La digitale purpurea

La Domus Mercatorum di Verona
La Domus Mercatorum di Verona

La digitale purpurea di Cristina Biancamaria Sartori

Carissimi lettori, abbiamo accennato, nel nostro precedente articolo, a questa pianta che, nel Medio Evo, veniva usata a scopi medicamentosi ma anche venefici. Vediamo ora quali emozioni esso suscitò, secoli dopo, nel nostro Pascoli:
“La digitale purpurea”
Siedono. L’una guarda l’altra. L’una
esile e bionda, semplice di vesti
e di sguardi; ma l’altra, esile e bruna,
l’altra… I due occhi semplici e modesti
fissano gli altri due ch’ardono. «E mai
non ci tornasti?» «Mai!» «Non le vedesti
più?» «Non più, cara.» «Io sì: ci ritornai;
e le rividi le mie bianche suore,
e li rivissi i dolci anni che sai;
quei piccoli anni così dolci al cuore…»
L’altra sorrise. «E di’: non lo ricordi
quell’orto chiuso? i rovi con le more?
i ginepri tra cui zirlano i tordi?
i bussi amari? quel segreto canto
misterioso, con quel fiore, fior di…?»
«morte: sì, cara». «Ed era vero? Tanto
io ci credeva che non mai, Rachele,
sarei passata al triste fiore accanto.
Ché si diceva: il fiore ha come un miele
che inebria l’aria; un suo vapor che bagna
l’anima d’un oblìo dolce e crudele.
Oh! quel convento in mezzo alla montagna
cerulea!» Maria parla: una mano
posa su quella della sua compagna;
e l’una e l’altra guardano lontano.
II
Vedono. Sorge nell’azzurro intenso
del ciel di maggio il loro monastero,
pieno di litanie, pieno d’incenso.
Vedono; e si profuma il lor pensiero
d’odor di rose e di viole a ciocche,
di sentor d’innocenza e di mistero.
E negli orecchi ronzano, alle bocche
salgono melodie, dimenticate,
là, da tastiere appena appena tocche…
Oh! quale vi sorrise oggi, alle grate,
ospite caro? onde più rosse e liete
tornaste alle sonanti camerate
oggi: ed oggi, più alto, Ave, ripete,
Ave Maria, la vostra voce in coro;
e poi d’un tratto (perché mai?) piangete…
Piangono, un poco, nel tramonto d’oro,
senza perché. Quante fanciulle sono
nell’orto, bianco qua e là di loro!
Bianco e ciarliero. Ad or ad or, col suono
di vele al vento, vengono. Rimane
qualcuna, e legge in un suo libro buono.
In disparte da loro agili e sane,
una spiga di fiori, anzi di dita
spruzzolate di sangue, dita umane,
l’alito ignoto spande di sua vita.
III
«Maria!» «Rachele!» Un poco più le mani
si premono. In quell’ora hanno veduto
la fanciullezza, i cari anni lontani.
Memorie (l’una sa dell’altra al muto
premere) dolci, come è tristo e pio
il lontanar d’un ultimo saluto!
«Maria!» «Rachele!» Questa piange, «Addio!»
dice tra sé, poi volta la parola
grave a Maria, ma i neri occhi no: «Io,»
mormora, «sì: sentii quel fiore. Sola
ero con le cetonie verdi. Il vento
portava odor di rose e di viole a
ciocche. Nel cuore, il languido fermento
d’un sogno che notturno arse e che s’era
all’ alba, nell’ ignara anima, spento.
Maria, ricordo quella grave sera.
L’aria soffiava luce di baleni
silenzïosi. M’inoltrai leggiera,
cauta, su per i molli terrapieni
erbosi. I piedi mi tenea la folta
erba. Sorridi? E dirmi sentia: Vieni!
Vieni! E fu molta la dolcezza! molta!
tanta, che, vedi… (l’altra lo stupore
alza degli occhi, e vede ora, ed ascolta
con un suo lungo brivido…) si muore!»

La statua equestre di Cangrande della Scala
La statua equestre di Cangrande della Scala

Secoli dopo appunto. In pieno Medio Evo erano piuttosto comuni le lotte fratricide anche in seno ad una stessa famiglia. Nutriamo però un dubbio: Cangrande della Scala morì presumibilmente a causa dei principi attivi di questo fiore che gli era stato somministrato in dose sbagliata come medicamento, non con la volontà di ucciderlo, anche se non possiamo stabilirlo con certezza. Ben diverso fu il destino di altri esponenti alla famiglia “della Scala”.
Ripercorriamo a ritroso nel tempo la storia fino alle origini della famiglia degli Scaligeri e vediamo mano a mano degli esempi. Balduino Della Scala, nel 1147, partecipando al governo del Comune di Verona, divenne Console della città. L’imperatore Federico II in parte sterminò la famiglia ed in parte la protesse. Tra gli esponenti privilegiati annoveriamo Lonardino e Jacopino Della Scala, padre del fondatore Mastino Della Scala che fu eletto podestà nel 1259 direttamente dai componenti delle Arti e dei Mestieri.
E qui apriamo una piccola parentesi: una delle Arti era quella dei Sartori, risalente al 1260, anno in cui ebbe lo statuto. Essa era rappresentata nella Casa dei Mercanti e sopravvisse ben oltre il Medio Evo. Nelle processioni solenni i suoi rappresentanti recavano un gonfalone con torce accese. Ritorniamo ora al nostro Mastino. Nel 1261 egli fu eletto capo dell’organizzazione delle Arti, la cosiddetta Domus Mercatorum, che aveva il controllo dell’artigianato e del commercio cittadino. Vedremo nel prossimo articolo l’ ascesa e la rovina del nostro.

cristinaCristina Biancamaria Sartori è laureata in lettere antiche e, oltre ad essere un consulente finanziario, ha ripreso ad insegnare come supplente presso le scuole statali.
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