I Normanni: i guerrieri del Nord alla conquista del Mediterraneo

di Luigi Russo.

Dai Vichinghi ai Normanni

Ancora oggi non sappiamo l’esatta origine etimologica del termine “Vichinghi”, se derivata da vicus/wik (= borgo mercantile) o dal norreno vik (= ansa, baia). Altre sono poi le ipotesi di origine dell’utilizzo di tale termine, ma nessuna ha raccolto un’unanime accoglienza da parte degli studiosi. Quello che appare certo è il fatto che il termine è attestato già nel settimo secolo nelle fonti d’area nordica, ma sarebbe stato soppiantato nelle fonti latine da un etnonimo di maggiore impatto evocativo, vale a dire quello di Normanni, «uomini del Nord». Le ragioni che spinsero tali guerrieri a compiere per oltre due secoli razzie in tutta l’Europa occidentale è stata molto dibattuta: messe da parte ragioni demografiche (il sovrappopolamento degli abitanti della penisola scandinava) o tecniche (un migliore armamento offensivo), la spiegazione più convincente – a mio avviso – è quella ripresa di recente da Pierre Bauduin secondo cui nell’VIII secolo si assistette al rafforzamento dell’autorità centrale, cosa questa che costrinse molti capi vichinghi a rivolgere i propri interessi all’esterno del mondo scandinavo. La successiva competizione delle elites guerriere, ognuna delle quali in aspra competizione per l’autoaffermazione del proprio valore in battaglia, fece il resto, in un contesto in cui la progressiva disgregazione dell’Impero carolingio agevolò i successi dei guerrieri del Nord.

La prima testimonianza di una spedizione vichinga ai danni delle isole inglesi è del 789, ma è a partire dall’830 che l’Europa continentale diventò il bersaglio fisso dell’attacco dei guerrieri normanni, che agivano in piccoli gruppi armati, a bordo di navi, compiendo, inizialmente, delle sortite per depredare gli insediamenti costieri della Francia settentrionale, dell’Inghilterra, dei Paesi Bassi. Dopo i primi successi l’intensità dei loro attacchi aumentò al punto da favorire la creazione di insediamenti stabili nelle regioni assalite.

Una prima notazione si impone a questo punto: facendo ricorso al termine “Normanni”, in realtà adottiamo le categorie interpretative elaborate della storiografia medievale che descriveva una realtà etnica estranea, qualificandola a partire da una connotazione geografica, secondo un meccanismo analizzato dal medievista austriaco Walter Pohl riguardo ai popoli barbarici nell’età a cavallo tra l’epoca tardoantica e altomedievale, ben sintetizzato dall’espressione: «I nomi etnici sono delle astrazioni; essi rappresentano la costruzione di un modello storico».

Lo stanziamento dei Normanni in Francia

Grazie alle loro agili imbarcazioni i popoli del Nord devastarono le principali regioni costiere europee e penetrarono in profondità nelle regioni dell’Europa continentale: Francia, Germania, Spagna, Inghilterra, ma anche l’Italia, dopo che nell’859 le navi normanne vennero avvistate per la prima volta anche nel Mediterraneo. A questo proposito riportiamo alcuni brani tratti dalla seconda parte degli Annali di San Bertino, un testo storico composto intorno alla metà del IX secolo nell’abbazia franca di San Bertino (oggi Bertincourt, nella Francia nord-orientale), che ricorda alcune incursioni dei popoli del Nord.

843. Dei pirati normanni assalirono la città di Nantes, uccisero il vescovo, molti chierici e laici di entrambi i sessi e quindi attaccarono la regione dell’Aquitania inferiore per saccheggiarla.

845. In marzo 120 navi normanne risalirono la Senna fino a Parigi devastando ogni cosa senza incontrare alcuna resistenza. Carlo (il Calvo) cercò di resistere, ma comprese che i suoi non avevano alcuna possibilità di vittoria. Allora fece un accordo con loro e, con un tributo di 7000 libbre (d’argento), impedì che avanzassero e li persuase a tornare indietro.

848. Carlo (il Calvo) assalì i Normanni che stavano assediando Bordeaux e con coraggio li sconfisse.

855. I Normanni attaccarono Bordeaux, una città dell’Aquitania, e attraversarono tranquillamente la regione.

[Annali di San Bertino, parte seconda, MGH, SS I, anni 843, 845, 848, 855, trad. da Reti Medievali, http://www.storia.unive.it/, con adattamenti]

Come si può leggere dai passi riportati non sempre le scorribande normanne avevano successo (nell’848 Carlo il Calvo riuscì a sconfiggerli), né si concludevano puntualmente con il saccheggio delle terre devastate, poiché talvolta il pagamento di un tributo in denaro – come avvenuto nell’845 per Parigi – era in grado di calmarne il furore bellico.

A partire dall’880 la minaccia normanna diventò pressante con una serie di spedizioni militari che annualmente penetravano nell’apparato difensivo franco. Nell’885 il capo normanno Sigfrido ebbe la meglio delle difese costiere e riuscì a raggiungere Parigi, messa sotto assedio. Il conte della città, Oddone, chiese aiuto a Carlo il Grosso che invece di combattere preferì pagare agli invasori un tributo in denaro. Nonostante il ritiro la sicurezza nelle regioni franche restava precaria, al punto che pochi anni dopo, nel 911, il re di Francia Carlo III, detto «il Semplice», fu costretto a riconoscere al capo normanno Rollone la regione intorno a Rouen, nucleo del futuro ducato di Normandia; in cambio quest’ultimo giurò fedeltà al carolingio, promettendogli di diventarne il vassallo. Qualche parola merita di essere spesa su Rollone: questi era infatti un capo vichingo già da alcuni decenni attivo nelle regioni della Francia settentrionale (non era quindi l’ultimo arrivato), e vantava legami di parentela con alcuni esponenti della aristocrazia franca. Tali legami spiegano la concessione del 911: affidando ufficialmente una regione fino a quel momento destabilizzata dalle incursioni dei guerrieri del Nord a uno dei capi meglio conosciuti e rispettati, rappresentava per le autorità politiche franche una decisione di carattere nuovo che intendeva contrastare la minaccia normanna non più per via militare, bensì riconoscendone l’esistenza in un’area politicamente e militarmente instabile.

Nonostante l’accordo altre bande normanne continuarono, comunque, ad attaccare le regioni della Francia settentrionale negli anni successivi, a dimostrazione del fatto che Rollone non rappresentava i Normanni nella loro interezza ma soltanto uno dei gruppi armati meglio organizzati che solo con il passare del tempo sarebbe riuscito a prevalere sugli altri capi. In conclusione, la decisione di Carlo III consentì la creazione di una zona difensiva nei dintorni di Rouen che alleggerì la pressione nemica e rese più sicuro il regno franco, ma al tempo stesso inserì stabilmente i Normanni nella geografia dei poteri dell’Europa continentale, creando il primo embrione del ducato di Normandia.

I Normanni in Italia

Giunti probabilmente nelle regioni meridionali per motivi di pellegrinaggio (i porti della costa pugliese erano una delle tappe più frequentate per i pellegrini diretti a Gerusalemme, senza contare il celebre santuario di San Michele al Gargano), i guerrieri della Normandia si resero presto conto delle opportunità che il Mezzogiorno offriva loro nell’XI secolo. Indomabili guerrieri, furono assoldati nei primi decenni dell’XI secolo come mercenari dai vari principi longobardi e gli alti funzionari bizantini, alla costante ricerca di guerrieri con cui rinforzare i propri eserciti. Inizialmente si trattava di piccoli gruppi di cavalieri provenienti dalle file della aristocrazia minore del ducato di Normandia, regione governata con determinazione dai duchi discendenti di quel Rollone sul quale ci siamo soffermati in precedenza. Molti di questi ambiziosi guerrieri, privi di prospettiva di carriera nelle terre del ducato o che avevano avuto problemi con la severa giustizia ducale, scelsero di trasferirsi nel Mezzogiorno.

Tra di loro particolare fortuna arrise alla prole di Tancredi d’Altavilla (il nome originario era Hauteville, una piccola località del Cotentin[1]), cavaliere appartenente alla piccola nobiltà normanna: dei dodici figli avuti da due mogli, Tancredi vide partirne ben nove alla volta dell’Italia meridionale. In particolar modo due avrebbero lasciato una traccia duratura: il primo, Roberto, poi conosciuto con il soprannome di Guiscardo (= «astuto»), che nel giro di un decennio, da povero cavaliere, giunse ad essere investito della carica ducale, ereditata in seguito alla morte del fratello Umfredo (1057); l’altro di nome Ruggero, che dopo lunghe lotte avrebbe assunto il governo della Sicilia, strappata definitivamente ai musulmani nel 1091 dopo un trentennio di combattimenti.

Il motivo alla base del successo dei Normanni fu la capacità di inserirsi con abilità tra i vari poteri in competizione nelle regioni meridionali, sfruttare le rivalità reciproche, allo scopo di conquistare quanta più libertà d’azione (e territori). Il semplice elenco delle tappe dei riconoscimenti ufficiali ottenuti dai loro capi è indicativo della rapidità dell’affermazione normanna: nel 1030 v’è la concessione della prima contea (quella di Aversa), ceduta dal principe Guaimario IV di Salerno a Rainulfo; nel 1042 Guglielmo «Braccio di Ferro» è scelto come conte di Puglia, nel 1059 Riccardo Quarrel è riconosciuto da papa Niccolò II principe di Capua, mentre Roberto il Guiscardo è a sua volta riconosciuto con il titolo di duca di Puglia e Calabria (trattato di Melfi).

Con questo non è possibile dimenticare i numerosi ostacoli affrontati dai Normanni nel corso dei decenni centrali dell’XI secolo in cui si decisero gli assetti meridionali: a più riprese essi dovettero affrontare l’ostilità armata sia dell’impero germanico sia di quello bizantino, ciascuno dei quali nutriva progetti di riconquista delle regioni del Mezzogiorno. Tra i principali pericoli affrontati vi fu la spedizione armata con cui truppe germaniche, pontificie e mercenarie, guidate da papa Leone IX, nella primavera del 1053 invasero la Puglia per ricondurre i normanni sotto l’autorità del papa e dell’imperatore tedesco. Tuttavia la battaglia tenutasi nei pressi di Civitate (18 giugno 1053), nel foggiano, che vide la clamorosa sconfitta delle truppe di Leone IX, rese chiaro a tutti che la presenza normanna non poteva più essere considerata temporanea. Di ciò si rese conto anche la curia romana e i pontefici che da quel momento ricercarono l’alleanza piuttosto che lo scontro aperto con i Normanni in funzione del nemico comune, vale a dire l’imperatore tedesco Enrico IV, salito giovanissimo al trono nel 1056, i cui rapporti con la chiesa di Roma vennero progressivamente deteriorandosi nel corso della cosiddetta “lotta per le investiture”.

La storiografia normanna: Malaterra e Orderico

La conquista normanna del Mezzogiorno fu tramandata da tre testimonianze, tutte collocabili nell’ultimo ventennio dell’XI secolo, che rispecchiano il grado di autocoscienza dell’élite normanna una volta terminata la stagione delle grandi conquiste. L’interesse di queste opere è dovuta dal fatto che, grazie ad esse, riusciamo a comprendere come i Normanni si vedevano nello “specchio” della loro storiografia: essi si rappresentavano come guerrieri valorosi e strenui (la strenuitas è uno dei valori più frequentemente legati ad essi in questi testi), pronti a colmare quel deficit di virtù guerriere di un Mezzogiorno dominato da Saraceni, Longobardi e Bizantini, tutti scarsamente in grado di contrastarne, se non con la superiorità numerica, l’impeto. Occorre comunque sottolineare che tutte le fonti a nostra disposizione provengono – in modo più o meno accentuato – da ambienti vicini ai conquistatori: Amato di Monteccasino dedicò la sua opera a Desiderio, abate cassinese, riconoscendo i grandi benefici che Riccardo di Capua e Roberto il Guiscardo avevano concesso alla sua abbazia; Guglielmo di Puglia scrisse dedicando la sua opera a Ruggero Borsa, figlio di secondo letto di Roberto il Guiscardo; mentre Goffredo Malaterra aveva ricevuto dallo stesso Ruggero di Sicilia le direttive di scrivere un testo di facile lettura. Di lui sappiamo soltanto che proveniva dalle regioni transalpine, ma che da tempo si era trasferito nel Mezzogiorno e viveva nel monastero di Sant’Agata di Catania.

Riprendiamo ora un passo tratto dal primo libro dell’opera del Malaterra che presenta un’ampia archeologia del popolo normanno.

I Normanni sono gente astutissima, non perdonano le offese ricevute, disprezzano le terre natie nella speranza di procacciarsene maggiori altrove, sono bramosi di guadagno e potere, all’occorrenza sanno fingere e dissimulare, tengono una via di mezzo tra munificenza e avarizia. I capi sono assai generosi nell’intento di mantenere una buona reputazione. Esperti nell’adulazione, si dedicano con impegno alla cura dell’eloquenza, al punto che persino i ragazzi si possono considerare quasi degli oratori: in realtà questa gente, se non è contenuta dal giogo della giustizia, diventa del tutto sfrenata. Quando le circostanze lo impongono, sopportano le fatiche, la fame, il freddo. Si dedicano alla caccia, compresa quella con il falcone; amano lo sfarzo nel vestire, oltre che nell’addobbo dei cavalli e in altri equipaggiamenti militari.

Dal loro nome deriva quello della loro terra: infatti nella lingua degli Angli la parte settentrionale è detta “north”. E poiché essi provenivano dal settentrione, furono chiamati Normanni e Normandia fu denominata la loro terra[2].

(Goffredo Malaterra, Ruggero I e Roberto il Guiscardo, a cura di V. Lo Curto, Ciolfi, Cassino 2002, pp. 29-31, trad. rivista)

Si tratta di un quadro che si può integrare sulla scorta di un famoso passaggio dell’Historia di Orderico Vitale, uno dei più acuti cronisti dei secoli centrali del Medioevo, che riferisce ampi brani di un discorso pronunciato da Guglielmo il Conquistatore sul letto di morte:

«I Normanni sono fortissimi quando retti da una guida salda e inflessibile, tutti si distinguono indomiti nelle situazioni difficili, e i più valorosi fanno di tutto per superare ogni nemico. In caso contrario si dilaniano e distruggono a vicenda: infatti bramano le rivolte, desiderano le ribellioni e sono pronti a compiere ogni nefandezza. Pertanto devono essere obbligati dal duro controllo della rettitudine e costretti lungo il sentiero della giustizia dal freno della disciplina. Se invece viene loro permesso di andare dove vogliono, come un asino selvaggio privo di giogo, essi stessi e i loro principi devono attendersi niente altro che miseria e un ignobile disordine»[3].

(Orderico Vitale, Storia ecclesiastica, VII, cap. 15, trad. personale)

La riflessione che si può ricavare da questi due passi è la marcata enfatizzazione delle qualità militari dei Normanni proposta nel secolo XI da storici mossi dall’interesse per la descrizione delle ragioni della loro affermazione (il vescovo d’Alba, Benzone nel suo Ad Heinricum imperatorem li avrebbe invece accusati di aver rovesciato il retto ordine con la violenza), una riflessione – dicevamo – costantemente accompagnata dalla teorizzazione della necessità di una guida forte che limiti la potenziale anarchia connaturata a bande di guerrieri che si aggregavano intorno alcuni capi vittoriosi. Occorre poi ricordare la “deformazione prospettica” delle fonti a nostra disposizione che devono dare ragione di un successo clamoroso come quello normanno, ma al tempo stesso porre un limite alle capacità espansive di questi stessi guerrieri, nella lucida consapevolezza dei problemi innescati da una strenuitas senza limiti, una volta definito un quadro territoriale stabile delle loro conquiste. Mi sembra opportuno sottolineare che la storiografia si pone quale punto fermo per la comprensione del passato, ma serve anche per indirizzare il presente e delineare gli esiti futuri: le testimonianze scritte sulla quale gli storici odierni lavorano necessitano, quindi, di essere decodificate tenendo presenti le priorità dell’epoca in cui furono elaborate, vale a dire gli ultimi decenni dell’XI secolo.

La conquista dell’Inghilterra

Uno degli eventi chiave dell’XI secolo fu senza dubbio rappresentato dalla conquista dell’Inghilterra da parte del duca di Normandia, Guglielmo (1027-1087), proprio in virtù di essa ricordato con l’appellativo «il Conquistatore» (a lungo i suoi avversari avrebbero preferito indicarlo come «il Bastardo»). Pochi avrebbero immaginato per lui una carriera così eccezionale: figlio naturale del duca di Normandia, Roberto I, nato dall’unione con una donna di modesta condizione sociale, Guglielmo successe al padre in giovanissima età all’indomani della morte di questi avvenuta nel corso di un pellegrinaggio a Gerusalemme (1035). Dopo aver resistito alle ribellioni dei vassalli ribelli e ai tentativi del re di Francia, Enrico I, di sottrargli parte dei territori sotto il suo controllo, Guglielmo, una volta divenuto maggiorenne, riuscì a consolidare i suoi possessi grazie anche all’alleanza con il duca di Fiandre, di cui sposò la figlia.

Giunto alla soglia di quarant’anni il duca di Normandia si trovò di fronte un’occasione irripetibile: il re d’Inghilterra, Edoardo «il Confessore», era morto nel gennaio 1066, senza lasciare eredi. Il futuro Conquistatore vantava una lontana discendenza con la moglie di Edoardo e accampò subito pretese sul trono, sostenendo che quindici anni prima il sovrano inglese gli aveva solennemente promesso la corona se fosse morto senza eredi. Inizialmente le richieste del normanno caddero nel vuoto: la maggior parte della nobiltà anglosassone elesse il conte Aroldo come sovrano d’Inghilterra. A questo punto, Guglielmo decise che si sarebbe preso con la forza quanto gli spettava: chiamò a raccolta i suoi vassalli per organizzare un esercito, diede l’ordine di costruire le navi per il trasporto delle truppe oltre Manica, sistemò le faccende interne del ducato per potersi assentare senza problemi, mandò infine una delegazione a Roma dal papa per avere la conferma della legittimità delle sue richieste sul trono inglese. Nell’estate del 1066 la flotta normanna partiva alla volta delle coste inglesi e dopo un rapido sbarco, avanzò rapidamente verso l’interno.

Lo scontro decisivo si ebbe ad Hastings, nella contea del Sussex, il 14 ottobre 1066. Aroldo, a capo degli Anglosassoni, aveva sconfitto solo tre settimane prima a Stamford Bridge un esercito norvegese. Per rispondere alla rapida invasione Aroldo marciò in tutta fretta contro le truppe normanne; il suo esercito mancava di molti reparti (soprattutto degli arcieri) ma comunque era certamente più numeroso di quello invasore. Il duro scontro di Hastings sembrò inizialmente arridere agli Anglosassoni, ma l’improvvisa morte di Aroldo – raggiunto da una freccia vagante – capovolse le sorti della battaglia e diede la vittoria a Guglielmo. Dopo aver fatto riposare i suoi uomini, il Conquistatore riprese la marcia in direzione di Londra ove arrivò verso la fine di novembre. Una volta sconfitti gli ultimi nobili che ancora resistevano poté entrare solennemente in Londra e farsi incoronare re d’Inghilterra il giorno di Natale nell’abbazia di Westminster.

La vittoria normanna rappresentò una cesura forte nella storia d’Inghilterra: Guglielmo provvide a sistemare i suoi uomini più fedeli nelle posizioni chiave del regno (ad esempio convocò un concilio nel 1070 in cui fece deporre l’arcivescovo di Canterbury, Stigando, per eleggere al suo posto il fedele Lanfranco), sostituendo i conti ribelli (le rivolte contro il suo regno si protrassero fino al 1075), e conservando al loro posto chi era disposto a collaborare. Contemporaneamente il nuovo re provvide a riorganizzare l’intero regno in modo che tutti i signori dipendessero dal sovrano e che nessuno potesse assumere un potere tale da creare problemi all’autorità centrale.

Il Domesday Book

A seguito della conquista normanna il regno d’Inghilterra cadde però sotto la minaccia del re di Danimarca, Canuto II, che reclamava per sé il trono inglese. Guglielmo il Conquistatore ordinò una stima generale del patrimonio del regno al fine di riscuotere le tasse con cui poter finanziare un esercito difensivo. Questa stima condusse alla compilazione del Domesday Book, che in anglosassone significava “Libro del Giorno del Giudizio” con riferimento al Giudizio Finale, quando Dio sarebbe sceso in terra per giudicare tutti gli uomini. La decisione di Guglielmo di far redigere questo catasto delle proprietà del regno è riportata dalla Cronaca anglosassone, una delle fonti più importanti per la storia dell’epoca:

Per la solennità del Natale (del 1085) il re si trovava a Gloucester con il suo consiglio e vi tenne la sua corte per cinque giorni (…) Dopo di che il re meditò molto e tenne lunghe discussioni con il suo consiglio su questo paese [cioè: l’Inghilterra], su come fosse occupato e da quali specie di abitanti. Quindi mandò i suoi uomini per tutta l’Inghilterra in ogni contea e li incaricò di indagare quante centinaia di famiglie fossero in ciascuna contea, quanta terra e bestiame lo stesso re possedesse nel paese, e quali rendite gli spettassero in un anno da quella contea. Inoltre fece prendere nota quanta terra possedessero i suoi arcivescovi, i suoi vescovi, i suoi abati e i suoi conti, e cosa o quanto possedessero tutti coloro che occupavano terre in Inghilterra, sia in terra che in bestiame, e quanto denaro valessero.

[Cronaca anglosassone, pp. 215-216, trad. rivista da L. Gatto, Il Medioevo nelle sue fonti, Monduzzi, Bologna 19982, p. 226]

Il passo della Cronaca anglosassone mette in chiaro l’attenzione con cui re Guglielmo, insieme con i suoi più fidati consiglieri, discusse della questione prima di ordinare l’inchiesta generale sulla cui base sarebbe scaturita la redazione del Domesday Book. Il normanno voleva conoscere il suo regno in tutta la realtà patrimoniale: da questo punto di vista la rottura istituzionale scaturita in seguito alla conquista del 1066 richiedeva un’attenta indagine che fornisse una mappa politico-patrimoniale del regno inglese, nonché un quadro generale che desse conto dei cambiamenti occorsi negli ultimi due decenni, periodo in cui una buona parte dei possedimenti fondiari appartenuti all’aristocrazia anglosassone era passata nelle mani dei fedeli di Guglielmo.

Nasceva così il primo catasto fondiario della storia europea, una fonte di vitale importanza – nonostante alcune lacune – per la comprensione dell’economia e della società dell’Inghilterra medievale, di cui fornisce un quadro ricco e approfondito, impareggiabile rispetto alle restanti aree dell’Occidente medievale.

Come si svolse l’indagine? L’unità di base fiscale della proprietà terriera cui il Domesday Book faceva riferimento era il manor (in latino «mansio»), vale a dire un villaggio, un castello, oppure una serie di proprietà distanti considerate unitariamente per ragioni amministrative. I compilatori del Domesday Book registrarono il nome del possessore e il valore di ciascun manor al tempo di re Edoardo il Confessore (morto nel 1066) e al tempo di Guglielmo il Conquistatore. Inoltre venne elencata la capacità di pagamento delle imposte, così come la registrazione di tutti i beni: strumenti di lavoro, boschi e zone incolte, bestiame. I possedimenti terrieri di ogni contea erano elencati partendo da quelli del re e, a seguire, quelli dei principali proprietari fondiari, ecclesiastici e laici (vedi la contea di Oxford qui sotto riportata), in maniera da offrire al lettore un ritratto dettagliato della struttura sociale dell’Inghilterra dell’epoca.

Sebbene si fece spesso ricorso a registri locali, il Domesday Book fu largamente compilato sulla base delle dichiarazioni fatte sotto giuramento dagli abitanti del luogo nei tribunali delle contee e nei dipartimenti minori. Per ragioni di convenienza amministrativa, l’Inghilterra fu divisa in sette circoscrizioni, ognuna delle quali controllata da una squadra di ispettori (di solito aristocratici ed ecclesiastici originari di altre regioni per evitare frodi) che accertarono il reddito delle terre e dei beni ispezionati. In un secondo momento i dati furono poi messi insieme, elaborati nella forma che oggi conosciamo e conservati presso il Tesoro regio. Il documento fu redatto in latino, la lingua ufficiale della chiesa e dell’amministrazione regia, ma spesso il testo presenta termini inglesi e vichinghi, impossibili da tradurre.

Nonostante l’enorme sforzo della macchina amministrativa regia, nel testo del Domesday Book emergono alcune discrepanze dovute sia alle diversità regionali (le contee si suddividevano in circoscrizioni minori chiamate hundreds, ma quelle settentrionali erano divise in wapentakes), ma soprattutto alla disomogeneità con cui venne condotta l’inchiesta nelle diverse circoscrizioni. Ad esempio, nella zona settima le aree di pascolo furono accuratamente registrate nell’Essex (Inghilterra sudorientale), cosa che non avvenne nel Suffolk e nel Norfolk (Inghilterra orientale) dove sono quasi del tutto assenti.

Un frammento del Domesday Book

Oxfordshire

Lista dei proprietari nella contea di Oxford

1. Re Guglielmo

2. L’arcivescovo di Canterbury

3. Il vescovo di Winchester

4. Il vescovo di Salisbury

5. Il vescovo di Exeter

6. Il vescovo di Lincoln

7. Il vescovo di Bayeux

8. Il vescovo di Lisieux

9. L’abbazia di Abingdon

10. L’abbazia di Battle

11. L’abbazia di Winchombe

12. L’abbazia di Preaux

13. La chiesa di Saint Denis (Parigi)

14. I canonici di Oxford

15. Il conte Ugo

16. Il conte di Mortain

17. Il conte di Evreux

18. Il conte Aubrey

19. Il conte Eustachio

20. Walter Giffard

21. Guglielmo figlio di Ansculfo

22. Guglielmo di Warenne

23. Guglielmo Peverel

24. Enrico di Ferrers

25. Ugo di Bolbec

26. Ugo di Ivry

27. Roberto di Stafford

(continua con l’elencazione di altri 32 proprietari)

Il re possiede:

1) BENSON. 12 hides[4] meno una virgata[5] di terra. Prima del 1066 possedeva 50 aratri. Ora possiede 8 aratri e cinque schiavi.

32 abitanti di villaggio con 29 piccoli proprietari terrieri possiedono 24 aratri. Due mulini da 40 soldi; da prati e pascoli, vivai per i pesci e foreste provengono 18 lire, 15 soldi, 5 denari all’anno; dalle decime ecclesiastiche 11 soldi; dal raccolto annuale di grano 30 lire.

La giurisdizione di quattro hundreds[6] e mezza appartengono a questo manor.

In totale esso paga 80 lire e 100 soldi all’anno.

(…)

3) KIRLTLINGTON. 11 hides. Possiede 10 aratri.

42 abitanti di villaggio con 24 piccoli proprietari terrieri e 2 schiavi possiedono 21 aratri. Due mulini da 35 soldi; da prati e pascoli e dal pascolo dei maiali e altri diritti consuetudinari 8 lire; dal raccolto annuale di grano 20 lire.

La giurisdizione di due hundreds e mezza appartengono a questo manor, meno due hides in Launton che erano lì in precedenza e che re Edoardo (il Confessore) concesse a San Pietro di Westminster e al suo figlioccio Baldovino.

In totale esso paga 52 lire all’anno in valore nominale.

4) WOOTTON. 5 hides. Possiede 4 aratri.

10 abitanti di villaggio con 111 piccoli proprietari terrieri possiedono 6 aratri. Due mulini da 10 soldi e 4 denari; da altri diritti consuetudinari 50 soldi; dal raccolto annuale di grano 40 soldi. La foresta appartiene alla riserva del re; prima del 1066 esso pagava 10 soldi.

La giurisdizione di tre hundreds appartengono a questo manor.

In totale esso paga 18 lire all’anno in valore nominale.

[Domesday Book, ed. J. Morris, vol. 14, Chichester 1978, pp. 154b-154c, traduzione personale]

Il brano qui riportato relativo alla contea di Oxford (Inghilterra centromeridionale) si può suddividere in due parti: la prima elenca tutti i proprietari che detengono possedimenti terrieri, canoni e decime nella regione interessata. L’ordine gerarchico è chiaro: il primo posto spetta a re Guglielmo, seguono gli ecclesiastici secondo il loro rango (arcivescovo, vescovo, abate, canonico), quindi i membri dell’alta aristocrazia, infine i proprietari appartenenti all’aristocrazia minore e i funzionari regi.

Nella seconda, relativa ad alcuni possedimenti regi della contea di Oxford, è invece possibile osservare da vicino la composizione del Domesday Book, la sua articolazione e le informazioni contenute: sono infatti elencati tutti i diritti e i possedimenti del proprietario in questione – in questo caso re Guglielmo – secondo un formulario ben strutturato. Prima è indicata l’estensione delle terre, poi gli abitanti (liberi, piccoli proprietari e servi) che lavorano la terra, quindi i diritti e i prelievi signorili riscossi abitualmente ogni anno. Infine è indicato il numero di circoscrizioni minori, le hundreds, comprese all’interno del villaggio e la somma totale versata al proprietario.

Anche in questo breve brano è possibile apprezzare alcune discrepanze: mentre per Benson è presentata la stima delle rendite antecedente la conquista del 1066, nelle altre due località tale dato manca. Vi sono poi casi particolari che i funzionari registrano scrupolosamente, come la donazione di due hides in Launton fatta anni addietro da re Edoardo il Confessore in favore della chiesa di San Pietro di Westminster. Davanti i nostri occhi si apre quindi un vero e proprio universo di uomini, terre, donazioni, storie, che si intrecciano e danno conto dei profondi cambiamenti intervenuti a seguito della conquista normanna, ma testimoniano anche alcune continuità istituzionali, come la suddivisione amministrativa minore imperniata sulle hundreds.

Ruggero II e il regno normanno del Mezzogiorno

I medesimi anni in cui in Italia centro-settentrionale nasceva e si affermava il movimento comunale videro nel Mezzogiorno il consolidarsi delle strutture politico-istituzionali della Sicilia normanna, inizialmente sotto l’energico governo di Ruggero I (m. 1101), cui fece seguito il giovane figlio Ruggero II che avrebbe dominato la scena politica meridionale fino alla morte (1154). I primi decenni del XII secolo furono segnati dalle continue lotte contro i baroni ribelli, che cercarono in ogni modo di ostacolare il rafforzamento dell’autorità centrale. L’occasione propizia per impossessarsi dell’intero Mezzogiorno giunse nell’estate del 1127 quando Guglielmo, duca di Puglia e cugino di Ruggero, morì a Salerno senza lasciare eredi diretti; il normanno fu abile nell’allestire in tutta fretta una flotta per dirigersi alla volta del continente, riuscendo a farsi riconoscere come duca di Puglia e Calabria, e dunque come unico signore dell’intero Mezzogiorno, dopo aver piegato con la forza i ribelli.

A questo punto la storia dei Normanni si intreccia da vicino con le vicende del Papato romano: nel 1130 infatti i cardinali si erano divisi sul nuovo papa da eleggere, spaccati dalle rivalità sorte all’interno delle due più influenti famiglie aristocratiche romane dell’epoca, i Frangipani e i Pierleoni. I primi con un colpo di mano elessero un loro seguace che prese il nome di Innocenzo II; per tutta risposta i secondi, appoggiati dalla maggioranza del collegio cardinalizio, ne designarono un secondo che assunse il nome di Anacleto II. La doppia elezione metteva, ancora una volta in evidenza, le gravi lacune nelle procedure di elezione papale stabilite nel corso dell’XI secolo. La Cristianità occidentale si venne così spaccando in due, a seconda del candidato al soglio pontificio che si appoggiava. Inizialmente, il corso degli eventi avvantaggiò Anacleto II che, appoggiandosi sui Pierleoni, riuscì a scacciare Innocenzo II da Roma, costringendolo all’esilio, ma permettendogli di far valere le proprie ragioni sia davanti il re di Francia che presso l’imperatore tedesco, grazie al decisivo appoggio di Bernardo di Chiaravalle.

In questo momento di debolezza del papato romano, Ruggero, capo indiscusso dei Normanni che sin dai tempi di Gregorio VII avevano ricoperto il ruolo di difensori dei pontefici, poté chiedere ad Anacleto il riconoscimento delle sue conquiste nel Mezzogiorno, ben sapendo che difficilmente costui avrebbe potuto negarglielo. Nel settembre del 1130 il papa e il duca si incontrarono ad Avellino e giunsero a un accordo vantaggioso per entrambi: Ruggero riconobbe Anacleto quale legittimo pontefice e questi accettò la sua elevazione a re di Sicilia, Puglia e Calabria e principe di Capua, oltre a garantirgli un’ampia indipendenza dalle ingerenze ecclesiastiche nei suoi domini. Il giorno di Natale del 1130 a Palermo di fronte tutti i vassalli del regno, gli alti ecclesiastici e i rappresentanti del popolo, Ruggero fu incoronato re e consacrato da un cardinale inviato dal papa. L’Altavilla portava così a pieno compimento un processo durato un secolo esatto (ricordiamo che risaliva al 1030 la nascita della contea di Aversa, cioè la prima concessione territoriale nel Meridione a favore di un capo normanno), sancendo nella maniera più solenne possibile la presenza normanna sullo scacchiere politico dell’Europa medievale.

Nemmeno la successiva morte di Anacleto II nel 1138 e la definitiva affermazione di Innocenzo II quale unico papa, posero fine al governo di Ruggero II. Innocenzo convocò l’anno successivo un concilio generale (il secondo lateranense) in cui furono scomunicati tutti i sostenitori del suo rivale, tra cui un posto di rilievo era occupato proprio dall’Altavilla. Subito dopo il pontefice, intransigente, si preparò allo scontro con i Normanni e arruolò un esercito mercenario per annientarne il regno. Dopo una lunga campagna di saccheggi ai danni delle terre regie condotta dalle truppe pontificie, Ruggero II, che fino a quel momento aveva adottato una tattica attendistica, colse l’attimo giusto per intrappolare gli invasori nei pressi delle rive del fiume Garigliano (situato nella regione di confine tra Lazio e Campania) nel luglio del 1139, sconfiggendoli sonoramente e catturando lo stesso Innocenzo II, costretto a più miti consigli e quindi al riconoscimento definitivo, almeno da parte papale, della legittimità della corona normanna.

Il mappamondo di Idrisi

La corte palermitana divenne nel corso del XII secolo un luogo di incontro per sapienti di ogni cultura, latina, greca ed araba. Tra questi, un posto di primo piano fu senz’altro occupato dal geografo e viaggiatore marocchino Al-Idrisi (1099–1164) che dopo numerose peregrinazioni nel Mediterraneo si stabilì nel 1139 presso la corte di Ruggero II ove visse per circa un ventennio. Sulla scorta della secolare tradizione geografica araba erede dell’insegnamento greco-ellenista, Idrisi realizzò su incarico del sovrano normanno un planisfero su lastra d’argento, ma soprattutto si occupò della redazione di un libro di geografia, in lingua araba, in cui rappresentò l’intero mondo allora conosciuto, portandolo a termine qualche anno dopo la morte di re Ruggero. Il testo del Libro di re Ruggero – questo il titolo dell’opera – di Idrisi riscosse un grande successo in tutta l’epoca medievale e venne ricopiato più volte come dimostrano i diciotto manoscritti a noi rimasti. Nel libro, Idrisi commenta la rappresentazione cartografica seguendo degli itinerari prestabiliti, come una guida turistica dei nostri tempi: fornisce accurate informazioni, spesso di prima mano, di carattere naturale, economico (indica le principali rotte commerciali), storico e religioso sui principali paesi rappresentati, presentando un quadro vivace e ricco del Mediterraneo del XII secolo (ma non solo, visto che il suo mappamondo si estende fino all’estremo Oriente) in modo da consentire al sovrano che gli aveva commissionato l’opera di farsi un’idea del mondo in cui viveva, mediante anche le annotazioni di politica, filosofia ed etnologia che si intrecciano nel testo. Perfino gli aspetti meravigliosi – come l’esistenza di creature e razze mostruose – occupano un posto nell’opera di Idrisi, anche se essi erano solitamente posti nelle zone più lontane del globo, dove la verifica dell’esperienza diretta (o libresca) diventava quasi del tutto nulla.

Basta comunque dare una rapida lettura a un breve brano del Prologo dell’opera per comprendere l’ampiezza delle ricerche compiute negli anni dal geografo musulmano presso la corte palermitana:

Descriveremo chiaramente e con precisione i mari, le contrade e i popoli che abbiamo menzionato, paese per paese, popolo per popolo, con l’aiuto di Dio – che egli sia lodato. Questi mari contengono diverse specie di pesci, di animali e cose meravigliose che descriveremo nel loro luogo, con l’aiuto di Dio – che egli sia lodato! (…)

Iniziamo dunque a descrivere i sette climi, le contrade, i popoli e le meraviglie che essi contengono. Menzioneremo i regni esistenti, le strade e le vie, le distanze in parasanghe, miglia e giornate di navigazione. Descriveremo altresì i fiumi, la profondità dei loro mari, i costumi dei suoi abitanti, i loro deserti, il tutto con chiarezza, precisione e nei minimi dettagli con zelo e la massima applicazione. In Dio è il successo, il sostegno, la forza e il potere.

(Idrisi, Libro di re Ruggero, Prologo, trad. personale)

Di grande impatto coloristico la rappresentazione cartografica proposta dal geografo musulmano, a giudicare dal più antico manoscritto dell’opera a noi pervenuto (XIV secolo), il MS. Arabe 2221 conservato a Parigi presso la Bibliothèque nationale de France: i nomi dei paesi e delle regioni sono in rosso, il mare in blu, i laghi e i fiumi solitamente in verde, le montagne sono rappresentate come ondulazioni il cui colore va dall’ocra al viola. Le città, infine, sono indicate da rotelle dorate di dimensione variabile.

La cultura normanna?

Giunti a questo punto occorre trarre un bilancio delle gesta dei Normanni e del loro impatto nei secoli centrali del Medioevo. Abbiamo seguito le loro vicende dalle lontane lande della Scandinavia fino alle terre del Mezzogiorno d’Italia, una delle vicende caratterizzò più marcatamente la geografia del potere nei secoli XI-XII, alterando in maniera significativa il corso della storia europea. Nel momento di trarre un bilancio occorre ricordare rapidamente le testimonianze qui analizzate (le pagine dei due storici Goffredo Malaterra e Orderico Vitale, il Domesday Book, il mappamondo di Idrisi), molto varie per caratteristiche e natura, ma tutte riconducibili nell’area dell’espressione culturale di impronta normanna. C’è un carattere che colpisce in tutte queste testimonianze: se per Malaterra non conosciamo l’esatta origine etnica, sappiamo che Orderico per parte materna discendeva da quegli Anglosassoni sconfitti dai Normanni, che il Domesday Book fu compilato facendo in larga parte affidamento ai funzionari anglosassoni sottomessi all’autorità di Guglielmo il Conquistatore, per non parlare del geografo musulmano Idrisi, a lungo al servizio di re Ruggero II.

Ecco, la cultura normanna ebbe successo non solo perché riuscì a sottomettere militarmente tante regioni così lontane tra loro, ma anche perché seppe mettere a frutto le doti e i pregi dei popoli da lei vinti. Una cultura certo elaborata secondo direttive funzionali agli interessi dei vertici del potere (una dimensione ineludibile per l’analisi storica), ma che seppe aprirsi alle novità, a quanto non apparteneva alla sua tradizione, per dare impulso e vigore ai regni creati. Una scelta che in seguito ne avrebbe segnato la fine, perché – come insegna l’antropologo Francesco Remotti – l’identità per essere tale deve essere sempre in bilico, soggetta a incessanti negoziazioni da parte di ogni tradizione culturale.

Un ultimo spunto conclusivo: nel cosiddetto mantello dell’incoronazione di Ruggero II (realizzato in realtà negli anni 1133-1134, ed oggi custodito al Kunsthistorisches Museum di Vienna) i due leoni, simboli del potere regio normanno, sovrastano due cammelli che si piegano ad essi. Mi sembra un’immagine molto pregnante: i leoni normanni seppero dominare i loro sottoposti, ma non fecero mai a meno del loro apporto. Non a caso, la seta pregiata del mantello era di importazione bizantina, mentre le maestranze che realizzarono l’opera appartenevano al mondo islamico. Un capolavoro, mi sia consentita l’espressione, creato dal concorso e il confluire di esperienze e uomini per il resto molto diversi.

Bibliografia di riferimento

Sui Vichinghi si può fare affidamento a numerose sintesi, alcune delle quali disponibili anche in lingua italiana come quelle di J. Brøndsted, I Vichinghi, trad. italiana, Einaudi, Torino 20012, o di E. Roesdahl, I Vichinghi, trad. italiana, Sei, Torino 1996. Il lavoro più aggiornato è però P. Bauduin, Les Vikings, PUF, Paris 2004. Un’ampia scelta di saghe nordiche in traduzione è presentata nell’antologia Antiche saghe nordiche, a cura di M. Meli, A. Mondadori, Milano 1997 (contiene le saghe di Hervor, dei Volsunghi, degli uomini delle Orcadi, di Egill e di Njàll). Un eccellente supporto alla storia vichinga è fornito dal DVD “I Vichinghi”, edito in lingua italiana nella Collana del National Geographic Channel, n. 34 (2003).

La citazione di Pohl è tratta dalla seguente raccolta di saggi: W. Pohl, Le origini etniche dell’Europa, trad. italiana, Viella, Roma 2000.

Sono disponibili numerose sintesi relative alla storia dei Normanni che abbracciano le vicende della loro espansione. Tra queste ricordiamo R. Allen Brown, Normanni. Origine e storia dei guerrieri del Nord, trad. italiana, Piemme, Casale Monferrato 1998; M. Chibnall, I Normanni. Da guerrieri a dominatori, trad. italiana, ECIG, Genova 2005. Da ultimo, F. Neveux, L’Aventure des Normands, VIIIe – XIIIe siècle, Perrin, Paris 2006. Ma l’opera più dettagliata sulla storia normanna restano ancora oggi i due volumi di F. Chalandon, Histoire de la domination normande en Italie et en Sicile, Paris 1909 (di cui esiste una trad. italiana in tre volumi, curata dall’Archeoclub d’Italia – Sede di Alife, Napoli 1999-2002, poco affidabile dal punto di vista scientifico). Un ottimo sussidio è rappresentato inoltre dal catalogo I Normanni: popolo d’Europa, 1030-1200, a cura di M. D’Onforio, Marsilio, Venezia 1994.

Relativamente alle vicende dell’insediamento normanno in Francia, l’odierno punto di riferimento è costituito dal lavoro di P. Bauduin, La première Normandie (Xe-XIe siècles). Sur les frontières de la haute Normandie: identité et construction d’une principauté, Presses universitaires de Caen, Caen 2004; ad esso occorre aggiungere L. Shopkow, History and Community. Norman Historical Writing in the Eleventh and Twelfth Centuries, The Catholic University of America Press, Washinghton D.C. 1997. Da integrare con due differenti ricostruzioni della Francia nei secoli centrali del Medioevo: J. Dunbabin, France in the Making. 843-1180, Oxford University Press, Oxford 20002; G. Duby, Il Medioevo. Da Ugo Capeto a Giovanna d’Arco. 987-1460, trad. italiana, Laterza, Roma-Bari 1993.

Molto più corposo è, naturalmente lo spazio qui dedicato alla bibliografia sulla conquista normanna del Mezzogiorno. Un buon punto di partenza è costituito dall’antologia di fonti commentata da P. Delogu, I Normanni in Italia. Cronache della conquista e del regno, Liguori, Napoli 1984, cui si affiancano la sintesi di D. Matthew, I Normanni in Italia, trad. italiana, Laterza, Roma-Bari 1997, ma soprattutto l’eccellente lavoro di G.A. Loud, The Age of Robert Guiscard: Southern Italy and Norman Conquest, Longman, Harlow 2000. Da ultimo, merita una menzione il volume AA.VV., Arabi e Normanni in Sicilia e nel Sud dell’Italia, Magnus, Udine 2008, provvisto di un apparato illustrativo-iconografico di grande efficacia visiva. Tuttavia tutte le questioni dell’insediamento normanno devono essere rilette alla luce delle relazioni raccolte nella miscellanea I caratteri originali della conquista normanna. Diversità e identità nel Mezzogiorno (1030-1130), a cura di R. Licinio – F. Violante, Dedalo, Bari 2006. Un caso specifico dell’insediamento normanno a Salerno è precisabile sulla scorta delle recenti ricerche di J. Drell, Kinship and Conquest. Family Strategies in the Principality of Salerno during the Norman Period, 1077-1194, Cornell University Press, Ithaca-London 2002.

Dal punto di vista militare, un punto fermo è costituito dalle ricerche di E. Cuozzo, «Quei maledetti normanni». Cavalieri e organizzazione militare nel Mezzogiorno normanno, Guida, Napoli 1989; E. Cuozzo, La cavalleria nel Regno normanno di Sicilia, Mephite, Atripalda (AV) 2002. Importanti spunti relativi alla vita quotidiana sono forniti da J.-M. Martin, La vita quotidiana nell’Italia meridionale al tempo dei Normanni, trad. italiana, Rizzoli, Milano 1997.

Sulla storiografia del Mezzogiorno nei secoli XI-XII ricordiamo E. D’Angelo, Storiografi e cronologi latini del Mezzogiorno normanno-svevo, Liguori, Napoli 2003, da preferire a K. Baxter Wolf, Making History. The Normans and Their Historians in Eleventh-Century Italy, University of Pennsylvania Press, Philadelphia 1995. Ancora insuperato resta comunque il saggio di O. Capitani, Motivazioni peculiari e linee costanti della cronachistica normanna dell’Italia meridionale: secc. XI-XII, «Atti della Accademia delle Scienze dell’Istituto di Bologna. Classe di Scienze Morali. Rendiconti», 65 (1976-1977) fasc. I, pp. 59-91. Sull’ambiente culturale del Mezzogiorno normanno il miglior punto di partenza è rappresentato dai saggi contenuti nella miscellanea Centri di produzione della cultura nel Mezzogiorno normanno-svevo, a cura di G. Musca, Dedalo, Bari 1997.

Il contributo dei Normanni al movimento crociato può essere riassunto sulla scorta delle relazioni presenti nella miscellanea Il Mezzogiorno normanno svevo e le crociate, a cura di G. Musca, Dedalo, Bari 2002; da vedere è ora la corposa sintesi di C. Tyerman, God’s War. A New History of The Crusades, The Belknapp Press, Cambridge 2006.

Sulle vicende che condussero all’affermazione del Regno normanno nel XII secolo, la monografia di H. Houben, Ruggero II di Sicilia. Un sovrano tra Oriente e Occidente, trad. italiana, Laterza, Roma-Bari 1999, resta imprescindibile – e superiore – rispetto all’analogo lavoro di P. Aubé, Ruggero II. Re di Sicilia, Calabria e Puglia. Un normanno nel Mediterraneo, trad. italiana, Newton & Compton, Roma 2002. Sulla corte normanna di Palermo si veda poi G.M. Cantarella, Principi e corti. L’Europa del XII secolo, Einaudi, Torino 1997.

Un utile complemento alla comprensione della cultura normanna è fornito dal Cd musicale realizzato dal gruppo Al Qantarah: Troparium de Catania. Feste e canti della Sicilia normanna, Egea Distribution, Saluzzo (CN) 2006. Chi fosse interessato all’opera di Idrisi, può invece consultare il Cd-rom, La Géographie d’Idrîsî. Un atlas du monde au XIIe siècle, a cura della Bibliothèque nationale de France, Paris 2001, che riproduce il testo originale arabo e le immagini del Ms. Arabe 2221.

Sulla conquista normanna dell’Inghilterra rimandiamo ad A. Williams, The English and the Norman Conquest, Boydell Press, Woodbridge 1995; la migliore biografia su Guglielmo il Conquistatore è quella di D. Bates, William the Conqueror, Tempus, Stroud 2004. Per un’analisi delle strutture del regno inglese si veda J. Green, The Government of England under Henry I, Cambridge University Press, Cambridge 1986.

Il riferimento conclusivo è al libro di F. Remotti, Contro l’identità, Laterza, Roma-Bari 1996 e succ. edd.

Links utili
Portale di storia dei Vichinghi
I Normanni nel Mezzogiorno e in Normandia
Centro Europeo di Studi Normanni di Ariano Irpino
Mappamondo di Idrisi
Sito web di riferimento per la storia della Normandia medievale
Arazzo di Bayeux e conquista normanna dell’Inghilterra


[1] Il paese (poco meno di 400 anime) è conosciuto oggi con il nome Hauteville-la-Guichard. Tuttavia la sua identificazione con la patria di Roberto risale al XIX secolo e non è suffragata da alcuna prova, come ricordato da F. Neveux, L’aventure des Normands, VIIIe-XIIIe siècle, Paris 2006, p. 230, nota 17.

[2] Gaufredi Malaterrae De rebus gestis Rogerii Calabriae et Siciliae Comitis et Roberti Guiscardi Ducis fratris eius, ed. E. Pontieri, Rerum Italicarum Scriptores2, V, t. 1, Bologna 1927-1928, I, cap. 3: «Est quippe gens astutissima, injuriarum ultrix, spe alias plus lucrandi patrios agros vilipendens, quaestus et dominationis avida, cuiuslibet rei simulatrix ac dissimulatrix, inter largitatem et avaritiam quoddam medium habens. Principes vero delectatione bonae famae largissimi sunt. Gens adulari sciens, eloquentiae studiis inserviens in tantum, ut etiam et ipsos pueros quasi rhetores attendas: quae quidem, nisi jugo iustitiae prematur, effrenatissima est. Laboris, inediae et algoris, ubi fortuna expetit, patiens; venationi et accipitrum exercitio inserviens; equorum caeterorumque militiae instrumentorum et vestium luxuria delectatur. Ex nomine itaque suo terrae nomen tradiderunt: north quippe anglica lingua aquilonaris plaga dicitur. Et quia ipsi ab aquilone venerant, Normanni dicti, terram etiam Normanniam appellaverunt».

[3] The Ecclesiastical History of Orderic Vitalis, ed. M. Chibnall, Oxford Medieval Texts, t. I-VI, Oxford 1969-1980, VII, cap. 15, p. 82 (con alcune modifiche nella punteggiatura): «Normanni si bono rigidoque dominatu reguntur strenuissimi sunt, et in arduis rebus invicti omnes excellunt, et cunctis hostibus fortiores superare contendunt. Alioquin sese vicissim dilaniant atque consumunt. Rebelliones enim cupiunt, seditiones appetunt, et ad omne nefas prompti sunt. Rectitudinis igitur forti censura coherceantur, et freno disciplinae per tramitem iusticiae gradi compellantur. Si vero ad libitum suum sine iugo ut indomitus onager ire permittuntur, ipsi et principes eorum penuria et confusione probrosa operientur».

[4] Hide: unità d’estensione fondiaria inglese equivalente a 48 ettari.

[5] Virgata: estensione fondiaria equivalente a un quarto di hide (quindi 12 ettari).

[6] Hundreds: termine che indicava una suddivisione, dall’estensione molto variabile, di una contea. Nell’Inghilterra settentrionale si utilizzava al suo posto l’espressione wapentakes.

Luigi Russo

Luigi Russo, nato nel 1971 a Piano di Sorrento, laureato in Storia medievale, ha svolto approfonditi studi sui normanni nel Mediterraneo nei secoli XI-XII. Presso l’Università degli Studi di Torino, ha discusso la tesi Ricerche sui cronisti della «prima Crociata». Attualmente è collaboratore di “Studi Medievali” , nonché revisore scientifico della “Garzantina” di Storia Medievale. È infine responsabile dell’aggiornamento della bibliografia normanna del sito del Centro Europeo di Studi Normanni di Ariano Irpino.

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