
Il Duomo di Milano di Marta Frigerio
Il Duomo
Simbolo dell’ascesa economica di Milano e manifestazione del Gotico internazionale in Italia, il Duomo è la principale chiesa della città, situata nell’omonima piazza.
La storia del Duomo è articolata e complessa. La cattedrale, dedicata a Santa Maria Nascente, venne fondata nel 1386 ed edificata sulle resta delle precedenti Basiliche: quella di Santa Maria Maggiore, ad uso invernale, e quella estiva di Santa Tecla.
Dalle evidenze documentarie emerge che l’iniziale progetto prevedeva un edificio in mattoni, secondo la tipica tecnica costruttiva lombarda. Nel 1387, tuttavia, il piano venne modificato, in concomitanza con l’istituzione della Veneranda Fabbrica del Duomo da parte di Gian Galeazzo Visconti, Duca e Signore di Milano. La fondazione del cantiere, promossa dall’Arcivescovo Antonio da Saluzzo e sollecitata dal popolo, godette soprattutto dell’impegno economico dei privati, per cui il Duomo assunse immediatamente anche il valore di simbolo dell’ascesa del ceto mercantile milanese.
L’intenzione di Gian Galeazzo era di emulare la magnificenza del Gotico d’oltralpe, all’interno del vasto progetto di rinnovamento e glorificazione della signoria. Nella visione del Signore di Milano, la sua corte doveva essere in grado di competere con le sfarzose corti renane e boeme, sull’esempio di Parigi, Digione e Praga. Per questo, Gian Galeazzo propose di edificare la chiesa nel pregiato marmo bianco-rosaceo di Candoglia, proveniente dalla Val d’Ossola, e di chiamare a Milano le migliori maestranze d’Europa, nel tentativo di conferire alla cattedrale un respiro aggiornato e internazionale. È a tale prova di determinazione che si deve l’aspetto nordico, tipicamente gotico, del Duomo di Milano.
Le vicende costruttive della cattedrale si accompagnarono alla storia della città. Alla fase viscontea, durata dal 1387 al 1447, seguì quella degli Sforza, sino al 1520, durante la quale si procedette al prolungamento delle navate e alla costruzione del tiburio e della prima tra le 135 guglie. È in tale contesto che operarono, quali direttori dei lavori, Giovanni Solari, il Filarete e Giovanni Antonio Amadeo.
Tra 1567 e 1650, su sollecitazione degli Arcivescovi Carlo e Federico Borromeo, il cantiere intraprese un’accelerazione volta ad un adeguamento alla Controriforma; a tale fase risale il nuovo presbiterio, su direzione di Pellegrino Tibaldi. Grazie alla maestranza di stampo romano, si assisté ad una modernizzazione della cattedrale, per modificarne l’aspetto da gotico (quindi da tedesco e protestante) a rinascimentale (cioè a romano e cattolico).
Nel corso dei secoli XVII e XVIII, venne portato avanti il completamento del tiburio, con la realizzazione della gran guglia e della Madonnina, scultura composta da lastre di rame dorate e sbalzate, nonché simbolo e protettrice della città.
Risale al principio dell’Ottocento il compimento della facciata, su decreto di Napoleone Bonaparte, in previsione dell’incoronazione a nuovo re d’Italia. Complessa è la questione riguardante la facciata del Duomo. Sino al termine del XVII secolo, nonostante varie fossero le proposte di progetto, venne utilizzata la facciata dell’antica Santa Maria Maggiore; ne venne quindi avviata la demolizione, ma effettivamente la struttura muraria del nuovo prospetto fu avviata solo nel 1791 con la collaborazione tra Giuseppe Zanoia e Carlo Amati, che seguirono il progetto di Felice Soave. La facciata del Duomo appare dunque come la testimonianza di una complessa vicenda edilizia, raccogliendo elementi tipici del tardo Rinascimento (con la direzione dei lavori di Pellegrino Tibaldi), del Barocco (con Francesco Maria Ricchino) e del neogotico di epoca napoleonica (con la coppia Zanoia-Amati).
Nel 1863 venne realizzata la piazza antistante la cattedrale, alternando il rapporto tra la chiesa e il contesto urbano circostante, che sino a quel momento aveva conservato un aspetto medievale.
Nel corso del XX secolo seguirono numerosi interventi di restauro e di scavo, cui ciclicamente si lavora tutt’oggi.
Da un punto di vista planimetrico, con una superficie di 11.700 mq, la cattedrale presenta una pianta a croce latina, con cinque navate nel corpo longitudinale e tre nell’ampio transetto. Un profondo deambulatorio è chiuso da un’abside semi-esagonale; significativo è il tiburio, che conferisce un notevole slancio verticale all’edificio.
La struttura è retta, all’interno, da robusti pilastri polistili e, all’esterno, da mura perimetrali caratterizzate da contrafforti e slanciate e sottili finestre, ad eccezione della zona absidale, su cui si aprono tre grandi finestroni ogivali.
Tra gli aspetti immediatamente più vistosi del Duomo vi è l’apparato scultoreo, il quale, come nel più puro stile gotico, intende trasmettere al fedele il messaggio della salvezza cristiana. Si coglie innanzitutto uno stretto legame tra la struttura architettonica e la decorazione plastica, intesa come simbolo del Paradiso: le sculture di santi, profeti e martiri (cui lavorarono artisti di diversa cultura e provenienza) indicano infatti il destino di salvezza riservato all’umanità, cui fa riferimento anche la Madunina, che spicca nel punto più alto dell’edificio.
Di notevole importanza è pure l’apparato pittorico della cattedrale, pur relativamente scarso se confrontato a vetrate e sculture. I pochi affreschi superstiti, riferibili a maestri lombardi, risalgono alla prima metà del XV secolo. Fu solo con i Borromeo, spinti da una volontà riformatrice, che il Duomo venne arricchito da opere pittoriche: Carlo commissionò pale per gli altari delle navate laterali e per gli organi; Federico fece poi realizzare due cicli di tele a tempera sulla vita di San Carlo, i cosiddetti “Quadroni”, tra cui il “Miracolo della partoriente” di Giovan Battista Crespi (il Cerano). Seguì, nel XVIII secolo, il ciclo di tele dedicate alle Storie della Croce e del Santo Chiodo, nel tornacoro.
Opere particolarmente preziose sono la “Madonna dell’Idea” di Michelino da Besozzo, ancona processionale dipinta su fronte e retro; una tela di Fede Galizia, raffigurante “San Carlo che porta in processione il Santo Chiodo”; un’opera giovanile di Jacopo Robusti (il Tintoretto), la “Disputa di Gesù nel Tempio”; del Cerano sono anche dei preziosi monocromi con la “Creazione di Eva” e le eroine dell’Antico Testamento, destinati ad una traduzione plastica marmorea.
Infine, particolarmente degne di attenzione sono le vetrate. La prima soluzione proposta per il completamento delle finestre fu quella di inserire vetri colorati; l’idea quattrocentesca di collocare vetrate istoriate, tuttavia, fu decisiva. Il motivo era semplice: esse dovevano simboleggiare la manifestazione di Dio al suo popolo, cioè la “luce vera / quella che illumina ogni uomo” (1 Gv 1,5). La tecnica vetraria, affidata a maestranze locali e fiamminghe, prevedeva la collaborazione tra pittori, che progettavano i disegni delle vetrate, e vetrai esperti, che le realizzavano concretamente. Tale sistema rimase sostanzialmente invariato sino all’Ottocento, epoca in cui, nel rinnovamento romantico del gothic revival, iniziò ad operarvi Giovanni Battista Bertini, che introdusse una tecnica innovativa: la decorazione a smalto, sul modello antico della vetriata istoriata.

Conseguita la laurea triennale in Scienze dei beni culturali presso l’Università degli Studi di Milano, si trasferisce a Londra, dove perfeziona la conoscenza della cultura artistica britannica, nonché della lingua inglese. Tornata in patria, si iscrive al corso di laurea magistrale in Archeologia e Storia dell’Arte presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore.
Si interessa di storia dell’arte, editoria e critica d’arte contemporanea; fotografa per passione.
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