Da Vinci conosceva la Sindone di Torino?

In stato di gloria, Cristo risorto apparirà a Maria Maddalena nella telenovela brasiliana “GESÚ”: Come nelle leggi alchemiche, la trasmutazione della materia dipende da un processo di dura prova (Immagine: TV Record / Blad Meneghel. 2019).

Da Vinci conosceva la Sindone di Torino? di Átila Soares da Costa Filho
Come l’enigmatico “Ritratto di Lecco” diventa un discorso sulla Resurrezione
Tradotto da Valéria Vicentini

È passato quasi un anno da quando l’ormai denominato “Ritratto di Lecco” (già “Cristo di Lecco”) è diventato il centro di una serie di ricerche intraprese nell’omonimo comune lombardo, suscitando ogni sorta di reazioni nel mondo accademico, come si può immaginare.  Questo pezzo di carta, che misura 24 x 16,8 cm e 0,02 cm di spessore, ritrae l’immagine del volto di ¾ di un uomo con i capelli e la barba lunghi che sembra alludere alla classica figura di Cristo, ma la cosa curiosa è che ci porta anche alla grandezza e alla dignità della mitica Gioconda. Infatti, sia l’angolazione che la fermezza della personalità trasmesse dallo sguardo di quella figura allo spettatore ci fanno ricordare il famoso autoritratto di Torino di Leonardo da Vinci.
Di lì a poco, precisamente a gennaio 2021, arrivano ​​i primi risultati positivi degli studi preliminari effettuati sul tipo di carta utilizzata, confrontandola con altre dello stesso periodo – indagine necessaria per stabilire, in una prima fase, la probabilità dell’ipotesi della paternità leonardiana del disegno. A.R.T.&Co. (Applicazioni di Restauro, Tecnologiche e Conservative), spin-off dell’Università di Camerino, in collaborazione con il Ministero dei Beni Culturali, ha svolto una serie di indagini diagnostiche che comprendono analisi multispettrali di immagini (infrarosso, fluorescenza ultravioletta, ultravioletta riflessa, luce pastosa, luce trasmessa, macrofotografia), fluorescenza a raggi X, spettrografia infrarossa, microscopia ottica e pHmetro. Condotte da Giuseppe di Girolami, i lavori puntano a un risultato fortemente coerente con un’opera di Leonardo del 1492. Ed è partendo da questa premessa, affascinante e incoraggiante, che si dà il via a un approfondimento delle reali possibilità che sia un’opera autoriale del genio toscano.
Sulla base di un riferimento inesauribile all’interno dell’iconografia cristiana che punta fortemente a un legame “Lecco” – Gesù (fra cui la presenza dell’emblematica aureola è quella più forte), possiamo fare un passo avanti nella ricerca di possibili elementi a sostegno di tale idea. Ebbene, dal mio punto di vista, ci sarebbero tre punti della filosofia cristiana nel disegno (oggi in possesso di due collezionisti di Lecco) che possono essere perfettamente connessi e rivelare qualcosa di più profondo e metafisico…in consonanza con gli interessi di Leonardo.

“L’uomo di Lecco” ha la nobiltà e la fierezza di un Messia (a sinistra: composizione con il “Redemptor Mundi”, a specchio, del leonardesco Juan de Juanes). Inoltre, potrebbe celare elementi del catechismo stesso della Chiesa (a destra, in evidenza: un serpente sotto la barba? – Immagini: Átila Soares / Pascal Cotte / GM / Wikimedia).
IL SERPENTE. Disposta in modo discreto, nella zona inferiore della barba del personaggio del “Ritratto”, compare una figura dall’interpretazione confusa. Tuttavia, con la dovuta attenzione, si può scorgere qualcosa come un serpente attorcigliato su se stesso in mezzo a diverse tracce di “pentimenti”, cioè, scarabocchi realizzati quando l’autore aveva ancora dubbi sulla posa migliore del serpente (ad esempio: se più o meno arrotolato o rampante – come attestato dalla gobba, suggerita). Tutte queste tracce sarebbero state poi confermate dalle mie analisi delle foto ottenute con la tecnologia LAM, di Pascal Cotte.
In realtà, la figura del serpente era già stata esplorata da Leonardo (come risulta dai suoi disegni nel Codice Windsor, 12282 a). Ciononostante, a grande sorpresa, arriva una scoperta nel 2010: da un’approfondita analisi digitale dell'”Ultima Cena”, effettuata dall’accademico italiano Mario Taddei – un appassionato di Da Vinci dal punto di vista tecnologico -, ci viene svelato il disegno di un serpente, così come credo sia anche raffigurato in “Lecco”. Si è addirittura ipotizzato che fosse un riferimento allo stemma (presente nella lunetta sopra il dipinto) della tradizionale famiglia regnante di Milano, gli Sforza; tuttavia, le caratteristiche figurative dell’animale escludevano completamente l’ipotesi. Allora perché ci sarebbe un serpente lì? Al momento della scoperta, si è ritenuto nient’altro che uno scherzo, un capriccio di Leonardo nei confronti di Ludovico Sforza, suo cliente.

Il “Serpente di Lecco”? A destra, possibili segni che delineano lo schizzo di un serpente. Il rettile, simbolo del Maligno, rappresenta anche la Resurrezione (Immagini: GM / Pascal Cotte / Átila Soares).

Il fatto è che il ritrovamento della presenza rettiliana nella sanguigna di Lecco crea subito una domanda: nel caso in cui fosse veramente un serpente, ci potrebbe essere un collegamento tra il “Ritratto” e il “Cenacolo”? Il disegno potrebbe, quindi, essere uno studio per la testa di Cristo sul dipinto parietale di Santa Maria delle Grazie, conclusosi nel 1498? Credo di sì, che ci sia una possibilità. Orbene, il serpente (come il basilisco del bestiario) è anche simbolo di Satana e del peccato originale; nel “Ritratto” è soggiogato dalla mitezza e magnanimità dell’“uomo dai capelli e dalla barba lunghi”, che, molto probabilmente, è Cristo, come vedremo più avanti. Il rettile, invece, è ridotto in proporzione, sembra intimidito, avvilito. Un buon esempio di questo concetto lo vediamo immortalato nell’opera “La Resurrezione di Cristo” (1502), di Raffaello Sanzio – lui stesso un seguace di Leonardo. Infatti, questo interessante dipinto, oggi parte della collezione del Museo d’Arte di San Paolo (MASP), ritrae, in dettaglio, un serpente terrorizzato, immobile, davanti all’Elevazione del Salvatore, a sconfitta della Morte e dell’Oscurità. È l’orrore di Lucifero in contrasto con la gloriosa serenità del Figlio di Dio.

La presenza del serpente in “La Resurrezione di Cristo” di Raffaello (evidenziato dal tratteggio, in basso, a sinistra; e a destra, in primo piano) potrebbe essere un diretto collegamento con gli elementi apparentemente svincolati nel “Ritratto di Lecco”: L’animale, spaventato, riconosce la superiorità divina in Gesù nel momento in cui S’innalza dalla tomba (Immagini: Google Arts & Culture)
Un’altra interpretazione interessante considera il serpente come simbolo della rinascita negli insegnamenti ermetici (così familiari a Leonardo) per la sua capacità di cambiare pelle e di “trasmutarsi” in una creatura quasi nuova…come avvenuto con la sostanza di Cristo, risuscitato dai morti.
LA TESTA DELL’UOMO. Come già ipotizzato, il “Ritratto di Lecco” potrebbe essere nient’altro che un preparatorio di Leonardo per la testa di Cristo nella sua celebre “Ultima Cena”, in un disegno per meditare sul sacrificio e sulla passione… e la Resurrezione. Orbene: il modo in cui risplende il Suo volto è quasi etereo – risultato del caratteristico sfumato – e si colloca come in un momento parastorico, “fuori dal nostro tempo”, poiché sembra voler stabilire un contatto visivo con lo spettatore di qualsiasi epoca e di qualsiasi realtà. Dunque, questo Cristo si presenta in uno stato di solennità nell’infinito dell’istante, modellando il tempo e lo spazio: si parla qui di un Gesù non corporeo, ma spettrale. Infatti, proprio così fu descritto dopo aver sconfitto la Morte con la Resurrezione: uno spirito che, pur comunicando “naturalmente” con i vivi, superava i limiti e le barriere del mondo fisico con molta maggior frequenza di prima della crocifissione – così i vangeli ci fanno capire. Il “Cristo”, qui, sembra aver già vinto la Morte e il Male (il serpente) per sempre. Come nell’ “Ultima Cena”, a quanto pare, la sanguigna parla anche del Messia, della via della redenzione e del Male che si nasconde. La differenza è che, qui, in “Lecco”, la vittoria è già stata raggiunta.

La Sacra Sindone è oggetto di studio dell’autore, Átila Soares, da oltre 30 anni. A SINISTRA: La fortissima ed evidente correlazione tra il volto del Salvator Mundi (di Leonardo) e quello della Sindone porrebbe praticamente porre fine a qualsiasi discussione sulla possibile prossimità tra i due (Immagine: Composizione – Wikimedia / Átila Soares). A DESTRA: Tra le sue ricerche, hanno recentemente guadagnato risalto quelle degli esperimenti sul vero volto della Vergine Maria (Immagini: Átila Soares / Ray Downing).

IL CORPO DELL’UOMO. Un fattore che ha attirato moltissimo la mia attenzione mentre analizzavo la sanguigna è la sua innegabile somiglianza con alcuni tratti del volto della Sacra Sindone di Torino. L’artista, quindi, sarebbe stato influenzato dal Lenzuolo per creare il disegno? E se così fosse, Leonardo sarebbe entrato in diretto contatto con la reliquia – questa, considerata la prova vivente nel mondo cristiano del più grande evento della Storia, la Resurrezione? A questo proposito, basta vedere l’immensa armonia fisionomica tra il volto di Gesù nella Sindone e nei dipinti della serie “Salvator Mundi”, in cui si riconosce il modello di Leonardo per la rappresentazione del volto del Redentore. Invariabilmente, queste opere sono attribuite a discepoli di Da Vinci, sulla base di qualche suo originale perduto; tuttavia, in alcuni casi, ci sarà stata una partecipazione più o meno diretta del maestro all’esecuzione. In questo caso, la somiglianza dei volti nei dipinti con quello visibile nella Sindone è così grande che ci consente addirittura di ottenere una perfetta giustapposizione tra questo e quelli, il che ci porta a un fatto curioso: Leonardo avrebbe potuto costruire quel modello per il “Salvator Mundi” solo se fosse entrato in diretto contatto con la “matrice”, cioè, la Sacra Sindone. Un altro punto interessante è che il particolare di una leggera protuberanza sul dorso nasale superiore che vediamo sulla Sindone lo troviamo anche nella sanguigna di Lecco e, fatto curioso, anche nel Volto Santo di Manoppello, ritenuto il “Velo della Veronica”. Sebbene non ci siano documenti che colleghino direttamente l’artista ai proprietari della Sindone, i Savoia, l’ipotesi non va scartata – del resto, non vi sono prove assolute che Leonardo abbia dipinto la Gioconda, un fatto ormai universalmente accettato fin da quando l’opera è stata creata. Tuttavia, il genio toscano ha registrato in un suo taccuino un viaggio che fece in Savoia tra la fine degli anni ottanta e l’inizio degli anni novanta del Quattrocento, con uno scopo ancora sconosciuto. Per di più, è stato proprio in questo periodo che Leonardo aveva raggiunto il suo livello di massima potenza creativa.
Fatto sta che, dinanzi alla possibilità di accostare il disegno alla reliquia maggiore (la Sindone), ho cercato di trovare qualcosa in più, basandomi su questa possibilità. Ed è stato nelle linee curve e in evidenza dei capelli di questo apparente Gesù – confermate poi dalle foto potenziate multispettrali di Pascal Cotte – che ho notato qualcosa di molto curioso: uno schizzo che suggerisce il corpo di un uomo nudo, disteso, come a riprodurre la posa della figura sbiadita sul Lenzuolo di Torino.
Tra l’altro, la pratica di Leonardo di celare elementi poco evidenti o di oscuro significato all’interno delle sue opere, lungi dall’essere un mito o un sensazionalismo, è un fatto ormai considerato in ambito accademico, soprattutto nelle parole dello stesso artista nel “Trattato della pittura” (1632):
“Non isprezzare questo mio parere, nel quale ti si ricorda che non ti sia grave il fermarti alcuna volta a vedere nelle macchie de’ muri, o nella cenere del fuoco, o nuvoli o fanghi, od altri simili luoghi, ne’ quali, se ben saranno da te considerati, tu troverai invenzioni mirabilissime, che destano l’ingegno del pittore a nuove invenzioni sí di componimenti di battaglie, d’animali e d’uomini, come di varî componimenti di paesi e di cose mostruose, come di diavoli e simili cose, perché saranno causa di farti onore; perché nelle cose confuse l’ingegno si desta a nuove invenzioni.”
Per il pensieroso – e per nulla convenzionale – “maestro” – si tratterrebbe sicuramente di un esercizio di percezioni o di ragionamenti. Un gioco di grande potenzialità per rendere più ricco e interessante qualsiasi dipinto. Quindi, del tutto leonardiano il disegno qui suggerito.
IL CORPO DELL’UOMO. Un fattore che ha attirato moltissimo la mia attenzione mentre analizzavo la sanguigna è la sua innegabile somiglianza con alcuni tratti del volto della Sacra Sindone di Torino. L’artista, quindi, sarebbe stato influenzato dal Lenzuolo per creare il disegno? E se così fosse, Leonardo sarebbe entrato in diretto contatto con la reliquia – questa, considerata la prova vivente nel mondo cristiano del più grande evento della Storia, la Resurrezione? A questo proposito, basta vedere l’immensa armonia fisionomica tra il volto di Gesù nella Sindone e nei dipinti della serie “Salvator Mundi”, in cui si riconosce il modello di Leonardo per la rappresentazione del volto del Redentore. Invariabilmente, queste opere sono attribuite a discepoli di Da Vinci, sulla base di qualche suo originale perduto; tuttavia, in alcuni casi, ci sarà stata una partecipazione più o meno diretta del maestro all’esecuzione. In questo caso, la somiglianza dei volti nei dipinti con quello visibile nella Sindone è così grande che ci consente addirittura di ottenere una perfetta giustapposizione tra questo e quelli, il che ci porta a un fatto curioso: Leonardo avrebbe potuto costruire quel modello per il “Salvator Mundi” solo se fosse entrato in diretto contatto con la “matrice”, cioè, la Sacra Sindone. Un altro punto interessante è che il particolare di una leggera protuberanza sul dorso nasale superiore che vediamo sulla Sindone lo troviamo anche nella sanguigna di Lecco e, fatto curioso, anche nel Volto Santo di Manoppello, ritenuto il “Velo della Veronica”. Sebbene non ci siano documenti che colleghino direttamente l’artista ai proprietari della Sindone, i Savoia, l’ipotesi non va scartata – del resto, non vi sono prove assolute che Leonardo abbia dipinto la Gioconda, un fatto ormai universalmente accettato fin da quando l’opera è stata creata. Tuttavia, il genio toscano ha registrato in un suo taccuino un viaggio che fece in Savoia tra la fine degli anni ottanta e l’inizio degli anni novanta del Quattrocento, con uno scopo ancora sconosciuto. Per di più, è stato proprio in questo periodo che Leonardo aveva raggiunto il suo livello di massima potenza creativa.
Fatto sta che, dinanzi alla possibilità di accostare il disegno alla reliquia maggiore (la Sindone), ho cercato di trovare qualcosa in più, basandomi su questa possibilità. Ed è stato nelle linee curve e in evidenza dei capelli di questo apparente Gesù – confermate poi dalle foto potenziate multispettrali di Pascal Cotte – che ho notato qualcosa di molto curioso: uno schizzo che suggerisce il corpo di un uomo nudo, disteso, come a riprodurre la posa della figura sbiadita sul Lenzuolo di Torino.
Tra l’altro, la pratica di Leonardo di celare elementi poco evidenti o di oscuro significato all’interno delle sue opere, lungi dall’essere un mito o un sensazionalismo, è un fatto ormai considerato in ambito accademico, soprattutto nelle parole dello stesso artista nel “Trattato della pittura” (1632):
“Non isprezzare questo mio parere, nel quale ti si ricorda che non ti sia grave il fermarti alcuna volta a vedere nelle macchie de’ muri, o nella cenere del fuoco, o nuvoli o fanghi, od altri simili luoghi, ne’ quali, se ben saranno da te considerati, tu troverai invenzioni mirabilissime, che destano l’ingegno del pittore a nuove invenzioni sí di componimenti di battaglie, d’animali e d’uomini, come di varî componimenti di paesi e di cose mostruose, come di diavoli e simili cose, perché saranno causa di farti onore; perché nelle cose confuse l’ingegno si desta a nuove invenzioni.”
Per il pensieroso – e per nulla convenzionale – “maestro” – si tratterrebbe sicuramente di un esercizio di percezioni o di ragionamenti. Un gioco di grande potenzialità per rendere più ricco e interessante qualsiasi dipinto. Quindi, del tutto leonardiano il disegno qui suggerito.


L’“uomo del sudario” celato: una prova a sostegno del colloquio tra Leonardo e la reliquia più venerata della Storia? Linee in evidenza visibili a occhio nudo, confermate in seguito dalle foto multispettrali LAM (Immagini: Átila Soares / GM)

Avremmo così tre pilastri per sostenere un discorso sulla Passione, Morte e Resurrezione, dove la passione si trasforma in gioia e la fine in rinascita. Se per Leonardo il fulcro della vita è proprio la costanza dell’incostanza, del mutamento e del divenire, la sanguigna di Lecco potrebbe esserne un lascito sotto forma di disegno: una testimonianza dell’Arte come strumento di meditazione sui misteri della ruota invisibile della vita.
Ringraziamenti a Valéria Vicentini.
Átila Soares è brasiliano, insegnante, stimatore di opere d’arte, ricercatore e autore di quattro libri. Ha una laurea in Disegno Industriale conseguita presso la Pontifícia Universidade Católica di Rio de Janeiro nonché titoli di specializzazione post laurea in Storia, Filosofia, Chiesa Medievale, Sociologia, Storia dell’Arte, Antropologia, Archeologia e Beni Culturali.
È, inoltre, collaboratore nella rivista “Humanitas” (Ed.Escala, São Paulo) e nei siti web “Italia Medievale” (Milano) e “Nova Acrópole” (Lisbona). Fa parte del comitato scientifico della Mona Lisa Foundation (Zurigo), della Fondazione Leonardo da Vinci (Milano) e del progetto L’Invisibile nell’Arte (Roma). Per visitare il suo sito clicca qui !

CATEGORIE
CONDIVIDI SU
Facebook
Twitter
LinkedIn
Pinterest
WhatsApp
Email
Stampa
My Agile Privacy
Questo sito utilizza cookie tecnici e di profilazione. Cliccando su accetta si autorizzano tutti i cookie di profilazione. Cliccando su rifiuta o la X si rifiutano tutti i cookie di profilazione. Cliccando su personalizza è possibile selezionare quali cookie di profilazione attivare.