Chiesa di San Marco di Marta Frigerio
Nel cuore del quartiere di Brera, non lontano dalla Pinacoteca e dalla basilica di San Simpliciano, si staglia nell’omonima piazza uno tra i maggiori edifici di culto meneghini, la chiesa dedicata a San Marco.
L’edificio venne innalzato in stile gotico a partire dal 1254 per volontà di Lanfranco Settala, priore generale degli Eremitani di Sant’Agostino, che commissionò una chiesa a croce latina scandita in tre navate, interamente voltata e sostenuta da pilastri cilindrici.
Numerose testimonianze storico-documentarie, tuttavia, permettono di ipotizzare una retrodatazione: è nel 1177 che il vescovo Algiso da Pirovano, dopo un viaggio a Venezia, fonda la chiesa. Come attesta un documento del 1250, l’edificio sorge quindi su una precedente costruzione, legata agli Zambonini, un gruppo di penitenti seguaci della regola agostiniana, cui lo stesso Settala apparteneva.
In particolare, la fase più antica si riconosce nel braccio sud del transetto, databile agli inizi del XIII secolo, in concomitanza con la riqualificazione cittadina avviata in seguito alle lotte contro Federico Barbarossa. Proprio a riconoscenza dell’aiuto offerto da Venezia a Milano nella lotta all’imperatore, la chiesa fu dedicata a San Marco.
A questa iniziale fase appartenevano le aperture ad arco acuto della navata maggiore, perdute in seguito ai rifacimenti del XVI secolo.
La possente torre campanaria a pianta quadrangolare risalirebbe a inizio Trecento, sulla base di indicazioni stilistiche che la avvicinano a coevi campanili locali. Una svolta importante si ebbe nel 1302, con la concessione di papa Bonifacio VIII agli agostiniani di poter costruire cappelle private ospitanti sepolture.
Nel corso dello stesso secolo, la chiesa iniziò a ricevere laute donazioni da parte delle più potenti famiglie di Milano, tra cui i Visconti; tali lasciti permisero la promozione di interventi volti all’ampliamento della nave centrale e della zona absidale.
Allo stesso periodo si fa risalire la realizzazione della facciata, oggi in parte alterata dal rifacimento ottocentesco di Carlo Maciachini (1872), che restaurò la parte alta con stilemi romanici e pennacchi. L’assetto originario prevedeva un profilo a salienti spezzati, con quattro contrafforti che rispecchiavano la scansione interna in tre navate, e al centro un grande rosone e un fregio ad archetti intrecciati. La decorazione era affidata anche ai materiali: il tradizionale cotto lombardo era affiancato alla pietra viva, con un sobrio gioco cromatico. Al centro, spicca il raffinato portale marmoreo a pieno centro, coronato da nicchie contenenti tre sculture raffiguranti i santi Agostino, Ambrogio e Marco, gruppo forse riferibile all’anonimo scultore campionese attivo nel 1348 presso l’abbazia di Viboldone.
L’apparato scultoreo è consistente anche all’interno della chiesa, con opere che illustrano le due linee di tendenza della produzione milanese dell’epoca: da un lato un orientamento locale, legato ai maestri campionesi, dall’altro uno toscanocentrico, modellato sull’opera di Giovanni di Balduccio. Esemplari di questo raffinato complesso scultoreo sono il sarcofago di fra’ Mirano da Bechalòe, scolpito da maestri campionesi, quello di Salvarino Aliparandi, da attribuire forse al Maestro di Viboldone, e quello di Lanfranco Settala, di scuola di Giovanni di Balduccio.
Nella zona presbiteriale, di grande impatto sono due capolavori pittorici di inizio XVII secolo (entrambi, presumibilmente, del 1618). Vicino all’altare neoclassico, colpisce l’affresco con la Disputa di Sant’Ambrogio e Sant’Agostino di Camillo Procaccini, opera autografa (si legge la firma alla base della colonna) e dall’alto valore didattico, riferibile alla disputa nata tra i santi in merito all’interpretazione delle Sacre Scritture. Sempre nel coro, la tela con il Battesimo di Sant’Agostino di Giovan Battista Crespi, detto il Cerano, riflette il percorso di Agostino verso il battesimo, mediante la frequentazione con San Simpliciano e Sant’Ambrogio.
Di notevole prestigio è anche l’apparato pittorico della Cappella Foppa, la prima della navata destra: il monumento funebre, progettato da Bramantino, è purtroppo scomparso, ma è ancora possibile ammirare il ciclo di affreschi di Giovanni Paolo Lomazzo, dedicato a Pietro e Paolo (1570).
La chiesa non subì radicali trasformazioni sino al XVII secolo, quando venne restaurata e aggiornata in stile barocco, divenendo il più ampio edificio di culto della città dopo il Duomo.
Seguirono l’intervento ottocentesco sulla facciata, di Maciachini, e la lunga cancellata laterale di Magistratti (1934) per isolare la chiesa dal traffico.
Tra le curiosità: nel XVIII secolo, la chiesa vide un breve soggiorno del giovane Wolfgang Amadeus Mozart, e la prima esecuzione della Messa da Requiem, diretta dallo stesso Giuseppe Verdi, in occasione del primo anniversario dalla scomparsa di Alessandro Manzoni (22 maggio 1874).

Conseguita la laurea triennale in Scienze dei beni culturali presso l’Università degli Studi di Milano, si trasferisce a Londra, dove perfeziona la conoscenza della cultura artistica britannica, nonché della lingua inglese. Tornata in patria, si iscrive al corso di laurea magistrale in Archeologia e Storia dell’Arte presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore.
Si interessa di storia dell’arte, editoria e critica d’arte contemporanea; fotografa per passione.
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