
Mon semblable, mon frère. Il centauro romanico di Francesco Venturini
Problematicissima figura quella del centauro, nella mitologia non meno che nella scultura romanica. Violenza bestiale, archetipiche allusioni a pratiche sentimentali eterodosse, furia devastatrice dell’umana ragione, tutto ciò in capo a lui confluisce come fiume vorticoso con ogni suo detrito. E’ però certo che il capostipite Chirone, figlio del Tempo, e perciò nipote della Terra e del Cielo, e in conclusione Dio egli stesso, si vide affidare l’educazione di Asclepio figlio di Apollo, di Achille e di tanti altri famosi personaggi, e che la fiducia accordatagli dai padri non meno famosi di quei figli costituisce attestato di sovrumana sapienza.
Il Cristianesimo, manco a dirlo, complica una lettura già crittografica, per l’attenzione pervasiva del Demonio che ad ogni male sovrintende, mancassero altre cause. Puntuale, Dante rinchiude i centauri nell’inferno, ma attenzione: non come peccatori violenti bensì come guardiani di quei peccatori, strumenti, quindi, della giustizia divina. Strumenti assennati e docili, tanto che Chirone, sempre al comando, ordina a Nesso, pratico di sangue per vicende sue pregresse, che trasporti il sommo poeta, senza cuocergli i piedi, oltre il fiume cruento e ribollente. Servizievole come nessun tassista. E questo è quanto, nelle parole del massimo solutore di enigmi teologici e affini.
Neppure soccorre il celebrato Liber monstrorum, di quattro secoli precedente (a un dipresso), che si limita alla scheda anatomica degli Ippocentauri, anatomicamente distinguendoli dagli ancor più enigmatici Onocentauri, che il perplesso scrivente non vide mai, e si intenda: in pietra oppure a fresco.
01) Chirone erudisce il giovane Achille. Ceramica attica. Notare il coniglio, o lepre che sia. Non si crederà, eppure costituisce un problema iconologico non secondario. (Da web)
02) Il centauro, insieme alla sirena, è una delle figure più diffuse nella scultura romanica. Prova ne sia che questo si trova sulla facciata della chiesa di Santa Maria del Tiglio a Gravedona, sul lago di Como, che è luogo avaro assai (tutto il lago) di sculture di quell’epoca. I Maestri Comacini erano meglio apprezzati altrove. Fino in Puglia, forse. Questo saetta un cervo. Normale attività venatoria, moralmente non censurabile (allora), se non fosse che il cervo, a sua volta, è latore di impegnativi simboli, fin dalle sospirose istanza del salmo 41:
“Come la cerva anela ai corsi d’acqua,
così l’anima mia anela a te, o Dio.”
Altro non serviva, perché il cervo divenisse metafora dell’anima cristiana, tingendo conseguentemente di demoniaco il centauro che lo trafigge. Non stiamo a dire del cervo di Sant’Eustachio, né di quello crucifero di Sant’Uberto. Ma se le cose fossero così facili avremmo già finito.
03) Chiesa di San Moderanno a Berceto. Questo invece se la prende con un cavaliere. Sarebbe quindi da aggiungere al novero dei malvagi, ove si desse per certo che il cavaliere in armi e corazza sia buono. Ipotesi scontata nella letteratura epica, ma non nella realtà storica. Quegli eroi avevano l’abitudine di taglieggiare i plebei, di proibire loro l’attività venatoria e di farne strame se protestavano. I lapicidi erano plebei, e quindi trascurati nell’acconciatura e irsuti come questo centauro, possiamo presumere. Il problema del sistema pilifero plebeo, a differenza di altri problemi, è iconologicamente secondario.
04) Quest’altro (centauro), su un capitello incongruamente dorato del Duomo di Parma, caccia una belva, senza dar fastidio al cavaliere, che però lo infilza con la lancia. Conflitto per diritti di caccia? Ostilità pregiudiziale in quanto morale? Da notare, in ogni caso, la lunga chioma, problema iconologico questa volta non secondario, non essendo mai plebeo il centauro. Potrebbe essere metafora della fiamma, cioè della furia che anima il mostro.
05) Così preso dai problemi tricologici da aver buttato arco e saetta. Bruciato dal peccaminoso fuoco dell’anima? Angosciato dalla lunga attesa degli economici tosacani cinesi? (Lucca, San Michele)
06) Questo invece dei capelli si tira i serpenti. Qualche connessione con il tema meduseo? Il serpente, e questo è uno dei pochissimi temi non controversi, rappresenta il male. Il centauro ne è attaccato o se li coccola? Malvagio o innocente vittima? La possibilità di azzeccarla, al 50%, è molto più alta che in altri casi. (Ancona, Santa Maria della Piazza)
07) Come si diceva: la questione può essere molto più incerta. Il centauro si appresta a scagliare una freccia contro un umanoide dai denti da squalo che gli azzanna una natica. Uno dei due è malvagio, e quindi l’altro è buono? Chi? Ma soprattutto, che significa l’omino esibizionista che tira la lunga chioma del centauro, che forse è simbolo del fuoco? E perché l’omino esibisce? Il centauro lo protegge dallo squalo? Chiunque se la senta di azzardare un’ipotesi vince un premio. (Parma, chiesa della Santa Croce)
08) Nell’abbazia di Santa Maria a Vezzolano il centauro sembra avere la peggio. La freccia, se c’era, è andata a vuoto. Non così l’attrezzo dell’umano, attrezzo forse meno nobile della lancia, a giudicare dagli abiti contadineschi. Qual è il cattivo, considerando che i contadini, all’epoca, erano più o meno assimilati alle bestie e che i cavalieri come bestie li trattavano?
09) E quando se la prendono fra di loro come la mettiamo? E’ la “matta bestialitade”? E/o un’allusione alle sanguinose rivalità comunali? (Parma, Battistero)
10) Certo non è matta né bestiale la deliziosa soave centaura dagli occhi blu (Cattedrale di Trani). Se tutti i centauri romanici vestissero ancora i colori coi quali furono creati, forse potremmo elucubrare sul loro carattere con qualche più solido fondamento. Certo però, possiamo immaginare contadini e pescatori, e qualche prete, i quali, andando alla messa, lasciavano cadere furtive occhiate, deprecando di non essere un po’ cavalli. Forse qualche vegano può odiarla per via del povero coniglio (o lepre), che pare, si diceva, icona connessa al centauro, fin dalle origini. Altro premio per tutte le ipotesi plausibili (che dovessero pur mangiare è troppo facile).
11) Sacra di San Michele. Anche questo regge una preda. La cosa strana è che dovrebbe trattarsi del segno astrologico del sagittario, essendo inserito nella stessa cornice (sopra si vede l’acquario), epperò arco e sagitta hanno lasciato il posto a una specie di mazza, o forse di fronda, come quella del Chirone attico, dalla quale penzola il coniglio. Qui come a Trani, la tradizione iconografica che rimanda agli antichi è più forte delle esigenze didattiche cristiane? Però, ora che ci penso: la lepre (rappresentata in fuga dai cani) può essere il cristiano pavido e lascivo. Qui, e a Trani, la situazione non è canonica. Altra scena, altro mistero?
12) Sulla facciata del Duomo di Fornovo il centauro, debitamente equipaggiato con arco freccia e fornimenti, porta in groppa un uomo, che a sua volta porta qualcosa. Un servizio di trasporto con scorta armata, come quello fornito a Dante? Una esplicitazione della simbiosi uomo-bestia insita nel dimorfismo anatomico? Non sarebbe strano. Il centauro, nel medio evo come nel mondo, può essere simbolo della ferinità che contamina l’essere razionale e spirituale, ma anche dell’armonica fusione dei contrari. Simbolo dell’essere umano che è corpo e anima, pulsioni e ragione. Fino a esiti che definire sorprendenti non è troppo.
13) Museo della cattedrale di Reggio Emilia. Mosaico. Centauro che uccide un drago. Ecco: siamo a quegli esiti. Il drago è il male. Nella cultura ebraico-cristiana, dove si fonde col serpente, e in quella pagana anglosassone, nei cui poemi combatte gli eroi e talvolta li uccide, senza dimenticare il vello d’oro. E principalmente, per quanto ci riguarda, nelle chiese romaniche. Per una volta procediamo sul sicuro, tanto da poter concludere che se il centauro talvolta uccide il male, non può sempre essere il male, o un male. Ci spingiamo anche più lontano, se pazientate per un altro minuto.
14) Pieve di Santa Maria a Diecimo. Il leone romanico che atterra il drago, subendo un morso (di solito è in coppia con un leone che atterra un uomo e subisce una ferita di spada), è simbolo della fede, o del Cristo stesso, che sconfigge il male e ne libera l’umanità (l’altro leone sconfigge l’eresia, in entrambi i casi a prezzo del proprio sangue). Si vedano anche gli esemplari della pieve di San Giorgio a Brancoli, del duomo di Barga, della cattedrale di Modena, e via elencando. Anche questa lettura è univoca, se pure non ci autorizza ad azzardare interpretazioni perfino più sorprendenti di quelle sin qui avanzate con dubitosa prudenza. Eppure…
15) Una corrente monastica di pensiero, serpeggiante sotto traccia nel Duecento e serpentescamente prudente, vedeva nel centauro, niente meno, un simbolo cristologico. Perfetta unione di umano e divino, che è poi il significato della duplice perfezione nel disegno della mandorla che inscrive il Cristo giudice. Perché adunque stupirsi se un centauro fa capolino accanto al ginocchio destro (la parte dei beati) del Cristo giottesco agli Scrovegni? (da web).
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Nato nel 1950. Per molti lunghi anni docente di materie letterarie in un liceo. Ora dedito a interessi vari e per la maggior parte innocenti, come l’esplorazione di chiese romaniche, delle quali parlo ai miei coetanei nelle Unitre.
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