
Gruppi parentali normanni nella Marca Anconetana. XI e XII secolo di Giovanni B. Ciappelloni
Gli storici di inizio novecento dopo che furono sicuri di aver esplorato ogni aspetto dei vari periodi che si erano succeduti nella Marca Anconetana, soprattutto quelli relativi ai Longobardi ed ai Franchi, si ritennero soddisfatti di quanto rinvenuto e non si accorsero che durante gli anni successivi al Mille diversi personaggi, di scarsa o nulla notorietà, facenti parte di un popolo giunto da lontano erano penetrati senza clamori bellici in una regione da sempre ritenuta lontana dai centri di potere ma che aveva costantemente coinvolto nelle sue vicende molti protagonisti degli eventi storici italiani. Inoltre questo resoconto storico erudito dedicato a diverse realtà prese singolarmente in esame, carente di organicità per il mancato raffronto con altre coinvolte negli stessi eventi trattati e soprattutto compilato da studiosi ritenuti sommamente attendibili per la loro reputazione, venne accettato così come veniva presentato. Questa analisi degli avvenimenti, sempre la stessa nelle varie versioni, offerta a chi si interessava di questi argomenti dava l’impressione che si fosse pervenuti alla fine della ricerca e che non esistesse altro di interessante da portare alla luce. Per questi motivi non ci furono stimoli particolari per chi si occupava dell’indagine storica riguardante le famiglie egemoni presenti nel XII secolo nella Marca Anconetana alcune delle quali non potevano chiaramente essere di provenienza locale oppure germanica, come era stato sempre affermato. Infatti alcune di queste, che indubbiamente arrivavano da località poste al di fuori della Marca davano l’impressione di essere in possesso di modi di vivere e di agire diversi da quelli fino ad allora praticati. Tuttavia qualcuno parlava di personaggi, dal fisico possente, dal grande talento militare, in possesso di “smodate ricchezze“, come scriveva lo storico Filippo Cornazzani riguardo al primo apparire di alcuni gruppi militari nella Marca Fermana, che riuscirono facilmente a inserirsi in realtà a loro del tutto estranee a causa di evidenti vuoti di potere. Favoriti dalla loro instancabile attività di milizia mercenaria, abili nei commerci, disponibili al soccorso reciproco e con una spiccata tendenza all’integrazione con la popolazione locale riuscirono, partendo in genere dal contado dove avevano acquistato od avevano ottenuto in pagamento per i loro servigi armati da chi li aveva ingaggiati vasti possedimenti terrieri, a conseguire in breve tempo l’egemonia su estesi territori e successivamente la Signoria su centri abitati come quelli di Fermo, di Fabriano o di Camerino. Attraverso varia documentazione anche di carattere iconografico è stato possibile dare una nazionalità e una provenienza a questi personaggi d’oltralpe che, oltre ad influenzare un lungo periodo storico della Marca Anconetana, ebbero anche a decidere le attività economiche e gli avvenimenti dei residenti nei territori confinanti. Questi personaggi, per la maggior parte normanni oppure cadetti di importanti famiglie francesi, che si conoscevano benissimo tra loro per essere stati attori della vita sociale nel loro paese intrapresero percorsi paralleli aiutandosi e supportandosi a vicenda nelle loro politiche di potere. Papa Gregorio VII, nel Concilio romano del 1078 poteva mettere agli atti: “Excommunicamus omnes Northmannos qui invadere terram S.Petri laborant, videlicet Marchiam Firmanam, Ducatum Spoletanum…“(1).
Volendo fornire un piccolo elenco di nomi riferibili a questo momento storico è possibile citare oltre ad Hugues de Maumozet, il Malmorzetto delle cronache, che insedierà alcuni dei suoi 7 figli come duchi o conti nel Piceno (2), quanto lo storico marchigiano Filippo Cornazzani, riprendendo l’abate Giambattista Cosimi, scrisse in “Cenni biografici degli uomini illustri di Mogliano”:
“Una illustre prosapia venuta di Normandia si trapiantava per munificenza di Roberto il Guiscardo l’anno 1081 nella Marca Fermana. Fornita di smodate ricchezze dilatò in breve il dominio; e comprate le più ubertose parti del territorio di Mogliano….Diramatisi in seguito nei possedimenti di Brunforte andarono i suoi discendenti spesse fiate confusi coi titoli di Signori, Conti, Baroni o Nobili di Mogliano e di Brunforte”...

Ed ai Signori di Mogliano si possono aggiungere anche quelli di Monteverde e di Falerone in quanto tutti i capostipite di queste famiglie erano fratelli (3). Anche i de Clavellis/Chiavelli di Fabriano furono una famiglia d’oltralpe documentata per la prima volta nel 1165 (4) ma dagli annalisti ritenuta residente sul territorio almeno dal 1153. La comune origine scandinava e l’operare in luoghi lontani dai territori amministrati dai connazionali, costrinsero questi gruppi parentali a supportarsi l’un l’altro nelle loro vicende. Accanto a queste famiglie è possibile aggiungerne un’altra di gran peso nelle vicende della Marca Anconetana quella dei da Varano di Camerino. Da sempre si è voluto ignorare quello che alcuni storici camerti avevano sostenuto nei loro resoconti e quanto veniva rappresentato in una serie di affreschi di carattere prosopografico dedicati alle origini francesi di questa famiglia. Camillo Lili ma anche Patrizio Savini (5), storici camerti, erano convinti di questa loro origine. Il Lili cercò di dimostrarla anche attraverso argomenti araldici, supportati, a suo dire, da un antico manoscritto beneventano, rinvenuto negli archivi vaticani. Ed indicò in un Rodolfo, principe di Benevento, il capo normanno da cui discesero i primi da Varano che ebbero l’onore dei documenti (6). Quello che dovrebbe essere determinante per l’individuazione di queste origini sono una serie di dipinti murali, più precisamente guazzi, presenti nel Castello di Beldiletto, dimora di campagna fortificata, nei quali è possibile leggere una esplicita dichiarazione di appartenenza al mondo normanno. Questa residenza estiva, fatta costruire da Giovanni di Berardo da Varano nei pressi di Pievebovigliana negli anni che vanno dal 1371 al 1381 venne riccamente affrescata nella seconda metà del XV secolo per volontà di Giulio Cesare da Varano. Nella sala principale del castello è visibile la teoria, per altro molto deteriorata, di una serie di figure nella quale sono presenti tutti i maggiori esponenti della Casata degli Altavilla, da Roberto il Guiscardo a Tancredi conte di Lecce. Raffigurazione pittorica che risulta essere una esibizione evidente delle proprie radici e di chiare relazioni parentali. A conferma di questa lettura in una seconda sala vi sono diversi personaggi riconducibili ai Visconti ai quali tramite alcuni matrimoni i da Varano potevano affermare di essere imparentati (7).
Questa presenza d’oltralpe nella Marca Anconetana non è solamente apicale ma è anche supportata da diverse figure secondarie che partecipano alle sue pulsioni e al consolidamento di una supremazia territoriale dalle caratteristiche arroganti. Una delle scusanti che si possono riconoscere ai molti commentatori, del periodo storico relativo a questi personaggi, è che non si trovano documenti che indichino chiaramente la loro appartenenza come invece succede per l’etnia longobarda che spesso dichiara nelle carte di vivere “sub lege langobardorum” in quanto inserita in una società con regole certe a cui è sempre opportuno fare riferimento. I normanni invece arrivano in una realtà a loro estranea della quale non hanno la minima intenzione, se possibile, di rispettare le regole e alla quale invece desiderano imporre la legge del più forte, cioè la loro. Approfittano della loro attività, richiesta e apprezzatissima, di milizia mercenaria per insinuarsi nei territori della Marca Anconetana e del vicino Ducato di Spoleto al soldo del miglior offerente. Alcuni non riescono a trovare una loro dimensione locale e ritornano nel meridione scomparendo dalle carte, altri come i de Clavellis oppure i da Varano trovano nei territori dove esercitano la militia la propria affermazione ed il proprio successo. Le popolazioni locali, abituate al continuo ingresso sul territorio di personaggi dalle diverse provenienze non hanno difficoltà a riconoscerli, dopo breve tempo, come facenti parte della propria circoscrizione così come faranno, in assenza di documenti che provino il contrario, gli annalisti e gli storici successivi.
Nessuno per mancanza di un quadro generale d’insieme e per una scarsa conoscenza del fenomeno normanno in Italia si accorge che costoro sono diversi per stile, frequentazioni e rapporti dalle altre famiglie egemoni che man mano si sono avvicendate nelle loro zone e soprattutto dalle casate di chiara derivazione longobarda come gli Ottoni di Matelica o i Trinci di Foligno. E non si colgono le affinità e l’insieme di interessi comuni. Nelle vicinanze di Campodiegoli di Fabriano nei pressi dell’Abbazia di San Cassiano sorgeva il castello di Chiarmonte, una fortificazione di carattere militare ceduta nel 1220 dagli ultimi proprietari al Comune di Fabriano, posizionato nel luogo oggi chiamato San Martino, e che era posto a guardia del soprastante passo di Chiaromonte. Ora questo toponimo di Chiarmonte o Chiaromonte non è accertato esistesse in loco prima di quando venne menzionato per la prima volta nelle carte e cioè in una bolla di Adriano IV del 16 marzo 1157 (8) che parla dei possedimenti dell’Abbazia di S. Maria d’Appennino ed in ogni caso non è da considerarsi un toponimo ma un antroponimo (9). Tra i primi clan normanni giunti in Italia vi era una famiglia, di una certa notorietà, indicata dal cognomen toponomasticum di “de Clermont”. Si ritrovano questi de Clermont in Sicilia, in Basilicata, in Molise ed anche nel Fermano. Detto ciò è certo che il castello di Chiarmonte, il Passo soprastante ed una ulteriore fortificazione, con lo stesso nome, vicino Cagli (10) prendano il nome proprio da questa famiglia normanna probabilmente presente per gli stessi motivi dei de Clavellis sul confine tra Ducato e Marca. E infatti l’anno che appare nel documento che parla del castello in territorio fabrianese è il 1157, anno perfettamente compatibile con le vicende iniziali dei de Clavellis già presenti nelle vicine rocche dell’ Orsara e di Capretta. Come si può osservare attraverso queste e altre notizie, a prima vista marginali, è possibile aprire uno scenario nuovo che andrebbe considerato con grande cura in quanto quello che si intravede, anche senza l’acquisizione di nuova documentazione essendo sufficiente una lettura più attenta di quella già presente, dovrebbe gettare una luce diversa sulle vicende della Marca dei primi secoli dopo il Mille. Ma oltre a questi gruppi parentali anche una altra casata di questa zona, in aggiunta ai da Varano, ai de Clavellis, ai da Monteverde ed ai da Mogliano, per non parlare dei da Montefeltro, potrebbe essere sospettata di simili origini sia per le sue interazioni con quelle già nominate sia per l’uso ricorrente di nomi propri assolutamente nuovi ed inusuali: la famiglia dei Simonetti di Jesi.
I Simonetti appaiono per la prima volta nelle carte nel 1140 con un individuo di nome “Capthio” a sua volta figlio di uno “Stephio”. All’interno della famiglia si può prendere atto di una serie di nomi inusuali, per quelle egemoni nel territorio marchigiano, come Lomo o Boorte che tendono a ripresentarsi nelle diverse generazioni. In particolare “Boorte”, la variante francese di Bors, è un nome che arriva da lontano in quanto era indossato nel Ciclo bretone o arturiano da un cavaliere della Tavola rotonda: Sir Bors re di Gauness. Oltre a questi abbiamo Lucimburgo, Mercenario ed anche Gualtiero o Rinaldo che sono nomi utilizzati correntemente dalle famiglie di origine normanna. Le radici di questo popolo di avventurieri affondano nei territori scandinavi da dove costoro sciamarono verso tutte le coste dei mari settentrionali e da qui poi ripartirono verso altri lidi. Rurik si diresse verso i paesi slavi dell’est Europa giungendo dal golfo di Finlandia, attraverso laghi e fiumi, fino al mar Nero, numerosi altri verso le isole britanniche e da qui fino alla Groenlandia e forse al Canada, Hrolfr/Rollone verso la Francia, Ruggero di Tosny arrivò in Spagna partecipando attivamente alla “reconquista” contro gli arabi. Ancor prima di costoro altri avevano compiuto scorrerie e saccheggi a bordo dei loro Drakkar lungo le coste della Spagna e in tutto il mediterraneo occidentale arrivando a razziare tra le altre Luni in Liguria e Fiesole alle porte di Firenze. Praticarono la religione norrena avendo come principali dei Odino (la sapienza, il furore) e Thor (il tuono), il dio della guerra, fino alla conversione al cristianesimo di Hrolfr/Rollone, avvenuta in Francia dove costui prese con il battesimo il nome di “Roberto il ricco” indicando da subito i propri obiettivi e le proprie ambizioni, e dopo la quale tutti i normanni francesi divennero cristiani. E se il grido di battaglia dei duchi di Normandia era il famoso “Dex aie” (che Dio ci aiuti) lanciato anche durante lo scontro di Hastings dell’ottobre 1066 l’invocazione ricorrente, la rogatio, dei monaci delle popolazioni delle coste del Nord nelle processioni supplicatorie era l’altrettanto noto “A furore normannorum libera nos Domine“.

Arrivarono in Italia meridionale intorno al Mille diretti in Puglia ed in Campania e qui vennero ingaggiati dai nobili longobardi del luogo per essere impiegati nelle loro faide ed anche per contrastare saraceni e bizantini. Si spostavano in gruppi provenienti da uno stesso territorio dal quale prendevano a volte un appellativo che li identificava, il cosiddetto “cognomen toponomasticum”, con un “de” iniziale, caratteristico dei normanni che non certificava un legame familiare ma indicava una provenienza comune. I primi furono i Drengot e dopo qualche tempo si presentarono anche i “de Hauteville” ma i comportamenti di entrambi i gruppi furono sempre gli stessi, non a caso venivano chiamati dalle popolazioni meridionali “saraceni cristiani “. L’aspetto fisico di questi combattenti era degno di nota. Nella media erano alti, di carnagione chiara rosata e con barba bionda o rossa, colori che si cercava di ottenere anche artificialmente in quanto venivano considerati fattori di bellezza virile. Le poche raffigurazioni pervenute di costoro parlano di barba fluente e di capelli di media lunghezza a volte tagliati corti a tazza. I figli dei primi arrivati indosseranno ancora nomi scandinavi o germanici che ben presto saranno sostituiti con quelli presenti sui territori di arrivo per una loro riconosciuta capacità di assimilare gli usi e i costumi delle popolazioni con le quali interagivano ottenendo, in questa maniera, il risultato di confondersi e mischiarsi sempre di più con esse e rendendo dopo qualche tempo irriconoscibili le proprie origini. Comunque questi primi normanni si arricchirono più che con la guerra soprattutto con le scaramucce e con le cavalcate dove il furto, il saccheggio e le richieste di riscatto, per coloro che venivano catturati, erano la norma. Ma presto il territorio si fece piccolo per entrambi i clan francesi che dopo non molto entrarono in conflitto fra loro. I Drengot ebbero la peggio e furono costretti a fuggire due volte in Germania una prima volta dopo la conquista di Aversa, la loro roccaforte, da parte di Ruggero II Altavilla, 1135, e una seconda volto dopo la sconfitta definitiva, 1139, subita a Galluccio.
Da qui prese le mosse l’espansione verso il nord dei gruppi normanni che avevano avversato e combattuto gli Altavilla ed in parte anche di altri che non avendo ancora trovato spazi propri spostarono fuori dal meridione il loro raggio di azione. Alcuni dei de Clavellis si rifugiarono in Germania accompagnando i Drengot sconfitti presso la corte imperiale in attesa di tempi migliori, altri clan cercarono le loro fortune nel Ducato di Spoleto o nella Marca Anconetana. Qui portarono le loro abitudini, i loro comportamenti verso le popolazioni civili e il poco rispetto delle regole esistenti. E in cambio ricevettero un odio profondo, ma quasi sempre impotente, da parte delle popolazioni che dovettero subirle e che ogni tanto cercavano di scrollarsi di dosso questi arroganti padroni. Questi clan parentali conservarono in ogni caso solidi rapporti con i luoghi di provenienza mantenendo anche quelli preesistenti con alcune Casate egemoni del tempo. Rapporti che ogni tanto venivano alla luce attraverso le loro frequentazioni pubbliche che a volte destavano meraviglia nei cronisti mentre qualche storico successivo tendeva ad ignorarli in quanto giudicati una esagerazione campanilistica di qualche cronista in cerca di consenso cittadino. Quindi non si presero nella giusta considerazione la familiarità dei de Clavellis di Fabriano con gli imperatori svevi insieme alle ricorrenti visite dei d’Angiò a Fabriano (11), la presenza sempre a Fabriano di famiglie normanne come i Becket o i Calvello oppure la consorte inglese di Rodolfo I da Varano ed anche i guazzi del castello di Beldiletto ed altro ancora come la chiesa dedicata a San Giuliano, santo caro agli Altavilla, che si rinviene a ridosso della Rocca Varano vicino Camerino. Tuttavia tutte queste attività documentate per lo più nelle cronache locali e raramente nei documenti ufficiali parlano di posizioni familiari di rilievo che non sempre coincisero con un’identica fortuna politica e che solo raramente portarono benefici alle popolazioni soggette a costoro che invece dovettero subire, nei momenti di maggiore potenza di questi gruppi parentali, pesanti rivalse per i tentativi di ribellione tesi a riprendersi la propria libertà. Così successe dopo la presa di Fabriano da parte di Guido Napolitano de Clavellis nel 1378 che permise, ottenuta la vittoria, il saccheggio della città e del territorio a Lutz von Landau, il mercenario tedesco genero di Bernabò Visconti ingaggiato per l’occasione. Questi comportamenti invero non furono comuni solo alle casate di provenienza normanna ma appartennero un poco a tutte le famiglie egemoni del periodo.

Ma altri erano i presupposti e pertanto solamente verso i normanni si concretizzarono le vendette più atroci come quella contro Mercenario da Monteverde, signore di Fermo, ucciso in un agguato e gettato senza vesti e senza alcun conforto religioso in un fossato oppure quella contro i da Varano trucidati a Camerino nel 1434, l’anno prima dell’eccidio dei de Clavellis avvenuto a Fabriano nel 1435 durante una cerimonia religiosa nella chiesa di San Venanzo. Questo breve excursus sui Normanni in generale e in particolare su quelli pervenuti nella Marca Anconetana vuole essere propedeutico al racconto delle vicende dei “de Clavellis de Fabriano”. Un gruppo di militari/imprenditori costantemente alla ricerca di profitto e alle dipendenze di altri personaggi del tempo ai quali garantivano la massima efficienza. Intraprendenti commercianti e abili “condottieri” molto rinomati per le loro capacità militari ed una indiscussa lealtà, qualità rara a rinvenirsi in quei tempi. La narrazione delle vicende relative a costoro attraverso una puntuale esposizione degli avvenimenti cercherà di consentire un corretto giudizio storico sul gruppo parentale normanno pur in assenza di documenti, relativi ai Signori della rocca di Orsara e di quella di Capretta, antecedenti al 1165 anno in cui venne registrato un atto formale di aggregazione al Comune di Fabriano da parte di Alberico e Rainaldo figli di Rodolfo Clavelli.
Il gruppo parentale dei de Clavellis “de Fabriano” dall’innata attitudine imprenditoriale si mise in grande rilievo anche prima 1378 quando formalmente instaurarono la loro Signoria sul territorio fabrianese che in pratica esercitavano da sempre. Infatti non si scorgono alternative al fatto che siano stati proprio i normanni de Clavellis, provenienti dalla Terra di Lavoro, per i loro rapporti non solo militari con la Società del sud Italia che favorirono oppure furono causa dell’arrivo a Fabriano di artigiani o di individui esperti nella fabbricazione di carta bambagina. In tutte le loro attività costoro non cessarono mai di essere degli eccellenti uomini d’armi, a volte religiosi esperti nel maneggio della spada, a volte letterati che trionfavano in giostre e tornei, a volte, nell’ultimo periodo, abili commercianti che non abbandonavano del tutto l’esercizio della milizia. L’agire dei de Clavellis, contraddistinto dall’uso della forza e della intimidazione in un’epoca nella quale la debolezza e spesso l’assenza di una autorità statale aveva dato adito all’arbitrio, alla violenza ed all’illegalità, se all’inizio quando erano occupati a perseguire l’egemonia sul territorio agevolò e permise l’affermazione locale del Clan francese, negli ultimi tempi costituì una delle cause della tragica fine della Famiglia Signorile in quanto questi normanni guerreggiando per l’Italia portarono con se uomini del territorio in armi sia a piedi che a cavallo. E questa continua familiarità con il maneggio delle armi, si contavano nel XV secolo otto compagnie di ventura ricollegabili al Comune di Fabriano, tolse ai residenti del territorio ogni timore relativo a uno scontro armato con i Signori e rese possibile la sommossa popolare del 1435.
Nella ricostruzione degli avvenimenti e delle attività dei personaggi oggetto di questa ricerca dati storici indiretti e notizie trascurate tratte da documenti rinvenuti in archivi lontani da Fabriano hanno offerto la possibilità di integrare e a volte di modificare alcune delle precedenti opinioni sul periodo ed anche di avanzare delle ipotesi che si spera possano stimolare un approfondimento della ricerca storica dedicata. In ogni caso i Signori di Fabriano, oggi impropriamente ricordati come “Chiavelli”, in tutti i documenti dell’epoca anche in quelli successivi al 1435 (12) furono sempre indicati con il loro vero appellativo, quello di “de Clavellis”, un toponimico dalle chiare origini francesi.
Note:
1) Paul Fridolin Kehr: “Regesta pontificum romanorum” vol.VIII, pag 16
2) Hugues Maumouzet (?-1097), uomo di Roberto il Guiscardo, fu signore di Manoppello e di Lanciano. Viene ampiamente citato nel “Chronicon Casauriense”.
3) Albero genealogico dei da Monteverde e delle casate sorelle, manoscritto nella Biblioteca Comunale di Fermo, cart. XLI n.946
4) Libro Rosso del Comune di Fabriano, doc. n. 61
5) Patrizio Savini: “Storia della Città di Camerino”. Parte seconda pag. 63
6) Camillo Lili: “Dell’istoria di Camerino”.Parte seconda, pag.15 e segg.
7) Andrea De Marchi, Matteo Mazzalupi: “Prosopografie cortesi per i Da Varano, nel castello di Beldiletto”
8) Archivio storico della Diocesi di Fabriano e Matelica. Pergamena n. 9
9) UTET, AA.VV: : “Dizionario di Toponomastica”, pag.201
10) Fortificazione risalente al XII secolo nel territorio comunale di Cagli. Presciutti, Presciutti e Dromedari: “Pianello di Cagli” e Alberto Mazzacchera: “Cagli comune e castelli. Catria e Nerone. Un itinerario da scoprire”, pagg. 115/116
11) Beatrice di Provenza moglie di Carlo I d’Angiò nel 1265 – Ludovico d’Angiò nel 1347.
12) Libro Rosso del Comune di Fabriano, doc. n. 283 (anno 1494), doc. n. 290 (anno 1549)