Il culto di Agata, vergine e martire, nel Medioevo


di Maria Stelladoro

Nel caso di  Agata,  vergine e martire, sotto Decio 251 d. C., anche se c’è chi la vuole martirizzata sotto Diocleziano (sec. III-IV), è molto stretto il rapporto sia tra agiografia e drammaturgia della santità sia fra iconografia e drammaturgia[1].

Il nome di Agata, ricorre:

· associato a quello di Lucia,  nel Martirologio  Geronimiano   in  varie  date : 5 febbraio, 12  e 25 luglio, 5 ottobre, 6 dicembre;

· inserito nel Canone della messa di Roma, Milano e Ravenna già dal sec. V;

· inserito nel Martirologio della Chiesa di Cartagine, già dal sec. VI.

Pare che il testo liturgico più antico su Agata sia quello vergato da Ambrogio[2]. Agata è pure menzionata, a partire dal sec. V, nel Sacramentario di papa Gelasio I, in quello del papa Gregorio Magno, che fu in vigore fino a quando non lo riformò prima Pio V [Antonio Ghislieri] e poi il Concilio Vaticano II. Pare, inoltre, che l’Ufficio Romano delle Ore sia nato a Catania e che successivamente sia stato importato a Roma, dove  papa Gregorio Magno lo avrebbe poi rimaneggiato. I formulari liturgici mozarabici di Isidoro derivano, invece, dalla liturgia orientale dei Goti. Quando la Sicilia passò sotto il controllo di Costantinopoli, probabilmente molti furono i formulari liturgici greci in uso pure a Catania; così anche l’innografia greca in onore di Agata, a fini liturgici, dovette essere consistente così come le testimonianze nei martirologi e nei rituali.

Il culto di Agata si è precocemente irradiato dal Mediterraneo e velocemente diffuso sia in Oriente sia in Occidente. Dalla Sicilia e da Malta, come si diceva, il culto per la vergine e martire Agata raggiunse presto Roma per rinvigorire i complessi rapporti tra Sede Apostolica e Sicilia tanto che presto papa Simmaco sulla via Aurelia fece edificare una basilica che dedicò alla vergine e martire; papa Gregorio Magno ne fece erigere un’altra nella Suburra intitolandola ad Agata. Nel Medioevo la devozione a Roma per la vergine Agata si rafforzò ancora a tal punto che le furono innalzate e intitolate chiese in varie parti della Capitale: sul Celio, sul Monte Mario e in Trastevere. 

Già gli atti stessi del martirio, nella parte conclusiva, offrono importanti riscontri sulla diffusione del culto di Agata, che in effetti, è molto precoce: mentre si svolgevano con ogni onore i tipici riti della tumulazione del corpo della santa vergine e martire, apparve un giovane, seguìto da cneto fanciulli, che depose sul suo sepolcro la famosa scritta: 

«Mens sancta spontaneus honor Deo et patriae liberatio»,

cioè

«Mente santa, spontaneo onore a Dio e liberazione della patria».

Gli atti del martirio costituiscono, quindi, un indubbio segno della precocità dell’irradiarsi del culto della vergine e martire. Infatti, già allora, i testimoni oculari di questa visione non esitarono a divulgarla subito, tanto da indurre molti -sia cristiani sia pagani- a venerare il sepolcro della giovane martire anche in pellegrinaggi nel luogo che ne custodiva le preziose reliquie[3].

Anche le testimonianze archeologiche, oltre agli atti martiriali, sembrano attestare una  diffusione immediata del culto per la martire da Catania nei centri abitati limitrofi, ma anche nella Sicilia occidentale: è in latino un’epigrafe risalente al sec, IV, rinvenuta a Catania: essa offre un’interessante notizia relativa ad una bambina, di nome Iulia Florentina, che, morta in tenerissima età, ad appena diciotto mesi a Hybla, fu battezzata proprio in punto di morte e tumulata in prossimità delle tombe dei martiri; è pure in greco un’epigrafe rinvenuta ad Ustica e coeva alla precedente: essa offre notizie della commemorazione di una donna di nome Lucifera, morta proprio nel giorno della ricorrenza della vergine e martire Agata. Queste due testimonianze epigrafiche sembrano suffragate anche dagli atti greci del martirio di Lucia, vergine e martire di Siracusa[4], martirizzata 53 anni dopo Agata, durante la persecuzione di Diocleziano, nel 304 (lo stesso anno in cui fu martirizzato pure Euplo/Euplio, compatrono di Catania assieme ad Agata): tutte comprovano la consuetudine dei pellegrinaggi nella tomba di Agata sin dall’antichità. La giovane Lucia si era recata da Siracusa in pellegrinaggio a Catania per implorare sul sepolcro della martire Agata la guarigione della madre, affetta da un inarrestabile flusso di sangue. Si tramanda che Agata, apparsa in sogno alla vergine Lucia, mentre da un lato la rassicurava dell’esaudimento della sua supplica, dall’altro, invece, le prediceva il suo futuro martirio. 

Anche a Roma il culto della martire si diffuse rapidamente: già nel sec. V, papa Gelasio I attesta l’esistenza di una basilica a Roma dedicata a S. Agata; papa Simmaco fonda a Roma una chiesa intestata a S. Agata; il vescovo Giovanni Angeloptes attesta a Ravenna l’esistenza di una basilica intestata  alla vergine e martire. Più tardi, il generale Ricimero, durante il suo combattimento in Sicilia contro l’esercito di Genserico (metà sec. V), venne a conoscenza della fama di Agata, così, quando fece ritorno nell’ Italia settentrionale, volle intitolare a Sant’Agata dei Goti l’antica città sannita di Saticola; inoltre a Roma intestò pure una basilica a S. Agata.

Nella metà del sec. VI Agata la si riscontra in Istria, nei mosaici della basilica di Parenzo e, più tardi, anche a Ravenna, nei mosaici di S. Apollinare Nuovo.  Sotto Gregorio Magno il suo culto continuò a propagarsi inesorabilmente, tanto che a Roma il papa le dedicò la basilica di s. Agata nella Suburra, che prima era ariana, inoltre, le fece consacrare a Palermo il monastero latino Lucuscanum che fu cointestato a S. Agata e S. Massimo, incaricò pure il vescovo di Sorrento di riporre le sue reliquie a Capri, precisamente nel monastero di S. Stefano.

Il 5 febbraio di ogni anno si assisteva a Costantinopoli, in una delle due chiese dedicate alla vergine e martire Agata, come si diceva, al miracolo dell’olio traboccante dalla lampada. Tale prodigioso evento è conosciuto anche dalla tradizione occidentale: pure a Roma, infatti, nella chiesa di S. Agata in Suburra, dedicatale da Gregorio Magno, le lampade si accesero miracolosamente durante la cerimonia di ridedicazione alla vergine e martire della basilica che, una volta, era stata ariana. Questo episodio, come abbiamo visto, è esposto nel celebre encomio pronunziato per la festa della santa da Metodio di Siracusa, divenuto patriarca di Costantinopoli durante il periodo iconoclasta.

Fin dal Medioevo Agata, vergine e martire, fu venerata non solo in Sicilia e in Italia (Milano, Piemonte, S. Marino) ma anche in Francia, presso popolazioni bizantine, africane, germaniche e romanze fino alla lontana Scandinavia. Tale diffusione sembra dovuta sia a missionari romani presso popolazioni longobarde dell’Italia settentrionale, sia alla presenza del suo nome nel Martirologio Geronimiano e all’introduzione del suo nome nel canone della messa accanto a quello di un’altra illustre martire di Sicilia: Lucia di Siracusa. 

Nel periodo islamico il culto di Agata subisce, tuttavia, un marcato affievolimento anche in considerazione del trasferimento delle sue reliquie da Catania a Costantinopoli, nel 1040, ad opera del generale bizantino Giorgio Maniace. Infatti, il sepolcro vuoto della martire non ne alimentò più il culto, venendo meno proprio la consuetudine dei pellegrinaggi.  Ruggero il Normanno si trovò di fronte a popoli di lingue e culture diverse: greci, arabi, ebrei, amalfitani, ecc.; non solo, ma i cristiani stessi erano divisi in tre riti: arabo, bizantino, latino.  Vista la situazione, il suo progetto mirava al ripristino del cristianesimo e del rito latino, e, a tale fine, fondò a Catania un’abbazia benedettina, dedicata a S. Agata, che fece reggere dal vescovo bretone Ansgerio (1092), affidandogli pure il governo della città.  Quindi, nelle mani di una sola persona, appositamente designata da Ruggero, coesistevano tre tipi di autorità: civile, episcopale e monastica. Fu importante nel periodo normanno il ritorno delle reliquie di Agata da Costantinopoli a Catania (1126, cioè 86 anni dopo), che ne fece rifiorire il culto alimentando nuovamente i pellegrinaggi. Stando alla testimonianza del vescovo normanno Maurizio, dopo il trafugamento delle reliquie, perpetrato a Costantinopoli dai soldati Gisliberto e Goselino, esse furono traslate al castello di Aci e poi nella Cattedrale di Catania[5]. Ma, come spiegare i disastrosi eventi (terremoti ed eruzioni) che seminarono distruzione e morte, malgrado le suppliche alla santa? A proposito dei disastrosi eventi del terremoto del 4 febbraio 1169, che provocò la morte di circa quindicimila persone e di quello ancora più devastante del 1693 e, a proposito delle grandi eruzioni dell’Etna del 1669, nel corso delle quali  neppure il velo della martire riuscì ad arrestare l’impetuoso fiume di fuoco, si è parlato di insensibilità della martire a causa dei gravi misfatti del popolo di Catania. Invece,  risultarono prodigiosamente efficaci le suppliche dei devoti, che portarono alla cessazione delle eruzioni dell’Etna, rispettivamente del 1444 (processione guidata dal beato Geremia) e del 1886 (durante l’eruzione che minacciava di distruggere il comune di Nicolosi, l’arcivescovo Dusmet invocò il patrocinio della santa); la fine della peste rispettivamente del 1576 (quando le reliquie della santa furono portate nell’ospedale della città, la peste cessò) e del 1743 (quando una statua della santa fu posta su una stele, all’ingresso della città, cioè nell’attuale piazza dei Martiri, la città fu liberata miracolosamente dalla peste).

Nella città di Catania, un tempo, si celebravano tre ricorrenze, in onore della vergine e martire Agata: 5 febbraio, che era la ricorrenza del suo martirio e anche il suo dies natalis; 17 agosto, che era la ricorrenza della traslazione delle reliquie a Catania dopo essere state trafugate a Costantinopoli (introdotta nel 1126); 17 giugno, che era la ricorrenza della cessazione della peste del 1576. A tutt’oggi, quest’ultima non è più celebrata. 

Vari sono i miracoli attribuiti dalla pia devozione popolare alla santa sia a beneficio degli abitanti di Catania, sia beneficio della stessa città: avrebbe salvato, come abbiamo detto, più volte la città  dalla lava dell’Etna, dall’assedio di varie popolazioni nemiche nel corso dei secoli.

Oltre che dell’arcidiocesi di Catania, Agata è protettrice anche della diocesi di Gerace in Calabria, dell’Isola di Malta e della Repubblica di S. Marino. Varie categorie di persone la invocano e ogni anno durante la sua festa locale le consacrano  dieci candelore (cioè enormi ceri barocchi scolpiti su legno zecchinato) : gioellieri, tessitrici, fonditori di campane, ottonai, balie, puerpere, ecc. Ogni candelora poggia su una solida impalcatura di legno rassomigliante ad una torricella e in ogni scompartimento sono scolpiti, da notevoli artigiani, gli episodi più significativi del martirio della santa. Anticamente le donne andavano in processione con il volto coperto da un velo in ricordo della pudicizia della santa. Sia questa, sia anche molte antiche usanze, fra le quali la corsa dei cavalli berberi, sono ormai in disuso.

È invocata, come si diceva, contro eventi calamitosi di notevole entità: terremoti, eruzioni e incendi.


[1]Sul problema si rimanda a M. Stelladoro, Agata la martire, Milano, Jaca Book 2005 (Donne D’Oriente e D’Occidente 16),  pp. 93 ss.

[2] Cfr. A. Longhitano,  Il culto di s. Agata, in V. Peri (a cura di), Agata la santa di Catania, Gorle, 1996, pp. 67-125. Al riguardo anche Stelladoro, Agata,  cit.

[3] Sull’importanza delle reliquie per la pia devozione popolare si rimanda al nostro recente contributo: M. Stelladoro, Significato, ruolo, potere e culto delle reliquie, in Reliques et sainteté dans l’espace médiéval.  Pecia. Ressources  en médiévistique, 8/11, Saint Denis 2005, pp. 65-87. Sulla duplice traslazione delle reliquie di Agata (da Catania a Costantinopoli e poi da Costantinopoli a Catania) si rimanda all’apposito capitolo in Stelladoro, Agata.

[4] Su Lucia, vergine e martire, rimandiamo ad un nostro contributo di prossima pubblicazione.

[5] Sulla duplice traslazione delle reliquie di Agata da Catania a Costantinopoli e ritorno, si rimanda all’apposito capitolo in Stelladoro, Agata,  pp. 71 ss. (con bibliografia)

Maria Stelladoro

Maria Stelladoro è docente ordinario di lettere classiche e specialista in paleografia e codicologia greca presso la Scuola Vaticana di Paleografia, Diplomatistica e Archivistica. Ha pure conseguito un perfezionamento in Studi Patristici e Tardo Antichi presso l’Istituto Patristico Augustiniano della Pontificia Università Lateranense e due perfezionamenti in Paleografia e Codicologia Greca e titolo equipollente al dottorato di ricerca.

Ha pubblicato saggi di agiografica siciliana greco-latina e di paleografia greco-latina su riviste specializzate (Bollettino della Badia Greca di Grottaferrata, Analecta Bollandiana di Bruxelles, Codices Manuscripti di Vienna, Hagiographica del SISMEL, Studi sull’Oriente Cristiano) e ha partecipato a Convegni Internazionali i cui Atti sono stati pubblicati in Studia Ephemeridis Augustinianum di Roma) e a progetti di ricerche pubblicate in Raccolta di Studi Internazionali su Pecia Resourcess en Médiévistiques a Saint-Denis.

Socio ordinario dell’Associazione Italiana per lo Studio dei Santi, dei Culti e dell’Agiografia promossa dal Dipartimento di Studi Storici, Geografici e Antropologici della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Roma Tre.

Di recente ha pubblicato la monografia Agata. La martire. Dalla tradizione greca manoscritta, Milano, Jaka Book, 2005.


Maria Stelladoro, Agata. La Martire, Milano, Jaca Book, 2005 (Donne D’Oriente e D’Occidente 16. Collana diretta da Gaetano Passarelli), in brossura, pp. 128, euro 14,00.
La tradizione fa di Agata, vergine e martire, una santa siciliana martirizzata nel sec. III d.C., cioè quello delle apostasie e delle persecuzioni estese a tutto l’impero e precisamente durante le persecuzioni di Decio, anche se Adelmo e Beda la collocano nel sec. IV, cioè sotto Diocleziano. Agata è una delle figure della santità femminile in Sicilia nei primi secoli del cristianesimo e, come Lucia, Rosalia, Ninfa, Oliva, pare attestare nell’Isola la prevalenza della santità femminile su quella maschile, per varie ragioni: storiche, antropologiche e psicologiche. Nel volume si fa riferimento alla ripresa del tessuto mitico pagano in connubio con il cristianesimo locale, considerando Agata una risemantizzazione cristiana di antichi culti pagani locali: ad esempio, le Veneri, il culto di Iside, di Demetra, di Persefone-Kore. Tardiva è la redazione degli atti greci del martirio di Agata, che sarebbe stato riscritto (forse da altri più antichi?) all’epoca della dominazione bizantina in Sicilia da un anonimo, che lo avrebbe rielaborato secondo l’uso dell’amplificatio. Degli atti greci del martirio vengono qui pubblicati: il racconto, la dimensione storica e quella narrativa; vengono altresì elencati i codici manoscritti fino ad ora rinvenuti, di cui è stata data una libera interpretazione, le principali edizioni agatine in latino e in greco e, per amore di completezza, la tradizione agatina in greco. Nell’ambito della storiografia locale è dedicato un excursus alla duplice traslazione (prima a Costantinopoli e poi a Catania) delle reliquie della martire e alla diffusione del culto.

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