
di Ornella Mariani.
I personaggi
Il 29 ottobre del 1187, da Ferrara, un indignato Gregorio VIII reagì con la Bolla Audita Tremendi alla notizia della disfatta subìta dall’esercito gerosolimitano ai Corni di Hattin il 4 precedente: ignorava ancora lo sfondamento delle resistenze anche di Gerusalemme.
(Dal Magnum Bullarium Romanum, III, Augustae Taurinorum, 1859:
…Avendo udito la notizia del tremendo giudizio divino con cui la mano del Signore si è abbattuta sulla terra di Gerusalemme, noi e i nostri fratelli siamo confusi da tanto orrore e afflitti da tanto grandi dolori da non sapere che cos’altro fare se non piangere col Salmista: «Dio, i gentili sono entrati nel tuo retaggio, hanno profanato il tuo sacro tempio; hanno rovinato Gerusalemme, hanno dato le carni dei tuoi santi in pasto alle belve della terra e agli uccelli dell’aria»; poiché il Saladino, approfittando della discordia scoppiata in quella terra a causa della malvagità degli uomini istigata dal Demonio, è giunto là con gran quantità di uomini. Gli sono andati incontro il re, i vescovi, i Templari, gli Ospedalieri, i baroni e i cavalieri col popolo tutto e la croce del Signore… sicuro baluardo… contro le incursioni pagane. Ci fu battaglia e i nostri furono sbaragliati; perduta la croce del Signore, trucidati i vescovi, catturato il re e quasi tutti o passati per le armi o trucidati, salvo pochissimi salvatisi con la fuga; i Templari e gli Ospedalieri furono tutti decapitati sotto gli stessi occhi del re… è necessario… assalire i feroci e malvagi nemici e non esitare in alcun modo a fare in pro di Dio ciò che essi non temono di osare contro di Lui…E non vi diciamo di abbandonare ciò che avete, ma al contrario di depositarlo anzi tempo nel granaio celeste… impegnandovi nel recupero di quella Terra nella quale per la nostra salvezza sorse la Verità e non disdegnò di sopportare per noi il patibolo;né vogliate preoccuparvi di guadagno o di gloria temporale, ma solo della volontà di quel Dio che ha insegnato a riporre in Lui l’anima a vantaggio dei fratelli: e affidate a Lui le ricchezze che volontariamente o no state per abbandonare a non si sa quale erede…a quelli che, con cuore contrito e in umiltà di spirito, avranno accettato la prova di questo iter e saranno morti facendo penitenza dei loro peccati e nella retta fede, promettiamo l’indulgenza plenaria e la vita eterna. Sia che sopravvivano sia che muoiano, sappiano che saranno esentati dalla pena per la misericordia e per l’autorità degli apostoli Pietro e Paolo e nostra. I loro beni e le loro famiglie poi, da quando avranno preso la croce, saranno sotto la protezione della Santa Romana Chiesa e dei suoi arcivescovi, vescovi e prelati; e non dovrà esser loro contestata alcuna delle cose che abbiano posseduto senza contrasti all’atto in cui hanno preso la croce, purché non si abbia notizia certa del loro ritorno o della loro morte, ma fino ad allora i loro beni restino intatti e intangibili; né, inoltre, siano obbligati a restituire a nessuno prestiti a usura…) (Dato a Ferrara il quarto giorno dalle calende di novembre 1187, indizione sesta).
Lo scempio consumato ad Hattin, le cui responsabilità storiche sono imputabili tutte e solo alla condotta irresponsabile dell’establishment occidentale, fu pretestuosamente impugnato per un’ altra sanguinosa Crociata, ancora attribuita alla volontà celeste.
Deus le vult.
E fu l’ulteriore prosecuzione di quel massacro cominciato nell’XI secolo quando, a seguito d’una sofferta depressione economica, politica e militare ed animate da grande fervore religioso, decine di migliaia di Europei s’erano portati in Outremèr pretestuosamente pretendendo di liberare la Città Santa dalla dominazione musulmana. Da allora, e per circa un secolo, il Regno gerosolimitano ed effimeri Stati Crociati, erano sopravvissuti solo in virtù delle lotte interne agli Arabi finché un grande Generale curdo compose l’unità politica e religiosa di quelle terre: era Salah al-Din Yusuf ibn Ayyub, altrimenti detto Saladino: il protagonista della memorabile Battaglia dei Corni di Hattin, ove furono spazzati dalla storia una serie di personaggi politicamente insufficienti e militarmente incompetenti: Guido di Lusignano; Reginaldo di Châtillon; Raimondo di Tripoli; Eraclio d’Alvernia; Gérard de Ridefort.
Guido di Lusignano
Nato nel Poitou verso il 1150 e vassallo di Enrico II d’Inghilterra, avendo a diciotto anni ucciso il Conte Patrick di Salisburgo ed essendo stato bandito dalla Contea, dopo varie peregrinazioni, fra il 1174 ed il 1180 Guido di Lusignano era approdato a Gerusalemme procurandosi l’accesso a Corte grazie alle nozze del germano Amalrico con la figlia di Baldovino d’Ibelin. Presto si era fatto notare per ambizione e disinvoltura diventando l’amante di Agnese di Courtenay, figlia di Joscelin II di Edessa: quale erede del feudo, ella era stata sposata all’età di soli quindici anni a Rainaldo di Marash, morto nella Battaglia di Inab del 1149 e, nel 1157, era stata destinata al Conte Amalrico di Jaffa ed Ascalona che l’aveva rapita ed impalmata secondo le leggi del Lignages d’Outremer. Dal matrimonio erano nati tre figli: Sibilla, Baldovino IV ed Alice presto mancata. Insieme avevano vissuto alla Corte di Gerusalemme nel perdurare del governo della Regina Melisenda, deceduta d’infarto nel 1161 a Nablus.
Nel 1162, s’era spento anche Baldovino III e, per assenza di discendenza diretta, Amalrico aveva cinto la tiara e ripudiato Agnese, ormai priva di beni se non anche bigama, persistendo il dubbio che fra la vedovanza e le seconde nozze avesse segretamente sposato Ugo d’Ibelin. A fronte della sola e pur mai confermata ipotesi, l’Haute Cour di Gerusalemme aveva infatti intimato al Sovrano il divorzio, pena la perdita del trono: l’annullamento del vincolo fu motivato con la remota consanguineità determinata dal comune trisnonno Guido I di Montlhéry. I figli superstiti, tuttavia, mantennero il diritto alla successione: il giovane Baldovino IV fu educato da Guillaume de Thyre; la sorella Sibilla fu posta sotto la tutela della abbadessa Giuditta di Betania ma, a partire dal 1167, anno in cui Amalrico I passò a nozze con Maria di Costantinopoli, da cui ebbe la figlia Isabella, Agnese fu pressocché bandita da Corte. Aveva conservato la sola titolarità del feudo di Jaffa ed Ascalona; aveva realmente sposato nel 1163 Ugo d’Ibelin e, di nuovo vedova, nel 1170 si era legata a Reginaldo di Sidone.
Quattro anni più tardi, Amalrico morì e gli subentrò, già lebbroso, il giovane Baldovino sotto tutela di Milo di Plancy e Raimondo III di Tripoli: accanto al figlio, recuperati prestigio ed influenza, Agnese partecipò alle riunioni dell’Haute Cour mentre la Regina vedova Maria si ritirava a Nablus per tutelare gli interessi di Isabella e mentre Sibilla, ormai in età da marito, sposava Guglielmo del Monferrato, spentosi lasciandola gravida di Baldovino V.
Nel 1176 Filippo di Fiandra, quale parente più prossimo del defunto Sovrano, rivendicò il diritto alla reggenza pretendendo che le due Principesse sorellastre sposasero due suoi vassalli: l’una, per sua fortuna, era troppo giovane; l’altra fu difesa dagli Ibelin: l’erede al trono era ormai maturo e non aveva più bisogno di tutela. Il Consiglio di reggenza fu, pertanto, esautorato e liquidato mentre Agnese attingeva al Tesoro reale i cinquantamila dinari necessari a riscattare la libertà del fratello Joscelin III di Edessa, ostaggio degli Arabi, e lo investiva del ruolo di Siniscalco reale; orientava le scelte politiche del figlio; conferiva la carica di Connestabile ad Amalrico di Lusignano nel 1179; promuoveva il Primate di Cesarea Eraclio a Patriarca Latino della Città Santa; sceglieva un nuovo marito alla figlia Sibilla. A tal proposito, nella Pasqua del 1180, Raimondo III di Tripoli e Boemondo III di Antiochia marciarono armati su Gerusalemme pretendendo che la giovane vedova sposasse Baldovino di Ibelin; ma Baldovino ripiegò su Guido di Lusignano: il legame avrebbe assicurato alla Corona gerosolimitana rinforzi militari inglesi, anche in vista del progettato pellegrinaggio col quale Enrico II intendeva affrancarsi dalla colpa dell’assassinio di Thomas Beckett.
Nel 1182, ormai cieco e debilitato, il Sovrano nominò Reggente il cognato che, incapace ed inetto, consentì a Rinaldo di Châtillon di esercitare inaudite violenze contro i Musulmani aprendo una grave crisi diplomatica nella quale Saladino minacciò l’invasione del Regno. Ma, proprio mentre Isabella sposava Humphrey IV di Toron, l’incarico di Guido fu revocato e si negoziò col Sultano la rinuncia all’assedio della fortezza di Kérak di cui era Signore il turbolento Rinaldo. Ancorché cinquantene, nel 1190, ad una manciata di anni dalla morte del figlio, la sempre più potente Agnese si spense: il marito si risposò con Helvis, primogenita di Maria Comnena e Baliano d’Ibelin.
La via della successione era stata spianata per Baldovino V, a sua volta, mancato ad Acri nell’ estate del 1186.
Con un colpo di mano, Sibilla e Guido occuparono il trono.
A monte di tale evento, Baldovino IV aveva stipulato una tregua con Saladino contro il quale, assieme a Reginaldo di Châtillon, l’ambizioso Guido volgeva sistematiche provocazioni. La reazione non s’era fatta attendere e, in occasione dell’assedio di Kérak, il Sovrano gli aveva revocato l’incarico; aveva avviato le procedure perché il vincolo coniugale con sua sorella fosse sciolto ed aveva modificato la linea successoria ponendo il nipotino Baldovino V avanti a Sibilla, cui riconobbe comunque il titolo ereditario già conferito alla sorellastra Isabella: aveva, in definitiva, deciso di porre Guido di Lusignano ai margini della famiglia e della politica. La morte, tuttavia, l’aveva stroncato assieme all’erede designato e, contro ogni tenace resistenza di Raimondo di Tripoli, il Patriarca Eraclio incoronò Sibilla e l’ingombrante marito, con la complicità di Reginaldo di Châtillon. Era restato un solo nodo da sciogliere: prima della investitura, per appianare le ostilità della Corte la Regina aveva accettato di annullare le nozze purché le si consentisse di scegliere liberamente un nuovo coniuge. Una volta eletta, però, in forza del suo diritto, aveva risposato Guido, permettendogli di cingere la corona!
Le proteste della sorellastra Isabella, candidata della fazione degli Ibelin e di Raimondo di Tripoli furono liquidate per la disociazione effettuata dal marito Umfredo IV di Toron. Tuttavia, una grève nube s’addensava all’orizzonte del Regno: l’avanzata di Saladino.
In quell’aggrovigliato panorama politico, le scorrerie di Reginaldo di Châtillon irritarono il Sultano: la pace fu garantita da Raimondo III di Tripoli e mantenuta fino al 1186, anno in cui a sorpresa fu attaccata una carovana della quale era ospite la sorella di Saladino la cui collera degenerò in una inumana rappresaglia. La tregua fu infranta: il Regno di Gerusalemme fu invaso; i Cristiani furono assacrati ad Hattin; Rinaldo e Guido furono presi prigionieri, l’uno subendo la decapitazione, l’altro ricevendo la grazia della vita ma deportato a Damasco.
Sibilla tentò la vana difesa di Gerusalemme che il 2 ottobre del 1187 crollò. Chiese, allora, ottenendolo nel 1188, il rilascio del coniuge ed insieme ripararono nella cristiana Tiro tenacemente protetta da Corrado del Monferrato.
Costui, tuttavia, cognato della Sovrana deposta, negò l’ospitalità ai due che per mesi restarono accampati fuori le mura finché Guido cinse d’assedio san Giovanni d’Acri anticipando i contingenti della Terza Crociata. Sibilla lo seguì, ma morì con le figlie per un’epidemia dell’ estate del 1190. I membri superstiti dell’Alta Corte defraudarono allora Guido dell’autorità di Re consorte ed assegnarono la corona a Isabella. La famiglia Ibelin le impose un rapido divorzio da Umfredo e la destinò a Corrado che rivendicò a sé la dignità regia.
Nel 1191 Guido di Lusignano lasciò San Giovanni d’Acri dirigendosi nella cipriota Limassol ove chiese l’appoggio di Riccardo d’Inghilterra, di cui era stato vassallo in Poitou: giurata fedeltà, partecipò alle sue nozze con Berengaria di Navarra e partecipò alla spedizione contro Isacco Comneno. In cambio, Riccardo sostenne Guido contro Corrado, a sua volta appoggiato da Filippo II di Francia e Leopoldo V d’Austria.
Il conflitto proseguì con un nuovo assedio di san Giovanni d’Acri, ma l’evento non impedì a Guido di salvare la vita a Corrado minacciato dagli Arabi: si convenne, così, un accordo temporaneo in base al quale a Guido veniva mantenuta la dignità regia per tutta la vita ma la successione sarebbe stata comunque riconosciuta a Corrado, a Isabella ed ai loro eredi.
Nell’aprile del 1192 Riccardo decise di intervenire nella questione ponendola al voto dei Baroni del Regno: a Guido fu concessa la Signorìa di Cipro e Corrado fu eletto Re all’unanimità. Tuttavia, qualche giorno più tardi fu assassinato e Isabella sposò Enrico II di Champagne alla cui morte, nel 1197, passò a quarte nozze con il cognato Amalrico riportando sul trono i Lusignano.
Guido si spense nel 1194 privo di discendenza diretta e fu sepolto nella chiesa templare di Nicosia
Raimondo III di Tripoli
Aveva solo dodici anni quando, nel 1152, assunse il governo della Contea a seguito della morte del padre, ucciso dalla setta degli Assassini. Sua madre, Hodierna di Tripoli, figlia del Re di Gerusalemme Baldovino II, gli fu Reggente fino al compimento del quindicesimo anno. Nel 1164, stava per imparentarsi con la Corona bizantina: Manuele Comneno aveva deciso di sposare sua sorella Melisenda di Tripoli, quando la calunniosa voce che ella e Raimondo medesimo non fossero legittimi figli di Raimondo II, dissuase l’Imperatore orientandolo verso la scelta di Maria, figlia di Costanza d’Antiochia. Offeso nell’onore, il giovane Conte maturò un atteggiamento ostile verso Cipro che assediò e saccheggiò nello stesso anno, mentre la germana prendeva i voti. Ancora nel 1164, assieme all’alleato Boemondo III d’Antiochia, infranse l’assedio di Harim e contrastò il Reggente di Siria Nur ad-Din; tuttavia, nello scontro campale del 12 agosto, soverchiato dagli Arabi, fu catturato; deportato ad Aleppo e rilasciato solo nel 1173, previo riscatto di ottantamila pezzi d’oro pagati dai Cavalieri di Gerusalemme. Una volta libero, sposò Eschiva di Bures, vedova di Walter di Saint-Omer di Tiberiade, assumendo il controllo della Galilea.
Nel 1174 Re Amalrico morì e gli succedette il figlio Baldovino IV il lebbroso. Costretto a condividere la reggenza col Siniscalco di Gerusalemme Milo di Plancy e restato unico tutore quando costui fu assassinato ad Acri, quale Balivo del Regno Riccardo conferì il Cancellierato a Guglielmo di Tiro; nel 1175, lo elevò al ruolo di Arcivescovo ed nel 1176 organizzò il matrimonio di Sibilla di Gerusalemme con Guglielmo del Monferrato detto Lungaspada. Amalrico I aveva contratto due matrimoni; uno con Agnese di Courtenay, ora sposa di Reginaldo di Sidone; l’altro con Maria Comnena che, una volta vedova, nel 1177 aveva preso in seconde nozze Baliano d’Ibelin. La figlia di primo letto, Sibilla, era in posizione favorevole per succedere a Baldovino IV quale madre di Baldovino V; la successione della sorellastra Isabella, invece, era sostenuta dalla potente dinastia degli Ibelin. Nel contrasto fra fazioni, Raimondo III vantò le proprie prerogative ma, mancando di prole maschia, incontrò molte resistenze. Nel 1179 avviò trattative perché Sibilla sposasse Ugo III di Borgogna ma, nella primavera del 1180, le sue manovre fallirono e, con Boemondo III d’Antiochia, marciò su Gerusalemme per indurre Baldovino IV ad imporre alla sorella l’unione con Baldovino d’Ibelin. Ancorché debilitato, il Sovrano anticipò le sue mosse organizzando per la Pasqua del 1180 il matrimonio di Sibilla con Guido di Lusignano, già Connestabile del Regno: la scelta fu dettata non solo dalla volontà di affrancarsi dalle pressioni di Raimondo, ma anche dalla convinzione di trovare il sostegno di Filippo di Francia del quale Guido era vassallo.
Raimondo recedette dai suoi bellicosi propositi; tuttavia, nel 1182, gravemente compromesso nella salute, Baldovino assegnò al cognato l’incarico di Balivo che per inettitudine gli revocò conferendolo, assieme ai possedimenti di Beirut, al pugnace Conte, e designando alla successione il nipote Baldovino V. Il giovane fu incoronato nel 1183 e Raimondo accettò che, ove fosse morto nella minorità, la reggenza gerosolimitana sarebbe stata amministrata dai suoi più legittimi eredi finché i Re di Francia e Inghilterra e il Papa non avessero dipanato il conflitto fra Sibilla e Isabella.
Baldovino IV morì nella primavera del 1185; secondo gli accordi, gli successe Baldovino V sotto tutela di Raimondo e di Joscelin III di Edessa. Ma nell’estate del 1186, il giovane morì ad Acri e, in assenza di Raimondo, Joscelin nominò Sibilla legittima erede. Costei, indossata la tiara, risposò il coniuge e lo incoronò, mentre Raimondo si recava a Nablus ad invocare l’aiuto di tutti i partigiani di Isabella. In mancanza di concreti risultati alla fine, onde evitare la guerra civile, accettò la situazione di fatto e si ritirò a Tripoli ove siglò un accordo di pace con Saladino, contro il comune nemico.
Nell’inverno dello stesso 1186, col consenso di Raimondo, accampate le truppe nel feudo di Tiberiade, il Sultano minacciò l’invasione del Regno di Gerusalemme per rappresaglia agli attacchi di Rinaldo di Châtillon alle carovane arabe. Per scongiurare il pericolo, Guido inviò Baliano di Ibelin a sollecitare l’autorevole intervento di Raimondo, ma intercettate dalla cavalleria araba, le truppe furono battute nella battaglia di Cresson del maggio del 1187. Il massacro impose al pur riluttante Conte di Tripoli di riconciliarsi con Guido: irritato, Saladino attaccò Tiberiade, mentre i due antagonisti già frantumavano la loro precaria intesa per l’intenzione del primo a non accettare lo scontro in campo aperto a Tiberiade, malgrado i pericoli corsi dalla moglie, e per la decisione del secondo a marciare sulla città.
Dopo l’eccidio di Hattin, ritiratosi a Tiro, Raimondo III vi morì nell’agosto successivo dopo aver nominato erede Raimondo, figlio minore di Boemondo d’Antiochia che, in disprezzo di quella designazione, investì della Contea tripolitana Boemondo IV.
Amalrico I
Nato nel 1136 e morto l’11 luglio del 1174, Amalrico fu Sovrano gerosolimitano fra il 1162 e il 1174. Alto, gradevole, con grandi occhi mobili, naso aquilino, capelli biondi e barba foltissima, al pari del fratello Baldovino III più intellettuale che combattente, fu molto devoto, pur non rinunciando ai piaceri della carne e vessando di tasse il Clero.
Figlio secondogenito di Melisenda e Folco di Gerusalemme e nipote di Baldovino II, morto il padre e dopo il governo congiunto della madre e del germano maggiore Baldovino III, col quale entrò in conflitto per l’essersi fatto incoronare unico Re nel 1152, Amalrico fomentò la guerra civile ottenendo la Contea di Jaffa ed Ascalona, dopo aver subìto l’assedio nella Torre di David. Nel 1157 sposò Agnese di Courtenay, figlia di Joscelin II di Edessa contro l’opposizione del Patriarca Folco di Gerusalemme che sollevò la consanguineità fra i coniugi.
Deceduto Baldovino III nel 1162, Amalrico ereditò la corona malgrado la manifesta ostilità dei Nobili ad Agnese la cui discussa moralità impose all’Alta Corte il rifiuto della ratifica dell’ insediamento, se non previo annullamento delle nozze car telle n’est que roine doie iestre di si haute cite comme de Jherusalem (non ci dovrebbe essere una tale regina per una città così santa come Gerusalemme), stando alle note del cronista Ernoul.
Amalrico accettò l’imposizione: le lasciò il solo titolo di Contessa di Jaffa e Ascalona e mantenne la legittimità dei figli Sibilla e Baldovino IV, mentre ella sposava Ugo d’Ibelin.
In quel periodo, Gerusalemme e gli altri Stati Crociati erano in costante emergenza bellica: fin dal disastro conseguente all’attacco di Baldovino III a Damasco, nella II Crociata del 1147, i confini settentrionali del Regno erano esposti alle scorrerie di Nu¯r al-Di¯n, la cui montante potenza fondava sul possesso di Mossul ed Aleppo e sulla perdita dell’influenza gerosolimitana sul Nord siriano ove i Bizantini, contro i Normanni di Sicilia, avevano imposto la propria protezione al Principato antiocheno.
Il più cruciale teatro di guerra del governo di Amalrico fu tuttavia l’Egitto sul quale regnava la dinastia fatimide, indebolita da Califfi giovani, ambiziosi ed in conflitto per l’egemonia. A quella regione, i Crociati avevano mirato già al tempo di Baldovino I ed anche Goffredo di Buglione aveva promesso di cedere Gerusalemme al Patriarca Latino Dagoberto da Pisa, se fosse riuscito ad occupare Il Cairo: ora, l’impresa era facilitata dal controllo di Ascalona e dalla valenza militare degli Ospedalieri.
Amalrico effettuò la sua prima spedizione egiziana nel 1163, motivandola con la mancata corresponsione del tributo annuo dovuto dai Fatimidi per effetto del trattato stipulato da Baldovino III: il Vizir Dirgham guidò gli Arabi contro gli Occidentali ma, sconfitto a Pelusium, fu costretto a ritirarsi a Bilbays. Gli Egiziani, tuttavia, aprirono le dighe del Nilo ed inibirono ad Amalrico la prosecuzione della campagna inducendolo a tornare a Gerusalemme. Nel frattempo, il Vizir Shawar, rifugiato alla Corte di Nur al-Dīn liquidò Dirgham ed il SOvrano ne pofittò per intervenire contro Shirkuh, obbligandolo ad arretrare a Damasco. Tuttavia, non potendo godere dei suoi successi in Egitto a causa degli attacchi in Siria di Nur ad-Din, che aveva preso prigionieri Boemondo III d’Antiochia e Raimondo III di Tripoli nella Battaglia di Harim, Amalrico assunse la reggenza di Antiochia e Tripoli; nel 1165 riscattò Boemondo, lasciando Raimondo restava ostaggio degli Arabi fino al 1173; nel 1166 inviò Legati a Costantinopoli per contrarre un’alleanza matrimoniale ma, durante l’anno, fu a più riprese costretto a fronteggiare ulteriori incursioni di Nūr al-Dīn che occupò Baniyas e che nel 1167 inviò Shirkuh in Egitto. Inseguendolo, egli si accampò nelle vicinanze del Cairo; si accordò con Shawar e siglò un trattato con il Califfo abbaside al- Adīd ricreando, in definitiva, la situazione del 1164: Shirkuh si acquartierò sul Nilo e dopo scaramucce non decisive si spostò ad Alessandria, ove Amalrico lo raggiunse con l’alleato ponendo sotto assedio la città, capitolata dopo la resa di Shirkuh. Incassati i tributi, vittorioso tornò a Gerusalemme e nel 1167 sposò Maria Comnena, nipote di Manuele. Le trattative nuziali erano durate ben due anni, poiché egli aveva chiesto al Basileus la restituzione di Antiochia. Solo la rinuncia alla pretesa aveva reso possibile l’accordo: il rito fu officiato il 29 agosto del 1167 a Tiro. Nel frattempo, la Regina madre Teodora, vedova di Baldovino III, fuggì con il cugino Andronico a Damasco e il suo feudo di Acri fu accorporato ai territori di Gerusalemme. In quello stesso periodo, Guglielmo di Tiro fu eletto Arcidiacono della città e incaricato dalla Corona di scrivere una storia del Regno. Nel 1168, Amalrico e Manuele si allearono contro l’Egitto e Guglielmo di Tiro fu inviato Ambasciatore a Costantinopoli: ancora vincolato a Shawar, per infrangere l’intesa, il Re gerosolimitano lo accusò di aver tentato di negoziati con Nur ad-Din.
Fu guerra: la prima carica militare fu condotta dagli Ospedalieri, a fronte dell’astensione dei Templari che non condivisero l’iniziativa. In ottobre, senza attendere l’appoggio bizantino ed in sostanza prima ancora che le intese fossero definite, Amalrico invase Bilbeys; ne massacrò la popolazione e proseguì verso Il Cairo dove Shawar gli offrì un tributo di due milioni di pezzi d’oro per evitare il peggio. Ma l’arrivo di Shiekuh in Egitto obbligò il Sovrano alla ritirata.
Nel gennaio del 1169, Shirkuh fece assassinare Shawar e divenne Vizir, ma morì in marzo e gli successe il nipote Sala¯h al-Di¯n, detto Saladino. Allarmato, Amalrico inviò l’Arcivescovo di Tiro Federico de la Roche a sollecitare l’aiuto delle monarchie europee. Mesi più tardi giunse solo una flotta bizantina e in ottobre fu attuato l’assedio di Damietta per terra e per mare. Quando la carestia sfinì il campo militare cristiano ed i Bizantini ed i Crociati si addossarono a vicenda le responsabilità del fallimento dell’impresa, si concluse la tregua col Sultano ed Amalrico rientrò a Gerusalemme.
Nel 1170, Saladino invase il Regno gerosolimitano occupando Eilat e bloccando le vie di comunicazione col mar Rosso: nel 1171, il territorio non era solo minacciato dal combattivo Sultano e da Nur ad-Din, ma anche dalla Setta degli Hashshashin l’uccisione di un cui membro da parte templare aveva inasprito le tensioni.
Nel 1174 Nur ad-Din si spense: Amalrico colse l’occasione assediare Baniyas, ma si ammalò: sul letto di morte lasciò alla moglie Maria Comnena l’eredità di Nablus e designò al trono il lebbroso Baldovino IV, figlio delle prime nozze contratte con Agnese di Courtenay.
Guglielmo di Tiro racconta che … dopo aver sofferto in maniera intollerabile per la febbre per alcuni giorni, ordinò che venissero chiamati i migliori medici dalla Grecia, dalla Siria, e da altre nazioni, insistendo che essi gli dessero qualche purga o rimedio… ma costoro non allontanarono la morte, sopravvenuta l’11 luglio del 1174. … fu un uomo di saggezza e discrezione, del tutto capace di tenere le redini del governo nel Regno…
Da quel momento e dal decesso anche dell’Imperatore Manuele, leader incontrastato della scena politica restò Saladino.
Reginaldo di Châtillon
L’avventuriero Reginaldo, o Reynald di Châtillon, nato verso il 1125 e morto il 4 luglio del 1187, aveva partecipato alla seconda Crociata al seguito di Luigi VII ed era restato in Outremer come Principe di Antiochia, dal 1153 al 1160.
Era figlio cadetto del signorotto Enrico di Champagne, la cui famiglia era imparentata con Urbano II. Nel 1153, a margine della sacra spedizione, entrato al servizio di Costanza d’Antiochia il cui primo marito era morto nel 1149, la sposò segretamente senza il previo consenso del feudatario Baldovino III di Gerusalemme e del Patriarca latino di Antiochia Aimery di Limoges che gli rinfacciò la modestia delle origini.
Non a caso, egli arrestò il Primate che, umiliato, denudato, coperto di miele ed esposto allo strazio del sole nel deserto, fu sfinito fino ad accettare di finanziare una velleitaria spedizione contro Cipro, ricadente nell’orbita bizantina. Ma la provocatoria gravità del gesto, nel 1159, impose a Reginaldo di prosternarsi ai piedi di Manuele I Comneno; di accettare ad Antiochia un Patriarca Greco e, nel 1160, di subire la cattura del Governatore di Aleppo Majd al-Din per una serie di scorrerie in danno di contadini siriani ed armeni a Marash.
Tenuto prigioniero per diciassette anni e riscattato per l’enorme somma di centoventimila denari d’oro, fu rimesso in libertà dal Vizir Gusmushtekin, nemico di Saladino e, morta la moglie Costanza, sposò un’altra ereditiera: Stefania, vedova prima di Humphrey III di Toron e poi di Miles di Plancy ed erede della Signoria d’oltreGiordania e dei castelli di Kerak e Montreal, a Sud/Est del mar Morto.
Tali fortezze, dislocate lungo le rotte commerciali tra Egitto e Siria, gli aprirono le vie alle regioni del mar Rosso, nella quale divenne celebre per la sua crudele e sanguinaria abiezione: nel novembre del 1177 battè i Musulmani nella Battaglia di Montgisard e nel 1181, in sprezzo della tregua fra Baldovino IV ed il Sultano, esaltato dal precedente successo aggredì una carovana di passaggio a Kérak scatenando una nuova azione di guerra: durante le ostilità, mandò navi nel Mar Rosso per minacciare la Mecca e Medina e per sfidare l’Islam nei suoi luoghi più sacri.
Saladino protestò col Sovrano, incapace di contenere la turbolenza del vassallo che causò una drammatica azione di guerra nel 1182. Devastazioni e lutti precederono il nuovo arresto disposto da Al-Adil I: i suoi sgherri furono portati al Cairo e decapitati ed egli fuggì nel Moab. Ma il Sultano giurò che lo avrebbe personalmente ucciso e, alla fine dell’anno, attaccò Kérak durante il matrimonio del figliastro Humphrey IV di Toron con Isabella di Gerusalemme.
L’assedio fu spezzato dal Conte Raimondo III che indusse alla pace, durata fino al 1186: in quell’anno Reginaldo si alleò con Sibilla e Guido di Lusignano di cui sostenne l’ascesa al trono e, ancora violando la tregua, attaccò proditoriamente un convoglio in cui viaggiava la sorella di Saladino: nel 1187, a margine della drammatica Battaglia di Hattin, fu preso prigioniero con Guido di Lusignano. Al-Safadi in al-Wafi bi’l-wafayat raccontò che, libero dai vincoli dell’ospitalità, il Sultano decapitò Rinaldo, impropriamente considerato da molti Crociati un martire ma di fatto un irresponsabile e spietato avventuriero. Gli sopravvissero le figlie Agnese ed Alice rispettivamente coniugate a Bela III d’Ungheria e ad Azzo V d’Este.
Eraclio d’Alvernia
Giunto verso il 1128 in Terrasanta e divenuto nel 1175 Primate di Cesarea, nel 1180 conseguì con l’appoggio di Agnese di Courtenay il titolo di Patriarca di Gerusalemme.
Gérard de Ridefort
Originario delle Fiandre, era venuto in Oriente nella II crociata e nel 1173 aveva servito Raimondo di Tripoli che gli aveva promessa sposa la ricca ereditiera Cecilia. Quando, però, la giovane fu invece ceduta al ricco mercante pisano Plevano, in cambio di diecimila bisanti d’oro, Gérard voltò le spalle al suo Signore schierandosi con Agnese di Courtenay e poi entrando nell’Ordine Templare di cui divenne Gran Maestro nel 1185.
Preso prigioniero a conclusione della Battaglia di Hattin, fu personalmente ucciso da Saladino che gli staccò la testa dal busto con un colpo secco di scimitarra.
Salah al-Din Yusuf ibn Ayyub detto Saladino
Nato verso il 1138 nella siriana Baalbek, ad otto anni aveva seguito il padre Ayyub alla Corte di Nur al-Din a Damasco. Tra il 1164 e il 1168 aveva accompagnato lo zio Shirkuh nelle spedizioni contro i Fatimidi dell’Egitto e, quando costui, Vizir del Califfo dell’Egitto al-Adid e capo dell’esercito siriano di occupazione, nel 1169 si spense, gli successe nella carica. Nel 1171, morto il Califfo: Salah si proclamò Sultano egiziano; dette inizio alla dinastia ayyubide e, nell’ottobre del 1174, a fronte della morte anche di Nur al-Din, avviò la sistematica invasione della Siria prendendo Aleppo nel 1183 e Mosul nel 1185. Il 13 marzo del 1187 si accampò a Ra’s al-Ma’, centro di raccolta delle sue truppe composte da Arabi, Curdi, Turchi, Siriani, Turcomanni, Beduini, Egiziani, per un totale di oltre cinquantamila agguerrite unità cui si aggiunsero gruppi irregolari di volontari ostili ai Cristiani e dette battaglia agli Occidentali.
I prodromi della battaglia
Da tempo si era esaurita la spinta propulsiva della Prima Crociata: un esercito di alcune migliaia di uomini, composto in buona parte di feudatari, valvassori e cavalieri, tra cui Goffredo di Buglione, il fratello Baldovino, Raimondo di Saint Gilles, i Normanni di Boemondo di Taranto e Tancredi d’Altavilla aveva dato vita, dopo il 1099, a fragili Stati cristiani dai vaghi confini, difesi dagli Ordini religiosi cavallereschi dei Templari e degli Ospedalieri.
I precari equilibri si infransero per i contrasti dei Latini che presto presero a guerreggiare tra loro per contendersi i territori bizantini, mentre in Europa si inaspriva la conflittualità fra Chiesa ed Impero; fra Stati e Stati; fra Normanni, Papato e Monarchia bizantina.
Di tali e tanti elementi di disordine e debolezza approfittò Saladino quando, nella inarrestabile avanzata che lo vide traversare il Giordano il 30 giugno del 1187, inviò parte dell’esercito a Tiberiade per stanare dall’accampamento di Sephorie i meno di ventimila cristiani di stanza.
Le scaramucce della battaglia che decise le sorti del Regno gerosolimitano incominciarono il 30 giugno 1187 alle porte di Tiberiade ma lo scontro si consumò in un’area vicina a due colline dette Corni di Hattin, sulla via romana fra la Giordania e la costa mediterranea, il 5 luglio del 1187, ed ebbe come protagonisti i Musulmani del Sultano ayubbide Sala¯h al- Di˘n ibn Ayyu¯b ed i Cristiani guidati dal Re di Gerusalemme Guido di Lusignano, succeduto al lebbroso Baldovino IV la cui politica, orientata al rispetto degli accordi di tregua con i potentati islamici disposti ad accettare la presenza degli Occidentali in Palestina, fu vanificata dalla fazione crociata più incline allo scontro armato.
Il casus belli era stato provocato da Rinaldo di Châtillon che aveva infranto l’armistizio della durata di due anni, proditoriamente attaccando, nell’estate del 1181, una carovana musulmana in transito da Damasco alla Mecca ed osando prendere prigioniera la sorella di Saladino: un affronto intollerabile!
Alla richiesta di ammenda prudentemente accolta da Baldovino, Rinaldo aveva opposto un secco rifiuto cui, per reazione, fu opposta l’aggressione ad un convoglio cristiano: mille e cinquecento pellegrini, costretti a sbarcare a Damietta, furono tratti in ostaggio: sarebbero stati rilasciati solo quando e se l’aggressione precedentemente subìta fosse stata punita.
Il primo scontro fra gli Ayyubidi e i Cristiani s’era combattuto sotto il castello degli Ospedalieri, nel 1181, e s’era concluso con un nulla di fatto. Le ostilità erano state riaperte l’anno successivo, con mischie bilaterali. Proprio in quella fase, le peggiorate condizioni di salute avevano indotto Baldovino IV ad affidare la reggenza del Regno al cognato che, a fronte del nemico, il 1° dicembre del 1182, era arretrato nella zona delle Sorgenti di Golia, dando prova di inaudita viltà. Quella condotta indusse alla revoca dell’incarico ed alla designazione del giovane Baldovino V, il 23 marzo del 1183. A margine della decisione, Baldovino IV riprese Giaffa ma non poté evitare che Guido, barricato in Ascalona, sfidasse la Corona.
Il suo ultimo intervento armato, diretto in soccorso di Rinaldo di Châtillon posto sotto assedio, sbalordì la platea politica internazionale: gravemente ammalato, il coraggioso Baldovino guidò l’esercito stando in lettiga e suscitando tale ammirazione nel Sultano da indurlo al rientro a Damasco.
Nel marzo del 1185, in punto di morte, negata ancora la reggenza a Guido, il Sovrano designò Raimondo III di Tripoli tutore del nipote minorenne. La scelta fu aspramente avversata dal Patriarca Eraclio, dal Gran Maestro Ospedaliero Ruggero di Les Moulins e dal Gran Maestro Templare Gérard de Rideford. Ma nel 1186, la morte del giovane erede rilanciò le aspirazioni di Guido di Lusignano insediatosi mentre il Reggente rientrava a Tripoli.
L’imminenza della guerra fu sventata dalla mediazione di Baliano d’Ibelin. Nel frattempo, gli Stati Musulmani che circondavano gli Stati Crociati di Palestina, s’erano unificati sotto Saladino, nominato Vizir dell’Egitto da Norandino: assunto anche il controllo di Damasco, Aleppo e Mossul, egli era diventato Signore assoluto dell’area.
Quando Guido divenne Re, prudentemente Raimondo trattò la tregua consentendo al Sultano, nella primavera del 1187, di inviare un esercito nella parte settentrionale del Regno. Parallelamente, l’ambasceria in marcia da Gerusalemme a Tripoli per negoziare la pace col Sovrano gerosolimitano fu annientata nella battaglia di Cresson del 1° maggio.
L’evento compattò il fronte cristiano: Raimondo e Guido si posero in marcia verso Nord, mentre la fortezza di Tiberiade veniva strenuamente difesa dalla Principessa Eschiva di Galilea dagli affondi delle Fiaccole islamiche di Taqui al- Din.
La città sarebbe caduta il 2 luglio.
Disposto a rinunciare a Tiberiade in nome della sicurezza del Regno e persuaso che Saffuriya fosse per i Crociati una buona posizione, Raimondo ritenne che un’avanzata da Acri avrebbe avvantaggiato il nemico: Saladino aveva teso la trappola dell’assedio per portare allo scoperto gli Occidentali. Ma nel corso della notte, Gérard de Ridefort convinse Guido di Lusignano a liberare la città ed esercitò pressioni perché Raimondo, accusato di viltà, attaccasse subito malgrado i Musulmani attuassero già manovre di disturbo e condizionassero i movimenti della retroguardia cristiana riunita Cafarsett.
Cento Cavalieri giunti da Jaffa ed Ascalona; una quarantina da Ramla e Mirabel; dieci da Ibelin; cento dal Principato di Galilea; cento da Rinaldo di Sidone; sessanta da Rinaldo di Châtillon; ventiquattro dal Siniscalco Joscelyn di Courteney; dieci dal Vescovo di Lidda; sei dal Primate di Nazareth; quarantuno da Gerusalemme; ottantacinque da Nablus; ottanta da Acri e ventotto da Tiro, oltre i membri dei vari Ordini religiosi, per un totale di mille e duecento, si affiancarono a quattromila Turcopoli, a supporto della Cavalleria; ad un imprecisato numero di mercenari; ad un gruppo di balestrieri pagati da Enrico II d’Inghilterra ad espiazione dell’ assassinio di Thomas Becket e a marinai italiani provenienti da Tiro, Sidone, Acri e Beirut.
La modesta armata di Guido di Lusignano fu infoltita da pellegrini disarmati e provenienti da tutta Europa per un numero complessivo di sedicimila uomini.
Per eludere lo scontro frontale ed immediato, seguirono la via scartata da Raimondo, da Saffuriya al villaggio di Mash-had, prevedendo di coprire il percorso in un giorno e così non appesantendosi delle cisterne d’acqua.
Saladino radunò, invece, il più grande esercito che si fosse mai visto: oltre trecentomila uomini fra Cavalieri, arcieri e fanti. Alla notizia che i Cristiani erano in movimento, impegnò truppe per disturbarne la marcia, uccidendogli i cavalli senza accettare lo scontro.
Fra una mischia e l’altra, in sei ore di cammino gli Occidentali raggiunsero Monte Turan dove v’era una ricca sorgente, ma Guido rifiutò di fermarsi: a mezzogiorno, i contingenti erano al centro di un’area desertica; provati dal caldo e dalla sete; sfiniti dalle corazze arroventate dal sole.
Il 25 giugno, i Musulmani si posero in marcia verso Khisfin, sulle colline del Golan, guadando il Giordano; acquartierandosi a Kafr Sabt, a metà del percorso tra Saffuriya e Tiberiade e molestando la retroguardia nemica obbligata alla sosta.
Accampati nel mezzo della pianura, i Cristiani furono sommersi da una pioggia di frecce.
Ben consapevole del disastro conseguente ad uno scontro combattuto in quelle condizioni, Raimondo ordinò una deviazione verso Nord per raggiungere le sorgenti di Kafr Hattin, a quattro ore di ulteriore cammino: dissetarsi e riposare erano le sole condizioni in grado di garantire lo scontro del giorno seguente.
Ma quella disperata ricerca d’acqua era stata prevista da Saladino che ordinò a Taqi al-Din e a Keukburi l’imboscata all’armata occidentale sotto Hattin.
L’ulteriore atto del dramma fu scritto da Guido di Lusignan che ordinò la sosta, contro le vane proteste di Raimondo, pronto ad attaccare l’ala destra musulmana per aprirsi un varco: le retrovie templari e Ospitaliere, impossibilitate a contrattaccare efficacemente, esigevano di acquartierarsi per riorganizzarsi.
La notte fu straziata dalla sete, mentre le truppe di Saladino ostentatamente gettavano la loro acqua nella sabbia e si esibivano in un intollerabile chiasso mirato a turbare il riposo del nemico.
All’alba del 4 luglio, la marcia fu ripresa: il Sultano attese che il sole facesse la sua parte.
Scrisse Abu Shama che …Sirio gettava i suoi raggi su quegli uomini vestiti di ferro e la rabbia non abbandonava i loro cuori. Il cielo ardente accresceva la loro furia; i cavalieri caricavano, ad ondate successive nel tremolio dei miraggi, fra i tormenti della sete, in quel vento infuocato… Quei cani gemevano sotto i colpi, con la lingua penzoloni dall’arsura. Speravano di raggiungere l’acqua, ma avevano di fronte le fiamme dell’inferno e furono sopraffatti dall’intollerabile calura…
La retroguardia fu pesantemente attaccata: la fanteria, allo stremo, si sparpagliò sulla collina e Guido piantò la sua tenda rossa come punto di riferimento contro le ondate di fumo sollevate dalle sterpaglie accese dai Musulmani per confondere il nemico.
Privo di alternative e soverchiato dalle decisioni dello Stato Maggiore crociato, l’irriducibile Raimondo avocò il comando delle truppe, in virtù della norma feudale che riconosceva al Feudatario l’onore di capeggiare l’avanguardia ed ordinò la carica mentre Guido si posizionava al centro della formazione, con i Vescovi di Lidda e Acri, muniti della santa reliquia della Croce e nelle retrovie si compattavano Baliano di Ibelin, i Templari e gli Ospitalieri con i rispettivi Gran Maestri: Gérard de Ridefort e Ruggero di Les Moulins.
Taqi al-Din aprì le fila e lasciò entrare la scomposta valanga occidentale per poi richiudere i varchi ed isolarla dal Comandante. La mischia si fece furiosa: il Primate di Acri cadde mentre gli Arabi passavano ad affondi di daghe e lance ed invano il Vescovo di Lidda con una manciata di sopravvissuti difese il sacro frammento: Saladino accerchiò i Cristiani ordinando agli arcieri a cavallo di contrastare la fanteria nemica mentre egli stesso fronteggiava la cavalleria pesante europea.
L’obiettivo di Saladino era la tenda rossa di Guido, come testimoniò il figlio diciassettenne al-Malik al-Afdal: …Quando il re dei Franchi si ridusse sul colle, con quella schiera fecero una carica tremenda sui musulmani che avevano di fronte, ributtandoli addosso a mio padre. Io lo vidi costernato e stravolto, afferrandosi alla barba, avanzare gridando ‘Via la menzogna del demonio!’, e i musulmani tornare al contrattacco ricacciando i Franchi sul colle. Al vedere indietreggiare i Franchi, e i musulmani incalzarli, io gridai dalla gioia: ‘Li abbiamo vinti!’; ma quelli tornarono con una seconda carica pari alla prima, che ricacciò ancora i nostri fino a mio padre. Egli ripeté il suo atto di prima, e i musulmani, contrattaccatili, li riaddossarono alla collina. Tornai ancora a gridare ‘Li abbiamo vinti!’, ma mio padre si volse a me e disse:’Taci non li avremo vinti finché non cadrà quella tenda!’, e mentre egli così parlava la tenda cadde, e il sultano smontò da cavallo e si prosternò in ringraziamento a Dio, piangendo di gioia….
Amalrico guidò un duro affondo, mentre Raimondo guidava la prima divisione con Boemondo d’Antiochia e Baliano e Joscelin III di Edessa schieravano il resto dell’esercito.
Assetati e sfiniti, i Crociati furono bloccati alle spalle ed impediti da ogni possibile ritirata e, per quanto il Conte di Tripoli caricasse due volte per sfondare le linee nemiche e raggiungere le scorte d’acqua, restò isolato dal resto dell’esercito e fu obbligato alla ritirata.
Gran parte della fanteria crociata aveva già disertato.
Guido tentò di arginare i residui urti ma i suoi cavalieri furono circondati ed abbattuti: in migliaia furono catturati ed immessi sul mercato degli schiavi.
Lo storico arabo Imad al-Din racconta: …Saladino promise cinquanta denari a chiunque portasse un templare o un ospitaliero… Subito i soldati ne portarono centinaia, ed egli li fece decapitare perché preferì ucciderli piuttosto che ridurli in schiavitù. Era circondato da un gruppo di dottori della legge e di mistici, e da un certo numero di persone consacrate alla castità e all’ascetismo. Ognuno di essi chiese il favore di uccidere un prigioniero, sguainò la spada e scoprì l’avambraccio. Il sultano stava seduto con la faccia sorridente, mentre quelle dei miscredenti erano accigliate. Le truppe erano schierate, con gli emiri su due file… Io ero presente e osservavo il sultano che sorrideva al massacro… Saladino pronunciò solennemente il suo intento di …purificare la terra da questi due ordini mostruosi, dediti a pratiche insensate, i quali non rinunzieranno mai all’ostilità, non hanno alcun valore come schiavi e rappresentano quanto di peggio vi sia nella razza degli infedeli….
I Musulmani sottrassero al cadavere del Vescovo di Acri la reliquia della Vera Croce; invasero il padiglione occidentale e presero prigioniero Guido, il fratello Amalrico, Reginaldo, Guglielmo V del Monferrato, Honfroy de Toron e molti altri. Li condussero nella tenda del Sultano che offrì al Re un generoso calice d’acqua ma, quando costui lo passò a Reginaldo, egli precisò di non essere vincolato dal codice di ospitalità nei confronti di aggressore: lo decapitò personalmente e sprezzantemente rivolgendosi a Guido, inginocchiatosi convinto di dover subire la stessa sorte, disse I veri Re non si uccidono a vicenda:.
In cambio della libertà, il Sovrano gerosolimitano accettò di cedere Ascalona, ai cui residenti fu consentito di rientrare in Europa.
Gérard de Ridefort fu liberato previa consegna di Gaza.
Baliano di Ibelin, sfuggito alla cattura, organizzò la difesa di Gerusalemme e ne trattò la resa.
I Cavalieri degli Ordini religiosi furono condannati a morte e consegnati per l’esecuzione a fanatici irregolari al seguito del Sultano, al cui cospetto fu consumato un orrendo bagno di sangue.
Raimondo di Tripoli, sopravvissuto alla battaglia, morì pochi mesi più tardi.
Entro la metà di settembre, Saladino aveva conquistato san Giovanni d’Acri, Nablus, Jaffa, Sidone, Toròn, Birut e Ascalona.
Tiro fu salvata da Corrado del Monferrato mentre la Città Santa veniva difesa dalla Regina Sibilla, dal Patriarca Eraclio e da Baliano che ne negoziò la resa il 2 ottobre.
La notizia del massacro di Ḥaṭṭīn sconvolse l’Europa il cui fremito d’indignazione si risolse nel bando di un’altra crociata, enfatizzata dalla Bolla Audita Tremendi di Gregorio VIII e finanziata in Francia ed Inghilterra con la Decima del Saladino.
La campagna, tuttavia, iniziò solo nel 1189 e fu guidata da Federico I di Hohenstaufen, Riccardo cuor di Leone e Filippo Augusto.
L’esito della Battaglia dei Corni di Hattin fu causa del crollo del Regno latino d’Outremèr ovvero dei Regni di Antiochia, Edessa, Tripoli e Gerusalemme, durati meno di novant’anni.
Bibliografia:
S. Runciman: Storia delle crociate
J. Richard: La grande storia delle crociate
J. Riley- Smith: Breve storia delle crociate
J. Flori: Le crociate
Ornella Mariani, sannita. Negli anni scorsi: Opinionista e controfondista di prima pagina e curatore di Terza Pagina per testate nazionali; autore di saggi, studi e ricerche sulla Questione Meridionale. Ha pubblicato saggi economici vari e:
Pironti, Per rabbia e per amore
Pironti, E così sia
Bastogi, Viaggio nell’ entroterra della disperazione
Controcorrente Editore, Federico II di Hohenstaufen
Adda Editore, Morte di un eretico (dramma in due atti)
Siciliano Editore, La storia negata
Mefite Editore, Matilde (dramma in due atti)
Mefite Editore, Donne nella storia
Collaborazione a siti vari di storia medievale. Ha in corso l’incarico di coordinatore per una Storia di Benevento in due volumi, (720 pagine) commissionata dall’Ente Comune di Benevento e diretta dal Prof. Enrico Cuozzo.