrambi restassero sotto la sua Alta Sovranità.
La decisione, stridendo con la consuetudine franca di dividere i beni in parti uguali fra eredi maschi, tanto più che in quel caso la pluralità di Regni minacciava l’unità religiosa, scontentò il nipote Bernardo, figlio di Pipino, la cui ribellione fu sedata con la condanna a morte commutata in accecamento, grazie ad un atto di clemenza finale. Nondimeno, l’intervento fu condotto in forma tanto barbara da causare il decesso del giovane.
Era l’818: già vedovo di Ermengarda, in quell’anno Ludovico contrasse matrimonio con l’energica ed ambiziosa Giuditta dei Welf, che lo rese padre di Carlo il Calvo. Mirando ad assicurare al figlio una parte della cospicua eredità, ella indusse il coniuge, dedito ad attività penitenziali ed espiatorie per i rimorsi suscitatigli dalla drammatica fine del nipote, alla modifica delle precedenti disposizioni: con consistente erosione del patrimonio già assegnato a Lotario, egli riconobbe al nuovo erede la titolarità di parte dell’Alemannia, dell’Alsazia e della Borgogna.
La reazione del primogenito fu durissima: per vendicare l’esproprio, nell’822 ottenne da un sinodo ecclesiale riunito a Compiègne l’internamento di Giuditta in un convento e la condanna del padre alla penitenza canonica, da espiarsi a Soissons.
L’atto consegnò il Regno ad un insostenibile clima di rivolte e la contrapposizione ereditaria favorì una catastrofica guerra civile a carattere dinastico e politico.
A margine di tali intricate e velenose manovre, intanto, era deceduto Papa Stefano V e mentre il successore Pasquale I, nell’annunciare la propria elezione chiedeva a Ludovico, costretto in isolamento, la conferma delle donazioni a suo tempo fatte alla Chiesa da Carlo Magno, a tutti gli effetti titolare dell’Impero, Lotario si fece incoronare.
Nell’823, il suo tentativo di restaurare l’autorità imperiale su Roma indusse la popolazione ad una violenta ribellione. Solo dopo l’elezione di Eugenio II al soglio pontificio, egli poté promulgare la Constitutio Romana subordinante la consacrazione papale al giuramento di fedeltà all’Imperatore.
Il nuovo pontefice se ne sentì ridotto e nell’829, sostenuto da vecchi cortigiani di Carlomagno e di gran parte dell’Episcopato ostile a Lotario, si scagliò contro il provvedimento ed avviò un tenace clima di disordini.
Era la guerra civile.
Nel trascinarsi della turbolenza politico/familiare coinvolgente padre, figli e fratelli, s’erano intanto avvicendati Valentino, per un breve pontificato, e Gregorio IV, che si propose arbitro di pace. La mediazione si rivelò insufficiente ed il drammatico sforzo di Ludovico di recuperare l’autorità negatagli si risolse in una disfatta, a causa della defezione dei Leudi, ovvero i Grandi del Regno.
Nell’833, riuniti nella pianura dell’alsaziana Kolmar, da allora indicata col nome di Lugenfeld, o campo della menzogna, coalizzati attorno agli interessi di Lotario anche i fratelli Pipino e Ludovico il Germanico e persuasa parte dell’esercito ad abbandonare la causa del vecchio Sovrano, i ribelli ne dichiararono la definitiva decadenza.
Ludovico, di fatto espulso dalla scena politica, era rincuorato dall’aver avute salve le vite di Giuditta e del prediletto Carlo; ma l’usurpazione subìta non fu premiata e l’umiliazione inflittagli produsse una serie di effetti: indusse i sudditi a schierarsi in suo favore; alienò a Lotario l’attenzione della Curia Romana; ingenerò in Ludovico il Germanico, il sospetto che il fratello maggiore mirasse ad impadronirsi dell’intero patrimonio, defuaudando i germani dei loro diritti; causò, in conseguenza di tale valutazione, la comune decisione di difendere quel padre che essi stessi avevano contribuito a mortificare, restituendogli la pienezza dell’autorità.
Quando il Pio fu reintegrato, allo sconfitto Lotario restò solo da rinunciare al trono ed implorare il perdono, che gli fu concesso assieme al governo dell’Italia.
L’armonia familiare, per quanto precaria, era stata ristabilita.
Un nuovo sinodo convocato a Thionville, nel frattempo, revocò gli atti e le prescrizioni emanate contro il vecchio Imperatore che ora, forte del clima favorevole, poteva realizzare il programma utile a privilegiare il prediletto Carlo: smembrato il territorio e convocata un’assemblea a Quiérzy, lo proclamò Re della Neustria, della Rezia, della Germania e di parte dell’Austrasia e Burgundia.
L’avidità di Giuditta non era ancora soddisfatta e, a fronte della morte di Pipino già Re d’Aquitania, nell’838 ella pretese l’annessione al patrimonio del figlio anche di questa regione, sollevando la violenta reazione della popolazione insorta in difesa degli interessi di Pipino II, fratello del deceduto Bernardo. Peraltro, perdurando l’evidente interesse paterno per il solo ultimo figlio, Ludovico il Germanico e Lotario si coalizzarono ancora, costringendo il padre a porsi a capo di una spedizione militare punitiva.
Tuttavia, nel corso del viaggio, deviando dall’itinerario fissato per inseguire oltre il Reno il figlio omonimo, che sembrava più malleabile, l’Imperatore morì in un’isola del fiume presso Ingelheim.
Era il venti giugno dell’840: finalmente Lotario poteva avocare a sé le redini dell’intricata situazione e progettare la liquidazione dei rivali.
Deciso a scontrarsi prima col fratello, aprì trattative amichevoli con l’inviso fratellastro il quale, non fidandosi dell’insidiosa proposta di tregua, preferì schierarsi contro di lui accanto al Germanico: unite le loro forze, insieme essi piegarono le velleità e la doppiezza di Lotario che era intanto riuscito ad indurre i Sassoni a sollevarsi e che contemporaneamente si era alleato con i Normanni pagani, nel duplice intento di abbattere entrambi i parenti. Le sue ambizioni furono stroncate a Fontanetum, ove il venticinque giugno dell’841 i due alleati conseguirono una schiacciante vittoria, postasi a premessa di un nuovo piano di intese: il quattordici febbraio dell’842, in un incontro segreto, Carlo e Ludovico siglarono un’alleanza nota come Giuramento di Strasburgo: il più antico documento bilingue europeo.
L’uno lo pronunciò in lingua romanza, l’altro in lingua popolare germanica.
«…Pro Deo amur, et pro Christian poblo et nostro commun salvament, d’ist di in avant, in quant Deus savir et podir me dunat, si salvari eo cist meon fradre Karlo, et in aiudha et in cadhuna cosa, sicum om per dreit son fadra salvar dift. In o quid il mi altresì fazet, et ab Ludher nul plaid nunquam prindrai, qui meon fradre Karle, in damno sit…».
«…In Godes minna ind in thes christianes folches ind unser bedhero gehaltnissi, fon thesemo dage frammordes, so fram so mir Got geuuizci indi mahd furgibit, so haldih thesan minan bruodher, soso man mit rehtu sinan bruher scal, in thiu thaz er mig so sama duo, indi mit Ludheren in nohheiniu thing ne gegango, the, minan uuillon, imo ce scadhen uuerdhen …»
(Per amore di Dio e per la comune salvazione del popolo cristiano e nostra, da oggi in poi, finché Dio mi darà senno e forza, difenderò mio fratello Carlo qui presente, con l’aiuto materiale e in qualunque altra forma, com’è doveroso difendere il proprio fratello, a condizione che egli faccia altrettanto verso di me, e con Lotario non stringerò alcun accordo che, per mio volere, riesca a detrimento di mio fratello Carlo qui presente).
La solida intesa raggiunta dai due indusse nell’843 l’infido Lotario ad accettare la conclusione della annosa guerra familiare con un accordo che gettava le basi di Francia, Germania ed Italia, con precise autonomie politiche e territoriali.
Spazzando ogni testimonianza dei fasti carolini, nella piazzaforte francese di Verdun, ubicata ai margini della gola delle Ardenne nel Dipartimento della Mosa, Lotario, Carlo il Calvo e Ludovico il Germanico siglarono una pace consistente della sostanziale frantumazione dell’Impero e dettero vita a nuove realtà nazionali.
Dal Trattato restò escluso solo Pipino II: privato del Regno dell’Aquitania, ceduto a Carlo; spogliato dei legittimi beni; confinato in convento; fuggito; nuovamente arrestato, egli si spense nella fortezza di Senlis, ove fu tenuto alla catena fino alla morte.
Lotario mantenne il titolo di Imperatore con l’Italia e la zona della Gallia delimitata dal Rodano e dalla Alpi a Sud; dal Reno, dalla Mosa, dalla Scheda -Lorena o Lotharingia- a Nord. In seguito, sfinito dalle lotte interne, non seppe resistere alle pressioni vikinghe e, preda dei rimorsi, vestì l’abito di penitente.
Carlo il Calvo prese la parte della Francia ad Ovest della Scheda, della Mosa, della Saona e del Rodano. Defraudato il nipote, alla morte di Ludovico scese in Italia e ricevette da Papa Giovanni VIII la corona imperiale, usurpando i diritti dei figli del fratello. Nell’877, mentre organizzava la difesa dalle minacce di Carlomanno e mentre presidiava i confini francesi nella regione di Modane, ad Avrieux si spense. A lui si deve il Capitolare di Quiérzy, consistente dell’avviamento al principio ereditario dei feudi, con ulteriore indebolimento del potere regio.
Ludovico il Germanico assunse il controllo di tutti i Paesi al di là del Reno e delle Alpi: una realtà povera e frammentata. La trasformazione sociale in senso feudale e aristocratico vi si attuò con grande lentezza perdurandovi, peraltro, il contrasto fra le varie stirpi che la componevano: Bavari, Alemanni e Sassoni. Egli vi pose riparo restaurando i Ducati e rimuovendo i missi dominici istituiti da Carlomagno a garanzia dell’autorità centrale. Una forte autonomia, inoltre, si sviluppò in Sassonia, nella quale molto contava la presenza della stirpe autoctona dei Liudolfingi. Con la Dieta convocata a Minden nell’852, il Germanico tentò di ricomporre l’ordine e nell’865 ripartì il regno fra i figli: a Carlomanno cedette la Baviera; a Ludovico il Bimbo la Franconia, a Carlo il Grosso l’Alemagna.
Faide, invasioni, veleni, congiure, guerre esterne e spezzettamenti territoriali avevano segnato l’ inizio della fine della duplice dinastia carolingia: sotto Carlo il Grosso, ultimo rampollo di Ludovico il Germanico spentosi nell’876, sembrò che l’Impero potesse riconquistare la sua antica unità ed il suo smalto, ma egli non ebbe sufficiente energia ed il suo successore, Luigi V il Fannullone, ricoprì il mandato per un brevissimo periodo: il ventidue maggio del 987, cadendo da cavallo morì ed i Grandi del Regno riuniti a Senlis elessero Re di Francia Ugo Capeto, introducendo la dinastia capetingia, mentre il ramo germanico si era già concluso nel 911 con Ludovico il Bimbo.
Verdun, dunque, rappresentò la celebrazione della disfatta: a soli trent’anni dalla morte di Carlomagno, l’Impero che egli aveva faticosamente costruito era andato in pezzi e ai valori del Diritto e della cultura cui egli si era ispirato, erano subentrati slealtà e spergiuro.
La fragilità di tali elementi, rese il Papato padrone incontrastato della scena politica: il Medioevo si era avviato alla inquieta ed inquietante stagione di lotta per le investiture.
Bibliografia:
L. Alphen, à travers l’histoire du Moyen Age
C. Grimberg, Storia Universale (Vol. IV)
Ornella Mariani, sannita. Negli anni scorsi: Opinionista e controfondista di prima pagina e curatore di Terza Pagina per testate nazionali; autore di saggi, studi e ricerche sulla Questione Meridionale. Ha pubblicato: saggi economici vari e:
Pironti ” Per rabbia e per amore”
Pironti ” E così sia”
Bastogi “Viaggio nell’ entroterra della disperazione”
Controcorrente Editore ” Federico II di Hohenstaufen”
Adda Editore “Morte di un eretico” – dramma in due atti
Siciliano Editore “La storia Negata”
A metà novembre, per Mefite Editore “Matilde” -dramma in due atti
A gennaio, per Mefite Editore “Donne nella storia”
Collaborazione a siti vari di storia medievale. Ha in corso l’incarico di coordinatore per una Storia di Benevento in due volumi, (720 pagine) commissionata dall’Ente Comune di Benevento e diretta dal Prof. Enrico Cuozzo.