Gli antefatti e nascita dell’idea di Mosca-capitale

da A.F. Chew – An Atlas of Russian History, London 1971
da A.F. Chew – An Atlas of Russian History, London 1971.

di Aldo C. Maturano.

Apriamo subito il nostro studio con la cartina geografica dell’area dove si svolgeranno quasi tutti gli eventi che racconteremo da quando Mosca era ancora una cittadina di poca importanza e Kazan addirittura non esisteva ancora.

Il centro maggiore del territorio rappresentato all’arrivo dei Tataro-mongoli come si vede è Bulgar, grande capitale dello Stato bulgaro del Volga e stazione terminale di un ramo settentrionale della Via della Seta. La prima città capitale era stata costruita intorno al VII-VIII sec. d.C. perché qui si situava come porto di scambio alla confluenza di due grandi fiumi europei: il Kama che scaturisce dagli Urali e il Volga che invece proviene dalle sorgenti dal lago Seligher poco a sud di Novgorod (Grande Novgorod). Lungo quei fiumi infatti esisteva da secoli un intenso traffico fra il Centro Asia e il Mar Baltico che giustificava pertanto l’esistenza di postazioni cittadine di somma importanza strategica…

Kama e Volga hanno portate grossissime e risalendoli si raggiungono rispettivamente due diversi “nord” oggi russi, ma che una volta erano un “nord baltico” e un “nord ugro-finnico” fino alla tundra artica. La stragrande parte del territorio era ed è coperta da fitte foreste, la taigà, poco abitata nel passato, salvo che nella zona della riva sinistra del Volga a sud della confluenza col Kama. Proseguendo infatti a valle la foresta boreale a partire da Bulgar comincia a rarefarsi e vira verso il paesaggio steppico poiché siamo nell’area delle terre a loess o Terre Nere facili sia da coltivare, dopo una buona pioggia primaverile, sia per le rese dovute alla loro grande fertilità. La steppa riapparirà ancora più a sud verso la foce del Volga, dove finalmente domina ed è frequentata dai nomadi pastori turcofoni, atta com’è al nutrimento dei loro grossi quadrupedi.

Nel XII-XIII sec. d.C. s’era già quasi esaurita la prima migrazione slava verso le Terre Nere da sudovest fermatasi poco a nordovest dell’odierna Kazan nel bacino dell’Okà, affluente di destra del Volga, mentre i Bulgari, anch’essi emigrati dal Caucaso secoli prima degli Slavi verso la stessa meta si erano incuneati lungo il Volga fra le genti ugro-finniche che vi risiedevano in modo sparso più o meno fino all’altezza dove il fiume Viatka affluisce nel Kama. Si erano già ben mescolati con queste ultime genti arrivando a stabilire solidali contatti mercantili fino nell’estremo nord (Ust-jug, Lago Bianco cioè Belo-Ozero in russo).

Anche gli Svedesi in numero significativo di bande armate col nome convenzionale di Variaghi si erano stabiliti in queste regioni intorno al VIII sec. d.C. e la loro presenza da stagionale era diventata perenne non appena avevano iniziato a partecipare allo sfruttamento dei prodotti della foresta. Avevano così eretto città-fortino seminate lungo i fiumi e di qui facevano le loro sortite per razziare l’hinterland, finché (di certo su sollecitazione dei Bulgari) non si erano trasformati in una forza di governo più o meno unita nel primo stato slavo-russo, quello più noto di Kiev.

Schematicamente nel XI-XII sec. d.C. i Variaghi continuavano ad essere in armi nelle loro antiche postazioni di Rostov (da non confondere con la più moderna Rostov-sul-Don!) nelle vicinanze del lago Niero, sebbene si ingegnassero a collaborare coi Bulgari nella gestione delle risorse locali e dei traffici internazionali. E sempre schematicamente, in questo quadro gli Slavi agricoltori alla ricerca costante di radure adatte nelle foreste rappresentavano la sussistenza per i Variaghi, mentre i raccoglitori/cacciatori ugro-finni erano i fornitori delle risorse commerciali. Delle città-fortino slavo-variaghe presenti nella carta sulla riva destra del Volga al momento ci interessano specialmente Suzdal e Vladimir-sulla-Kliazma costruite entrambe al riparo delle cosiddette Alture del Volga giusto per contrastare i Bulgari poiché è qui che agì il personaggio più notevole dell’epopea “russa” del nordest cioè il figlio di Giorgio Lungamano, Andrea, di cui, ahimè, sappiamo ben poco prima del 1154, anno della sua morte.

Dovrebbe esser nato intorno al 1110 da madre cumana ed esser vissuto nella regione delle cittadine sopraddette per la maggior parte della sua vita. Nelle Cronache Russe del Tempo Passato o CTP (le fonti storiche primarie del Medioevo Russo in numerose redazioni e qui ci riferiamo in particolare alle Laurenziana e Ipatevskaia) si raccontano certe sue imprese fra il 1149 e il 1152 nel sud della Rus’ di Kiev in cui si esalta la sua capacità militare probabilmente preannunciando i suoi exploits contro i Bulgari musulmani. Gli articoli relativi delle CTP lo esaltano e lo si capisce dalle parole usate dagli amanuensi che lo fanno eroe e santo. E’ difficile al contrario cogliere l’astio verso di lui della stessa Chiesa Russa a cui appartengono i detti amanuensi, se poi da altre cronache veniamo a sapere di intrighi, offese e sacrilegi perpetrati da Andrea nella sua strenua lotta per riuscire a avere a Vladimir-sulla-Kliazma un vescovo proprio, rifiutando l’ingerenza della sede vescovile già esistente di Suzdal. Una volta ricostruita Vladimir-sulla-Kliazma come sua capitale personale, Andrea avrebbe desiderato che il suo fosse un Arcivescovo Metropolita da lui controllato e nominato invece dei vescovi mandati da Kiev, sede dell’unico Metropolita della Chiesa Russa.

Quando suo padre lo portò con sé a Kiev, Andrea si dimostrò schivo e riservato rispetto all’allegra e spavalda vita kievana dei suoi cugini e fratellastri che passavano da un bagordo all’altro e sempre con le armi in mano. Non gradiva le continue liti intestine che degeneravano in battaglie campali cruente e imparò ad odiare l’ambiente dei giovani principi pieni di ostentazione di potere occupati in sopraffazioni continue. Per questo motivo dopo la morte di suo padre si dichiarò apertamente contro il modello delle faide dei Riurikidi (così si chiama convenzionalmente la dinastia slavo-russa di origini variago-svedese di cui si fa parola qui) e delle loro armate personali (družina) e denunciò il modo in cui padri e zii usavano i principi più giovani come marionette in battaglia al fine unico di accumulare tributi e ricchezze.

Intorno a Kiev per di più l’agricoltura, a causa della fitta foresta e delle paludi incoltivabili oltre a un clima a volte troppo rigido, non dava occupazione e buone rese nei campi e negli orti e l’approvvigionamento alimentare della città in crescita demografica dipendeva sempre più dalle importazioni dalla Bulgaria del Volga lungo la cosiddetta via terrestre Kiev-Bulgar che in venti tappe collegava i due grossi centri. E non solo alimentari giungevano dalla Bulgaria del Volga, ma pure le preziosissime pellicce (zibellino etc.) il cui commercio costituiva il pilastro maggiore del budget dell’élite riurikide a capo della Rus’ di Kiev cioè del primo stato slavo-russo.

Il nostro Andrea alla fine risolse che riuscire ad avere una testa-di-ponte stabile sulla riva destra del Volga di fronte a Bulgar-sul-Volga significava, da una parte, dominare Kiev dal lato alimentare senza essere trascinato nelle liti dilanianti dei suoi parenti per il potere supremo e, dall’altra, partecipare al ricco traffico internazionale lungo il Volga senza dover dipendere completamente da Grande Novgorod, l’industrializzata realtà nordica che gestiva da nord i traffici via Kiev e in lega con i Bulgari del Volga per i mercati asiatici.

Siccome il sistema di potere finora vigente fra i Riurikidi era il primo punto che, secondo Andrea, andava superato, due parole vanno dette sulla questione giacché – per quanto ci compete – le misure e le riforme di Andrea posero, secondo noi già nelle discussioni di famiglia che passavano di padre in figlio sotto forma di tradizione, le prime fondamenta della teoria assolutista del potere che successivamente i sovrani di Mosca revisionarono nella realtà tataro-mongola e adottarono e che all’occasione riprodussero nella pratica politica. Vediamone in breve i primi tratti più salienti.

Al volgere del X sec. d.C. san Vladimiro, il vero fondatore della dinastia riurikide, aveva eletto a capitale del suo stato Kiev, città dove la regola prescriveva che il più anziano della schiatta vi risiedesse col rango di Gran Principe (questa è una traduzione diretta del russo Velikii Knjaz che non ci piace e preferiamo Principe Anziano che useremo d’ora in poi), vita natural durante. A lui si doveva obbedienza giacché, per far sì che tutti i membri della famiglia avessero un pezzo di territorio da sfruttare per vivere, era pure la persona che divideva il dominio in udel (o appannaggi) che assegnava in modo arbitrario a ciascun parente a seconda dell’autorità e dell’età.

Siccome inoltre il potere passava da fratello a fratello ossia da udel a udel invece che da padre in figlio nello stesso udel, accadeva allora che, morto un principe governante, iniziasse un carosello di successori. Così il dominio dove finora il defunto aveva risieduto era lasciato al parente che lo seguiva per età che naturalmente doveva trasferirsi, abbandonando la residenza attuale ad un altro parente a lui seguente per età. Con tali regole è facile immaginare la confusione quando gli aventi diritto aumentavano o se qualche principe insisteva con le armi in pugno a voler restare dov’era o addirittura sopraffaceva un altro e ne incorporava l’udel etc. A Kiev dove andava il più anziano della famiglia in vita possiamo immaginare pure quali lotte ci fossero per riuscire a sedersi sull’ambitissimo trono e per serbarlo quanto più a lungo possibile.

Questa era il primo abbozzo di stato russo, la Rus’ di Kiev, e dove cercare nel XII sec. d.C. un modello del potere diverso in Europa che funzionasse meglio e da adattare alla situazione esistente? Uno stato musulmano come quello dei Bulgari del Volga già duecento anni prima era stato respinto da Vladimiro che aveva preferito per motivi strategici e commerciali l’Impero Romano come modello di organizzazione statale a lui più conveniente. D’altronde seguiva la scelta dei tanti “re” cosiddetti barbari che da secoli tentavano di imitare il modello romano infiltrandosi nel tessuto dei territori dell’Impero stesso per viverlo direttamente e “modernizzarsi”. Per di più la splendida capitale imperiale sul Bosforo era allora l’unico faro di civiltà cristiana per l’Oriente e un grande mercato compratore delle merci russe, mentre Roma sul Tevere era, da questo punto di vista, decaduta e irrilevante!

Chissà poi che il sogno di Vladimiro non fosse di creare un nuovo Impero, avendo davanti agli occhi il successo della nazione germanica dove Carlomagno quasi un secolo prima si era unilateralmente proclamato Imperatore Romano d’Occidente e aveva chiesto all’Imperatore Romano d’Oriente di riconoscerlo ufficialmente! E’ vero che Carlomagno aveva avuto la forte sponsorizzazione dei Papi di Roma antagonisti di Costantinopoli che non aveva invece Vladimiro. Tuttavia il nostro riuscì ad ottenere addirittura l’apparentamento con il sovrano regnante dell’Impero Romano d’Oriente, diventando il cognato di Basilio II detto lo Sterminatore dei Bulgari del Danubio. Semplificando, nel modello romano la figura perno del potere era l’Imperatore che non solo era un generalissimo armato a difesa delle istituzioni, ma pretendeva anche di essere il sacerdote supremo della Chiesa Cristiana Universale, avversario della Chiesa dei Papi di Roma per il primato sul mondo. L’Imperatore consacrava e riconosceva i capi spirituali e impersonava pure la figura del padre benevolo dei suoi sudditi effettivi e di qualsiasi altro principe battezzato, persino fuori dei confini dell’Impero. Questo fino ai tempi di Vladimiro detto poi il Santo.

Nel XI sec. d.C. a Costantinopoli con la famiglia imperiale dei Comneni era iniziato un tipo di gestione abbastanza nuova del vertice statale. La dinastia sembrava più solida con un’aristocrazia legata saldamente ad essa. Ora c’erano due tipi di nobiltà: la prima orbitante intorno all’Imperatore e ai suoi più stretti parenti, compreso il predestinato successore al trono, e la seconda costituita dai senatori, dagli amministratori della giustizia e dagli esattori di tributi, questi ultimi stipendiati e mantenuti dall’Imperatore, che correvano però il rischio perenne di essere sostituiti o eliminati a seconda della convenienza imperiale.

Andrea con quello che aveva imparato dai suoi antenati imparentati con l’Imperatore Costantino Monomaco – suo nonno Vladimiro (non il Santo del X sec.!) era figlio di una nobile greca imparentata con l’Imperatore – probabilmente si era fatto un’idea di come creare intorno a sé qualcosa di simile. Così quando lasciò Vyšgorod, udel assegnatogli dal padre poco a nord di Kiev, portò con sé una buona moltitudine di gente a lui devota e si trasferì definitivamente nel suo beneamato nordest per provare nella pratica un modello sincretistico di governo senza interferenze.

In più sua madre Ajepa – il nome non è sicuro – era cumana e turcofona e di certo aveva passato al figlio l’orgoglio di potersi servire del forte legame della famiglia stratificata dei nomadi in cui tutti i membri erano sottoposti alla ferrea obbedienza al capo-famiglia anziano ritenuto onnipotente e intoccabile. In conclusione Andrea si circondò di uomini che non erano soltanto incaricati a svolgere precisi compiti, ma che, come li marchiarono i suoi zii, i Rostislavidi, per la prima volta erano dei veri e propri podrùčniki quasi complici di una setta, piuttosto che collaboratori/affidatari, garantiti da lui nell’esistenza fisica e nei loro atti, fossero essi militari civili o persone del clero. Sintomatico è che Andrea neppure partecipava più di persona agli eventi fuori sede. Alle guerre vi mandava i suoi generali in modo che non ci fossero problemi di vuoti di potere, pure se qualcuno soccombeva… come accadde a suo figlio Mstislav. Né amministrava più la giustizia direttamente e per molte questioni lasciava che funzionari o il clero se ne prendessero cura, riservando per sé solo il giudizio ultimo terzo, se lo giudicava opportuno. Non andava più in visita nelle sue terre a prelevare il tributo, ma lasciava che i suoi incaricati lo facessero per lui.

Insomma chi volesse contattarlo doveva venire a corte e passare una lunga trafila burocratica e, addirittura, in molte circostanze non lo avrebbe neppure incontrato, se non attraverso la mediazione dei parenti più stretti o di colui che si sarebbe seduto sul trono alla sua morte. In più i suoi pronunciamenti, sognando una futura nazione russa nelle mani di un unico sovrano, oseremmo dire più laico, erano le uniche leggi da rispettare… pena la morte! Il suo stato era governato dalla sua persona, proprietaria fisica e reale del territorio dominato, e ogni oggetto o essere vivente che in esso si trovasse ossia ogni uomo o donna che operasse nel suo dominio gli apparteneva e Andrea ne gestiva vita e morte.

In questo quadro da noi “idealizzato” possiamo cominciare a parlare di Mosca, sebbene la città facesse parte dell’udel di Vladimir-sulla-Kliazma e ai tempi di Andrea conservasse persino il nome del proprietario dell’altura ossia Forte di Kučko (il bulgaro?) che Giorgio Lungamano aveva ucciso giusto per impadronirsi di quest’angolo di terra e la figlia di Kučko, Ulita, era andata poi in moglie ad Andrea a mo’ di indennizzo.

Il turista che arriva a Mosca di solito sbarca dall’aereo nell’aeroporto internazionale Šeremetevo 2 e con un autobus o un taxi si avvia verso il centro della città lungo uno dei “raggi” che portano al Cremlino. Se è diretto verso un albergo del centro imboccherà di solito, dopo qualche chilometro dal comune di Himki, l’ex Via Gorkii – oggi Via di Tver’ (Tverskàja ùlica in russo) – e passerà di fronte alla sede del Municipio. Abbia ora l’attenzione di guardare sulla sua sinistra e vedrà la statua equestre del fondatore della città: Giorgio Lungamano (in russo Jurii Dolgorukii). Il monumento è opera degli scultori Orlov, Andropov e Štamm su progetto dell’architetto Andreiev e fu inaugurato nel 1954 in occasione dell’ottavo centenario della fondazione.

Se poi il nostro turista è più curioso del solito, si chiederà senz’altro come mai questa immensa città sia stata fondata proprio qui apparentemente lontana dalle grandi vie di comunicazioni tradizionali dei grandi fiumi russi e dei mari diventando la capitale di uno dei più grandi imperi del mondo. E, siccome noi ci interessiamo di questa città, avremmo potuto cominciare il nostro racconto persino dicendo che nel 1147 c’è la prima menzione nelle CTP di Mosca come un villaggio fondato lungo il fiume Moscova (in russo omonimo del toponimo cittadino: Moskvà) immerso nelle zone delle foreste di Mescerà e di Brynsk (oggi Brjansk). Avremmo però trascurato di raccontare la serie di circostanze misteriose e oscure, vissute dal sopra nominato principe Andrea che costituiscono, a nostro avviso, proprio gli antefatti dell’origine del potere autocratico “moscovita” che ancora oggi pesa su milioni di uomini e fa parte, e grandissima, della storia europea e universale.

E perché vicende oscure e misteriose? Perché Andrea non morì gloriosamente, ma fu vittima di una congiura! Tramata da chi? I documenti di fonte ecclesiastica ne danno la colpa all’entourage dei suoi cognati, a una seconda moglie cumana o alana di nome ignoto e ai suddetti podrùčniki (detti meglio in russo tiùn dallo scandinavo thegn cioè servitori-schiavi) e chissà che la congiura non fosse altro che la vendetta di sangue della famiglia Kučko per il fattaccio del 1147. L’evento si svolse a pochi km da Vladimir-sulla-Kliazma, nel castello che Andrea si era costruito a Bogoliubovo (da cui il soprannome a lui attribuito Bogoliubskii) dove i congiurati lo avevano sorpreso nel sonno e ucciso. Dopo un delitto del genere i congiurati avrebbero potuto cercar ricetto presso i mandanti, i parenti riurikidi. Costoro invece paventando di essere accusati di connivenza e complicità, non offrirono alcuna copertura e, anzi, fecero di tutto per metter a tacere per sempre l’assassinio e gli assassini.

Asserragliarsi a Bogoliubovo? Neppure a pensarlo. Dopo averlo essi stessi saccheggiato, lo abbandonarono nelle mani delle famiglie della servitù che lo abitavano. E dove se ne fuggirono? A Mosca ossia nel territorio “di famiglia” che Giorgio Lungamano aveva fatto riattare per bene nel 1153-54. Perché proprio qui? Forse cercavano un dimenticatoio e Mosca, da riserva di caccia, era stata di solito frequentata durante l’estate appunto per le battute e immersa com’era nella foresta si prestava bene alla bisogna. Non aveva neppure un hinterland contadino consistente né delle attività economicamente sufficienti affinché, volendolo, ci si potesse stabilire per tutto l’anno. Era insomma un rifugio sperduto e difficilmente accessibile e che per di più in quelle mani sporche di sangue diventava maledetto dal sentimento cristiano!

E’ possibile che queste persone rinchiuse in un luogo così ricostituissero una famiglia legata a Andrea e elaborassero progetti di un più grande futuro? Può darsi, ma sarebbe far romanzo della storia, sebbene siamo sicuri che nella tradizione di famiglia il progetto di Andrea riecheggiasse nell’educazione dei principi moscoviti, chissà sviluppando in loro un maggiore acume nell’osservare quanto accadeva intorno onde studiare le strategie per rivendicare potenza e ricchezza con ogni mezzo, lecito o illecito sugli altri parenti. Lo storico russo V. Kliučevskii, ad esempio, era convinto dai suoi studi della pochezza e della perfidia di questo ramo dei Riurikidi sempre tesi ad arricchirsi a spese dei parenti vicini e lontani…

E’ da tener presente che l’obiettivo di arrivare sul trono o al rango di Principe Anziano all’interno dei Riurikidi costituiva la meta agognata di vecchi e di giovani, visto che Kiev raccoglieva per il mantenimento di una corte i tributi da tutti gli udel.

L’udel forniva ogni possibilità di vita (kormlènie) a un principe e alla sua armata (družìna) e quest’ultima, cooptando giovani locali al servizio delle armi, poteva diventar molto numerosa e come tale un centro di costo molto pesante. L’unica attività del principe era perciò la guerra col suo bottuno che scoppiava alla minima scusa o che lo stesso principe provocava proditoriamente per eliminare un parente avversario in uno scontro onorevole. La družìna costituiva il “prestigio” del principe stesso e della sua intraprendenza “guerriera” rendendo la sua persona “sacra”. Un principe senza družìna o, peggio ancora, senza udel era un niente e diventava lo “schiavo-marionetta” nelle mani dei parenti. Amministrare il territorio dell’udel? Era molto semplice: Bastava che i soggetti si abituassero a subire i capricci e le vessazioni del principe quanto a tasse, contributi etc. e che stessero attenti a non incorrere nell’ira del sovrano, pena la morte per la sua spada.

Ed ecco il giudizio riassuntivo dello storico ucraino P. Toločko su Andrea: “Quali misure generali per tutti i russi o quali trasformazioni nella Terra di Suzdal (e di Rostov) possono giustificare l’alta caratteristica in Andrea Bogoliubskii? Niente altro, sembra, oltre alla tendenza all’assolutismo nella sua terra e all’anzianità nella Rus’”. Inoltre l’alleato fondamentale del potere era il vescovo o l’equipollente prelato della Chiesa russa, se riusciamo a immaginare il ruolo dell’organizzazione ecclesiastica capillare nella campagna, perché i preti curavano la fama e assicuravano l’obbedienza della gente al principe riurikide nei posti più recessi del dominio.

In un tal mondo quando arrivarono i Tataro-mongoli e fu chiara la loro intenzione a non lasciar più i territori, i principi moscoviti essendo i meno abbienti e, sembra, pur avendo subito la completa distruzione della loro piccola città, si distinsero nel saper sfruttare con sottile diplomazia le occasioni per legarsi al destino dell’occupante al di là delle questioni religiose e delle lingue diverse. Ci saranno matrimoni con ragazze tatare, si aprirà volentieri il Cremlino di Mosca ai tatari mentre si circuiranno i principi parenti in affari di crediti e di debiti in una spirale di sopraffazioni incredibili che alla fine permetteranno l’ingrandimento territoriale dell’udel moscovita a spese degli altri parenti senza ricorrere a costose campagne armate.

Non solo! Possiamo anche aggiungere che il primo nucleo del nuovo superethnos che oggi si chiama grande-russo con la nuova lingua russa, si formò giusto in questa epoca e in questa zona con una grossa componente culturale e fisica tataro-mongola. Lo storico G. Vernadskii stima il totale dei popoli slavo-russi nel XIII sec. presenti nella zona dai censimenti che i tataro-mongoli attuarono di circa 10 milioni di persone contro quello dei popoli turcofoni (Peceneghi, Polovzi/Cumani, Bulgari etc.) che si attestano intorno ai 7 milioni ed è questa massa antropica enorme che convisse (e convive) nel nordest tranquillamente meticciata.

Ancora P. Toločko aggiunge che “…né principi-vassalli, né nobiltà terriera potente, né vescovi, riuscirono mai a mettere profonde radici nel relativamente giovane principato di Rostov e Suzdal e in sé non rappresentarono mai delle forze politiche come a Kiev, a Novgorod o a Galic’ e in altri antichi centri della Rus’ …” per dire che la via alla crescita del potere moscovita era ormai spianata.

E Vladimir-sulla-Kliazma? Pur non lontana e pur unico lembo coltivabile delle terre a loess sulla riva “russa” fu esclusa dalla storia moscovita non tanto per la sua posizione produttiva più favorita quanto perché, una volta diventata sede della nuova Metropolia della Chiesa Russa di nordest, aveva concorso alla congiura e all’assassinio di Andrea Bogoliubskii. Vladimir-sulla-Kliazma, i suoi notabili e la sua popolazione furono infatti coinvolti nelle questioni della successione che non fu così semplice e vale la pena di soffermarsi su qualcuno degli eventi che seguirono alla congiura allo scopo di formarsi un quadro nel quale collocare meglio gli eventi catastrofici che sembrarono sconvolgere lo stato dei Riurikidi in questi anni prima della conquista dei Tataro-mongoli.

Dobbiamo muoverci ancora più a nord dove Rostov sul lago Niero, città importante a quei tempi per il fatto di trovarsi sull’asse Grande Novgorod/Bulgar-sul-Volga e in concorrenza con Vladimir-sulla-Kliazma. Qui non appena si seppe della morte di Andrea, ci fu subito festa. I rostoviani si sentirono liberati da Vladimir-sulla-Kliazma e da Andrea Bogoliubskii e di dover dipendere da decisioni di portata politica lontana e estranea alla loro esigenze. Le CTP riportano che fu mandato il seguente messaggio ai notabili vladimiriani: “Voi siete i nostri servi e i nostri tagliatori di pietre: O accettate il posadnik (capo-città) che noi vi daremo o diamo fuoco alla città!”

C’era intanto ancora confusione e il clero e i magnati vladimiriani non volendo perdere la supremazia di cui godevano nel territorio chiesero a gran voce di scegliere subito il figlio di Andrea, Giorgio, a principe dell’udel. Purtroppo il giovane risultò anche lui macchiato del delitto orrendo di parricidio come complice di sua madre e quindi ineleggibile. Alla fine, secondo le CTP i notabili locali si espressero con queste parole rifiutando il principe di Rostov: “A tutti è noto come siamo stati liberati dal principe (Andrea). Purtroppo egli non ha lasciato neppure un figlio, se si eccettua quello che era namestnik (luogotenente) a Novgorod (il detto Giorgio). I fratelli di Andrea sono tutti nel sud della Rus’ (di Kiev). Chi sceglieremo come nostro signore? Chi ci difenderà dai principi rivali vicini come quelli di Riazan’ e di Murom? Non cadremo forse vittime della loro avidità e delle loro forze?

Rivolgiamoci al cognato di Rostislav, figlio di Giorgio Lungamano, a Gleb di Riazan’, e diciamo loro: Dio ha preso il nostro principe. Chiamiamo i tuoi cognati sul trono di Andrea. Il loro padre ha vissuto presso di noi già nel passato e ha goduto della fiducia del nostro popolo.” Un sì dei Rostislavidi tuttavia non risultava conveniente giacché costoro richiedevano un tornaconto sulla base delle vecchie regole per insediarsi nell’udel a ripristinare il primato di tributo delle città più antiche, a partire da Rostov e contro Vladimir-sulla-Kliazma. Anzi! Costoro richiesero che si abbandonasse Bogoliubovo, luogo di tradimento e di assassinio, di cui non si sarebbe dovuto più parlare!

Alla fine l’udel fu affidato al secondo fratello di Andrea, Michele, in ricordo della circostanza che già Giorgio Lungamano aveva promesso quel territorio proprio a lui, allora infante, con annessa Mosca. Bogoliubovo fu svuotato e chiuso per sempre e il povero Giorgio, unico figlio vivo di Andrea dei quattro, richiamato a casa da Grande Novgorod dove suo padre qualche anno prima lo aveva mandato ingaggiato in difesa della città, fu costretto a riunirsi ai suoi a Mosca senza nemmeno passare da Vladimir-sulla-Kliazma. Ci saranno vari litigi ancora per qualche anno finché, dopo un blocco delle forniture alimentari imposto da Rostov, l’ormai affamata Vladimir-sulla-Kliazma dovette pregare Michele di ritirarsi anche lui a Mosca e lasciare Suzdal perché questa era l’unica condizione per liberarsi dal maledetto blocco dei rostovani. La pace fu fatta e il blocco rientrò e nell’udel arrivò il principe di Rostov.

Non durò molto a lungo perché dopo qualche mese ci fu una nuova riunione fra i magnati dove venne chiaramente detto: “Noi non siamo schiavi e abbiamo preso il principe (che Rostov ci ha imposto) con buona disposizione d’animo. Ora il principe ci saccheggia come se fossimo degli stranieri, ci ha svuotato non solo le case, ma anche le chiese. Per cui, fratelli, ripensiamoci un po’ su!” Richiamato quindi in segreto Michele, gli fu promesso ogni appoggio stavolta contro Rostov. Dopo varie opposizioni e scontri con i parenti rivali il destino sembrò accanirsi contro Michele che già ammalato da tempo (doveva camminare con le stampelle ed essere portato in giro a braccia) dopo qualche mese muore (1176 d.C.) e a questo punto non c’è altra scelta che prendersi come principe l’ultimo dei fratelli di Andrea: Vsevolod Demetrio, detto Grande-Nido per la sua numerosa figliolanza (una decina di figli)!

Costui addirittura era vissuto a Costantinopoli abbastanza a lungo e chissà che non condividesse molte delle vedute statali di Andrea. Ad ogni buon conto il primo suo atto dovuto a se stesso come fratello dell’assassinato e sfiorato dall’onta del sospetto di poter essere stato coinvolto nel terribile fatto di sangue fu di avviare il processo ai congiurati rimasti vivi. Le CTP dicono che costoro erano tutti noti e che s’era davvero aspettato troppo per punirli, ma in realtà un processo del caso Bogoliubskii dopo tanti anni era altresì difficile nell’escussione di testimoni che erano o morti o scomparsi chissà dove. Tuttavia il processo si celebrò e, riconosciuti colpevoli e conniventi, i responsabili alla fine furono chi esiliato (i più importanti), chi impiccato, chi soltanto vagamente accusato e qualcuno persino condannato in contumacia.

La sorte più orribile toccò ai famigliari Kučko ancora in vita che furono inchiodati vivi ognuno in una cassa e gettati nelle acque di un laghetto vicino Mosca. Addirittura si sparse la voce che non morissero e ancora oggi la tradizione popolare assicura di vedere le loro casse galleggiare sulle acque del lago! Quello che però conta è che Vsevolod Demetrio, principe e padrone del Medio Volga, riprese la politica inaugurata da suo fratello, Andrea Bogoliubskii, almeno per quanto riguarda il potere di governo che continuò a accentrarsi nelle mani della sua sola persona.

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Aldo C. Marturano

Nato a Taranto, ha studiato nelle Università di Bari, poi di Pavia, infine di Amburgo, dove ha chiuso i suoi corsi di laurea in chimica industriale. Non ha mai lavorato come chimico e ha invece sfruttato le sue conoscenze linguistiche. Conosce infatti (parla e scrive correntemente) russo, inglese, tedesco, francese, spagnolo, ungherese e ne ha studiate un’altra decina che spera di portare a maggiore perfezione nel prossimo futuro. Si è diplomato in Lingua Russa all’Istituto Pusckin di Mosca dove ha avuto inizio la sua avventura nel Medioevo Russo. Lavorando sui mercati internazionali si era infatti appassionato al Medioevo, ma quando scoprì che non riusciva mai a sapere gran che su quello russo, colse l’occasione della tesi all’Istituto Pusckin e scelse di studiare un personaggio del Medioevo bielorusso, Santa Eufrosina di Polozk: di lì via via è entrato in quel mondo magico e nuovo.

Ha pubblicato il saggio storico in chiave divulgativa Olga La Russa, 2001 (che non è la sorella di Ignazio La Russa, per carità!), e poi per i ragazzi L’ombra dei Tartari, 2002, ovvero la saga di Alessandro Nevskii.

Altre sue opere sul Medioevo russo sono visibili nel portale delle Edizioni Atena.

Collabora attivamente con il portale Mondi Medievali curando la rubrica Medioevo Russo.

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