di Ornella Mariani.
Federico II di Hohenstaufen fu dimestico al Veneto nel quale, all’interno delle quattro campagne che condusse in Alta Italia, soggiornò tre volte: una prima, nel 1235; una seconda, nel 1236 quando, di ritorno dalla Germania, vi trascorse l’inverno; una terza, nel 1239 quando, per punire la ribellione di Treviso, fece di Padova la sede logistica delle operazioni militari da condursi contro la città ribelle.
Ma della Marca lo attrasse la sola funzione strategica di accesso all’Impero o anche il fascino delle sue genti ospitali?
L’anonimo autore del poema franco/italiano l’Entrée d’Espagne, nel ‘300 la definì Terra Gioiosa e cortese.
Le condivisibili note di elogio erano state già anticipate da Merlino, che vi aveva aggiunto amare profezie: «…la Marca amorosa diventerà dolorosa… ivi appresso che la Marca il suo nome arà cambiato d’amorosa in dolorosa … la Marca amorosa arà uno sì malvagio signore che sarà temuto dalla gente come una folgora. E sotto la sua signoria non potrà lo padre parlare allo figliuolo né l’uno fratello all’altro per paura della morte: ma egli arà una usanza buona che egli non vorrà in suo’ terre né ladri né traditori … della sua superbia parlerà tutta Italia e ognuno lo temerà…».
Dunque: Terra di scontro.
Terra di passioni sanguigne e di rivalità.
Terra d’amore e di potere.
“Noi trovammo Trevigi, nel cammino,
che di chiare fontane tutta ride
e del piacer d’amor, che quivi è fino…
Così la ritrasse Fazio degli Uberti nel Dittamondo .
«…la bella contrada di Trevigi
Ha le piaghe ancor fresche d’Azzolino…
gran lupo rapace,
crudel tiranno, Azzolin di Romano
il quale ancora a tutta gente spiace…»
Così la descrisse Petrarca.
Ezzelino da Romano, bollato dalla Chiesa come Flagellum Dei, ne fu Signore contrastato, combattuto ed inviso. Tuttavia, una rivisitazione a posteriori lo rivela, pur nella complessità del suo ruvido temperamento, proclive ai piaceri della vita cortese ed attratto dall’elemento magico di un mondo popolato da maghi e da streghe; da suggestivi ardori e misteri; da impalpabili e raggelanti meraviglie.
In sostanza, inquietante protagonista di una fase di aspri scontri ideologici, Ezzelino fu figlio del suo tempo: un tempo luccicante di amore e morte e di sangue ed armi; un tempo connotato da curiosità e dominato da paure ancestrali; un tempo in cui la vita fu investita nel tentativo di adeguarla alle armonie celesti
Solo una superficiale osservazione degli eventi rende improbabile la coniugazione dell’immagine di forza del Signore assoluto, imbattuto e spietato con l’immagine di debolezza di un Uomo del Medio Evo, esigente favole e miti per alimentare l’intelligente consapevolezza del limite, rispetto all’imperscrutabilità degli eventi
Ildegarda di Bingen aveva sostenuto che «…L’uomo ha in se stesso il cielo e la terra…» e Michele Scoto aveva scritto che «…Ogni astrologo è degno di lode e di onore perché prediletto da Dio, suo creatore; egli, infatti, mediante questa scienza e mediante l’astronomia, partecipa di molti segreti divini, e di cose che a pochi è dato conoscere…»
Malgrado la spinta verso l’autonomia del pensiero e verso la conoscenza fosse condizionata dal conservatorismo ecclesiale, la cultura del mistero mantenne la sua epocale peculiarità, presso la Corte federiciana avvalendosi dello Scoto, in grado di riscuotere prestigio e potenza nei magnates et barones per l’essere a conoscenza dei multa secreta Dei, e del maestro Teodoro d’Antiochia: un greco dell’Egitto, scienziato e traduttore di opere classiche.
Nella Marca trevigiana, invece, si affidò alle attività di Guido Bonatti e Salione da Toledo per valutare i temperamenti umani e le influenze su essi esercitate dai pianeti.
Ezzelino, in particolare, predilesse Gherardo da Sabbioneta, il cui impegno è testimoniato da un Codice della Biblioteca Apostolica Vaticana dal quale emerge che egli, nel suo responso intitolato De exercitu et bello, a fronte dello sfavorevole quadro astrologico pro exercitu ficiendo neque pro bello aveva previsto infausta la data del venticinque agosto del 1259.
I drammatici eventi che vi si determinarono, furono commentati dal notaio e cronista guelfo Rolandino di Balaiardo come la nemesi della Natura sul Tiranno che aveva stravolto ogni regola del diritto: la morte, a suo avviso, aveva affermato il principio d’uguaglianza poiché «corpora quoque cuncta sive deformia sive speciosa deformat, suumque dominium infallibile triumphaliter monstrat in cunctis gentis super terram…. »
Una considerazione parallela a quella espressa nel de morte pessima Friderici nella quale l’Imperatore «…laborans gravibus dissenteriis, frendens dentibus, spumans, et se discerpens, ac rugiens immensis clamoribus, excommunicatus et depositus miserabiliter expiravit …mors enim peccatorum pessima et finis eorum interitur terminatur… ». A parere di Saba Malaspina, quella morte era il ridimensionamento dell’ orgoglio di chi aveva creduto di emulare la natura di Dio.
Ezzelino e Federico II restano uomini/simbolo di una stagione straordinaria: la loro debolezza e la loro forza; la loro dignità e la loro disumana violenza; il loro talento politico e la loro epocale ingenuità hanno alimentato l’epica medievale.
Se infatti nel Novellino si legge che «…Messere Azzolino di Romano avea un suo favolatore, al quale facea favolare la notte quando erano le notti grandi di verno… »; che una sera, mentre aveva preso a raccontare di un gregge fermo al guado, il narratore fu tradito dal sonno; che il suo Signore, desideroso di conoscere il resto del racconto, gli ordinasse: «andé oltra»; che quello replicasse: «messere, lasciate passare le pecore, poi conteremo il fatto», nei quesiti posti da Federico ai suoi astrologi si coglie la stessa meravigliata sete di sapere: «…desideriamo sapere dove si trovino l’inferno, il purgatorio e il paradiso: sotto la terra, nella terra o sopra essa… e se un’anima nell’aldilà riconosca un’altra anima e se taluna di esse possa tornare in vita con qualcuno e mostrarglisi… »
Se ne trae il ritratto di una brutalità attenuata da un’innocenza in linea con le grandi contraddizioni del tempo.
Le stesse che consentono alle pietre del veneto Castel d’Amore di sfidare i secoli e proporsi ancora memoria stabile della concordia et unitas animorum dei cittadini. Ai quali Federico apparve con Teodoro, su un torrione del castello ove attendevano l’entrata di Giove in Leone, per dare il segnale d’attacco alle schiere allineate contro gli irriducibili ribelli.
Rolandino da Padova riferì che l’astrologo fu fuorviato dalla presenza di fitte nubi: il cielo era dominato dal funesto Scorpione e che «…l’imperatore ritornò a Padova. Prima del predetto fatto, lo scorso primo maggio del 1239, aveva eletto e costituito a Padova Tebaldo Francesco di Puglia Podestà di Padova e vicario imperiale nella Marca Trevigiana e più in generale dal fiume Oglio fino a Trento. Mobilitò in quello stesso mese l’intero esercito. E con il carroccio padovano, verso la fine del mese, condusse l’esercito a Castelfranco, località dei Trevigiani. E scelse l’ora della partenza su consiglio di maestro Teodoro, suo astrologo, che stette con l’astrolabio in cima alla torre del comune ad aspettare, come si diceva, che sorgesse la prima faccia ossia l’oroscopo del Leone, poiché diceva che Giove si trovava in esso. Ma non potendo vedere ciò con l’astrolabio a causa del cielo adombrato da nubi, se si può dirlo, fu allora ingannato nella sua scelta, poiché Giove non era nel Leone né il Leone allora sorgeva, ma la Vergine. E così, essendo lo Scorpione allora la casa del viaggio, poiché terza, esso indicava che l’esercito o l’imperatore, a richiesta del quale veniva fatto, dovesse subire uno scacco alla fine; quasi facesse ciò la coda dello Scorpione, che, a quel che si dice, è infida e velenosa. E ciò doveva accadere prima che l’imperatore si allontanasse dalla Marca Trevigiana.
Egli vi andò tuttavia personalmente; andarono con lui anche il marchese d’Este, Ezzelino da Romano e molti magnati e cavalieri amici di entrambi, fanti, balestrieri e quasi tutti quelli della città e dei villaggi, poiché tutti seguivano volentieri l’imperatore.
Fissate dunque le tende attorno a questa località dei Trevigiani ed essendoci un esercito numeroso, l’imperatore per conto suo fece dire e proclamare che dava ai Trevigiani il termine di otto giorni per sottomettersi ai suoi ordini. Poiché si erano rifiutati di farlo, passato il termine, concesse il privilegio, che fece registrare per iscritto, secondo cui la maestà imperiale, visto che i Trevigiani erano ribelli, mentre i Padovani erano sudditi fedeli, in conformità al principio affermatosi e riferito fin dal tempo di Cesare: A chiunque brandisca le armi, tutto concede chi negò il dovuto, donò per grazia imperiale al popolo padovano Castelfranco e la città di Treviso dal fiume Sile in qua, ossia verso Padova, fino al mare. E questo privilegio rafforzato dalla bolla d’oro dell’impero lo diede lì solennemente a Tebaldo Podestà di Padova, che lo ricevette per conto del comune della città. Nel giorno in cui concesse questa grazia ai Padovani, il marchese [d’Este] con quasi cento cavalieri si diresse da Cittadella all’esercito. Ed Ezzelino da Romano, alla stessa ora, con venti cavalieri o quasi si dirigeva dall’esercito a Cittadella. Mentre dunque queste due aquile si avvicinavano l’una all’altra cavalcando per linea retta, ci furono alcuni da entrambe le parti che fecero diverse considerazioni, finché il marchese mandò Giacomo da Sant’Andrea e Ailo di Compagno, cavalieri sapienti e insigni, che cortesemente pregarono Ezzelino perché gli piacesse per sua liberalità spostarsi alquanto a destra o a sinistra. Cosa che egli fece discretamente; e l’uno e l’altro drappello di cavalieri se ne andò per la sua strada.
Si oscura il sole durante la sosta dell’esercito, e l’imperatore si ritira in Lombardia. Dopo ciò l’imperatore il giorno seguente mandò dapprima i balestrieri e la gualdana, poi i cavalieri e i fanti e anche tutti i guastatori e fece far danni ai nemici per quanto poté. Mentre stavano dando il guasto, il 3 giugno, subito dopo l’ora nona, nel detto anno del Signore 1239, il sole si oscurò alla vista di tutti, e l’eclissi del sole durò per quasi due ore; cosicché ne gioirono quelli di Castelfranco, dicendo che Dio mostrava questo miracolo, perché l’imperatore e gli altri si pentissero dell’ingiusta offesa che cercavano di fare ai Trevigiani.
L’imperatore tuttavia, benché, come credo, non ignorasse la vera causa dell’eclissi, mostrandosi come atterrito da questo fatto miracoloso, dispose di allontanarsi da quel luogo. E chiamati a sé il marchese ed Ezzelino e gli altri grandi della Marca, che erano quasi cinquanta in quell’esercito, parlò loro; e spiegando che doveva andare in Lombardia, fece dare a ciascuno il soldo dalla camera imperiale. Dopo aver congedato l’esercito, messosi in viaggio, cavalcava verso la Lombardia con loro, avendo con sé tutti i Tedeschi e i Pugliesi, su cui contava più degli altri…»
Fu ancora Rolandino di Balaiardo a riferire le vicende verificatesi in Veneto e più in particolare in Castelfranco, cerniera fra Nord e Sud e testimone di un leale sodalizio politico-militare tradottosi anche in un solido legame di parentela quando, il ventitre maggio del 1238, con inauditi fasti e magnificenza, il Signore della Marca aveva sposato Selvaggia: la figlia che lo Staufen ebbe più cara.
Era il periodo dell’oro per il Medio Evo staufico. Ma, comunque si svolgessero gli eventi, Ezzelino da Romano e Federico II furono travolti dal comune destino poiché ad entrambi la sorte, o il capriccio delle stelle, riservò la medesima incomprensione e solitudine e la damnatio aeterna nel giudizio della Posterità.
Bibiografia:
Rolandino da Padova, Chronicon
Ornella Mariani, sannita. Negli anni scorsi: Opinionista e controfondista di prima pagina e curatore di Terza Pagina per testate nazionali; autore di saggi, studi e ricerche sulla Questione Meridionale. Ha pubblicato saggi economici vari e:
Pironti, Per rabbia e per amore
Pironti, E così sia
Bastogi, Viaggio nell’ entroterra della disperazione
Controcorrente Editore, Federico II di Hohenstaufen
Adda Editore, Morte di un eretico (dramma in due atti)
Siciliano Editore, La storia negata
Mefite Editore, Matilde (dramma in due atti)
Mefite Editore, Donne nella storia
Collaborazione a siti vari di storia medievale. Ha in corso l’incarico di coordinatore per una Storia di Benevento in due volumi, (720 pagine) commissionata dall’Ente Comune di Benevento e diretta dal Prof. Enrico Cuozzo.