Giovanni Domenico Scevolini o.p. da Bertinoro di Giovanni B. Ciappelloni
L’Ordine dei frati predicatori adotta la regola di S. Agostino ed ha tonaca e scapolare bianchi con cappa e cappuccio neri e risale al 1216 quando il castigliano Domenico di Guzman ottenne il riconoscimento ufficiale da papa Onorio III. Dopo l’approvazione vaticana Domenico si impegnò in un lungo viaggio attraverso vari paesi europei durante il quale fondò numerosi conventi, tra i tanti il convento di Bologna del quale assunse personalmente la guida. La prima menzione sui frati predicatori a Fabriano si rinviene in un atto notarile del 1273, conservato tra le pergamene del Brefotrofio cittadino, dove si parla di tale frate Bonifacio “de ordine fratrum predicatorum“. Il più noto di costoro rimane senza dubbio Giovanni Domenico Scevolini da Bertinoro. Di lui lo storico fabrianese Romualdo Sassi disse: … “ Egli fu considerato a lungo come la fonte più autorevole di storia locale e non può negarglisi il merito di essere stato il primo e d’aver additato la via alla numerosa schiera di annalisti e cronisti dei secoli XVII e XVIII “… Lo Scevolini risulta autore delle “Istorie di Fabriano” che vengono comunemente considerate edite nell’anno 1559. A tal proposito nei Registri delle Riformanze del Comune di Fabriano appare una richiesta, avanzata dal frate domenicano al Comune, in data 15 settembre 1559, riguardante l’accollo pubblico delle spese per la carta e per la stampa delle sue “Istorie”. Il Consiglio stabiliva di informarsi sulle spese per decidere se l’argomento meritasse attenzione rimandando la decisione (1). La richiesta sicuramente non ebbe buon fine infatti di queste “Istorie” sono stati rinvenuti solamente manoscritti dei quali uno si trova presso l’Archivio storico del Comune di Fabriano mentre un altro, seicentesco, è presente nel catalogo della Biblioteca centrale Vittorio Emanuele di Roma. La prima edizione a stampa di queste vicende storiche si ebbe nel 1792 per merito dell’abate Giuseppe Colucci che le inserì nel volume XVII delle sue “Antichità Picene”. Di Giovanni Domenico Scevolini la storiografia domenicana fornisce poche ed incerte notizie. Nel volume I di: “Scriptores Ordinis Praedicatorum recensiti”, dei PP. Quetif ed Echard, si colloca inesattamente la vita e l’opera storica di costui, considerato un erudito fabrianese, negli anni intorno al 1322 confermando un analogo errore dell’annalista francescano Lukas Wadding. Notizie diverse rinvenute soprattutto nel Veneto indicano come in quegli anni abbia operato tra le mura fabrianesi un religioso che ebbe in altri luoghi grande rinomanza e che fu oggetto di indagine storica soprattutto da parte degli studiosi che si sono interessati alle vicende venete della Riforma protestante. Nasce sicuramente a Bertinoro, l’antica Petra Honorii, una località della Romagna a pochi chilometri da Cesena e Forlì, che deriva il suo nome da un insediamento alto medievale di frati bretoni (Brittinorum). I primi conventi dei domenicani sorgono già nel XIII secolo e diversi sono quelli tra Bologna e Forlì. In uno di questi inizia sicuramente la vicenda religiosa di Giovanni Domenico Scevolini. Nei documenti dell’Ordine non si trovano notizie su di lui riguardanti questi primi anni nè si hanno dati certi antecedenti al 1559 anno che viene accostato alla redazione finale delle “Istorie”. Si può solo supporre una prolungata permanenza del religioso a Fabriano per la completezza e la qualità delle molte notizie presenti nel suo lavoro storico che indicano uno studio attento ed un accesso prolungato ai documenti cittadini. Ricerche condotte in Bertinoro preso gli archivi locali non hanno fatto emergere notizie riguardanti la vita giovanile oppure la sua famiglia. Domenico Scevolini nasce in una cittadina collocata in un territorio dove sorgevano numerosi i conventi domenicani e per i regolamenti del tempo deve aver iniziato il suo noviziato intorno ai sedici anni, anche se a volte si anticipava l’età. Per la fama di teologo che lo accompagna e per le successive vicende personali è possibile ipotizzare una sua età intorno ai trentacinque anni al tempo del suo primo ingresso nel convento domenicano di Fabriano. Fu contemporaneo del canonico e priore del Capitolo di S. Venanzo Andrea Giovanni Gilio con il quale sembrò essersi cimentato nel produrre falsi versi petrarcheschi da attribuire ad improbabili letterate locali. Anche se non si sa molto delle sue prime vicende godeva nell’ambiente domenicano di una ottima reputazione tanto che nel volume II degli “Scriptores” dell’Ordine veniva descritto così: …” e Petra Honorii seu Bertinorio…ortus, & ibidem ordini cooptatus, vir gravis & primi nominis theologus florebat hoc medio seculo XVI “… La maggior parte delle notizie biografiche che si possono reperire su costui provengono dalle carte di un processo tenuto a Udine dall’8 al 13 gennaio del 1561, con sentenza assolutoria del 7 giugno, durante il quale si dovette difendere da una accusa di eresia formulata dal Santo Uffizio. Qui si rinvengono notizie che riguardano principalmente gli anni finali della sua vita che si suppone abbia avuto termine, forse prematuramente, durante o appena prima il 1565 (2). Negli atti processuali riguardanti questa accusa di eresia viene descritto il suo aspetto del momento secondo l’uso del tempo. Infatti all’inizio del procedimento, in una sommaria descrizione fisica dell’individuo sotto esame, l’inquisitore Jacopo Maracco vicario del Patriarca di Aquileia faceva mettere a verbale: …” homo mediocris staturae cum parva barba nigra, indutus habitu seculari “…(3). Si ha l’impressione che ci si riferisca a lui come ad un uomo abbastanza giovane e comunque non anziano. Da queste carte si può ricostruire lo svolgersi degli avvenimenti precedenti al processo anche per le precise osservazioni del frate sui luoghi frequentati e sulle proprie abitudini. Nel 1557 e nel 1558 lo si vede predicare a Cesena chiamatovi dal vescovo Odoardo Gualandi. Durante questi anni Padova risulterà essere la sua base operativa dove torna dopo le brevi soste a Bertinoro e da dove pianifica la sua esistenza e scrive le sue prediche. Si ferma spesso a Cesena a confrontarsi con amici religiosi. Dichiara di aver spesso predicato ad Urbino, Gubbio, Senigallia, Fabriano, Venezia, Bologna, Ferrara, Bergamo, Milano, Bertinoro, Faenza, Cotignola, Argenta. Mentre le quaresime lo hanno visto in prevalenza a Venezia, Urbino e Senigallia. Da Padova durante “certe sere” prendeva la barca che lo portava a Venezia dove predicava a San Domenico oppure al Patriarcato. Gli inquisitori lo definiscono: …” incognito vagabundo hora in un loco hora in un altro “. Si sposta anche nei luoghi di Romagna e frequenta Lugo, Argenta o Faenza in compagnia di fra Tomaso da Orgnan quando nel 1559 matura la scelta di abbandonare l’abito di S. Domenico. Nel 1560, prima della Pasqua, passando per Urbino si reca per un periodo di riposo a Fabriano e da qui raggiunge Gubbio in compagnia di Fra Giovan Domenico da Ferrara. Sempre predicando si dirige alla volta di Pesaro e poi di Cesena con Fra Battista da Verona. Infine si riposerà a Bertinoro “patria mia” dove stette 8/10 giorni. Questo anno sarà quello di una altra decisione importante. A marzo indossa ancora la veste domenicana ma dopo le prediche pasquali, a Padova in casa di un “prette” dove era ospitato si spoglia dell’abito religioso lo mette in una piccola cassa e indossa quello secolare. Lascia i libri che possiede sparsi in case di amici oppure in stanze di conventi. Di questi alcuni li tiene a Bertinoro mentre a Fabriano diversi li lascia a fra Piero da Venezia “lettore”. In questi atti processuali si rinviene la benevola testimonianza di tutta società nobile e colta di Udine tra cui i Manin, i Loivisini, i Savorgnan che lo descrivono come: …” homo di boni costumi, dotto e di bella creanza “… È sicuramente un uomo abile e convincente nel parlare, dotato di amicizie importanti nella aristocrazia veneta dalla quale viene sostenuto e apprezzato per la sua cultura e per la sua bontà d’animo tanto da essere assunto come precettor
e per i propri figli dai conti Giacomo Valvasone e Antonio Manin. Opportunamente durante il suo processo assunse un atteggiamento alquanto critico verso gli eretici che definirà “porci e bestie“. Anche se non vuole essere coinvolto in “dispute frattesche” fa sapere di avere l’animo inquieto per le angherie e la corruzione dei monasteri. Con questi presupposti, con la sua dialettica e per il suo ruolo di ecclesiastico colto e raffinato conquistatosi nel tempo, amava leggere e commentare i versi del Petrarca quando insegnava o predicava, persuade la Commissione Inquisitrice che giudicherà ortodossi i comportamenti del frate il quale dopo breve tempo, il giugno del 1561, verrà assolto dalla accusa di eresia. Viene assolto ma non è chiaro se riprenderà o meno il suo posto nell’Ordine dei frati predicatori, sicuramente prosegue nella sua vita di intellettuale e conferenziere molto apprezzato tanto da essere, nell’ottobre 1561, protagonista di un viaggio a Vienna per un ciclo di incontri e di conferenze. Di questo viaggio rimane un opuscolo di 12 pagine, stampato a Vienna nell’ottobre del 1561, che risulta perfettamente in linea con la dottrina romana, non ha un titolo ma insieme alla dedica riporta nel frontespizio il nome dell’autore. È possibile ipotizzare che sia stato invitato, da intellettuali viennesi suoi estimatori, per un ciclo di incontri sul modello della disputa/dibattito e che l’opuscolo in questione rappresenti una traccia a stampa distribuita ai presenti per agevolare l’ascolto e guidare il dibattito. In ogni caso diventa una pubblica testimonianza di ortodossia offerta alla gerarchia religiosa con grande tempismo e solo 4 mesi dopo l’assoluzione nel processo per eresia. Che lo Scevolini avesse anche doti diplomatiche e che coltivasse molteplici interessi emerge chiaramente dal ritrovamento presso la Biblioteca Civica di Verona di una sua lettera del febbraio 1561 di carattere naturalistico: “Del sito di Udine e di tutto il Friuli”, indirizzata proprio a quel Jacopo Maracco che era stato il suo principale inquisitore appena un mese prima. Di lui si sa che teneva lezioni a Udine dove partecipavano più di cento persone e discussioni a Venezia presso la libraria di Giordano Ziletti, libraio e tipografo, uno dei luoghi dove si riunivano i simpatizzanti della Riforma. Si è anche pensato che facesse parte di una misteriosa Accademia udinese, forse quella degli Ermafroditi, che gravitava intorno al nobile Mario Savorgnan. Tuttavia non possono esistere dubbi sulle sue simpatie per la riforma protestante e probabilmente di far parte del mondo sommerso dell’eresia padovana di inclinazione calvinista nonostante gli ottimi rapporti evidenziatisi nel tempo con il vescovo di Chioggia, il Patriarca di Venezia ed il Vescovo di Cesena. A Fabriano viene ricordato solo come autore di una apprezzata opera sulla storia del territorio e viene ignorata tutta la sua rimanente produzione letteraria di stampo erudito/ religioso. Costui dichiara di aver scritto più di 500 discorsi e prediche e di averle affidate a predicatori di buona fama sparsi in tutta Italia, come padre Eusebio priore a Parma o fra Innocenzo da Modena priore del monastero di S. Sebastiano a Napoli e ad altri amici di Bertinoro, Venezia, Padova, Verona, Ferrara, Milano, Faenza Rimini, Pavia. Presso la biblioteca civica di Udine viene custodito un manoscritto senza titolo e nome dell’autore contenente dei versi che si ritroveranno in un altro manoscritto presente nella Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze intitolato “Sette canzoni spirituali a imitazione de sette salmi” attribuito a Bartolomeo Panciatichi e che termina con la frase: “di fra Giovandomenico Scevolini bertinorese”, facendo sorgere il dubbio che l’autore non sia il Panciatichi bensì lo stesso domenicano. Presso il Fondo Bartolini della Biblioteca Arcivescovile di Udine sono custodite alcune poesie dello Scevolini composte lo stesso anno che viene attribuito alle “Istorie di Fabriano”. Ciononostante il frate domenicano trasse grande notorietà soprattutto da una sua opera dedicata all’astrologia che venne pubblicata a Venezia dall’editore Ziletti nel 1565. L’opera in questione: “Discorso sull’Astrologia Giudiciaria” indirizzato ad un nobile veneziano consente di stabilire, attraverso la prefazione dell’editore, l’anno della sua morte: il 1564 o il primo 1565. Vi è da dire che nel XV e XVI secolo l’astrologia era considerata una scienza strettamente collegata all’astronomia e che promuoveva la figura del mago/astrologo in grado di influenzare gli eventi naturali e la vita dell’uomo. Domenico Scevolini affermava rendendo inefficace una possibile accusa di eresia che se anche l’uomo può essere fisicamente condizionato dalle stelle così non lo è nella sua libertà interiore e che quindi l’Astrologia non può avere ruoli nella predizione del futuro. Collegati al “Discorso sulla Astrologia Giudiciaria” per gli argomenti trattati esistono tre manoscritti di altri saggi del domenicano conservati nelle biblioteche Marciana di Venezia e Civica di Udine dai seguenti titoli: “Discorso intorno all’intelligenza degli effemeridi e Della sfera, due opere di Domenico Scevolini”, “Lezioni XVIII sulla sfera, opera di Domenico Scevolini” e “Giov. Domenico Scevolini, Della sfera del mondo, diciotto lettioni fatta agli honoratissimi Academici Udinesi”. Per completare queste note biografiche intorno alle vicende di costui, che probabilmente abbandonò dopo il processo per eresia l’Ordine domenicano, e che si spera possano averne sufficientemente illustrato la dimensione religiosa e soprattutto intellettuale, si ritiene opportuno citare due sue frasi, che illustrano la filosofia di vita del religioso domenicano tratte dalle carte processuali del 1561. La prima sulla famiglia e le donne: “Che io intendo, come anco Platone secondo il Ficino ed altri platonici, che le donne sian comuni et anco i figlioli”. La seconda relativa ai ricchi ed alle loro ricchezze: ” Ricco vuol dire non quello che possiede molte facoltà semplicemente ma chi possiede ingiustamente, et ricchezze significano non facoltà semplicemente ma facoltà mal acquistate e mal possedute” (4).
Note:
1) Riformanze, anno 1559: Registro n. 54, foglio 69 r.+v.
2)”Processus fratris Ioannis Dominici Scevolini, ordinis sancti Dominici, de haeresi diffamati” conservato in originale nell’Archivio Storico dell’Arcidiocesi di Udine, S. Officio, b. 1, fasc. 22, ed in copia nell’Archivio di Stato di Venezia, Sant’Uffizio, Processi, b.17.
3) Busta.17, c.1
4) Busta 17 c.5

Giovanni B. Ciappelloni da sempre interessato alla storia di Fabriano, con particolare attenzione al basso medioevo, ha già pubblicato “Chiavelli e de Clavellis”, “Ruggero, Chiavello ed altri Messeri” e “de Clavellis de Fabriano, dal XII al XV secolo”. Non è presente sui social network. Per contattare l’autore invia una mail a: gi.ba.c@hotmail.it.