
Il furto della Corona Ferrea di Valeriana Maspero
Forse non tutti sanno che la corona ferrea è stata rubata. No, non al presente… successe circa settecento anni fa e per poco non andò perduta per sempre. Vengo al fatto.
Al tempo della cattività avignonese, i Visconti erano stati scomunicati da Giovanni XXII come eretici e ribelli, e il papa aveva bandito una crociata contro di loro affidandola al comando del vescovo Bertrando del Poggetto, che arrivato in Lombardia li fronteggiava in armi per cacciarli da Milano. La vicina Monza, occupata militarmente dai crociati, era di continuo vessata da requisizioni, epidemie, omicidi, saccheggi e sacrilegi. Così nell’estate del 1324 l’arciprete Lombardo della Torre aveva deciso di mettere al sicuro la corona del ferro, perché come simbolo sacroimperiale era contesa da tutte le fazioni in lotta: i ghibellini fedeli all’imperatore e quelli che la volevano per controllarlo, i guelfi che la ritenevano possesso della chiesa e quelli che volevano sottrarla all’impero. Il della Torre ordinò di nasconderla – insieme al tesoro che comprendeva decine di altri oggetti preziosi – in un luogo segreto. Per timore che, magari sotto tortura, il sito fosse rivelato, diede questo compito a quattro canonici che l’indomani sarebbero partiti da Monza, facendo loro giurare di non rivelare il nascondiglio se non in punto di morte – e a persona di chiesa – perché il tesoro non venisse perso per sempre.
Avvenne però nell’inverno successivo, a Piacenza, uno dei diaconi, tale Aichino da Vercelli, si ammalò e, credendosi in punto di morte, rivelò in confessione il nascondiglio al vescovo Aicardo Antimiani, che era stato designato dal papa alla sede episcopale di Milano, ma non poteva entrarci per via dei Visconti. L’Antimiani trasmise subito l’informazione a Bertrando del Poggetto, il quale incaricò il suo camerlengo Emerico di stanza a Monza di recuperarlo. E quando poco dopo i crociati – sconfitti da Galeazzo Visconti nella battaglia decisiva di Vaprio d’Adda – lasciarono Monza per tornare ad Avignone, portarono via il tesoro. E così la corona del ferro arrivò presso il papa Giovanni XXII, il quale dichiarò che l’avrebbe trattenuta presso di sé fino a tempi più sicuri, per proteggerla.
Ma la corona, lungi dall’essere più al sicuro ad Avignone, subì in questa città ciò che nemmeno negli episodi più violenti della lotta tra le opposte fazioni in Italia era accaduto.
Giovanni XXII aveva affidato la custodia del tesoro a sette canonici monzesi che facevano parte della sua corte in terra francese. Era conservato in un forziere nella sacrestia della cappella maggiore della cittadella papale, insieme a un documento notarile che conteneva tutti i dati della corona – il peso, il numero delle gemme preziose – e degli altri oggetti, nonché la promessa scritta che a tempo opportuno tutto sarebbe stato restituito.
Un mese dopo però, un malvivente venuto a sapere cosa si custodiva nella chiesa, si fece assumere come custode e una notte, con tutto comodo, si mise all’opera.
Così racconta il fatto Bonincontro Morigia nel suo Chronicon modoetiense del 1350 ca: aperta la porta della sacrestia, il malvivente scassinò le serrature della cassa e rubò il suo contenuto. Per poterlo trasportare in modo più sicuro, costui mascherò con la pece gli oggetti d’oro, li mise in un sacco e poi se ne uscì con la refurtiva. Si diresse verso il ponte sul Rodano, volendo passare il confine tra il castello papale e il territorio francese. Ma gli parve che ci fossero sul ponte levatoio delle guardie armate e pensò allora di tornare indietro e passare da un’altra porta del complesso. Ma di nuovo ebbe una visione simile e così gli accadde a tutte le porte della cittadella da cui voleva uscire. Tornato sui suoi passi, si fermò a riflettere e decise che avrebbe venduto quello che poteva nella rocca e se ne sarebbe andato con i soli denari. Portò dunque una parte degli oggetti all’orefice Vanni da Firenze, che aveva aperto il suo negozio nella rocca e glieli offrì. Dopo aver visto la merce, concordato il prezzo e pesato gli oggetti, l’orafo fiorentino gli chiese se aveva altre cose. Alla risposta affermativa del ladro, gli disse: «Portami anche il resto e ti pagherò tutto insieme». Ma gli stava tendendo un tranello, perché lui sapeva che ad Avignone era stato portato il tesoro di Monza e ne aveva riconosciuto dei pezzi. Chiese dunque al ladro di portare il resto della refurtiva quel giorno dopo il tramonto. E senza esitare si recò subito dal papa e benché fosse proibito, entrò fino alla porta della sua camera e bussando forte gridava: «Ho un segreto da rivelare al Santo Padre!» Sentendo queste parole, il papa ordinò che fosse introdotto alla sua presenza e l’orefice allora gli rivelò che il tesoro conservato nella cappella era stato rubato. E raccontò per filo e per segno ciò che quel malvagio ladro aveva fatto. Immediatamente il pontefice mandò a chiamare il preposto della cappella maggiore per verificare il fatto e quello, dopo aver controllato, tornò a riferire che la cassa era stata trovata aperta e vuota. Il papa minacciò lui e i confratelli che non avevano sorvegliato il forziere, poi ordinò di mandare rapidamente il maggior numero di servi armati al negozio dell’orefice. A quest’ultimo ordinò di restarvi ad aspettare il ladro e di segnalarlo ai servitori, che lo prendessero per portarlo in tribunale. Così venne fatto. Davanti al giudice, il ladro venne sottoposto a tortura e confessò tutto ciò che aveva fatto. Dopo essere stato condannato, il ladro venne trascinato per tutta la rocca legato alla coda di un cavallo e infine venne sospeso per il collo sulla torre più alta, dove avvenivano le esecuzioni, a monito dei criminali.

La corona, insieme al tesoro, sarebbe tornata a Monza solo vent’anni dopo, nel 1245, quando il papa Clemente VII perdonò i Visconti, grazie alle suppliche dell’arcivescovo Giovanni Visconti. Da allora, il 24 giugno a Monza è la festa del ritorno della corona ferrea. In quell’occasione i pezzi del tesoro vennero tutti ripuliti e nella corona venne inserito il famoso cerchio interno poi creduto fatto col ferro del chiodo della croce di Cristo. Ma questa è un’altra storia.
(da Memorie di una millenaria, la corona ferrea racconta, Libraccio editore, Milano, 2017)
Laureata in storia e filosofia, ex docente, pubblicista, autrice di testi scolastici, ha scritto testi di storia e narrativa. Fa parte di associazioni culturali e tiene incontri e conferenze per promuovere la conoscenza della storia della corona ferrea e del periodo medievale in Lombardia. Tra le pubblicazioni: Percorsi visivi, corso di educazione artistica, Ghisetti&Corvi, Milano, 2001, Homo, corso di storia, Immedia, Milano, 2004, La corona ferrea, storia del più celebre simbolo del potere in Europa, Vittone, Monza, 2004/2008, Il gioco della corona ferrea, Immedia, Milano, 2005, Bonincontro e il Chronicon modoetiense, EiP, 2010, Geostoria della civiltà lombarda, Mursia, Milano, 2013, Il ghibellino di Modoezia, Libraccioeditore, Milano 2014, Memorie di una millenaria, Libraccioeditore, Milano, 2016.
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