
di Michele Colabella.
A Nea Paphos, antica capitale dell’isola di Cipro, si può ammirare uno dei più raffinati mosaici del cosiddetto ‘bello stile’, che caratterizza la rinascenza costantiniana nelle arti della prima metà del IV secolo. Osservando le scene del pavimento musivo della casa di Aion, si constata che dal primo al quinto pannello hanno tutte in comune il tema dionisiaco, quasi prefigurando le parole di Macrobio (secc. IV-V), che nei suoi Saturnalia (I, 18, 5-6/24) scrisse che Dioniso includeva gli altri dei in se stesso: è Elio e Apollo e l’intelligenza del mondo che è chiamata Jupiter (Zeus). È una strana idea monoteista in un contesto profondamente pagano. Tale clima filosofico deve essere stato ispirato da Giuliano l’Apostata (331-361/363), l’imperatore romano che della seconda metà del IV secolo tentò di reintrodurre il culto pagano nell’Impero, dove il Cristianesimo era già stato proclamato religione di stato. Le pitture di Paphos, pertanto, sembrano sfidare la Cristianità sui fondamenti morali1.
Precedentemente, nel III secolo, nella Cappella Greca della catacomba di Priscilla era stata raffigurata Maria, col capo scoperto e seduta come una matrona con in braccio Gesù, mentre i Magi, che indossano vestiti orientali cromaticamente contrastanti, si avvicinano speditamente recando nelle mani i loro doni. Non a caso il prototipo di questa celebre e fondamentale scena si trova proprio a Roma, dove i seguaci di origine greca e romana, la cui cultura aveva sempre attribuito grande importanza alle rappresentazioni figurative nelle abitazioni, nelle piazze, nei palazzi e negli edifici pubblici, sfidando le persecuzioni, fecero i primi timidi tentativi di quella che poi sarebbe stata definita arte paleocristiana, nelle catacombe, nei cimiteri e nelle domus ecclesiae. Nella parte orientale dell’impero romano, invece, le prime comunità cristiane, ancora legate alla dottrina ebraica, vietavano le figurazioni, poiché si attenevano al divieto sancito da un passo dell’Antico Testamento, che ordinava: “Non ti fare nessuna scultura, né immagini delle cose che sono su nel cielo, o sulla terra, o nelle acque sotto la terra. Non adorare tali cose, né servir loro…” (Esodo 20, 4-5).
I cristiani dei primi secoli si identificavano nei Magi, attraverso i quali si manifestava l’universalità del messaggio di Gesù, rivolto alla salvezza di tutte le genti. Questo spiega la diffusione delle immagini della loro adorazione che accompagnano l’arte cristiana sin dalla nascita. Per esemplificare, man mano la possiamo osservare nella lastra funeraria di Severa (seconda parte del III sec.), della catacomba dei SS. Pietro e Marcellino di Roma; nella fronte di un sarcofago (prima metà del IV sec.), del Museo Pio Cristiano della Città del Vaticano; nel coperchio di sarcofago (prima metà del IV sec.) di S. Paolo fuori le mura; poi, tutti del IV sec., nel sarcofago del Museo Ambrosiano di Milano, nel sarcofago di Stilicone della basilica di S. Ambrogio di Milano, nel sarcofago di Adelfia del Museo arcivescovile di Siracusa.
Ribaltando i termini della teoria secondo la quale l’arte cristiana si innerva nell’iconografia dei secoli precedenti, la raffigurazione dell’omaggio dei magi ispira l’Epifania pagana di Dioniso. In uno dei riquadri del mosaico della casa di Aion, in alto a destra, viene rappresentato il momento in cui Dioniso bambino, in grembo a Ermes, che si prende cura di lui dopo la prematura morte della madre Semele, sta per essere affidato a Tropheus (‘Educatore’), suo futuro tutore, e alle ninfe del Monte Nysa. Tre di esse stanno preparando il bagno, mentre le sono vicine la stessa Nysa e la nutrice Anatrophe. Il giovane dio è accompagnato da tre personificazioni: Teogonia, la nascita degli dei, Nektar e Ambrosia, i cibi divini che assicurano l’immortalità. Tutti guardano verso il dio, tranne la ninfa Fai, che in tal modo accentua il loro atteggiamento. Dioniso è nudo; una fascia dorata e una ghirlanda di foglie decorano i capelli e un nimbo argenteo-bluastro adorna la testa. Ermes, con le caratteristiche alette sulla fronte e alle caviglie, è seduto in un atteggiamento compunto, con le sembianze di un imperatore seduto sul trono; indossa un vestito lungo fino ai piedi e un mantello rosso porpora. Le ninfe, in abiti dai colori vivaci, hanno corone verdi sulle loro teste che accrescono l’atmosfera dionisiaca della scena.
Ma, sorpresa! Nel Museo Arcivescovile di Ravenna, troviamo la stessa scena dei Magi nella capsella dei SS. Quirino e Giulitta, risalente al V secolo, la quale conferma l’origine ravennate della copertura dell’Evangelario del Tesoro del Duomo di Milano, che è della stessa epoca. Difatti, nella sua lamella superiore della valva posteriore possiamo osservare l’adorazione dei Magi che ricalca lo schema compositivo dell’Epifania di Dioniso. Il cerchio, dunque, si chiude: la figura della catacomba di Priscilla e delle consimili opere hanno ispirato la scena dei mosaici di Cipro, che a sua volta ha influito, con il suo peculiare canone stilistico bizantino, sulla piccola scultura eburnea conservata a Milano.
1 W. A. Daszewski – D. Michaelides, Guide to the Paphos mosaics, Nicosia, The Bank of Cyprus Cultural Foundation / The Department of Antiquities, 1998, pp. 63-71. L’articolo è debitore del primo autore della guida. Cfr. Ambrosio Teodosio Macrobio, Saturnalia, Stoccarda–Lipsia, Teubner,1994, pp. 100-108/109.
È nato a Bonefro (Campobasso) nel 1941, vive dal 1962 a Milano, dove si è laureato in pedagogia, con indirizzo filosofico, specializzandosi poi in critica e tecnica del teatro, alla Scuola Superiore delle Comunicazioni Sociali. Nella stessa città ha frequentato la scuola di archivistica, paleografia e diplomatica, presso l’Archivio di Stato, e l’Istituto di Cultura del Vino, per conseguire il diploma di wine master. È socio dell’Associazione Culturale Italia Medievale. Dopo aver insegnato negli Istituti magistrali, ha condotto recentemente un corso di vitivinicoltura medievale, all’Università delle Tre Età e della Terza Età. Ha tenuto la relazione I vini “speciali” dall’alto Medioevo al Rinascimento: Girolamo Conforti e il “vino mordace”, nella giornata di studi Francesco Scacchi: lo spumante a Fabriano nel XVII secolo (5 giugno 2004). Ha dedicato otto volumi a Bonefro, spaziando dalla storia alla toponomastica, dagli usi e costumi tradizionali al dizionario della lingua locale. È stato promotore del Museo etnografico. Dopo l’esperienza di alcuni atti unici di avanguardia premiati e rappresentati a Milano e in provincia di Como, dal 1975, nel periodo estivo, nel paese natale scrive e mette in scena all’aperto commedie con tematiche popolari; tra l’altro, ha tradotto in bonefrano Le Nuvole di Aristofane. Ha scritto quattro monografie di controstoria italiana, per conto della casa editrice Morano, e ha eseguito, a cura dell’Istituto Regionale di Studi Storici del Molise ”Vincenzo Cuoco”, una ricerca sulla figura di mons. Giovan Andrea Tria, un vescovo del ‘700, storico, erudito e controversista. Nelle edizioni Iannone ha pubblicato nel 1999 Bonefro, gente foretana, con cui ha vinto il Premio Internazionale “Piedicastello” (Il Molise nel mondo, il mondo nel Molise), nella sezione biografie e storie dell’emigrazione edite. Collabora o ha collaborato, oltre che all’Almanacco del Molise, alle riviste Spettacoli d’oggi, Storia e Medicina Popolare, Utriculus, L’Arcolaio, PerBacco. Notiziario di Etnostoria Garganica e La Perla del Molise. Per contattare l’autore: allebaloc@libero.it.