di Fulvia Serpico
Già prima che San Francesco, allora Frate Francesco, morisse la notte tra il 3 e il 4 ottobre 1226, i suoi seguaci, compagni di avventura, si erano spinti molto lontano dalla Porziuncola. A coppie di due partivano seguendo l’esempio del Serafico Padre per esportare la parola di Dio, per portare letizia e l’insegnamento del Vangelo. Fondatore involontario di un Ordine che presto sarebbe diventato (insieme ai domenicani) un fenomeno religioso determinante per la storia della Cristianità e spiritualità Occidentale e non solo, Francesco si trovò presto spaesato di fronte ad una realtà che non aveva previsto e che certo non gli apparteneva. Le regole, le direttive morali e spirituali, la clericalizzazione e istituzionalizzazione dei suoi “principi”, come vestirsi, cosa mangiare.
Vorrei iniziare questa breve esposizione con le parole di Francesco, tratte dal capitolo XVI della Regola Non Bollata a seguito del la sua esperienza di viaggio in Terrasanta e la visita al Sultano Malik-al Kamil tra il giugno e l’agosto del 1219:
“Dice il Signore: ecco io vi mando come pecore in mezzo ai lupi: siate dunque prudenti come serpi e saggi come colombe. Perciò qualsiasi frate che vorrà andare tra i saraceni o altri infedeli vada, con il permesso dell suo ministro e servo…I frati poi che vanno fra gli infedeli possono comportarsi spiritualmente in mezzo a loro in due modi. Un modo è che non facciano liti e dispute, ma siano soggetti ad ogni creatura umana per amore di Dio e confessino d’essere cristiani. L’altro modo è che, quando vedranno che piace al Signore, annunzino la parola di Dio perché essi credano in Dio Onnipotente Padre, Figlio e Spirito Santo, Creatore di tutte le cose nel figlio Redentore e Salvatore e siano battezzati, e si facciano cristiani, perché chiunque non sarà rinato in acqua e Spirito Santo non potrà entrare nel regno dei Cieli”[1].
Certo le sue parole sono il frutto della sua personale esperienza ma anche delle circostanze storiche. La cristianità Occidentale era alle presa con il “recupero e la difesa” dei luoghi santi. Erano le crociate. Francesco aveva visto con i suoi occhi durante l’assedio di Damietta dell’agosto 1219 ciò che accadeva in quelle terre. Combattere, difendere, recuperare e morire nel nome del Signore. Come poteva la sua fraternitas essere d’aiuto?
Già dal 1217, anno della costituzione della provincia francescana di Terrasanta, i frati minori erano presenti in Oriente. Un’avanguardia che avrebbe inaugurato un processo insediativo e di inserimento lento e capillare, che di certo Francesco non si aspettava e non aveva previsto. Non sapeva che la sua piccola comunità (fraternitas) di compagni fedeli sarebbe diventata una religio, un ordine. Tutta la storia del fracescanesimo e dalla sua diffusione è caratterizzata da questioni storiografiche ancora aperte, soprattutto per quel che riguarda le origini di questo processo. I frati escono dalle linee tracciate del monachesimo tradizionale: nascono itineranti, viaggiatori senza meta, non obbligati alla stabilitas loci. Sono pellegrini apostolici, testimoni della fede che vivono e predicano il “vivere secondo il modello del santo vangelo”. I fratres sono ovunque, in ogni eremo, città, borgo o castello. Vanno per il mondo (euntes per mundum); non è previsto che si stanzino in un contesto; i loro primi insediamenti non sono ancora propriamente conventi ma loca, piccole dimore che si trovano ovunque nel mondo. La parola locus per il linguaggio francescano presenta una pluralità di significati perché può esprimere realtà diverse tra loro in base al contesto in cui si trovano: locus è andare tra i lebbrosi, è mendicare, predicare. Il locus è ovunque ci sia un gruppo di frati.
Convinzione di Francesco era che la fede andasse praticata pacificamente senza contesa o violenza; evangelizzare per persuasione e non arnata manu[2]. L’influenza delle crociate e degli eventi circostanti ha inciso notevolmente sulle esperienze dei frati in terra straniera; infatti pare che le missioni dei francescani dalla morte di Francesco in poi coincidessero in qualche modo con quelle dei crociati tanto da diventare complementari. Il compito principale era “portare” (predicare) la parola di Dio” in quelle terre, difenderne i principi e farla conoscere agli infedeli con lo scopo di convertirli. Un compito che con le crociate diviene “missione” e i frati il braccio del Papa e della Cristianità. Si creano dunque la basi per quel “missionarismo francescano”, baluardo della stratificazione e maturazione della presenza “fissa” in Terra d’Oriente che costituirà con il tempo quel rapporto particolare tra Ordine e Terrasanta che dura ancora oggi.
Con la caduta di Acri nel 1291, la storia della presenza francescana in Terrasanta sembra interrompersi (o quanto meno si arresta una strategia insediativa vera e propria) per riprendersi poi dal 1333, anno di fondazione del convento del Monte Sion a Gerusalemme (la cui costruzione ha dato avvio ad una tradizione francescana stabile e di conseguenza ad una diverso approccio con il contesto locale).
Insediamenti francescani nella Provincia Terrae Laboris
Sullo sfondo ho riportato una tabella illustrativa e compartativa degli insediamenti francescani tratti dalle principali fonti di riferimento, le Series Provinciarum, la statistica del 1282 (quella ufficiale perché compilata nel capitolo tenutosi lo stesso anno), il Provinciale di fra Paolino da Venenzia (1334) e Bartolomeo Pisano (1385-90)[3] (per poi approcciare un confronto con i dati relativia alle Custodie prese in esame per il Mediterraneo, cioè di Grecia e di Terrasanta).
La circoscrizione mendicante francescana (Provincia) di Terra Lavoro è autonoma insieme alle altre 4 province francescane del meridione, Pennense (Abruzzo), San Angelo (Molise e Capitanata), Apulia e Calabria e già dal 1226 appare divisa in 5 Custodie[4]. Questa Provincia superava i limiti dell’attuale regione Campania; compreva a sud est la Lucania e a nord –ovest si estendeva fino ai monti Aurunci e la Valle del Liri. Verso la metà del XIII secolo la provincia di Terrae Laboris appare ben delineata con 30 insediamenti (in base alla fonte più antica cui possiamo riferici, la serie del 1263 che però è monca per le regioni del centro- nord; Tav. 2) un’articolazione territoriale che rimarrà immutata fino a tutto il XIV secolo.
Dalle Series proposte dal Golubovich, notiamo che la Serie Hispanica (1263-1270), contenuta nel cod. Londinese 26,641, riporta per la provincia di Terrae Laboris 5 custodie e 30 loca (che è diverso da domus) ed è incompleta. Nel prospetto che propongo di seguito, ho confrontato i dati delle Series per le Province di Terrae Laboris, Tuscia, Marca Anconetana e Mediolanensis, per verificare le diverse distribuzioni quantitative e farne uno studio comparativo.
Come si vede dalle tabelle allegate (Tav 1-2), la distribuzione degli insediamenti tra le province campione (scelta in base al criterio geografico, Sud, Centro e Nord) è differenziata. La maggior densità di presenza francescana si registra nella Marca Anconetana (ho tralasciato la provincia S. Francisci che chiaramente è la più grande in termini numerici)
Seguendo la tesi del Pellegrini sulla strategia insediativa[5], bisogna a questo punto dell’indagine specificare le peculiarità delle oscillazioni e soprattutto i motivi delle differenziazioni “provinciali”.
Considerando l’arco temporale 1262 (statistica più antica) e 1334 (statistica di Paolino da Venezia, presa come temine di confronto perché considerata più attendibile) i dati sembrano evidenziare un processo di insediamento più lento per l’Italia Meridionale rispetto a quella centro-settentrionale. La spiegazione (o meglio la spiegazione più logica anche se non univoca) si ritrova nel constestuale contrasto tra Federico II e i frati (impegnati dal Papato nella propaganda antimperiale).
La Provincia Mediolanensis contiene centri notevole importanza anche per la vicinanza alle “metropoli” subendone l’influenza.
Nella Marca Anconetana, è paradossale, non esistono centri che possono competere con le città del nord (o del centro come Firenze) mail fatto che non esistono grandi spazi monopolizzatori permette la sopravvivenza e il dinamismo dei medi centri più numerosi nei quali gli insediamenti francescani si irradiano verso i centri rurali e i romitori.
Nella Provincia Tusciae, il rapporto tra insediamenti e agglomerati umani si ricavano dallo studio dell’organizzazione eccelsiastica e politica perché in tutte le sedi episcopali sono insediati i frati minori (ad eccezione di Fiesole e Sovana).
E per la Provincia Terrae Laboris?
Questo approccio comparatistico è importante perché permette di esplorare l’argomento in questione riferendoci prevalentemente all’Italia Meridionale (che ha bisogno di nuovi spunti di riflessioni e ricerche). Lo studio sulle motivazioni delle differenti tipologie insediative acquista maggior significato se inserito nel passaggio sall’età federiciana alla prima età angioina. Il fatto che al sud fatichino ad esistere non è a mio avviso dovuto solo ai poco felici rapporti con Federico II[6].
La difficoltà principale che impedisce un’analisi puntuale del fenomeno in questione è dovuta alla mancanza di documenti e alla tipologia delle fonti a nostra disposizione.
Per il periodo federiciano, possiamo ricostruire l’esperienza insediativa attraverso le cronache contemporanee come Riccardo di San Germano e Mattew Paris[7] (su cui mi propongo di fare un’indagine approfondita sulle notizie da questi cronisti riportate).
Per il periodo angioino, oltre ai Registri della cancelleria angioina, possimo servirci dei documenti tratti dai regesti dell’Archivio di San Lorenzo, note testamentarie e testimonianze indirette (come le pergamene di San Gregorio Armeno).
In questo caso vi descrivo brevemente il caso dell’insediamento dei minori in Napoli. L’obiettivo è quello di verificare l’atteggiamento dei primi sovrani angioini nei confronti della presenza francescana e la verifica delle modalità insediative.
Alcuni gli interrogativi e le problematiche generali all’esame:
– come si può applicare il processo di “strategia insediativa” ai casi francescani di Terrae Laboris
– esiste o meno il condizionamento (e/o influenza) delle realtà locali dunque il substrato territoriale e politico con cui i nuovi fratres si confrontano
– il tipo di fonti da analizzare
Gli obbiettivi:
1) quali possono essere le differenze nelle modalità di diffusione e di irradiazione del fenomeno mendicante (francescano) rispetto alle altre aree geografiche del centro-nord
2) comprendere queste dimaniche alla luce del contesto storico; il fenomeno mendicante e le relative modalità insediative si possono meglio analizzare tenendo presente i due periodo cui riferirsi e cioè:
– Federico II e l’età sveva fino alla sua morte (1250)
– Prima età angioina; da Carlo I (1266-1285) a Roberto d’Angiò (1309-1343)
Nell’ambito della mia ricerca, ho suddiviso ciascuna periodizzazione in micro-aree di analisi soprattutto per il periodo angioino perché qui si concentrano motivi e dinamiche abbastanza complesse. Ad esempio è possibile ricostruire il percorso insediativo anche in base al diverso atteggiamento assunto da Carlo I e Carlo II nei confronti del fenomeno mendicante con relative conseguenze sulla loro diffusione
3) Ritengo esista l’esigenza di “riordinare” con uno studio lineare i risultati delle ricerche svolte fino ad oggi (che si nono basate sull’analisi di diverse tipologie documentarie). I risultati scientifici di queste indagini attendono una valutazione complessiva perché apportano nozioni e contributi importanti ma vivono di vita propria e meriterebbero di essere analizzati nel complesso per poter avere un prospetto più preciso del fenomeno
4) lo studio – spoglio quantitativo e statistico sui documenti dei registri della cancelleria angioina fino a Carlo II d’Angiò (1285-1305) per rilevare la presenza di altri movimenti religiosi del “vecchio monachesimo”- cistercensi per esempio- a sostegno della tesi per cui non è vero che c’è preponderanza degli insediamenti mendicanti perché ben più complessa appare la realtà napoletana dal punto di vista dei fermenti religiosi. A questo proposito bisogna specificare che i cistercensi non erano presenti solo a Napoli ma anche in altre località del Regnum; li troviamo soprattuto in Abruzzo. I sovrani angioini si dimostrarono sensibili alle diverse comunità religiose per cui il fenomeno mendicante si inserisce in un contesto generale.
I primi insediamenti francescani a Napoli
Nel doc. 77, vol XIII dei registri, si trova la notizia della costruzione in Napoli del primo insediamento francescano, Santa Maria ad Palatium creato intorno al 1216 in un’area periferica luogo spopolato e isolato adatto alle esigenze eremitiche dei primi frati. Ricodiamo che già dal 1230 l’idea originaria proposta da Francesco sulla non proprietà si stava modificando avviando il processo di clericarizzazione e al conseguente rapporto con i centri urbani[8]. Fu l’arcivescovo Pietro di Sorrento (1217-1246) a favorire intorno agli anni ’30 gli insediamenti francescani e domenicani nel centro della città.
Dunque un insediamento ex novo. Nel 1279 con Carlo I i frati furono costretti ad abbandonare questo insediamento per l’inizio della costruzione dell’attuale Maschio Angioino trasferendosi nel convento di Santa Maria la Nova, al centro della città. Situato su una delle direttrici di sviluppo urbanistico principale (Ovest-Sud- Ovest)[9] sarebbe diventato un punto di riferimento della vita religiosa. In questo caso ci troviamo di fronte alla tipica strategia insediativa francescana: dall’esterno all’interno.
Risale invece al 1234 la prima presenza francescana in San Lorenzo (doc. LXXXIII, 20 settembre 1299, ed Ruocco) già basilica paleocristiana e dunque non inseidamento francescano ex novo, che fu loro concessa dal vescovo di Aversa Giovanni Lamberto, dietro richiesta di fra Nicola Landi di Terracina.
Ciò che caratterizza l’esperienza francescana in Napoli è la contemporanea presenza di altre comunità religiose, attive in città già dai tempi degli svevi come le confraternite, le staurite (confraternite laicali a carattere rionale), quelle del “vecchio monachesimo benedettino”[10] o e quelle più attuali dei celestini, agostiniani (doc. 1172, vol.VI p. 219, anni 1270-1271-“provisio pro monast. S. Egidii de Vibrata ord. Augustini pro pacifica possessione bonorum”e verginiani. Non possiamo ritenere che gli insediamenti dei minori siano prevalenti perché ci troviamo di fronte ad una “compresenza” di fatto tra diverse realtà. Questo fattore rende meno appariscente il fenomeno insediativo dei frati[11]. Mi permetto di citare la tesi el Vitolo: “l’immagine di una schiacciante preponderanza degli ordini mendicanti non si addice ad una realtà complessa come Napoli perché vede la compresenza e concorrenza di una gran varietà di esperienze religiose riconducibili buona parte al tronco benedettino”.[12] (tav.IV)
In sintesi si nota dai documenti una certa “severità”del primo angioino nei confronti dei minori; il suo interesse era volto più che altro a garantire giustizia ed equità non tanto a difendere gli interessi dei religiosi. In effetti già prima della conquista aveva fatto esplicito appello ai monasteri e alle diverse comunità religiose del Regno impegnandosi a fornire tangibili ringraziamenti in cambio di sostegno[13]. Le prime chiese costruite in quest’epoca con il patrocinio di Carlo (a parte quelle francescane) sono: Sant’Eligio al Mercato, Santa Maria del Carmine (dei Carmelitani) e il convento agostiniano di Sant’Agostino della Zecca (ex convento basiliano concesso in proprietà ai frati nel 1259). Ancora a testimoniaza dell’interesse del primo angioino verso dell’eterogeneità di fermenti religiosi ricordiamo la fondazione dei due conventi cistercensi di Santa Maria della Vittoria e Real Valle, siti però fuori da Napoli, fondate nel 1274.
Con Carlo II questo atteggiamento sembra modificarsi ma è pur sempre in linea con la necessità per la casa angioina di costruirsi una credibilità filo-papale funzionale all’assestamento del loro potere. Documenti di questo periodo (ed. Ruocco) testimoniano l’interesse dei sovrani a fondare monasteri mendicanti. In questo caso si deve ricordare che dal Vespro del 1282, Napoli divenne capitale e i sovrani si trovarono di fronte all’esigenza di rinfrorzarne il ruolo di centro politico e amministrativo.
Anche Carlo II inaugurò diversi cantieri religiosi e notiamo nell’aspetto stilistico e architettonico una certa preferenza per il gusto mendicante rispetto alle prime costruzioni del padre[14]. Tra i monumenti realizzati (o fatti ristrutturare) dal neo-sovrano ricordiamo: La cattedrale, la cappella reale a Castel Nuovo e la struttura esterna di San Domenico Maggiore. Questo convento era stato da lui inaugurato nel 1284, quando era ancora principe di Salerno ponendo la prima pietra dello Studium domenicano). Nel 1294 invece iniziò i lavori di San Pietro Martire, ancora convento domenicano.
Pare che anche la sua consorte Maria d’Ungheria si interessasse al questo tipo di attività. La vediamo impegnata nel progetto di ristrutturazione di un ex convento benedettino che nel 1237 passò alle clarisse: Santa Maria Donnaregina. Nonstante l’evidente predilezione di Carlo II per i domenicani, dal 1295 il suo patronato si indirizzò anche verso i francescani. Troviamo come si vede dai documenti, molte donazioni a San Lorenzo dove vennero inoltre sepolti diversi membri della casa reale[15]. Mentre erano in corso i lavori della cattedrale, sarebbero sorti anche i cantieri di San Pietro a Maiella, San Pietro a Castello, Sant’Agostino della Zecca.
Durante il regno di Roberto (1309-1343) invece le costruzioni religiose furono minori ma maggiore l’interessamento con un impegno per la corrente dei francescani rigorosi[16]. Un notevole contributo fu apportato dalla moglie Sancia[17]. A loro si deve il progetto grandioso della costruzione del complesso di Santa Chiara che superò di dimensioni le altre chiese del regno. L’anno di fondazioen è il 1310. Pare che i due regnanti volessero proporre con questa chiesa un’alternativa francescana al Papato, riflettendo in pieno una nuova tendenza nella vita spirituale nel Regnum[18]. Il fratello di Roberto, Ludovico da Tolosa, aveva rinunciato al trono per prendere l’abito francescano, coinvolto dalla nuova corrente spirituale; lo seguì anche il fratello di Sancia, Filippo di Maiorca. Santa Chiara avrebbe dovuto riflettere nelle forme l’ideale originario pauperistico ma con il tempo divenne uno degli edifici più sontuosi del Regno. Non bisogna però pensare ad un totale predominio intellettuale e culturale dei minori alla corte angioina. Noti sono gli ideali tomistici e domenicani di Roberto.
Durante gli anni di regno della coppia troviamo in Napoli alcuni sintomi precursori del movimento riformatore dell’Osservanza e per tutto il XIV secolo assistiamo ad un assestamento degli insediamenti francescani[19]. Bisognerà attendere il XV secolo per un definitivo e ulteriore sviluppo. Passeranno ai frati riformati infatti molti conventi nelle diverse custodie della Provincia di Terrae Laboris.
Mediterraneo
Per esigenze di tempo passo subito ad illustrarvi alcuni casi di “insediamenti” francescani che ho presto come esempio: Costantinopoli (per la provincia di Romània) , Cipro e Gerusalemme per la Provincia di Terrasanta.
Nel 1217, come già detto, si costituì la Provincia Francescana di Terrasanta (seu Syriae), la provincia “madre” unica pert tutti l’Oriente cristiano e mussulmano, che venne articolata in 3 Custodie (articolazioni territoriali minori), Siria, Cipro e Romània, con complessive 19/23 residenze. Ministro provinciale a quel tempo fi Frate Elia (1180-1253) che aveva preceduto Francesco nel suo viaggio del 1219[20].
Solo nel 1263, la Custodia di Romània fu elevata a Provincia, rendendosi autonoma. La nuova Provincia di Romània (o Grecia) fu a sua volta articolata nelle 3 Custodie (diverse sono le tesi ufficiali a riguardo. Golubovich, Var der Vat. Rispettivamente:
– di Negroponte isola di Eubea) con i conventi di Negroponte, Candia e Canea, nell’isola di Creta;
– di Tebe con i conventi di Tebe, Atene e Corinto;
– di Chiarenza, con i conventi di Chiarenza, Patrasso e Androvida nel Peloponneso e i conventi di Zante, Lixuri di Cefalonia e Corfù
Con la conseguente articolazione territoriale in Vicarie, il numero degli insediamenti era destinato ad aumentare. Il riferimento per un quadro delle province e custodie orientali ordinate in modo “gerarchicamente giuridico” sono le Costituzioni di Narbona del 1260
I dati storici riguardo le denominazioni e i nomi dei primi ministri ufficiali di questa provincia sono in realtà molto incerti poiché si trovano in diverse bolle ufficiali che non sempre citano il nome della località di riferimento allo stesso modo. Resta certo che prima del 1263 non si puà parlare di Provincia Autonoma anche se già dal 1220 compare come magister fratrum minorum de partibus romaniae, Luca d’Apulia.[21] Suo successore beato Benedetto Sinigardi di Arezzo che a Costantinopoli ebbe lunga e fissa dimora.
La “vicaria” era uno strumento missionario che andava consolidandosi anche giuridicamente; inoltre la crescita delle realtà insediative nell’altra parte d’Oriente che qui non cosidero (Vicaria Tartariae seu Catha= Cina; Vicaria Gazariae fra i Tartari di Ponente e Vicaria Persiae fra quelli di Levante ) aveva reso la situazione molto confusa dal punto di vista delle appartenenze. Una volta consolidatosi infatti, la Provincia di Romania divenne il punto di riferimento i frati resifenti sulle rive del Bosforo. La vicaria Orientale si andava decentrandosi verso Occidente e questo non poteva che ripercuotersi sull’ordinamento della Provincia di Romania. Presto il convento di San Francesco di Galata sarebbe diventato parte della Vicaria Orientale (sostituento Tauris in Persia), in una posizione certamente strategica viste le condizioni diplomatiche e commerciali (Galata era a quel tempo colonia genovese) Sullo sfondo il problematico rapporto tra gli Stati cristiani d’Europa, la Santa Sede e i tartari di Levante.
Conclusioni:
Concludo questa breve panoramica illustrativa con un’osservazione che probabilmente mi accompagnerà fino al termine di questo lavoro.
Il concetto di strategia insediativa risulta molto duttile e si adegua ai singoli casi. Se per le realtà urbane questo processo è attestato, sia pure con le rispettive differenze territoriali, per gli insediamenti in Oriente e per tutto il Mediterraneo il processo insediativo è classificabile come una “tipologia” condizionata da fattori politici e situazioni religiose particolarmente frammentate.I minori dimostreranno spesso di saper controllare, gestire e condividere simili situazioni ma allo stesso tempo risultano ibride e non facilmente classificabili. Di certo, ogni locus, domus e convento sono il segno dell’esperienza itinerante dei frati minori. Un’esperienza duratura e tangibile chissà se anche “intenzionale” e consapevole.
Tav.1
Statistica 1282
Province |
Custodie |
Domos |
Terrae Laboris |
5 |
16 |
Tuscia |
8 |
18 |
March.Ancona |
4 |
32 |
Mediolanensis |
4 |
25 |
Grecia |
3 |
9 |
Terrasanta |
1 |
8 |
Tav.2
Statistica 1263-70, Ser. Hispanica
Province |
Custodie |
Conventi |
Terrae Laboris |
V |
30 |
Grecia |
III |
9 |
Terrasanta |
III |
19 |
Tav.3
|
|||||||||||||||||||||||||||||||||||
|
|||||||||||||||||||||||||||||||||||
|
Oscillazioni
Terra Laboris tra un minimo di 39 e un massimo di 73
Tuscia tra un minimo di 46 e un massimo di 55
March. Ancona tra un minimo di 83 e un massimo di 100
Mediolanensis tra un minimo di 23 e un massimo di 38
Tav. IV: confronto per il mediterraneo, Le Province di Grecia e Terrasanta
S. Argentina | S. Anglica | S. Saxonica | S. Borolin. | |
1282
|
1290
|
1300
|
1300?
|
|
Province | ||||
Romaniae (Greaciae) |
9 |
III, 9 |
III, 12 |
III, 12 |
Syriae (Terrae Sanctae) |
8 |
III, 8 |
III, 23 |
III, 23 |
S. Napolitana |
S. Hibern |
S. Paulina |
|
1316
|
1320
|
1334
|
|
Province | |||
Romaniae (Greaciae) |
III, 9 |
III, 12 |
III, 12 |
Syriae (Terrae Sanctae) |
——– |
I, 5 |
6 |
S.Ragusina
|
S. Pisana
|
S. Panfil. |
|
1385
|
1385-90
|
1400
|
|
Province | |||
Romaniae (Greaciae) |
III, 15 |
III, 13 |
III, 13 |
Syriae (Terrae Sanctae) |
III, 12 |
II,8 |
II,9 |
I numeri romani indicano le custodie; quelli arabi i loca o insediamenti o conventi.
Oscillazioni:
Terra Laboris tra un minimo di 39 e un massimo di 73
Grecia tra un minimo di 9 e un massimo di 12
Terrasanta tra un minimo di 8 e un massimo di 23
Note:
[1] La traduzione qui proposta è tratta dall’edizione delle Fonti Francescane. Editio Minor, Assisi 1986, pp. 41-42. La regola non bollata risale al 1220-1221.
[2] L’espressione è di F. Gabrieli, San Francesco e l’Oriente islamico, in Espansione del francescanesimo tra Oriente e Occidente nel secolo XIII, atti del convegno internazionale di assisi 12-14 ottobtre 1978, Asisi 1979, pp 107-122.
[3] Per le Series si veda in G. Golubovich, Biblioteca Bio bibliografica della Terra Santa e dell’Oriente Francescano, Quaracchi, 1913, tomo II, pp. 241-258 e a p. 260 il pospetto compartivo; per Bartolomeo da Pisa, ed. Wadding, Annales, Quaracchi, vol. IX, 1932, pp. 211-213; per la statistica del 1282, ed. del D.Cresi, Statistica dell’Ordine Minoritico del 1282, in Archivum Franciscanum Historicum, 56 (1963), pp. 157-162 (anche in Golubovich II, p. 243); per Paolino da Venezia, C.Eubel, Provinciale Ordinis fratrum Minorum vetustissimus secundum codicem vaticanum nr. 1960, Ad Claras Aquas, 1892 (anche in Bullarium Franciscanum, Roma 1898, pp.579-602 e Wadding, vol. IX, 1932, pp. 191-221).
[4] Rispettivamente: napoletana (centri tra cui Napoli, Garigliano, Nola , Maddaloni); salernitana (Nocera, Sarno Giffoni, Penisola Sorrentina, Castellamare, Sorrento), Beneventana (irpinia, Sant’Aata dei Goti; Principato (Vallo di Diano, Teggiano, Eboli, Agropoli, Lucania); San Benedetto ( Valle del Lirim Monti Aurunci).
[5] L. Pellegrini, Insediamenti francescani nell’Italia del duecento, Roma 1984; idem, Cura parrocchiale e organizzazione territoriale degli ordini mendicanti tra il secolo XIII e il XVI secolo, in Pievi e parrocchie in Italia nel Basso Medioevo-sec XIII-XV), Atti del VI convegno di storia della chiesa in Italia, Firenze 21-25 settembre 1981, Roma 1984).Lo studio sugli insediamenti si è aggiornato per l’Italia Meridionale con il suo articolo Gli Ordini mendicanti in Campania, in Rassegna Storica Salernitana, III (1986), pp. 9-41 e il suo ultimo lavoro Che sono queste novità? Le religiones novae in Italia Meridionale (sec. XIII-XIV), Napoli 2005.
[6] Gli ordini mendicanti, nella contesa tra Federico II e Gregorio IX (a seguire poi con Innocenzo IV) assumono un ruolo chiaramente antimperiale, spesso strumenti della stessa politica papale. Si rimanda agli studi sull’argomento. Ad esempio, A, Voci, Federico II Imperatore e i mendicanti: privilegi papali e propaganda antimperiale, in Critica Storica, 1 (1985), pp. 3-28; G. Barone, Federico II di Svevia e gli ordini mendicanti, in “Mélanges de l’école Française de Rome. Moyen Age- Temps Modernes”, 90 (1978), pp. 607-620; M. Del Fuoco, Indulgenze papali e Ordini Mendicani nel XIII secolo:prime note, in “studi medievali e modetni”, 3/1, pp. 101-148.
[7] Riccardo de Sancto Germano, Chronica, ed. a cura di C.A. Garufi, in Rerum Italicarum Scriptores, VII/2, Bologna 1938; Mathei Parisiensi Monachi Sancti Albani, Chronica Maiora, ed, R. luard, IV, Londra 1877.
[8] La Bolla Quo elongati 1230 gettava le premesse per la costruzione degli studia.
[9] le direttrici dello sviluppo urbano non si espandono in direzione Nord. Per questo aspetto bisogna tenere presente la modifica dell’assetto urbanistico dall’età sveva in poi. Si veda G. Vitolo, Progettualità e territorio nel Regno svevo di Sicilia, in “Studi Storici” 2/37 (1996), pp. 405-424.
[10] Per non parlare poi della presenza catara attestata nel 1231 a Napoli dove lo stesso Federico II si vide costretto a chiedere aiuto ai frati predicatori.
[11] mi riferisco a tutto il Regnum.
[12] G. Vitolo, il monachesimo benedettino nel Mezzogiorno angioino: tra crisi e nuove esperienze religiose, in l’Etat angevin. Pouvoir, culture et société entre XIII et XIV siécle, Atti del colloquio internazionale presso l?école Française de Rome, Roma 1998 (istituto italiano per il medio evo. Nuovo studi storici, 45, Collection de l’Ecole française de Rome, 45),pp 205-220.
[13] Per l’intero studio sui monumenti religiosi di Carlo I si rimanda a C. Bruzelius, Le pietre di Napoli, Roma 2005
[14] Carlo I prediligeva il gusto “francese” d’importazione.
[15] è probabile che il mutato atteggiamento sia dovuto al ritorno dalla prigionia e all’influenza di Ludovico da Tolosa. La storiografia vede anche un parallelismo con Luigi IX, anche lui molto devoto.
[16] Rimando ad altri studi per l’evoluzione teorica interna all’ordine
[17] da ricordare anche l’esperienza francescana in Oriente e l’interessamento dei due sovrani per la costituzione della custodia a Gerusalemme.
[18] E’ ancora in corso il dibattito storiografico sul cosidetto “spiritualesimo napoletano”. Si veda a questo proposito R. Paciocco, Angioini e Spirituali. I differenti piani cronologici e tematici di un problema, in l’Etat angevin. Pouvoir, culture et société entre XIII et XIV siécle, Atti del colloquio internazionale presso l?école Française de Rome, Roma 1998 (istituto italiano per il medio evo. Nuovo studi storici, 45, Collection de l’Ecole française de Rome, 45), pp. 253-286.
[20] Una testimonianza importante la troviamo in Giordano da Ciano, Cronaca, in “Fonti Francescane”, Assisi 1977, cap. 9, n. 2331
[21] Sbaralea J. O.F.M. Conv., Bullarium Franciscanum, Roma 1759, I, 6-8.
Laureata nel 2001 presso la facoltà di Scienze Politiche, indirizzo storico, del’Università di Napoli Federico II, con una tesi in Storia Medievale dal titolo “Servitium debitum e organizzazione militare nel regno di Carlo I d’Angiò (1266- 1285) – dai registri della Cancelleria Angioina” (Relatore, Prof. Errico Cuozzo). Dal 2003 collabora alle attività didattiche e di ricerca presso cattedra di Storia Medievale dell’Istituto Univesitario Suor Orsola Benicasa di Napoli (Prof. Errico Cuozzo) partecipando ai progetti di ricerca sulla digitalizzazione delle fonti normanno-sveve (le cronache di Lupo Protospatario, Anonimo di Bari e Annales Barenses) e la Falconeria nel periodo Normanno. Dal 2003 al 2005 frequenta e conclude l’intero bienno del corso di laurea specialistica in Storia Medievale presso l’Università “Cà Foscari” di Venezia. Dal 2005 è dottoranda di ricerca in “Storia delle vie di centri e delle culture dei pellegrinaggi nel medioevo euromediterraneo” presso il dipartimento di Beni delle Arti e della Storia dell’Università di Lecce con un progetto di ricerca dal titolo: “ la devotio francescana ai luoghi santi tra XIII e XV secolo”. Ha partecipato al III corso di studi dottorali sulla “Civiltà comunale” a San Gimignano con una relazione dal titolo “I Francescani e le città del Regnum. Diffusione del Francescanesimo in ambito urbano tra XIII e XV secolo” e al X seminario di studi “Il nuovo viaggio in Terrasanta fra Basso Medioevo e prima Età Moderna” presso il Centro di Studi sul Pellegrinaggio a Montaione (FI) con una relazione dal titolo “Tra conoscenza e predicazione. I frati minori e il rinnovamento del pellegrinaggio a Gerusalemme tra XIV e XV secolo”.
Gli Interessi di ricerca si dividono in due progetti:
1) I francescani in Terrasanta e in Oriente in epoca pre-custodiale. I primi insediamenti dei frati minori nei loca sacra tra attività apostolica, predicazione, assistenza ai pellegrini, “difesa” della fede, ambasciatori della Chiesa in Oriente all’epoca delle crociate. Testimonianze dalle cronache di viaggio e di pellegrinaggio di ambiente minoritico. Frati minori pellegrini e testimoni. La Gerusalemme francescana e i luoghi della passione. Teoria del pellegrinaggio francescano.
2) Diffusione e sviluppo degli insediamenti francescani nel Mediterraneo e nel Mezzogiorno dal punto di vista politico e strettamente geografico, con particolare attenzione allo studio del francescanesimo nel suo sviluppo in ambito urbano dal XIII al XV secolo.