
Diario di viaggio in Borgogna tra Medioevo e natura Testo e immagini di Maria Luisa Ghianda
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Ci sono tre aspetti della Francia che prediligo in assoluto: il suo paesaggio naturale (soprattutto quello dei suoi fiumi e dei suoi laghi), le vestigia del suo Medioevo e il rispetto e la cura che il suo popolo e le sue istituzioni hanno per entrambi. La seconda triade delle cose francesi che preferisco è più prosaica ed è composta dai vini, dai formaggi e dai brocantes. Quando mi concedo i primi, cerco di non farmi mai mancare neppure i secondi.
E così, quest’estate ho fatto una full immersion in tutte queste belle cose con un viaggio in terra di Borgogna. Evitando accuratamente le autostrade, noiosissime e molto costose, ho percorso esclusivamente le “routes vertes”, intrecciando una collana di luoghi medievali magici, alcuni dei quali vedevo per la prima volta, altri che rivisitavo a distanza di tempo, e la “route bleue” del canale laterale della Loira.
Varcato il confine attraverso il traforo del Monte Bianco, dopo una sosta sul lago artificiale di Serre-Ponçon, creato dalla diga sul fiume Durance, per ammirarne la superficie trasparente color acquamarina, ho proseguito il viaggio costeggiando le rive della Saône, dal letto placidamente maestoso, costellate di magazzini di brocantes dove si trovano le cose più incredibili a prezzi modici. In uno di essi ho acquistato per soli dieci euro una bicicletta Peugeot da donna, anni Settanta. La devo sistemare un po’, ma è perfetta.

Prima tappa: Tournus
Risalendo la Saône verso nord si incontra Tournus, un delizioso paesino dall’impianto urbanistico medievale, dove sorge uno dei monumenti più antichi del romanico borgognone: la chiesa abbaziale di Saint-Philibert.
Costruita dai monaci colombaniani tra il 960 e il 980 è stata rimaneggiata nel 1020 dopo un incendio che aveva distrutto le originarie capriate lignee, sostituite da imponenti campate coperte da volte a botte.
L’impianto planimetrico è a tre navate, di cui quella centrale, sorretta da poderose colonne. Molto elevata in altezza in rapporto alla sua superficie, è illuminata da un cleristorio con aperture ad archi a tutto sesto. Anche le navate laterali, coperte da volte a vela, sono molto alte e conferiscono all’edificio l’aspetto di una pseudo-chiesa-a-sala. L’abside è circondata da un deambulacro semicircolare, con un magnifico pavimento a mosaico del XII secolo in cui sono riprodotti dei medaglioni con i segni zodiacali. Vi si aprono tre cappelle radiali; in quella centrale sono custodite le reliquie di San Filiberto, cui la chiesa è dedicata.
La facciata alla normanna presenta due campanili a vela. Quello di sinistra è stato sopraelevato nel XII secolo. A due ordini sovrapposti con tetto cuspidato costituisce un bell’esempio di romanico borgognone con decorazioni policrome.
Ad un centinaio di metri a sud est di Saint Philibert sorge la chiesa di Saint-Valérien, costruita, sempre dai monaci di San Colombano, tra la fine dell’XI e l’inizio del XII secolo. Non l’ho visitata perché era chiusa per restauri.
Dato che il mio viaggio si è svolto nel mese di giugno, avrei desiderato assistere al famoso festival musicale-gastronomico “Les Francos Gourmandes”, che si tiene da alcuni anni a Tournus, per gustare i prelibati manicaretti preparati da chefs stellati provenienti da tutta la Francia per prendere parte alla manifestazione “Les Chefs en folies”. Purtroppo, per motivi (dicono) di sicurezza e per difficoltà organizzative, quest’anno non ha avuto luogo.
C’est dommage!

Seconda tappa: Beaune
Nel cuore della zona viticola della Borgogna sorge la città di Beaune, seconda tappa del mio viaggio. Qui si producono vini squisiti e delicati; tra i bianchi, ad esempio, ci sono il Mersault e il Montrachet e, tra i rossi, il Pommard e il Volnay, il mio preferito. Ogni anno in città si tiene la più importante vendita all’asta dei vini di Francia, detta appunto “Vente de Beaune”, che fu istituita nel XV secolo per finanziare la costruzione dell’Hotel Dieu, l’antico ospedale cittadino.
Questo a Beaune è stato per me un gradito ritorno. L’avevo già vista anni fa con i miei studenti ed anche in quell’occasione visitammo l’Hotel Dieu, dove ammirammo anche il Polittico del Giudizio Universale (1443-1451), capolavoro del maestro fiammingo Rogier van der Weyden che è lì conservato e la chiesa Collegiata di Notre-Dame, costruita su modello cluniacense nella seconda metà del XII secolo.
L’Hotel Dieu, il magnifico ospedale destinato ai poveri della città, ancora oggi perfettamente conservato in tutti suoi ambienti, è stato fondato da Nicholas Rolin, il celebre cancelliere del duca di Borgogna Filippo il Buono, e da sua moglie Guigone di Salins.
Il suo cortile interno, di forma rettangolare, è circondato da un edificio che si sviluppa su due livelli senza soluzione continuità. Costruito secondo le regole dell’architettura tradizionale della Borgona, è coperto da un bel tetto a doppio spiovente nel quale si aprono numerosi abbaini e torri angolari. I suggestivi motivi geometrici degli embrici maiolicati che lo ricoprono, a quattro colori, rosso, marrone, giallo e verde, sono frutto del restauro del 1902 opera dell’architetto Sauvageot che li ha introdotti a suo arbitrio, visto che i disegni originali erano andati perduti.
All’interno dell’edificio si possono ancora ammirare gli ambienti che connotavano l’antico ospedale, dalla farmacia alle cucine, dalle sale di degenza alla cappella, alle cantine, con mobili e oggetti originali e persino con dei manichini in abiti d’epoca. Nella camera più spaziosa è ospitato il museo, dove si conserva la collezione dell’Ospedale, con opere di altissimo valore artistico, tra cui, insieme al Polittico di Van der Weyden, c’è il meraviglioso arazzo di Saint-Eloi eseguito nel XVI secolo nelle Fiandre con la tecnica dei “mille fiori”, il cui nome le deriva proprio dai motivi floreali che la connotano. In genere su fondo blu, così come questo esemplare, ai fiori si affiancano animali fantastici che danno vita ad un fondale dal gusto gotico e fiabesco.

Terza tappa: Vézelay
Anche quello a Vézelay è stato un gradito ritorno. Al delizioso borgo medievale, ancora circondato dalle antiche mura difensive, munite di sette torri, sono infatti legate gradevoli memorie dei miei anni di studio.
Posizionato su una collina isolata, lungo il cammino del pellegrinaggio per Santiago di Compostela, del 1979 è entrato a far parte del patrimonio dell’umanità dell’UNESCO.
Oltre al convento francescano La Cordelle, dove Bernardo di Chiaravalle nel 1146 predicò la seconda crociata, vi sorge la grande chiesa abbaziale cluniacense dedicata a Sainte Madelaine. Consacrata il 21 aprile 1140, benché parte dell’esterno sia stato deturpato durante la Rivoluzione francese e quindi restaurato da Viollet-le-Duc, è uno dei più alti capolavori dell’architettura e della scultura romanico-borgognone.
La pianta della basilica a croce latina, suddivisa in tre navate, è preceduta da un imponente nartece e ha l’abside coronata da un magnifico deambulacro aggiunto in età gotica (1185 e il 1190).
Nel nartece si trova uno dei capolavori della scultura di tutti i tempi. Al di sopra del portale centrale (1135-1130) è infatti collocato il timpano raffigurante Cristo maestosamente assiso in trono che trasmette lo Spirito Santo agli Apostoli (Pentecoste) sotto forma di raggi di luce emanati dalle Sue dita. La complessa iconografia include anche i temi della predicazione degli Apostoli nel mondo, quello del Giudizio Universale, quello dei Segni dello Zodiaco e dei dodici mesi dell’anno con i lavori agricoli ad essi connessi. L’horror vacui vi domina indiscusso senza che un solo millimetro della composizione sia stato lasciato aniconico. Sopra il portale di destra sono poi raffigurati i temi dell’Annunciazione, dellaVisitazione, della Natività di Gesù e dell’Adorazione dei Magi; e sopra il portale di sinistra, vi è invece il timpano con l’Ascensione e la Cena di Emmaus.
L’apparato scultoreo, le cui figurazioni avevano il compito di istruire i pellegrini in materia di religione cristiana, prosegue anche all’interno della chiesa con gli splendidi capitelli della navata (99 capitelli originali, di cui solo 8 rifatti). Si tratta di una imponente “Biblia pauperum”, un libro in pietra per immagini destinato a chi non sapeva leggere, in cui compaiono scene tratte dall’Antico e dal Nuovo Testamento e dalle leggendarie vite dei santi, con un susseguirsi di narrazioni ricche di pathos rappresentanti l’eterna lotta tra il Bene e il Male. Non mancano i capitelli con figure allegoriche; quelli con la personificazione dei vizi, i corpi deformati dai segni del peccato; e ancora con mostri, bestie fantastiche e creature mitologiche in una drammaturgia empatica, tesa a coinvolgere il fedele per condurlo metaforicamente sulla via della Fede, così come il pellegrinaggio a Compostella ve lo avrebbe poi condotto materialmente.
Ricordo che quella sera di giugno a Vézelay faceva un gran caldo: l’ho combattuto degustando un buon bicchiere di Chablis ghiacciato, accompagnato da formaggi di capra a pasta molle.

Quarta tappa: La Charité sur Loire
Ho raggiunto la città monastica medievale di Charité sur Loire, patrimonio mondiale dell’UNESCO dal 1998, navigando lungo il canale laterale della Loira a bordo di un’imbarcazione presa a noleggio sulla quale ho fatto una gradevolissima crociera fluviale, sostando in deliziosi porticcioli e ammirando durante la navigazione nutrie, aironi cinerini, folaghe, fenicotteri rosa e addirittura un pellicano, capitato lì da chissà dove.

Anche la Charité sur Loire costituiva una tappa importante per i pellegrini diretti a Santiago di Compostela che venivano accolti nella foresteria del monastero benedettino fatto erigere dall’abate Hugo di Semur nel 1059. Anzi, il nome del villaggio gli deriva proprio da questa sua vocazione all’ospitalità, cioè dalla “carità di buoni padri”.
Dopo la chiesa madre di Cluny, quella di Notre-Dame, annessa al monastero, era nel Medioevo la chiesa priorale più grande di Francia. Capolavoro dell’architettura romanica borgognona, nel corso dei secoli è stata purtroppo irrimediabilmente danneggiata da incendi, da calamità naturali e da distruzioni operate dagli uomini. Oggi la grande navata centrale che la connotava non esiste più, quella attuale, molto più piccola, è stata ricostruita nel XVII secolo. Sono invece autentici il transetto e il coro, eretti in tre ordini sovrapposti nel puro stile cluniacense, che conservano intatto il loro originario splendore.
Il timpano della Trasfigurazione, originariamente murato sopra il portale d’accesso che si apriva nella torre di St. Croix (una delle due torri oggi perdute e che fiancheggiavano la facciata romanica) è stato rinvenuto nel 1834 ed è oggi visibile sulla parete della navata destra. Stilisticamente simile ai portali che ornano la basilica omonima di Chartres, eseguito nella prima metà del XII secolo, costituisce, un fulgido esempio di scultura borgognona che eccelleva nell’impiego del traforo. Il suo tema iconografico è legato alla Festa della Trasfigurazione, introdotta nel 1132 nell’Ordine di Cluny, di cui la chiesa della Charité era la “figlia maggiore”.
Oggi l’intero complesso monastico non esisterebbe più se nel 1840 il famoso scrittore Prosper Mérimée (allora ministro della Cultura del Governo francese) non fosse intervenuto d’autorità a salvarlo dalla demolizione. Al suo posto avrebbe infatti dovuto passare la strada “Nevers -Parigi” che il Merimée per fortuna fece transitare più in là.
Circondano la chiesa e l’area monastica vicoli pittoreschi, “passages” coperti, scale, mura
medievali e case in legno e pietra in cui sono ospitate numerose botteghe di libri usati e nuovi, quelle di calligrafi, di miniatori e di legatori che fanno de La Charité-sur-Loire una vera e propria città del libro, meta ideale per gli amanti della lettura e per i collezionisti di vecchi libri. Io ho acquistato lì una copia dell’introvabile e splendido “Un rêve fait à Mantoue” (1967) di Ives Bonnefoy. Intellettuale straordinario, poeta, traduttore e critico d’arte, sarebbe morto di lì a pochi giorni (1 luglio 2016), lasciando un vuoto incolmabile nel mondo della cultura internazionale.

Quinta tappa: Paray-Le-Monial
Anche se l’avevo studiata e spiegata in classe, visitavo la basilica priorale di Paray-Le-Monial per la prima volta e confesso che vederla dal vivo mi ha molto emozionato. Si tratta del più bell’edificio ancora esistente direttamente ispirato alla grande -e purtroppo perduta- chiesa abbaziale di Cluny III (1088), identica a quella nell’impianto planimetrico e nella forma architettonica ma in scala decisamente più ridotta. Cluny III è stata infatti per secoli la più grande chiesa della cristianità, prima della costruzione di San Pietro nel XVI secolo. A cinque navate, misurava 187 metri di lunghezza. Anticipatrice del linguaggio gotico sia in pianta che in alzato, aveva un deambulatorio con cinque cappelle radiali, un transetto doppio e sette torri campanarie. Tutto il complesso si distingueva per lo slancio verticale: le pareti della navata erano suddivise in tre ordini sovrapposti, con arcate, triforio cieco e cleristorio, al di sopra dei quali, a un’altezza vertiginosa che doveva superare i trenta metri, si elevavano le volte, probabilmente a crociera ogivale.
A Paray-Le-Monial, il primo priorato benedettino venne fondato nel X secolo e di lì a poco passò ai monaci di Cluny che ampliarono la chiesa (il nartece attuale data a quel periodo) e tutto il complesso monastico, ma sarà solo nel 1090 che l’abate Hugo di Semur, che dieci anni prima aveva promosso la costruzione dell’abbazia madre, decide di ricostruirlo su suo modello conferendole quell’aspetto di grande bellezza e di perfetta armonia che conserva ancora oggi.

Inserita a partire dal 1846 nell’elenco dei Monumenti Storici francesi, tra il 1856 e il 1860 fu restaurata da Eugène Millet, allievo di Viollet Le Duc. Originariamente dedicata alla Vergine e a San Giovanni Battista, nel 1873 fu consacrata al Sacro Cuore ed è attualmente una delle più frequentate mete di pellegrinaggio di Francia.
C’è davvero da rimanere incantati nel guardare il magnifico edificio, straordinario esempio di romanico borgognone, dominato dalle torri campanarie e costruito con una pietra che sembra dorata dal sole, riflettersi nello specchio delle tranquille acque del fiume Bourbince. Ho scattato la seguente fotografia alle ventidue di una bellissima serata di giugno e non ho potuto evitare di pensare che quella splendida immagine si offre intatta agli sguardi dei pellegrini e dei visitatori da quasi mille anni.

Sosta a Romenay
Romenay è un piccolo villaggio che conserva ancora molte abitazioni medievali in legno ed altre in pietra con telaio ligneo tipiche della zona. Tra di esse vi è la casa delle guardie, addossata alle mura, di cui segue l’andamento circolare. Costruita nella seconda metà del Quattrocento, ha subito alcuni rimaneggiamento nel secolo successivo. Era abitata da comuni cittadini, cui era affidata la cura e la sorveglianza del tratto di mura a ridosso del quale sorgeva la loro porzione di casa. A Romenay sopravvivono intatte anche le due porte urbiche che si aprono una a nord e l’altra a sud nella cinta muraria.
Nel magazzino di un brocante locale ho trovato dei graziosissimo pomelli in porcellana di Limoges che costavano pochissimo. Ne ho acquistati alcuni. Anche se non so cosa farne, li trovo bellissimi e inconsueti, vorrà dire che di tanto in tanto li guarderò traendo giovamento dalla loro contemplazione.

Ultima tappa: dal lago di Nantua ad Annecy
Sulla via di casa, ormai lascitami l’amata Borgogna alle spalle, ho raggiunto il lago di Nantua, sulle cui sponde sorge l’ultimo complesso cluniacense, forse quello geograficamente più lontano dalla chiesa madre, intitolato a St. Michel. Nel grande portale occidentale della sua chiesa si conserva una delle testimonianze più eleganti della scultura romanico-borgognona che, se pur gravemente mutila, colpisce per la sua bellezza e il suo virtuosismo esecutivo. Poiché i documenti sono andati distrutti durante la Rivoluzione francese, il complesso monastico è di difficile datazione. Secondo una leggenda la sua origine risalirebbe al VII secolo (e la dedicazione a San Michele parrebbe confermarne la fondazione altomedievale). Più certa è invece la sua successiva appartenenza all’ordine cistercense che la ricostruì completamente nelle forme che gli erano proprie grazie all’opera dell’abate Hugo di Semur. La chiesa, a croce latina, ha un pavimento che si innalza progressivamente verso la zona presbiterale, dove un’abside poligonale è curiosamente fiancheggiata da quattro cappelle a fondo piatto. Sormontano le colonne che sorreggono la copertura dei bei capitelli ornati da motivi vegetali da cui fanno capolinea delle teste umane. In alcuni si intravedono persino le tracce dell’originaria policromia.

L’ultima sosta è stata ad Annecy, la Venezia delle Alpi, nell’Alta Savoia. La città sorge sul lago omonimo, di origine glaciale, le cui acque sono ritenute le più pulite d’Europa. Tra i suoi monumenti c’è il Palais de l’Isle risalente al XII secolo, posto nel mezzo del fiume Thiou che la attraversa. Nato come residenza del castellano locale, divenne poi sede della Zecca, quindi nell’Ottocento fu trasformato in prigione. Oggi ospita un museo.

Ripercorrendo a ritroso il tunnel del Monte Bianco sono rientrata in Italia con gli occhi colmi di immagini bellissime e la consapevolezza di aver imparato molte cose sull’amato Medioevo, cui ho brindato con un calice di Sauterne degustando i formaggi che mi ero portata come souvenir de voyage.
Maria Luisa Ghianda è nata a Bovisio-Masciago (MB) il 23.04.1952. Docente di Storia dell’Arte ha insegnato alla Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano e in numerose scuole italiane, tra cui l’Istituto Statale d’Arte di Monza e il Liceo Artistico di Benevento, città sui cui monumenti ha pubblicato alcuni studi, ha scritto svariati racconti e persino un romanzo storico “I mercanti bizanti scomparsi” pubblicato nel 2016 da Italia Medievale. Nel 2015 un suo racconto si è classificato al secondo posto nella Decima Edizione del Premio Letterario Philobiblon, indetto da Italia Medievale. Ha collaborato con molte riviste d’arte, attualmente scrive articoli e racconti sulla rivista culturale Doppiozero.com. Il suo amore per il Medioevo va di pari passo con quello per il design, campo nel quale ha maturato una accreditata competenza.