I Longobardi a Chia tra spade e amori

Borgo di Chia (fondoambiente.it)

I Longobardi a Chia tra spade e amori di Francesca Pandimiglio

“I Longobardi a Chia tra spade e amori”, questo è il titolo della conferenza che ho tenuto e curato personalmente, con il Comune di Soriano nel Cimino e l’Ente Sagra della Castagne, lo scorso Sabato 5 ottobre 2019 presso la Sala Consiliare – Piazza Umberto I, n. 6 (fig. 1)
L’indagine esposta ha preso corpo dopo una serie di attente e costanti perlustrazioni del territorio ed un’accurata e mirata ricognizione delle zone comprendenti gli insediamenti archeologici nei territori del comune di Soriano confinanti con l’area della cosiddetta Marca della Tuscia, un feudo dipendente dal Regnum Italiae, esistito dal 797 al 1001 situato nell’Italia centrale.
Già dal V secolo i Longobardi, alleati con gli Unni, parteciparono alla spedizione capitanata da Attila e dopo la totale caduta unna, più precisamente dal 552 d. C., si stanziarono definitivamente in Pannonia e strinsero accordi con Bisanzio. Dalle date ufficiale documentate ben sappiamo che intorno al 568 i Longobardi entrarono in Italia guidati dal re Alarico. Nel 574, in seguito all’occupazione longobarda della Tuscia, viene costituito il ducato di Tuscia o della Tuscia che conobbe un’evoluzione storica nel periodo post-carolingio, con la formazione della Marca di Tuscia. Nel 590 il sovrano Autari compì un’azione politica memorabile, favorì la conversione al cattolicesimo di tutto il suo popolo. Sono anni di vivace fermento politico e religioso, infatti soltanto due anni dopo Benedetto fondò il monastero di Montecassino e avviò le basi della sua regola Ora et Labora. Nel 593 re Agilulfo, oltrepassò l’Appennino centrale, con il suo esercito e giunse fino al confine del Ducato Romano, occupando Balneus Regis (Bagnoregio) e Urbs Vetus (Orvieto). Intorno al 643 il re Rotari ampliò i confini del Regno concordando con i territori assimilati, compreso anche il borgo di Chia (fig, 2), una serie di trattati nel pieno rispetto delle tradizioni locali. Ciò porterà ad una rapida diffusione a macchia d’olio del regno longobardo, che venne ben accolto dalle realtà locali preesistenti, in quanto lo spirito politico non permetteva più di riconoscere l’imperatore di Roma, ormai definitivamente in Oriente, come appartenente al sentimento occidentale. Infatti l’imperatore di Roma, residente a Bisanzio, era considerato uno straniero che spesso invadeva l’Italia con un esercito di soldati armeni, siriani, persiani di credo musulmano. Nel 644 la conquista Longobarda giunse a Luni, ultimo ed estremo castrum settentrionale della Tuscia Langobardorum, confinante a sud con la Tuscia Romana di proprietà bizantina, e dominata dalla crescente autorità pontificia. Dopo il 728, anno della formazione dello Stato della Chiesa, i Longobardi, occuparono l’esarcato di Ravenna, nel 751, poi verranno definitivamente inglobati dai Franchi di Carlo Magno nel 774 a seguito della morte di Desiderio. Il nostro territorio di analisi, era compreso quindi nel più vasto ducato longobardo dell’Italia centrale, che comprendeva anche gran parte dell’odierna Toscana e dell’attuale provincia di Viterbo. Anche se la capitale del ducato era Lucca, posta lungo la Via Francigena, dove risiedeva il duca, indicato nei documenti come dux et iudex, le ricerche finora condotte, in questo ultimo anno, individuano i probabili luoghi di insediamento nella nostra zona, fondati sui preesistenti castelli e sulle necropoli di origine tardoantica (V e VI secolo). Le analisi, anche se ancora in stato di evoluzione, hanno fornito un quadro di sintesi esaustivo nelle ricognizioni archeologiche compiute nelle diverse aree del territorio sorianese e chiano. Il raggio delle conoscenze acquisite nei diversi settori ha permesso di avere un quadro sicuramente ricco di indizi idonei per affrontare una visione territoriale più completa. Nel settore delle necropoli, pur mancando ancora pubblicazioni complete, qualche dato lo abbiamo da Giancarlo Breccola, Francesca Ceci, Elisabetta De Minicis, Valentino D’Arcangeli (disegno – fig. 3), Giancarlo Pastura. In particolare il sito principale che cattura l’attenzione è il villaggio rupestre di Santa Cecilia, frequentato già dall’età etrusca, con annessa la necropoli altomedievale, risalente alla seconda metà del VI secolo, fondata per seppellire i defunti caduti negli scontri tra le truppe dell’esercito bizantino, schierate a ridosso della linea del fronte, e l’esercito longobardo. In questo sito si trovano in particolare un grande masso scavato per ricavare una casa-grotta, con canali di scolo per l’acqua piovana e un’incisione per la tettoia, a protezione dell’ingresso; in un altro masso sono scavate alcune nicchie, un focolare ed una serie di fori per l’appoggio di travi in legno; su una terrazza a forma di prua di nave vi sono i resti di una chiesina del XII secolo, dedicata a Santa Cecilia. Si notano la presenza di un grande pilastro utilizzato per sostenere l’altare, ben evidente è la sagoma dell’abside, parti di murature e di decorazioni. Intorno alla chiesa vi è la necropoli costituita dai sarcofaghi, interi o frantumati, con croci greche ben visibili scolpite a rilievo. Le sepolture presenti hanno la tipologia di alveoli trapezoidali scavati nella pietra, sagomati sulla figura umana, con o senza il cuscino interno di pietra che sosteneva il capo. Si trovano una serie di pestarole e vasche sovrapposte o comunicanti, scavate nella pietra, probabilmente utilizzate per la spremitura dell’uva e la lavorazione del mosto. Questo villaggio rupestre mostra un utilizzo dall’età etrusca fino al Medioevo. Il sito è un esempio di borgo rupestre, satellite dei paesi vicini come Bomarzo e Chia, ricco d’acqua, nel quale si svolgevano attività agricole, di produzione del vino e di pascolo degli animali. Il magnifico scenario naturale è dominato in lontananza dalle solenni ed inquietanti rovine medievali della cosiddetta torre di Chia (fig. 4) e del relativo castello le cui origini risalgono al XII sec. Gli abitanti di Chia la chiamano Torre o Castello, Giulio Silvestrelli lo cita come Colle Casale (in «Città e castelli della Regione romana», Istituto di studi romani editore, Rom, 1940). Silvestrelli dice che il castello appartenne al nobile Capéllo, processato e giudicato come eretico nel 1260, e inoltre narra che in seguito i figli, Beraldo e Ranuccio vendettero il castello al Comune di Viterbo. Il castello di Colle Casale è noto per essere stato anche abitazione e rifugio, di proprietà dal 1970, del poeta e regista Pier Paolo Pasolini.
La presenza di testimonianze archeologiche nella pianura, con necropoli senza corredi caratterizzanti, fa pensare che gli allineamenti cartografici dei “forti” non siano casuali, ma che nella prima fase di conquista le strutture determinati per le necessità difensive e di controllo del territorio, diventeranno in seguito vasti centri agricoli e luoghi di produzione e di mercato attivi determinanti per l’economia. Su tali assi viari infatti si concentrano le presenze dei maggiori insediamenti e delle più importanti necropoli d’arme longobarda (Orte, Chia, Mugnano, Ferento, Bagnoregio, Montefiascone, Viterbo), non lontano dai territori di Spoleto e del Clitunno (centri fondanti del grande Ducato di Spoleto). Queste postazioni difensive segnavano i transiti lungo le strade, nella Marca e in particolare lungo la via Ferentana che metteva in comunicazione la Langobardia Maior alla Langobardia Minor, consentivano di evitare la penetrazione nemica verso i centri ducali. Il percorso di una mulattiera tracciata più in basso tra enormi massi di peperino staccatisi dalle rupi sovrastanti e coperti da muschi e felci, conduceva al livello del fosso della Molinella, dove l’acqua spumeggiante romba ancora oggi fra i massi colossali in un incredibile paesaggio dall’atmosfera surreale. Vi sono porzioni di condotti, gradoni, cascate e le “marmitte dei giganti” (profonde buche generate dai vortici del torrente), ruderi di mulini, al cui interno si preservano, allo stato attuale, le antiche mole per cereali e per le olive.
In particolare l’attenzione dell’analisi urbanistica e delle strutture murarie converge il focus proprio nel borgo di Chia, il cui nome deriverebbe dalla radice Kurr, nome di una ipotetica e leggendaria principessa longobarda. L’antico nucleo risale all’età villanoviana, con un ampliamento intorno al VII – VIII e in seguito vi è stata un’urbanizzazione più strutturata nell’XI secolo. La tecnica di autodifesa, del piccolo e antichissimo centro, messa in opera dalle monarchie longobarde sembra esprimersi soprattutto nel controllo dei territori a più alto potenziale produttivo. Questa strategia di controllo è visibile con chiarezza dal VII – VIII e consiste nel distribuire le proprietà terriere ad alte personalità di corte, detti i gastaldi, e ad enti monastici, nelle aree maggiormente interessate alla difesa e alle transazioni commerciali, per non permettere il formarsi di ampie enclaves territoriali dedite a gestire il potere con i duchi e l’alta nobiltà di sangue. Queste demarcazioni di territori fiscali, chiamate dogane e dazi, nelle zone a rischio d’invasione, permettevano di controllare i lembi dei territori ducali, le espansioni autonomistiche dei duchi e i movimenti delle truppe provocato dai conflitti, spesso aspri e sanguinosi, interni al regno.
Il piccolo centro urbano di Chia presenta nelle vicinanze un imponente masso megalitico, sito su una strada tagliata nel peperino, recante iscrizioni (fig. 5) non ancora decifrate, rinvenute da chi scrive insieme all’esperto del territorio Quinto Chiacchierarelli. Si può affermare che sono incisioni scritte con lettere di evidente e chiaro rimando ad una grafia di derivazione tardo runico. Non molto distante da Chia si trova infine la Tomba di San Nicolao, che reca sulla porta d’entrata un bassorilievo scolpito di un “fiore della vita” o di una “stella-fiore” (fig. 6), si tratta di una simbologia legata al culto del sole, diffusa in particolare tra i paesi nordici e anche in altre culture di origine panceltica.
Chissà se la principessa Kurr sia realmente vissuta qui, però ci piace sognare che lei abbia cavalcato le nostre terre, su un cavallo bianco insieme al suo bel principe-duca longobardo. D’altronde Stefano Balloch, Sindaco di Cividale del Friuli, dice: “I Longobardi fanno parte delle radici culturali sulle quali si fonda l’identità del nostro paese”.

Francesca Pandimiglio, Conservatore dei beni culturali, critico e storico dell’arte, archeologo medievista.
Durante gli anni all’università partecipa agli scavi presso il settore medievale nel sito di Ferento con la Docente Gabriella Maetzke, successivamente al monitoraggio e alla diagnostica di vari siti, in particolare la chiesa di Santa Maria in Castello a Tarquinia, la Basilica di in San Pietro a Tuscania, palazzo dei Papi e San Giovanni in Zoccoli a Viterbo, Villa Adriana e Villa d’Este a Tivoli, il mitreo di Sutri, il teatro di Marcello a Roma.
Si laurea presso l’Università degli Studi della Tuscia in Storia dell’arte Medievale con i Professori Francesco Carlo Gandolfo e Salvatore Lorusso, si specializza in Archeologia  Medievale presso La Sapienza, consegue un Master biennale in Didattica dell’Antico presso l’Università di Ferrara, acquisisce una formazione giornalistica come Addetto Stampa e diventa Assistente all’Unitus prima alle cattedre di Analisi merceologica e di Teoria e tecniche dei materiali lapidei poi in Storia delle tecniche artistiche.
Fino al 2010 con la sua società Valorart, tra i tanti eventi, organizza la I^ mostra su Balthus presso il castello di Montecalvello e la prima apertura straordinaria di Villa Lante entrambi nel comune di Viterbo, coordina il restauro della sala di Apollo oltre ad una serie di mostre a Castel Sant’Angelo e a Palazzo Venezia a Roma, gestisce il Museo del colle del Duomo a Viterbo e il personale di assistenza alle sale di Palazzo Corsini a Roma.
Attualmente è Professore di Storia dell’arte presso il Liceo Artistico Midossi di Civita Castellana, nella sede di  Vignanello (VT).
La sua mission, con un’intensa attività associazionistica, è la ricerca, la ricognizione, la documentazione, la conservazione, la valorizzazione, la tutela e la divulgazione del Patrimonio Artistico, Paesaggistico e soprattutto Archeologico in particolare della Tuscia.
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