
Gli enigmi della Corona Ferrea di Valeriana Maspero
Per alcuni studiosi le ultime ricerche storico-scientifiche sulla corona ferrea (svolte negli anni Novanta e contenute nei tre poderosi volumi intitolati ‘La corona ferrea nell’Europa degli imperi’, editi da Giorgio Mondadori, Milano) smentirebbero che essa sia il diadema dell’imperatore Costantino e contenga uno dei chiodi della passione di Cristo: il manufatto in questione sarebbe di fattura molto posteriore, dell’epoca di Teoderico (V-VI sec.), come attesta la datazione con il radiocarbonio fatta su alcuni frammenti di materiale organico rinvenuti sotto una lastrina smaltata e il castone di una gemma; inoltre non esisterebbe in esso alcuna traccia di ferro. La mia tesi è invece che da quelle ricerche non sono emerse delle prove contrarie alla tradizione e che ciò si deduce chiaramente da una lettura più attenta dei risultati di esse.
Innanzitutto la datazione relativa al tempo di Teoderico è problematica: fatta sul campione trovato sotto la lastrina a smalti, essa attesta indubitabilmente l’applicazione delle lastrine stesse (che sono griffate sul corpo-corona) che potrebbe essere posteriore. Stesso discorso per l’incastonatura di gemme magari rimpiazzate successivamente nei castoni. In effetti esistono testimonianze storiche che suggeriscono una aggiunta posteriore delle lastrine a smalti (V-VI e VIII sec.) e il rimpiazzo di molte gemme perdute (XIV sec.).

L’originario corpo-corona d’oro non è infatti databile col carbonio14, e specifiche analisi mineralogiche, numismatiche o archeologiche su di esso non sono state messe in atto. Il principale raffronto oggettivo possibile, cioè il controllo sui valori di lega delle varie parti metalliche della corona, presenta una netta differenza delle leghe dell’oro che compone le placche (la corona è composta da sei placche d’oro incernierate tra di loro), i castoni e le borchie a rosetta (oro all’84%) e l’oro che compone la base e i bordi delle 24 lastrine smaltate che la decorano (oro al 91%) dall’altro: segno che il corpo coi suoi decori da una parte e le lastrine smaltate dall’altra non sono stati fatti nello stesso laboratorio e probabilmente non sono neppure coevi.
Ciò non è dunque in contrasto con la tradizione secondo cui la corona sarebbe quanto rimane del diadema di Costantino, cioè le sei placche laterali che l’imperatore bizantino Anastasio restituì al re ostrogoto come insegna regale alla fine del V secolo, dopo che Teoderico, come promesso, aveva riconquistato l’Italia battendo l’erulo Odoacre. La datazione del tempo di Teoderico si riferisce al campione prelevato sotto una delle lastrine, che molto probabilmente – essendo di fattura barbarica diversamente dal corpo-corona dal decoro bizantino – sono state inserite sulla corona preesistente proprio da questo re.
E veniamo al problema del ferro, cui la nostra corona deve il suo celebre nome da secoli.
L’analisi metallografica sulla lamina interna attualmente presente all’interno del corpo-corona ha rivelato che questa cerchiatura è d’argento. Non può dunque assolutamente trattarsi della forgiatura di un chiodo. Questo fatto però non esclude che il ferro potesse essere in un’altra parte della corona. E in effetti, andando indietro nel tempo a controllare le fonti storiche sull’argomento, l’accostamento tradizionale tra la corona e il ferro del chiodo della passione di Cristo si basa su un’altra storia.
La più celebre testimonianza sull’elmo di Costantino, di cui la nostra corona era il bordo, è quella di sant’Ambrogio, che celebrò il cimelio nell’omelia per il funerale di Teodosio, morto improvvisamente a Milano nel 395. Il santo vescovo descrivendo l’elmo-reliquia imperiale in cui sant’Elena aveva posto il chiodo sacro non parla affatto di cerchiatura interna, ma piuttosto lascia intendere di un agganciamento del diadema prezioso mediante il ferro sacro (‘ diadema intexuit’ – unì, inserì il diadema) all’elmo.
Ma la prova più chiara che il ferro fosse una lamina o archetto che teneva agganciato il diadema alla calotta dell’elmo è che durante le analisi scientifiche di cui sopra i tecnici hanno trovato nei fori più grossi presenti su un margine della corona (probabilmente proprio quelli degli agganci all’elmo) dei residui ferrosi.
La cerchiatura venne infatti posta nella corona in epoca molto posteriore (XIV sec.). Esiste infatti la testimonianza secondo cui la corona venne sottoposta a un restauro conservativo e al ripristino delle gemme perdute, commissionato dall’arcivescovo Giovanni Visconti all’orafo piacentino Antellotto Bracciforti, nel 1345 dopo il ritorno del tesoro di Monza da Avignone, dove aveva subito un clamoroso furto fortunatamente sventato. La credenza che la cerchiatura fosse di ferro è posteriore, risale al tempo di san Carlo Borromeo, quando un abate monzese, Bartolomeo Zucchi, lo scrisse in un libro sulla storia della corona. In effetti, perso nei secoli ogni archetto metallico, era l’unico elemento metallico presente nella corona e il fatto che non fosse arrugginito venne preso per la prova della sua miracolosità.

Per tornare al discorso storico scientificamente provato, la corona dunque dovette (e deve) il suo nome non alla cerchiatura di connessione interna (rivelatasi d’argento), ma al ferro degli archetti che in origine le erano stati applicati per agganciarla come bordo all’elmo imperiale, ferro che secondo sant’Ambrogio era quello del famoso sacro chiodo.
Che il gioiello originariamente avesse un telaio ferreo soprastante (come del resto hanno quasi tutte le corone reali europee) è testimoniato chiaramente anche dal cerimoniale dell’incoronazione di Federico Barbarossa, avvenuta nel 1155 e conservato nella Biblioteca Vaticana, in cui è scritto: ‘corona appellatur ferrea quod laminam quandam habet ferream in summitate’ – la corona è chiamata ferrea perché ha una lamina di ferro attaccata alla sommità.
Che dire di più? Le ultime analisi scientifiche dunque, accertando l’applicazione posteriore delle lastrine smaltate e avendo individuato la presenza dei residui ferrosi, confortano la tradizione secolare secondo cui essa è ciò che ci resta del diadema costantiniano, un illustre cimelio storico, un bellissimo oggetto d’arte e, come antica sede del chiodo della passione e custodia dei suoi residui, anche una suggestiva reliquia religiosa.
Laureata in storia e filosofia, ex docente, pubblicista, autrice di testi scolastici, ha scritto testi di storia e narrativa. Fa parte di associazioni culturali e tiene incontri e conferenze per promuovere la conoscenza della storia della corona ferrea e del periodo medievale in Lombardia. Tra le pubblicazioni: Percorsi visivi, corso di educazione artistica, Ghisetti&Corvi, Milano, 2001, Homo, corso di storia, Immedia, Milano, 2004, La corona ferrea, storia del più celebre simbolo del potere in Europa, Vittone, Monza, 2004/2008, Il gioco della corona ferrea, Immedia, Milano, 2005, Bonincontro e il Chronicon modoetiense, EiP, 2010, Geostoria della civiltà lombarda, Mursia, Milano, 2013, Il ghibellino di Modoezia, Libraccioeditore, Milano 2014, Memorie di una millenaria, Libraccioeditore, Milano, 2016.
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