
di Fulvia Serpico.
Casa Hirta è un piccolo borgo medievale. Ha attraversato i secoli riposando sulle alture dei colli Tifatini, a 400 m circa sul livello del mare, distante solo 10 Km dalla ben nota città di Caserta e la sua reggia vanvitelliana.
Ripensando alla sua storia, è difficile immaginare il silenzio che oggi accompagna il visitatore lungo i muri che la contengono. Un passato importante, poco studiato o conosciuto, sembra attendere il momento giusto per uscire dall’ombra. Liberarsi, come il falco in volo sulla Torre.
Il borgo e il castello
Casa Hirta è un borgo medievale dalle origini poco note. Certo è che i segni del tempo custoditi nei suoi documenti di pietra, parlano di un nucleo abitato fin dai tempi dei Longobardi, come ben ci dice il monaco Erchemperto nella sua Historia Langobardorum. La cronaca narra della storia dei Longobardi di Benevento (e di Capua) per gli anni 774-888; secondo la sua testimonianza, pare che Casa Hirta fosse una dipendenza del territorio di Capua, assegnata nel 847 ai Duchi di Benevento. Il piccolo borgo, a partire dall’anno 861 e nell’arco di qualche decennio, sarà testimone delle contese familiari dei turbolenti Panlandolfi, stirpe longobarda inaugurata da Paldo, o Pandolfo, a quel tempo gastaldo di Capua. Quella di Erchemperto è di certo la testimonianza più sicura cui riferirsi per accertare le origini altomedievali di Casa Hirta; non è da escludere, però, la presenza di un nucleo abitato in quel luogo ancor prima dell’arrivo dei Longobardi. Su questa questione, alcuni storici tengono posizioni diverse e contrastanti per cui non si può stabilire con certezza la validità di alcune tesi peraltro non ben accertate da testimonianze documentarie. È noto che le origini della Diocesi Casertana si fanno risalire al trasferimento a Casertavecchia della sede vescovile di Galazia, in seguito alla sua devastazione da parte di Pandone il Rapace (861-863) [1]. Come nascono e chi sono, dunque, i primi conti di Caserta? Un piccolo passo indietro.
Il figlio di Paldo, Landolfo detto il Matice, ereditò dal padre il titolo, aggiungendo anche quello di Conte per la stessa città. Come si legge nella cronaca di Erchemperto, la famiglia attraversò momenti difficili perché minacciata nelle proprietà dai Saraceni e da alcuni conti rivali di Salerno e Benevento. A seguito di un accordo del 841 tra quest’ultimi e i saraceni, Capua fu bruciata; Landolfo si rifugiò a Siconopoli e dopo 2 anni, nell’843 morì. Landolfo il Matico, lasciava quattro figli: Landone I, Pandone il Rapace, Landolfo il vescovo, e Landonolfo di Teano. Quest’ultimo, a seguito di una congiura ordita da sua moglie e da Landolfo il vescovo, fu assassinato nel’859. Lo stesso vescovo, in presa all’ambizione, spossessò Landonolfo e si impadronì di Teano. La morte di Landone conte di Capua avvenuta nell’861, aprì una crisi dinastica che, dati i precedenti, si risolse a favore di Landolfo il vescovo. Il figlio di Landone, Landone II, con la madre Aloara, moglie del defunto, furono cacciati da Capua [2]. Ha qui inizio la storia di Caserta, del suo castello e del piccolo borgo.
Casa Irta apparteneva come dipendenza ai conti di Capua; dopo gli eventi raccontati, Landolfo il vescovo avrebbe voluto appropriarsene; pare invece che il suo atteggiamento provocò le reazioni di Landone II, esule da Capua. Occupò Caiazzo mentre suo fratello Landonolfo si riversava su Caserta iniziandone la fortificazione. A tutta questa operosità, non rimase indifferente lo zio dei due temerari, Pandone. La sua reazione, infatti, gli valse bene il l’appellativo di Pandone il Rapace. Cacciato Landone II da Caiazzo, si riversò su Caserta, qui catturando l’altro nipote, Landonolfo e circa 40 primarii [3] della giovane città. Li rilasciò solo dopo avere ottenuto un riscatto in monete e terre. Dopo, soddisfatto, se ne tornò a Caiazzo. Il primo conte di Caserta sarà Pandonolfo, figlio di Pandone il Rapace che terrà il titolo dall’879 all’882.
Gli anni compresi tra l’861 ( anno in cui comincia la costruzione del castello di Casa Irta e la fortificazione delle mura con Landonolfo) e l’879 (nomina a primo conte di Caserta di Pandonolfo) si susseguirono tra conflitti e intrighi sobillati dalla mente di Pandone al fine di creare e mantenere viva l’inimicizia tra Benevento e Salerno in modo da scongiurare una possibile alleanza tra le due città contro Capua. A questo fine, si alleò con Adalgisio principe di Benevento, contro Guaiferio principe di Salerno. In una dura battaglia il Rapace morì e suo figlio Pandonolfo (il nostro primo conte di Caserta) ferito gravemente. Il nuovo rampollo, una volta guarito, dimostrò subito di avere ereditato lo spirito paterno e decidendo dunque di terminare l’opera del padre, si alleò con lo zio Landolfo vescovo contro i due cugini. Solo dopo la morte del vescovo si arrivò ad un’equa ripartizione dei possedimenti. Pandonolfo si sposò con una sorella di Radelchi, principe di Benevento e tenne per sé Capua, Teano e Caserta; Landone II prese Berolais, l’anfiteatro di Capua (oggi Santa Maria Capua Vetere); Landone III, figlio di Landonolfo, fratello del vescovo, e gastaldo di Teano, andò a Carinola e Caiazzo, mentre suo fratello Atenolfo prese Calvi [4]. Tra intrighi e alleanze, fino all’arrivo di Pandolfo Capodiferro che unificò i territori di Capua e Benevento, si alternarono a Casa Irta ben 5 conti. Ecco di seguito la successione:
– Pandonolfo, figlio di Pandone il Rapace, 1° conte di Caserta (879-882)
– Landone III il Pigro, figlio di Landonolfo Gastaldo di Teano, 2° conte di Caserta (882-887)
– Atenolfo, fratello di Landone III, principe di Capua e Benevento, 3° conte di Caserta (887-910)
– Landolfo I, figlio di Atenolfo, 4° conte di Caserta (910-943)
– Landolfo II il Rufo, figlio di Landolfo I, 5° conte di Caserta (943-961)
Pandolfo Capodiferro (943-981), alla morte del padre Landolfo il Rufo, fu principe di Capua e Benevento e unificatore di tutti i Longobardi del Sud. Non sembra però figurare nelle fonti come conte di Caserta [5]. È opinione di alcuni storici che questa notizia possa dipendere dal fatto che Pandolfo avesse l’obbligo di risiedere a Benevento ed è probabile che gli altri membri della famiglia, in quel momento particolare per la storia del principato longobardo, preferissero vivere a Capua o Benevento, centri più ricchi. Per la storia del nostro borgo, a questo punto della narrazione, è da considerare l’attività politica del Capodiferro, il quale dimostrò simpatia per il nuovo imperatore Ottone I, incoronato a Roma nell’anno 962 [6]. Alla morte di Pandolfo, avvenuta nell’981, l’unione politica nei principati longobardi si avviava verso un lento declino; è certo, però, che i suoi discendenti tennero il controllo della città fino all’arrivo dei normanni [7]. In effetti, fino a questo importante momento, pare che nelle fonti non ci sia molta chiarezza sui successori di Pandolfo al comando della Contea casertana; se ne deduce la continuità nel titolo poiché si nota, in un documento datato 968 che si riferisce ad un atto di donazione all’abbazia di Montecassino di alcuni beni siti in Teano voluta da un Atenolfo nipote e Landone figlio del Capodiferro [8]. Seguendo la ricostruzione proposta dagli studi su Casertavecchia, il borgo passò sotto la dominazione normanna forse nel 1062, quando fu assegnata al Riccardo Conte di Aversa che, una volta perfezionata la conquista di Capua, concesse a uomini suoi fedeli alcune terre del casertano [9]. Fino a quel momento, documenti e fonti attestano il passaggio del potere comitale a Giovanni (1029), figlio del conte Landolfo; a Pietro (1036), figlio del conte Landone; a Landolfo (1046) figlio di Atenolfo. Dunque pare che Pietro, Landolfo e Giovanni fossero figli ed eredi di Landone [10]. Il primo conte normanno di Casa Irta, un certo Goffredo, appare in un documento datato 1092, nel quale lui e sua moglie Immola, donano alcune terre al Monastero di San Giovanni delle Monache di Capua [11]. Il secondo accertato si identifica in Nicola Fraynella o Frascenella (1149), esponente di una famiglia normanna. In quell’anno, infatti, lo si vede donare alcune terre allo stesso monastero. Esiste dunque una continuità tra il periodo longobardo e quello normanno del nostro borgo? Le opinioni storiche sono contrastanti, data l’incertezza delle fonti. Pare che l’ultimo conte longobardo fosse un certo Atenolfo, citato in un documento del 1065 impegnato in un atto di donazione in favore dell’Abbazia di Montecassino. Cosa sarebbe successo quindi tra il 1065 e il 1092, anno in cui troviamo la citazione del primo conte normanno? Il Tescione propone la tesi della non continuità del periodo in questione tra la contea longobarda e quella normanna; su posizioni opposte si colloca invece la tesi del Cuozzo che, al contrario, ritiene possibile un periodo consecutivo fino al 1092 basando la sua ipotesi sulla presunta falsità del documento del 1092 edito dal Pratilli. A suo avviso, la “contea normanna di Caserta” propriamente detta, sarebbe stata istituita solo dopo il 1150 anno della prima redazione del Catalogus Baronum. Il primo conte ufficiale sarebbe stato dunque Roberto di Lauro dei Sanseverino (1163) [12]. In realtà, il normanno Nicola Fraynella che appare come secondo conte dopo il presunto Goffredo (1092), appare nella prima stesura del Catalogus Baronum del 1150, come titolare di Caserta, Roccaromana e alcuni paesi che prima del 1159 erano parte della contea di Caserta, territori tenuti in capite de nomino rege. Nelle carte coeve è detto solo dominus e non comes di Casirat et aliorum castrorum [13]. Solo a Roberto I, conte di Lauro (1163-1183), spetterebbe il titolo di primo conte normanno. Della famiglia dei Sanseverini, figlio di Roberto e di Saracena, fu elevato al rango di conte di Caserta nel 1163 probabilmente per il suo valore dimostrato in guerra e per i servizi resi ai re normanni Ruggero II (1130-1154), Guglielmo I (1154-1166) e in seguito anche a Guglielmo II (1166-1189). La famiglia di Lauro pare dunque ben collegata alla corona normanna ed è probabile che questa fedeltà gli valse la gratitudine sovrana a più riprese dimostrata attraverso la concessione di numerose terre per ingrandire il modesto feudo di Lauro [14]. Dunque pare che la successione dei conti tra Goffredo e Nicola Fraynelli sia incerta; il Roberto conte normanno di Alife, Caiazzo e S. Agata dei Goti, prima citato (che appare in un documento del 1109, oggi perduto) inserito nella successione come conte dei Casertani servirebbe a colmare il vuoto ma ci riserviamo di stabilire l’attendibilità storica di questa tesi [15].
Dopo i conti Longobardi “dalla gagliarda rudezza”, il borgo attraverserà con la guida dei normanni, portatori di altra cultura, una nuova fase di coesione spirituale e di rinascita artistica [16].

La Cattedrale
La cattedrale di Casa Irta si erge austera sulla piccola piazza che la contiene; è dedicata a S. Michele Arcangelo, il santo dei Longobardi. Il suo pieno stile romanico ci racconta di un passato artistico importante, giunto fino a noi grazie al colore intatto delle sue pietre. Le tre iscrizioni riportate sui rispettivi portali, ci dicono che è stata costruita nel 1115, al tempo del vescovo Rainulfo (1100-1129) e consacrata, non ancora completata, sotto il vescovo Giovanni nel 1153 [17]. Con i nuovi conti normanni, il borgo si animò di nuova operosità; diventava importante e s’ingrandiva, riflesso della capacità di radicarsi e di espandersi dei nuovi signori. In effetti, come attesta la Bolla di Sennete del 1113 (che è un documento con il quale il metropolita Sennete di Capua confermava al vescovo Rainulfo il controllo di alcune chiese in relazione alla distribuzione dei nuovi confini della diocesi di Caserta) il perimetro del borgo pare essersi notevolmente ingrandito e la presenza della numerose chiese censite dal documento, è indice della consistenza e della distribuzione della popolazione dell’intero perimetro della civitas casertana [18]. Al tempo di Roberto I di Lauro, la cultura e la presenza normanna si riversò nel borgo con forza; il fedelissimo conte ottenne da re Guglielmo II il titolo di Gran Giustiziere e Gran Connestabile della Puglia e della Terra di Lavoro, una carica importante che poneva al suo seguito e servizio un gran numero di alti dignitari, baroni, feudatari e militi, che concorrevano all’amministrazione della giustizia e al governo della città. Si può ben immaginare l’importanza che Casa Irta andava assumendo nella distribuzione geografica e territoriale del potere. Dal Catalogus Baronum si può notare l’estensione della contea (Comitatu Casertae) di Roberto e le sue caratteristiche [19]. Dignitario importante, servì dunque numerose azioni politiche, come quella del 1176 quando fu mandato, insieme ai vescovi di Capua e Siracusa, ad accogliere in Linguadoca, la principessa Giovanna di Inghilterra, figlia di Enrico II, promessa in sposa al re normanno Guglielmo II [20].
Il conte Roberto I ebbe tre figli; Riccardo, che morì prima di lui nel 1182; Guglielmo e Ruggero che, alla morte del padre avvenuta il 31 agosto del 1183, si divisero le terre ad usum Longobardorum (seguito poi anche dai Normanni) [21]. Il conte defunto, come si evince dal Catalogus Baronum, aveva molti possedimenti in Campania e in Puglia; Guglielmo ereditò la contea casertana (1183-1199) e Ruggero quella di Tricarico [22]. Tra il vecchio conte defunto e il re normanno Guglielmo II si era consolidata una reciproca intesa; sotto la loro guida, il borgo e il Regno avevano acquisito prosperità e goduto di una certa tranquillità. La divisione delle terre comitali di Roberto I e la successiva morte di Guglielmo nel 1189, inaugurarono un periodo di scontri dinastici e guerre di successione. Come schierarsi a Casa Irta? I canditati al trono normanno erano Tancredi, nipote di Ruggero II e principe di Lecce (succeduto al defunto Roberto I di Lauro nella carica di Capo della Giustizia e Gran Conestabile di Terra di Lavoro) ed Enrico VI, marito di Costanza, figlia di Ruggero II.
Tancredi, popolare e favorito, riuscì a conquistare la corona e con l’aiuto Riccardo di Acerra (suo cognato), conquistò Aversa e Capua. Di contro, la vendetta di preparava tramata da Enrico VI, che si appellò a Papa Celestino III per farsi incoronare insieme alla moglie Costanza. E il 29 aprile del 1191 furono eletti a Roma alla guida del Regno Normanno. Guglielmo confuso, decise di parteggiare per Enrico VI (uno svevo, figlio del Barbarossa) che nel frattempo dopo aver espugnato la potente abbazia di Montecassino, si rivolse alla conquista di Napoli mentre Riccardo di Acerra resisteva in difesa di Capua [23]. Inimicizie e scontri di potere si sarebbero alternati fin quando un evento pose fine alle incertezze: nel 1194 Federico II vedeva la luce a Iesi. Moriva nello stesso anno Tancredi di Lecce; mentre Enrico VI si sarebbe spento nel 1197, un anno prima della moglie Costanza. Federico II era un normanno-svevo. Figlio di Costanza di Altavilla e di Enrico VI degli Hohenstaufen avrebbe riunificato la corona ma per Casa Irta, il suo misto sangue regale sarebbe stato un problema.
Guglielmo conte di Caserta si spense nel 1199; suo figlio Roberto II (ricordiamo successori dei Sanseverino di Lauro) ne ereditò il potere fino al 1212 [24].
Dal matrimonio di Roberto II con Adelagia (figlia del capo tedesco Diopoldo al comando delle truppe imperiali scese in Italia per ordine di Enrico VI) nacque Tommaso che si pose nella successione dei conti di Caserta come l’ultimo dei Sanseverino. Sull’appartenenza familiare di questo conte, non vi è accordo tra gli storici e pare sorgere un enigma a questo punto della successione comitale a Casa Irta. Lo Stroffolini (e con lui Cuozzo), per esempio, sostiene che Tommaso fu un Sanseverino, mentre il Martucci e il Perrone a questo punto della storia inseriscono la famiglia D’Aquino, di cui lo stesso Tommaso sarebbe stato esponente [25]. Questo cambio della guardia in effetti crea un po’ di confusione; ma a cancellare le incertezze del nostro borgo ci penserà la contessa Siffredina.
Pare dunque che la contea di Caserta venne affidata alla famiglia D’Aquino dallo stesso Federico II come ricompensa di alcuni servigi resi alla corona. Il conte Tommaso sposò Siffredina, contessa di Ischitella, della famiglia Gentile; il loro figlio Riccardo successe al titolo di Conte di Caserta quando nel 1231 il padre morì. Data la giovane età, al suo governo, si associò la madre; insieme dirigeranno la contea dalle mura del castello fino a che di nuovo, come nel 1189, la civitas e i suoi rappresentanti si troveranno a dover scegliere l’alleato migliore per il destino del borgo. Riccardo lascerà il castello nel 1267, Siffredina lo seguirà un anno dopo.

La Torre
La torre di Casa Hirta è alta 30 metri. È circolare e oggi è ritornata alla luce insieme ai falchi che ancora si vedono in volo sui colli Tifatini.
La sua datazione appare di certa attribuzione; un documento del 1271 contenuto nei Registri della Cancelleria Angioina ne attesta l’esistenza [26]; pare però che la sua costruzione si possa far risalire al 1240, poiché è assai simile nella forma alle torri che fiancheggiano il ponte sul Volturno poste all’entrata di Capua, datate 1233, costruite dall’architetto Niccolò de Cicala. Forse lo stesso che operò nella torre di Casertavecchia. Alla sua costruzione deve aver contribuito anche Federico II prima di diventarne assiduo frequentatore. Riccardo, il piccolo conte di Caserta, fu mandato alla corte federiciana come valletto; qui ne recepì usi e costumi, diventando presto uno dei fedelissimi di Federico tanto da essere nominato Vicerè durante l’assenza dell’imperatore nel Nord Italia (1247), inviato inoltre in Sicilia a ricevere in rappresentanza imperiale, il re di Francia Luigi IX di ritorno dalla Terrasanta. A corollare il disegno del suo destino, si profilava per lui il matrimonio con la figlia di Federico, Violante, avuta da Bianca Lancia [27].
Una famiglia così importante non poteva che essere fonte di orgoglio per Casa Irta e il suo Borgo. Qui Federico sarebbe più volte venuto; forse per la caccia al falcone; forse per incontri familiari. Certo è che nella Torre si respirava un’aria imperiale e sangue imperiale scorreva nelle vene del futuro conte di Caserta, Corradello.
La morte di Federico II (1250) cambiò il destino della famiglia. Difficile schierarsi tra i futuri pretendenti al trono. Manfredi era il favorito, conosciuto e di madre italiana; Corrado, legittimo ma tedesco e poco noto. Dunque, facile la scelta ma la storia decise per loro. Corrado successe al trono del Sacro Romano Impero; Manfredi divenne reggente per Regno Meridionale. Quando il nuovo imperatore scese in Italia si accorse subito del favore che riscuoteva il fratellastro e per difendersi dal rivale, spodestò la famiglia dei Lancia. L’azione non si rivolse a suo favore visto che morì prematuramente nel 1254. Manfredi divenne di nuovo reggente per il nipote Corradino finché, nel clima di rivolta, fomentato anche da Papa Innocenzo IV, riuscì a farsi incoronare re della Sicilia e delle Puglie. Il resto lo conosciamo [28]. Carlo I d’Angiò, chiamato da Papa Urbano IV (con il quale aveva trattato l’investitura del Regno di Sicilia in cambio della cessione delle Contee di Caserta, Telese e altri luoghi di Terra di Lavoro) scese in Italia; incoronato dal Papa mosse da Roma nella primavera del 1266 alla conquista del Regno. Fatale a Manfredi fu la battaglia di Benevento.
Riccardo di Caserta ufficialmente era filo-svevo; avrebbe sostenuto Manfredi, seguendo i consigli di sua madre Siffredina. Perché dunque tentennare nella sua fedeltà? Le ipotesi più o meno condivisibili e storicamente attendibili, vedono i due scontrarsi per motivi personali più che politici [29], ma al di là delle immagini veritiere che ne possono derivare, sappiamo che Riccardo, nel momento più difficile dello scontro tra Manfredi e Carlo I, assunse di certo una posizione poco chiara tanto da far pensare ad una sua complicità nella battuta d’arresto subito dalle forze imperiali sul ponte di Ceperano presso Frosinone. Questo avvenimento, conosciuto come tradimento del ponte, lo vedrebbe dunque schierato nell’ombra contro lo Svevo [30]; una posizione ambigua che pare aver mantenuto anche nel corso della battaglia di Benevento (26 febbraio 1266).
Forse perché fiaccato nello spirito o per debolezza d’animo, è certo che Riccardo lasciò il campo di battaglia insieme al Conte di Acerra dopo aver visto il corpo senza vita di Manfredi. Tralasciando le opinioni storiche e storiografiche che giustificano un tale atteggiamento [31], Riccardo difese le sue posizioni filo-sveve.
Morto Manfredi, il Conte di Caserta si spense poco dopo, nel 1267.
Siffredina, dal silenzio della torre, si preparava per la seconda volta, a decidere le sorti del borgo. Fedele alla Chiesa e cauta verso la politica angioina, avrebbe assunto la reggenza per il nipote Corradello, figlio di Riccardo, troppo piccolo per governare e non investito ufficialmente del titolo di conte di Caserta. Nonostante gli inviti e le cautele impiegate dalla corte angioina nei confronti dei territori dell’Italia meridionale che si preparava ad inglobare, Siffredina non avrebbe mai negato l’ideologia politica della casa casertana. Si preparava a simpatizzare per il giovane Corradino di Svevia, mentre la torre di Caserta si trasformava in un vero e proprio quartier generale per difendersi dalle mire angioine.
Non è difficile immaginare quali pensieri sconvolsero la mente e il coraggio della Contessa quando le giunse notizia della sorte toccata al giovane Corradino dopo lo scontro di Tagliacozzo (23 agosto 1268) al quale aveva partecipato anche Corradello [32]. Il giovane svevo si preparava a ricevere la sua sentenza di morte mentre il conte di Caserta attendeva in prigionia che le armi diplomatiche della madre potessero liberarlo.
Il 29 ottobre del 1268 in Campo Minicino a Napoli moriva decapitato l’ultimo degli Hohenstaufen. Le sorti politiche del nostro meridione sarebbero cambiate e in questo lasciamo alla storia raccontarci il seguito.
Le doti politiche di Siffredina si rivelarono vane di fronte alla determinazione di Carlo I d’Angiò. Mentre Corradello era in prigione Siffredina e Caterina di Gebenna, giovane moglie del conte assente, avrebbero difeso la torre dal probabile assedio; Carlo fu più astuto e con un inganno attirò fuori Caserta le due donne e i loro difensori mentre le sue truppe si sarebbero impadronite della Contea. Nessun processo le avrebbe giudicate per buona condotta o per tradimento. Nessun appello avrebbe ridato loro Casa Hirta. Un’altra torre le avrebbe ospitate fino alla fine dei loro giorni, ma da questa non si vedevano i falchi volare.
Nel castello di Trani Siffredina restò prigioniera fino al marzo del 1279. Morì all’età di ottant’anni dopo una strenua resistenza fisica e psicologica. I registri della cancelleria angioina in più documenti ci riportano alcune notizie relative alla sua prigionia. Pare che la somma prevista per il suo mantenimento (e quello delle sue due dame di compagnia) fosse di due tarì al giorno; una cifra irrisoria che non veniva corrisposta come ci raccontano numerose proteste registrate tra gli anni 1272 e il 1279. Così si legge nel doc. n. 45, p. 9 del vol. XIV: il 26 ottobre della V ind., cioè databile tra il 1276 e il 1277 “cum Siffredina, olim Comitissa Caserte, detenta in carcere castri Trani, a mense iunii p.p. IV Ind. non receperit pecuniam sibi assignatam per dom. Regem pro substentatione sua mandat ut pred. Pecuniam sibi exhibeat pro mensibus elapsis et pro tempore pres. […] pro ipsa comitissa una cameriera e una serviente” [33].
A Corradello non toccò sorte diversa. Fu mandato prigioniero a Canosa (dove lo raggiunse la moglie) e qui rimase in catene per sette anni [34]. Trasferito a Castel del Monte, fu incatenato ai ferri duri per un lungo periodo. Concessi poi i piccoli ferri, avrebbe resistito per trentasei anni fin quando vide la luce e la libertà nel 1304 grazie alla clemenza di Carlo II d’Angiò.
Il mondo però non era più lo stesso. Non c’era Casa Hirta ad attenderlo. Morì nel 1306.

Altre genti, altri signori e padroni avrebbero ammirato il borgo dall’alto della Torre. Valutata ben 238 once e 7 tarì, Carlo I d’Angiò percepì subito il valore di una simile rendita confiscata; in attesa di altre decisioni, con un atto del 19 dicembre 1268 affidò la contea e la Torre all’Ammiraglio del Regno, Guglielmo Belmonte: “Nob. Viro Guillelmo de Bellomonte, Regni Sicilie Ammirato, Comitatum Casertanum concessum fuit causa proditionis Comitis Riccardi patris Corradi de Caserta” [35]. Guglielmo e gli altri padroni dopo di lui (fino all’arrivo di Diego de la Rath nel 1310) pare non amassero particolarmente risiedere a Casa Irta. La contea era diventata un feudo da cui cavare tributi. Niente di più. Con un ordine del 15 febbraio 1277, la torre veniva poi affidata alle cure di Bertrando del Balzo, conte di Avellino “de fide, prudentia et legalitate vestra plenaria confidentes, custodias turris Caserte vobis tenore presencium usque ad nostre voluntatis beneplacidum duximus” [36]. A vegliare sul suo destino non rimase altro che un custode. Dunque usque ad nostre voluntatis beneplacidum. Nelle mani del potere e del destino. Il resto, è un’altra storia [37].
26/06/2005
Note
[1] Ad esempio, il Martucci (Martucci E., La città reale, Caserta 1928, p. 22) pur essendo favorevole alla tesi dell’origine longobarda del borgo, ritiene che si possa fissarne la nascita all’anno 570, mentre il De Angelis (De Angelis T, I conti di Caserta (879-1750), vol. I, Caserta 1932) contraddice questa posizione. La più recente tesi del Tescione (Tescione G., Caserta medievale e i suoi conti e signori, Marcianise 1966, nuova edizione Ercolano 1990, pp. 21-23), avvalora il De Angelis. In effetti, la data 570 non può essere presa in considerazione poiché in quell’anno nasce il Ducato di Benevento ad opera di Zottone, e forse verso il 594, si ha l’occupazione di Capua da parte dei Longobardi di Benevento. Si rimanda inoltre a M. Schipa, Il mezzogiorno d’Italia anteriormente alla monarchia Ducato di Napoli e Principato di Salerno, Bari 1923.
[2] Erchemperto, Historia Longobardorum, ed. Ciolfi, Cassino 1999, capp. 15-32, pp. 47-77.
[3] I primarii erano gli uomini eminenti della città; componevano il Sedile e avevano poteri giudiziari.
[4] Si veda Fleetwood F., La torre dei Falchi, Caserta 1973, pp. 18.
[5] Martucci E., La città reale, Caserta 1928.
[6] Tescione G. Caserta Medievale e i suoi conti e signori, p.10. Per capire meglio la storia del Ducato di Capua e Benevento, si rimanda al contributo di Gasparri S., Il Ducato e il Principato di Benevento, in Storia del Mezzogiorno, Vol. II, tomo I, Portici 1988, pp. 83-146; Di Resta I., Il Principato di Capua, in Storia del Mezzogiorno, vol. II, tomo I, pp. 149-187.
[7] Tescione G., op. cit. pp. 25-28.
[8] Si vedano a questo proposito i Regesti dell’Abbazia di Montecassino, cur. Da Leccisotti T., II Roma 1965, p. 109, n. 10 e Gattula E., Ad Hist. Abb. Cassinensis Access., I, Venezia 1784. E’ invece opinione del Tescione che questo documento non riporta Landone e Atenolfo come conti di Caserta per cui non si è certi di poterli inserire nella lista dei conti della città.
[9] Sull’arrivo dei Normanni e la conquista del Meridione si veda Delogu P., I Normanni in Italia. Cronache della conquista e del regno, Napoli 1984. I Normanni calarono alla spicciolata come mercenari al soldo di bizantini e saraceni. Lo vediamo protagonisti infatti già nella rivolta di Melo nel 1017. Le ipotesi sull’incontro sono diverse. Secondo una versione (in verità poco accreditata) Melo li avrebbe incontrati a S. Michele Arcangelo sul Gargano mentre erano di ritorno da un viaggio dalla Terrasanta e li avrebbe convinti a combattere per lui. Certo è che i “cavalieri del Nord” erano mercenari e seppero subito distinguersi per le loro capacità militari, approfittando della debole situazione politica in Italia Meridionale. Sappiamo infatti che numerose erano le scorrerie dei saraceni che dalla Sicilia, (che avevano conquistato) cercavano di arrivare sulla terraferma dove invece c’erano i bizantini e i longobardi. I Normanni arrivarono in numero sempre maggiore e grazie ai loro successi militari, riuscirono ad ottenere nel 1030 la Contea di Aversa dal duca di Napoli Sergio IV al quale avevano prestato aiuto contro gli arabi. Rodolfo Drengot fu il primo conte di Aversa. I nuovi cavalieri ben presto avrebbero segnato la storia del nostro Meridione.
[10] Pratilli F.M., Ad Chron Duc. Neapolis…Prolusio in Peregrinus C., Hist. Princ. Lang., ed Pratilli III, p. 20; Peregrinus C., De stemm. Princ. Lang., Napoli 1723, p. 177; Regii Neapolitani Archivi Monumenta, IV, Napoli 1854, pp. 253-257; Di Meo, Annali critico diplomatici del Regno di Napoli della mezzana età, 12 voll., Napoli 1795-1819, pp. 50-51. Per una maggiore stesura della fonti citate e dell’argomento in questione, si rimanda a Tescione, op. cit., pp. 26-35. Sull’attendibilità storica del Pratilli si veda Cuozzo E., La contea normanna di Caserta. Su alcuni falsi pratilliani, Capua 1990; Cilento N., Un falsario di fonti per la storia della Campania medievale: F.M. Pratilli, III, in A.S.N., LXXI, 1950-1951, p. 132.
[11] Pratilli F.M., De Liburia Dissertatio in Peregrinus C., op. cit, p. 261; Tescione, op. cit., nota 125, p. 31.
[12] Tescione G.- Iodice A., Il Monastero di San Giovanni delle monache di Capua e l’inedita storia di Michele Monaco, in Contributo dell’arcidiocesi di Capua alla vita religiosa e culturale del Meridione, Atti del Convegno Nazionale di Studi Storici promosso dalla Società di Storia Patria di Terra di Lavoro, Roma 1967, p. 421. Per il dibattito storiografico sull’attendibilità del documento del 1092 si veda Cuozzo E.-Tescione G. La contea normanna di Caserta. Su alcuni falsi pratilliani, Estratto da “Caytus”, Capua 1990. Sul documento del 1065 si veda Tescione G., Roberto conte normanno di Alife, Caiazzo e Sant’Agata dei Goti, in Arch. Stor. Di Terra di Lavoro, IV, 1965-1975, pp. 19 e pp. 42-46. Per Cuozzo, la contea normanna sarà istituita fra il 1150 e il 1159. Si veda Cuozzo, Quei maledetti…, p. 110.
[13] Si veda Cuozzo E., Catalogus Baronum. Commentario, Roma 1984, pp. 268-269, doc. 101.
[14] Pare dunque che i titolari di contee normanne, come Roberto di Lauro, avevano rapporti più o meno stretti con gli Altavilla. Si veda a questo proposito Cuozzo E., “Quei maledetti normanni”. Cavalieri e organizzazione militare nel mezzogiorno normanno, Napoli 1989, pp. 115-120. Sul concetto di “contea normanna” è interessante la definizione di Cuozzo. La contea nel periodo normanno non è più una semplice circoscrizione amministrativa ma un insieme di Terrae feudali non necessariamente contigue fra loro, distribuite a macchia di leopardo. I feudi che la costituiscono assumono una particolare fisionomia nel regno di Sicilia e un posto eccezionale è riservato ai conti, in genere tutti imparentati con gli Altavilla. Quindi conti e contee saranno parte integrante dell’organizzazione militare del Regno Normanno. Con la sua fine, la contea diverrà un titolo onorifico.
[15] Il documento in questione, sarebbe stato pubblicato dal Marcarelli (Marcarelli G., L’Oriente del Taburno, Benevento 1916, pp. 22-23).
[16] Tescione G., op. cit., p. 32.
[17] Ecco la sequenza dei vescovi: Rainulfo (1100-1129); Nicola (1130 in poi) ; Giovanni (1150 ca. in poi). Secondo l’ipotesi riportata dal Perrone (Perrone M., Il castello di Caserta, Bologna 1954) la prima pietra della cattedrale potrebbe essere stata posta nell’anno 1113 mentre la si suppone terminata nel 1158 (in effetti nel 1153 fu consacrata ma non ancora terminata). Si veda il cap. III, pp. 13-14 e note p. 115. I simboli e le statue poste a sostegno degli architravi della facciata attestano inoltre una manifattura lombarda. Sulla cattedrale si veda D’Onofrio M., La cattedrale di Caserta Vecchia, Roma 1993. Il campanile, a cinque piani, altro 32 m., fu invece costruito 80 anni più tardi, nel 1234, quando vescovo era Andrea e a Casa Irta sostava qualche volta l’imperatore Federico II.
[18] Spinelli G.P., La bolla di Senne , Caserta, 1996.
[19] Catalogus Baronum, ed. Jamison, Roma 1972, nn. 964-980.
[20] Si veda Ex gestis Henricii II et Ricardi I, in M.G.H., Script., vol. XXVII ed. Liebermann, Hannoverae 1885, p. 95.
[21] Un atto della Magna Curia Imperiale datato 1240, redatto da un certo notaio Pietro di Caserta, viene riproposta da divisione territoriale tra i due eredi in occasione di una concessione al Conte Giacomo, di un casale in Solofra. Si veda Tescione, op. cit., p. 45, nota n. 203.
[22] Catalogus Baronum, ed Cuozzo 1984, n. 100 e Cuozzo E., op. cit., p. 119.
[23] Il conte Guglielmo di Caserta lo si vede operare al fianco dell’Imperatore Enrico VI in numerose occasioni. Si rimanda a Tescione, op. cit., pp. 51-55.
[24] Il giovane conte, nel frattempo, si era invaghito della figlia di Diopoldo, Adelagia, un capo tedesco nelle fila dell’esercito imperiale sceso in Italia per comando di Enrico VI. Pare che il condottiero fosse molto agguerrito e il contado casertano presto ne assaporò le gesta. Lo stesso Papa lanciò contro di lui un interdetto per scongiurare inutili disastri; Guglielmo fu incaricato di catturarlo, nonostante parteggiasse per lo svevo. In effetti fu imprigionato, ma il matrimonio riportò la pace a Casa Irta. Si veda Fleetwood, op. cit., p. 28. Sul governo di Tommaso d’Aquino si veda Id., p. 31 e Tescione, op. cit., pp. 50-60. Pare che nel 1223 Federico II convocò in Sicilia per la lotta contro i Saraceni, Tommaso di Caserta; Ruggero dell’Aquila, Giacomo di S. Severino e il figlio del conte di Tricarico ma non ottenendo dai nobili un comportamento poco onorevole, decise di gettarli in prigione. Durante l’assenza da Caserta di Tommaso, Siffredina ne fece le veci. Si veda anche Ryccardi de Sancto Germano, Chronica, ed. Garufi, pp. 109-111; Cohn W., I tempi degli Hohestaufen in Sicilia, trad. Libertini, Catania 1932, pp. 78-99. Per intervento del Papa Onorio III furono liberati, a condizione però che lasciassero in “ostaggio” all’imperatore i loro figli o nipoti.
[25] Martucci E., La città reale, Caserta 1928; Stroffolini G., La contea di Caserta all’epoca Sveva, Archivio Storico Campano, Vol. II, 1899; Perrone M., Il castello di Caserta, Bologna 1966. Su Tommaso e il suo governo nella contea si veda Tescione, op. cit., pp. 59-60 e Fleetwood, op. cit, p. 31.
[26] I registri della cancelleria angioina, cur. Filangieri R., Accademia Pontaniana, Napoli 1963. Sulla torre si veda anche Shearer Cresswell, The Renaissance of Architecture in Southern Italy, Cambridge 1935.
[27] Federico II sposò Bianca Lancia segretamente per legittimare suo figlio Manfredi.
[28] Si veda E. Cuozzo, Il Regno Normanno-svevo, in Storia del Mezzogiorno, Vol. II, tomo II, pp. 596-827. Anche Morghen R., La fine degli svevi, Roma 1936.
[29] Fleetwood, op. cit. pp. 51-53.
[30] Si veda Villani G., Nova Cronica, libro VIII, cap. V e Dante, Inferno, XXVIII, 16-17.
[31] Si veda Tescione, op. cit. p. 70 e note 326-329.
[32] La sorte di Corradino di Svevia si delineò a Tagliacozzo durante lo scontro con le truppe angioine. Ad aiutarlo nella sua difficile e disperata impresa c’era anche Corradello, che fu fatto prigioniero mentre il suo re riusciva a fuggire. Corradino fu catturato dopo cinque giorni di fuga e portato a Napoli prigioniero.
[33] Si rimanda a I Registri della Cancelleria…, vol. VI (1270), doc. 735, p. 145; vol. VII (1269-1272), doc. 89, p. 198; vol. VIII (1271-1272), doc. 8, p. 89. Altre notizie in vol. IV (1266-1270), doc. 505, p. 78; vol. III (1269-1270), doc. 389, p. 174; vol. II (1265-1281), doc. 290, p. 83; vol. I (1265-1269), doc. 136, pp. 140-141; vol XIII (1275-1277), doc. 39, p. 9 e doc. 35, p.184; vol. XIV (1276-1277), doc. 23, p. 6 e doc. 45, p. 9; vol. XV (1275-1277), doc. 54, p. 14; vol. XVII (1275-1277), doc. 141, p. 75.
[34] Sulla prigionia di Corradello si vedano i Registri della Cancelleria…vol. V (1266-1272), doc. 154, p. 243; vol. XIII (1275-1277), doc. 379, p. 130; vol. XVI (1274-1277), doc. 123, pp. 39-40.
[35] I registri, vol. XIII (1275-1277), doc. 379, p. 130; vol. II (1265-1281), p. 148. Fino all’arrivo nel 1310 di Diego de la Rath nobile catalano sceso in Italia in cerca di fortuna, che pare abbia restituito per un periodo al borgo la dignità sua propria Caserta vide alternarsi diversi padroni: l’Ammiraglio Guglielmo Belmonte nel 1268; Guglielmo Estendardo (1272-1273); Riccardo e Simone Pignatelli (1276-1277); Jean Vicomte de Tremblay (1284-1286), Pietro Brahier, precettore di Carlo Martello primogenito di Carlo II dìAngiò (1289-1295). E altri ancora. Si veda a questo proposito Tescione, op. cit. pp. 86-100.
[36] I registri, vol. XVI (1274-1277), doc. 59, p. 19; doc. 93, p. 31 e doc97, p. 32; vol. XIII (1275-1277), doc. 202, p. 102. Anche in questo caso pare che il conte di Avellino avesse ben altri interessi, dunque la custodia della torre era formalmente affidata alla moglie Filippa. Si veda Scandone F., Storia di Avellino, vol. II, tomo II, Napoli 1950, p. 38; idem, I Comuni del Principato Ultra ecc., in Sannium , V, 1932, pp. 100-101.
[37] La parte relativa all’insediamento tra la famiglia Belmonte (1268) e i de la Rath (1310) con l’intermezzo dei Caetani (1295) sarà oggetto di un’altra parte dedicata allo studio di Caserta e il suo borgo medievale. torna al testo
Aggiornamento bibliografico (19 giugno 2008)
1) Spinelli, Gian Paolo, Il Meridione d’Italia nel periodo normanno: storia dei conti normanni di Caserta, Caserta, Spring, 2003.
2) id., I Della Ratta, conti di Caserta (secc. XIV-XVI), Caserta, Spring, 2004.

Laureata nel 2001 presso la facoltà di Scienze Politiche, indirizzo storico, del’Università di Napoli Federico II, con una tesi in Storia Medievale dal titolo “Servitium debitum e organizzazione militare nel regno di Carlo I d’Angiò (1266- 1285) – dai registri della Cancelleria Angioina” (Relatore, Prof. Errico Cuozzo). Dal 2003 collabora alle attività didattiche e di ricerca presso cattedra di Storia Medievale dell’Istituto Univesitario Suor Orsola Benicasa di Napoli (Prof. Errico Cuozzo) partecipando ai progetti di ricerca sulla digitalizzazione delle fonti normanno-sveve (le cronache di Lupo Protospatario, Anonimo di Bari e Annales Barenses) e la Falconeria nel periodo Normanno. Dal 2003 al 2005 frequenta e conclude l’intero bienno del corso di laurea specialistica in Storia Medievale presso l’Università “Cà Foscari” di Venezia. Dal 2005 è dottoranda di ricerca in “Storia delle vie di centri e delle culture dei pellegrinaggi nel medioevo euromediterraneo” presso il dipartimento di Beni delle Arti e della Storia dell’Università di Lecce con un progetto di ricerca dal titolo: “ la devotio francescana ai luoghi santi tra XIII e XV secolo”. Ha partecipato al III corso di studi dottorali sulla “Civiltà comunale” a San Gimignano con una relazione dal titolo “I Francescani e le città del Regnum. Diffusione del Francescanesimo in ambito urbano tra XIII e XV secolo” e al X seminario di studi “Il nuovo viaggio in Terrasanta fra Basso Medioevo e prima Età Moderna” presso il Centro di Studi sul Pellegrinaggio a Montaione (FI) con una relazione dal titolo “Tra conoscenza e predicazione. I frati minori e il rinnovamento del pellegrinaggio a Gerusalemme tra XIV e XV secolo”.
Gli Interessi di ricerca si dividono in due progetti
1) I francescani in Terrasanta e in Oriente in epoca pre-custodiale. I primi insediamenti dei frati minori nei loca sacra tra attività apostolica, predicazione, assistenza ai pellegrini, “difesa” della fede, ambasciatori della Chiesa in Oriente all’epoca delle crociate. Testimonianze dalle cronache di viaggio e di pellegrinaggio di ambiente minoritico. Frati minori pellegrini e testimoni. La Gerusalemme francescana e i luoghi della passione. Teoria del pellegrinaggio francescano.
2) Diffusione e sviluppo degli insediamenti francescani nel Mediterraneo e nel Mezzogiorno dal punto di vista politico e strettamente geografico, con particolare attenzione allo studio del francescanesimo nel suo sviluppo in ambito urbano dal XIII al XV secolo.