Castel del Monte

IMG_5823 di Furio Cappelli

Isolato su una lieve prominenza, nel mezzo dell’altopiano pugliese delle Murge, Castel del Monte è sicuramente il monumento più celebre tra tutti quelli che si legano alla figura dell’imperatore Federico II di Svevia (1220-1250). Le informazioni di cui disponiamo sulla sua origine sono scarne, e il dibattito sulle finalità di un edificio così singolare è ancora aperto e assai fitto.

Affascinante per la sua cristallina definizione geometrica e per il legame con un personaggio così poliedrico e discusso come lo stupor mundi (celebre appellativo attribuito a Federico II dal cronista coevo Matthew Paris), il castello ha infatti ispirato una lunga e di certo non esaurita sequela di proposte in merito alle sue funzioni e ai suoi significati. Le spoliazioni che ha subito nel corso dei secoli lo hanno a tutti gli effetti trasformato in un guscio spoglio, solenne ed enigmatico, in modo tale da prestarsi a ogni genere di approccio. Le posizioni più caute cercano di ricavare quanti più indizi dalla struttura viva del castello e dalle testimonianze di chi lo ha visitato nei secoli trascorsi, mentre le ipotesi più impegnative, speculando sugli aspetti generali dell’edificio, vi ravvisano esoterici significati nascosti, con inevitabili implicazioni fantascientifiche. Dal castello come residenza di lusso, padiglione di caccia o simbolica manifestazione del potere federiciano, si giunge così al riconoscimento di una sorta di laboratorio magico che fa da scenario a esperimenti o a riti misteriosi, per giungere ai segreti più riposti della natura, o per stabilire un contatto con presenze extraterrestri.

Federico II con il falco dal suo trattato De arte venandi cum avibus.
Federico II con il falco dal suo trattato De arte venandi cum avibus.

Quel che è certo, Castel del Monte risponde alla volontà di Federico II, e rientra nel sistema di insediamenti fortificati che egli promosse nel suo regno, realizzandoli ex novo (come in questo caso) o rielaborando preesistenze normanne. Con il suo ampio sistema castellare, egli dette luogo a una variegata fioritura di complessi, dove in diversa misura le esigenze funzionali (sede di rappresentanza, luogo di svago, presidio, deposito di masserizie) si uniscono alla cura degli aspetti estetici. E senza dubbio Castel del Monte ha molti legami con le altre strutture fortificate promosse da Federico II, come Castel Maniace a Siracusa o Lagopesole (Potenza), ma si distingue senz’altro per la spiccata valenza monumentale, che si esprime tuttora nell’insieme della sua realtà architettonica così come nei dettagli residui della sua veste decorativa.

Un solo documento ci fornisce alcuni dati sull’origine del castrum di S. Maria del Monte: così infatti il nostro castello era chiamato in origine, dal nome di un vicino monastero benedettino che dovette probabilmente chiudere i battenti quando Federico si stabilì nell’area. Orbene, il 29 gennaio 1240, mentre si trova a Gubbio, l’imperatore impartisce disposizioni straordinarie a un suo funzionario (che non era ufficialmente preposto a queste incombenze), affinché metta a disposizione il materiale edilizio necessario per il castrum «che noi vogliamo realizzare».

L’informazione non permette di accertare se in quella fase il cantiere era già avviato o da avviare. La situazione organizzativa sembra comunque difficile, e il sovrano desidera che il cantiere proceda speditamente (sine mora). Le indagini condotte sulla struttura hanno comunque stabilito che, quantomeno nell’allestimento degli ambienti, l’opera rimase incompiuta. Su talune pareti delle sale interne è stata infatti riscontrata la totale mancanza di segni attestanti un rivestimento in marmo. Considerando che, nelle intenzioni originarie, nessuna sala doveva mostrare per intero le pareti a facciavista, si desume così che il cantiere dovette a un certo punto interrompersi, o comunque tralasciare gli aspetti decorativi. E la circostanza del mancato completamento, seguendo la ricostruzione di Maria Stella Calò Mariani, si colloca bene proprio nel periodo dell’attestazione del 1240, che indicherebbe perciò la conclusione dei lavori. D’altro canto, Hubert Houben ha sottolineato che il castrum non è presente in un elenco di fortificazioni reali steso nell’ottobre 1239, il che lascia bensì supporre che i lavori di costruzione fossero iniziati proprio nel 1240.

Il 17 novembre 1239 Federico II aveva ordinato una drastica riduzione dei suoi programmi edilizi in Sicilia. La situazione era estremamente convulsa per via dell’acceso dissidio con le città lombarde e con il papato, che richiedeva un’incessante mobilitazione di truppe su un ampio scacchiere, con impieghi esorbitanti di denaro. L’imperatore è esplicito al riguardo. La riduzione degli impegni di spesa sul fronte dei castelli è dovuta alle numerose faccende che incombono al momento, e «il denaro ci è assai necessario». Non si dovevano tuttavia trascurare, nelle nuove strutture già avviate, la cura degli apparati difensivi e delle coperture, per evitare i danni che potevano derivare dall’acqua piovana. Né si doveva rinunciare a completare un’opera di altissima propaganda monumentale, la scomparsa Porta di Capua, avviata nel 1234: un vero e proprio arco trionfale rinserrato tra due torri, eretto da Federico II sull’asse della via Appia in onore di se stesso, alle soglie del suo regno. Proprio il 17 novembre 1239 lo Svevo dispone che le torri della Porta vengano lastricate sulle terrazze terminali, e richiede la fornitura di tutto il marmo necessario all’apparato decorativo.
Il 13 aprile 1240, alcuni mesi dopo l’ordine relativo a Castel del Monte, Federico II prende atto della difficile gestione dei lavori nei castelli di Trani e di Bari, e ordina la messa al riparo delle strutture già edificate. Si configura, insomma, una situazione di crisi, con una selezione degli investimenti, e in un simile scenario un monumento così ambizioso e impegnativo come Castel del Monte dovette assorbire energie e denari in grande quantità, a danno degli altri cantieri. E di certo, analogamente alla Porta di Capua, il castello dovette godere di una forte attenzione da parte dell’imperatore, vista la difficile congiuntura, tanto più che l’opera era effettivamente «eccessiva» da un punto di vista strettamente strategico-militare, e anche piuttosto defilata come strumento di monito o di «propaganda». Si tratta infatti dell’unico castrum federiciano che fa capo a sé, completamente sganciato da un centro abitato.
A ogni modo, la prima notizia relativa a un utilizzo del castello risale al 1249, allorché fece da scenario alle nozze di Violante, figlia naturale di Federico II, con il fedele funzionario Riccardo conte di Caserta, presente al capezzale del sovrano al momento della sua dipartita. Quanto allo stesso Federico, non si dispone di alcuna notizia su una sua permanenza a Castel del Monte, se si eccettua l’attestazione di un soggiorno avvenuto il 28 ottobre 1250 «a lo Castiello di Bellomonte», come riferisce una discussa fonte tre-quattrocentesca.
La ricostruzione storica, con tutte le incertezze del caso, non può andare oltre, e solo l’edificio, a questo punto, può dunque fornire gli unici suggerimenti sul proprio significato.
IMG_5841L’area in cui si inserisce appare oggi brulla, ma potevano esservi aree boscate e sorgenti d’acqua conosciute da tempo, come suggerisce il toponimo Balneoli («piccoli bagni») abbinato al monastero del Monte.
L’ingresso principale è perfettamente orientato a est, in direzione del mare, mentre il lato simmetrico ovest, dalla trifora del primo piano, offre una veduta sulla prediletta città di Andria: quella Andria fidelis, per citare lo stesso Federico, che, di ritorno dalla sesta crociata, nel 1229, volle omaggiare per non aver aderito a una ribellione. Nella cattedrale, per giunta, era sepolta la sua seconda moglie, Jolanda, figlia del re di Gerusalemme Giovanni di Brienne, morta proprio ad Andria nel 1228, cui fece seguito (dopo l’amante Bianca Lancia) Isabella d’Inghilterra, morta nel 1241 a Foggia, ma poi traslata nella stessa Andria.
In definitiva, il castello sembra ideato su un asse visivo che lega la vicina città alla costa adriatica, in una sorta di posizione baricentrica, tra la terra e il mare. D’altronde, un portolano (una «guida» alla navigazione) databile agli anni 1275-80, nel descrivere le coste pugliesi ricorda proprio Castel del Monte come punto osservabile di riferimento. Sulla terraferma, inoltre, la «corona murale» dell’edificio era perfettamente in vista percorrendo la via Traiana, ossia l’antica diramazione della via Appia che congiungeva Benevento a Brindisi, quella stessa via percorsa dal corteo funebre dello Svevo.
Il castello, lungo il suo perimetro esterno, non era forse del tutto isolato. Si tramandano notizie di fabbricati a servizio della guarnigione, come ad esempio «larghissime Scuderie». Di sicuro tutt’intorno c’era una cinta muraria. Quando, con l’avvento degli Angiò, Castel del Monte fu utilizzato come prigione (ma già Manfredi vi aveva rinchiuso due funzionari accusati di tradimento), un «ospite» ebbe la concessione di galoppare durante «l’ora d’aria» a dorso di mulo proprio lungo il muro di cinta, e alcuni anni dopo un altro carcerato riuscì a evadere, scavalcandolo senza troppi problemi.

Manfredi incoronato, miniatura della Nuova Cronica di Giovanni Villani.
Manfredi incoronato, miniatura della Nuova Cronica di Giovanni Villani.

Ed è significativo che, dopo la disfatta di Manfredi, almeno fino al 1308, il castello sia ricordato esclusivamente come carcere, con particolare riguardo proprio ai figli di Manfredi (che vi soggiornarono per circa trent’anni), in una sorta di crudele nemesi storica, come suggerisce Franco Cardini. Sembra quasi che, in tal modo, già Carlo I d’Angiò volesse cancellare ogni memoria del nemico e ogni valenza trionfale dell’edificio. Ma la sontuosa magnificenza del castello, nonostante le guardiole erette sugli spalti e le grate apposte alle finestre, resisteva indiscussa, se nel 1308 Beatrice figlia di Carlo II d’Angiò, ricevuto in dote il feudo di Andria, si risposò con un certo sfarzo proprio a Castel del Monte, eleggendolo a propria residenza di corte. E un altro momento di splendore, l’ultimo nella storia del castello, si concretizzò a quanto pare nel 1449, quando passò in mano ad Alfonso V d’Aragona. Nonostante diverse vicissitudini, insomma, la struttura si prestava volentieri a essere utilizzata come reggia di lusso, e forse proprio quella era la sua funzione principale, anche se attuata solo in parte, e tardivamente.
Come si è accennato, lo sfarzo degli ambienti, oggi solo in parte intuibile, è d’altra parte ancora attestato dai visitatori del ’700, nonostante i danni e le spoliazioni che già si erano verificati. I pavimenti presentavano una decorazione a intarsio, e le volte del soffitto avevano una foderatura lignea rivestita di mosaici policromi. Gran parte delle pareti era tutta foderata di marmi, tranne le lunette del piano superiore lavorate all’antica, in opus reticulatum, con le finiture dipinte in rosso scuro. Tuttora le riquadrature delle porte sfoggiano parati in rossa breccia corallina di provenienza locale, e si riscontra anche il riutilizzo di lastre antiche di bianco marmo cipollino.
Ma, allo stato attuale, il castello, come si diceva all’inizio, è più che altro uno «scheletro» poderoso, egregiamente realizzato in blocchi di un tipico calcare estratto dalle cave delle Murge, di colore biondo, e punteggiato da inclusi di quarzo. Così come nella muratura, anche nella pianta e nell’alzato esso appare rigoroso, compatto e «monolitico». L’ottagono perimetrale fa corpo unico con le otto torri, di otto lati anch’esse, anche se solo sei lati emergono dal volume esterno. Esse sono oggi delimitate sul piano della terrazza, ma forse in origine dovevano essere leggermente più alte, emergendo così dal «blocco» dell’edificio.
I due piani del castello, messi in comunicazione dalle scale a chiocciola alloggiate in alcune torri, hanno la stessa altezza e la stessa conformazione, con otto sale della medesima foggia che si corrispondono in modo quasi perfetto. Anche se esistono percorsi obbligati, come in una sorta di labirinto, tutte le sale sono comunicanti tramite ampie porte di raffinata fattura.
Le sale del primo piano (il piano nobile) sono impreziosite lungo le pareti da panche marmoree. Esse si articolano in gradinate e sedute assai eleganti in corrispondenza delle finestre polifore, in modo da godere comodamente della veduta esterna.
IMG_5808I camini monumentali avevano l’alta cappa impostata su colonne, con l’architrave in rossa breccia corallina. Ai lati dei camini, sul piano nobile, si osservano poi raffinatissime credenze a muro, riquadrate in marmo, per contenere ampolle con soluzioni particolari o essenze, che potevano diffondersi nell’ambiente grazie al calore. Ed è interessante che le sale così riscaldate, dotate per giunta di toilettes, dunque le più confortevoli, si trovino al termine dei percorsi obbligati.
Le feritoie che illuminano le torri, fungendo anche da sistema di aerazione, erano di scarsa utilità da un punto di vista difensivo. La stessa saracinesca azionabile sul grandioso ingresso principale, finiva per avere un significato puramente simbolico. Il portale, d’altronde, è esaltato dalle torri di rinfianco, ed era in origine corredato sul timpano da un gruppo scultoreo in marmo, con la probabile effigie classicheggiante del sovrano in trono, affiancato da due illustri personaggi della corte. Assumeva dunque una valenza trionfale, in chiara corrispondenza con la Porta di Capua.
E proprio la decorazione scultorea di altissima fattura, ancora oggi riscontrabile su larga parte degli ambienti interni (compresi alcuni vani delle torri), dà la misura della forte componente estetica dell’edificio. Maggiormente elaborato al primo piano, il corredo decorativo si sviluppa lungo i sistemi di copertura a volta, con un’ampia schiera di capitelli e di fioroni variamente elaborati, cui si affianca un prezioso repertorio di rilievi figurati, sulle chiavi delle volte stesse o sulle mensole di sostegno: maschere e telamoni che attingono al repertorio delle cattedrali gotiche con uno spirito classico tipicamente federiciano, componendo nel loro insieme un vivace gioco di movenze e di espressioni, talvolta con esplicita allusione al riso, come si conviene alla gioia di un ambiente di corte. Impressionante e quasi compiaciuto, poi, il complesso sistema idrico della struttura, con tubature di carico e scarico in pietra, argilla, rame, sfiati e sgocciolatoi, cisterne pensili sulle torri, cisterne sotterranee, toilettes e lavabi. Il grande apparato di conduzione era visivamente imperniato su una perduta struttura situata al centro del cortile: una grande fontana a getto, alimentata dalle acque che giungevano dalla terrazza o dalle cisterne pensili, tramandata anche come vasca ottagonale, con una panca che correva lungo il suo perimetro interno. Proprio la presenza di un sedile a contatto dell’acqua indicherebbe una struttura di svago, pensata per i bagni degli illustri ospiti del castello, prima ancora che per l’approvvigionamento di una guarnigione. Le porte-finestre che si affacciano sul cortile, di elegante fattura, davano poi su un ballatoio ligneo sporgente, impostato su mensole di pietra. Grazie a questa struttura, accessibile da tre sale, il piano nobile era dotato di un balcone che correva lungo tutto il perimetro, con vista sulla scenografica fontana al centro del cortile.

La presenza di un sistema idrico così articolato, culminante forse in una splendida vasca monumentale, è senz’altro un tratto forte nella concezione del castello, e non ha confronti per complessità e raffinatezza con gli analoghi sistemi riscontrabili nelle altre strutture federiciane. L’indagine condotta di recente dagli architetti Giuseppe Fallacara e Ubaldo Occhinegro, ha messo in risalto questo aspetto, ravvisandovi nientemeno che la chiave interpretativa del monumento. Castel del Monte si proporrebbe come una sorta di gigantesco battistero laico, laddove l’acqua rigeneratrice era in funzione della gloria e del benessere del sovrano. Gli ampi camini potevano funzionare anche come riscaldatori d’acqua associati a tubature pavimentali, e la struttura avrebbe così assicurato la disponibilità di acqua calda e vapore (di qui il presumibile motivo degli sfiati delle sale riscaldate, laddove si sarebbero formate in tal modo elevate quantità di umido da smaltire). Federico II si sottoponeva a cure termali e promuoveva lo studio degli effetti benefici dei bagni, ed era dunque sensibile a questi temi.
I due studiosi si sono spinti ben oltre, e hanno proposto il riconoscimento del progetto ideale del castello. Esso sarebbe tramandato da una figura del manoscritto Voynich oggi conservato a Yale, un enigmatico codice quattrocentesco di carattere scientifico, che verte su temi di cosmologia, alchimia, biologia, erboristica, riconoscibili dalle immagini ma non dal contenuto, sinora indecifrato.

Una pagina del Manoscritto Voynich
Una pagina del manoscritto Voynich

Nella figura in questione si osserva una costruzione simbolica ottagonale con torri d’angolo e una vasca centrale, laddove campeggia un sole. Qualora l’origine dell’opera fosse riconducibile all’ambiente di Federico II, per quella particolare attenzione alle scienze matematiche e naturalistiche che lì venne promossa, grazie ad esempio a Leonardo Fibonacci, il sole centrale sarebbe riferibile al «Sole della giustizia» (lo stesso Federico, secondo la celebre definizione di Manfredi), e l’intera immagine costituirebbe la base ideale di Castel del Monte.
Come gli stessi autori ammettono chiaramente, la proposta è del tutto ipotetica, ma la chiave di lettura del monumento, basata sulle sue evidenze, possiede una verificabile concretezza. Anche escludendo l’aggancio al manoscritto Voynich o la funzione termale delle stanze riscaldate, il riconoscimento del ruolo dell’acqua come fonte di vita in chiave laica, sotto l’aspetto medico e sotto l’aspetto trionfale, può essere risolutivo. Il complesso sistema idrico non indica infatti una semplice «esibizione tecnologica», dal momento che è intimamente connesso all’immagine e al concetto della struttura.

Per tentare una spiegazione di Castel del Monte molto spesso si è fatto ricorso a confronti del tutto plausibili con esperienze analoghe, vicine e lontane, ma nessun aggancio è apparso mai risolutivo. Ogni volta il castello sfugge a qualsiasi classificazione, visto che è stato realizzato proprio per essere un’opera unica, fascinosa e irripetibile, come unico è il carisma del suo committente.
Indubbio è il valore simbolico dell’ottagono, come figura mediatrice tra il cielo (il cerchio) e la terra (il quadrato), secondo un’iconologia architettonica elaborata già nei mausolei imperiali di epoca tardoantica, e in seguito diffusa in edifici di ogni genere, dai battisteri alle torri campanarie o difensive, in Oriente e in Occidente. Elaborato con una simile solennità, l’ottagono rimanda senz’altro alla cappella palatina di Aquisgrana, dove Federico II fu incoronato re di Germania (1215), o alla Cupola della Roccia di Gerusalemme, che il sovrano ebbe modo di visitare durante la sesta crociata (1229): due monumenti-chiave nel concetto della regalità sacra del Medioevo, l’uno, legato alla memoria di Carlo Magno, l’altro, ricondotto dai racconti dei pellegrini alla memoria del biblico re Salomone.

D’altro canto, il concetto della residenza come luogo di benessere e di delizia (solatium), secondo un’antichissima tradizione persiana mediata dal mondo arabo, era già ben presente nella Sicilia normanna, come tuttora ricorda la Zisa di Palermo (1164-1180), con le sue decorazioni musive e i suoi giochi d’acqua. E sono molti gli indizi che suggeriscono un aggancio con i palazzi nordafricani dei secoli X-XII, come ad esempio il concetto «labirintico» dei percorsi o la rigorosa struttura simmetrica intorno a un cortile, secondo schemi che risalgono in parte all’edilizia residenziale dei califfi abbasidi di Baghdad. Proverbiale è peraltro l’apertura di Federico II verso la cultura araba, come pure l’abilità diplomatica con cui strinse l’accordo di pace con il sultano del Cairo al- Kamil (febbraio 1229).

Troppo vasto e ridondante per essere una semplice domus dedicata agli svaghi del sovrano, troppo sontuoso per essere la semplice sede di un presidio militare, Castel del Monte è una residenza fortificata che doveva stare molto a cuore a Federico II, per tutta una serie di componenti simboliche e funzionali intrecciate in modo indissolubile: è, al tempo stesso, luogo di delizie e manifestazione «intima» di potere, in una località isolata tra la terra e il mare, nel cuore dell’amata Puglia. Pensato forse, in prima battuta, per l’otium del sovrano, per fastosi ricevimenti, come pure per mettere in soggezione ambasciatori e prigionieri di lusso, Castel del Monte è comunque, nel suo affascinante ed enigmatico complesso, l’effigie più potente dello stupor mundi.

Da leggere
Antonio Cadei, Castel del Monte, in Enciclopedia dell’Arte Medievale, Roma, Treccani, 1993, reperibile on-line.
Raffaele Licinio, Federico II e gli impianti castellari, in Aa. Vv., Federico II e l’Italia. Percorsi, luoghi, segni e strumenti, Roma, De Luca, 1995; pp. 63-68.
Maria Stella Calò Mariani, Raffaella Cassano (a cura di), Federico II. Immagine e potere, Venezia, Marsilio, 1995.
Franco Cardini, Castel del Monte, Bologna, Il Mulino, 2000.
Hubert Houben, Castel del Monte, in Federiciana, Roma, Treccani, 2005, reperibile on-line. Giuseppe Fallacara, Ubaldo Occhinegro, Manoscritto Voynich e Castel del Monte. Nuova chiave interpretativa del documento per inediti percorsi di ricerca, Roma, Gangemi, 2013.

Il presente articolo è stato pubblicato sul mensile “Medioevo” (luglio 2014, n. 210) ed è tratto da https://independent.academia.edu/FurioCappelli.

furio_cappelliFurio Cappelli è dottore di ricerca in Storia dell’Arte Medievale e collabora alla rivista “Medioevo”.
Info: https://independent.academia.edu/FurioCappelli;
https://www.facebook.com/furiocap
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