Il Giudizio Universale
Giotto e Michelangelo: una differente interpretazione iconologica di Filippo Basilico
Il Giudizio Universale nelle Sacre Scritture
Questo Gesù che è stato tolto da voi ed assunto dal cielo, verrà nella medesima maniera che l’avete veduto andare in cielo.
Da quel tempo sino a oggi, i seguaci di Gesù Cristo attendono la Sua seconda venuta.
Un altro riferimento – ben più noto – è contenuto nel Vangelo secondo Matteo (Mt 25, 31-46):
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria con tutti i suoi angeli, si siederà sul trono della sua gloria. E saranno riunite davanti a lui tutte le genti, ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri, e porrà le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra. Allora il re dirà a quelli che stanno alla sua destra: Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo. Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi. Allora i giusti gli risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo veduto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato, o nudo e ti abbiamo vestito? E quando ti abbiamo visto ammalato o in carcere e siamo venuti a visitarti? Rispondendo, il re dirà loro: In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me. Poi dirà a quelli alla sua sinistra: Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli. Perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare; ho avuto sete e non mi avete dato da bere; ero forestiero e non mi avete ospitato, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato. Anch’essi allora risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo visto affamato o assetato o forestiero o nudo o malato o in carcere e non ti abbiamo assistito? Ma egli risponderà: In verità vi dico: ogni volta che non avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli, non l’avete fatto a me. E se ne andranno, questi al supplizio eterno, e i giusti alla vita eterna».
Nella tradizione cristiana quindi, come anche in quella islamica, non c’è solo un giudizio individuale (relativo a ogni singola persona) ma anche uno universale che riguarda tutta l’umanità. L’aspetto interessante del passo di Matteo è che il Cristo giudice – nel giorno del Giudizio – viene identificato da una serie di appellativi: Figlio dell’uomo; il Pastore; il Re e tuttavia la parola giudice non compare mai[1].
Sempre in questo passo – nell’introduzione – viene descritta una situazione che poi diventerà fondamentale nell’iconografia: la divisione tra destra e sinistra; laddove a destra (di Cristo) ci sono gli eletti, alla sua sinistra invece i dannati. Solo in Matteo troviamo la descrizione di questa divisione delle anime ad opera di Cristo che, come un pastore, divide le pecore dalle capre.
Nell’Apocalisse (4, 2-3) invece troviamo un altro riferimento che verrà poi codificato nell’iconografia da parte dei pittori, ed è quello del Cristo assiso in trono (il giudice è per definizione una figura seduta):
Ed ecco, c’era un trono nel cielo, e sul trono Uno stava seduto. Colui che stava seduto era simile nell’aspetto a diaspro e cornalina. Un arcobaleno simile nell’aspetto a smeraldo avvolgeva il trono.
Concetto questo che ritroviamo anche nel Vangelo di Matteo (19, 28) dove apprendiamo inoltre che siederanno con lui (ai suoli lati) anche i dodici apostoli:
Quando il Figlio dell’uomo sarà seduto sul trono della sua gloria, alla rigenerazione del mondo, siederete anche voi [gli apostoli]su dodici troni a giudicare le dodici tribù d’Israele.
Legato al Giudizio Universale è anche il suono della tromba (precisamente delle sette trombe) che preannuncia la venuta del Signore. La fonte più importante, da questo punto di vista, è senza dubbio L’Apocalisse di Giovanni (cap. 8) nella quale si dice che, vicino al trono celeste, sette angeli si apprestano a suonare la tromba:
E vidi i sette angeli che stanno davanti a Dio, e a loro furono date sette trombe […] I sette angeli, che avevano le sette trombe, si accinsero a suonarle […].
Un’altra fonte molto importante è rappresentata da Gioele (2, 1):
Suonate la tromba in Sion e date l’allarme sul mio santo monte! Tremino tutti gli abitanti della regione perché viene il giorno del Signore […].
La I lettera ai Tessalonicesi (4, 16):
Perché il Signore stesso, a un ordine, alla voce dell’arcangelo e al suono della tromba do Dio, discenderà dal cielo.
Concludiamo il discorso relativo al suono della tromba con una terzina ripresa dall’Inferno dantesco (VI, 94-96):
E ’l duca disse a me: “Più non si desta di qua dal suon de l’angelica tromba, quando verrà la nimica podestà.
Legato al giorno del Giudizio è anche il tema relativo all’apertura dei libri; i libri del cielo sono aperti davanti agli angeli nel momento del Giudizio (anche nell’escatologia islamica il libro ha una funzione fondamentale):
E vidi un grande trono bianco e Colui che vi sedeva. Scomparvero dalla sua presenza la terra e il cielo senza lasciare traccia di sé. E vidi i morti, grandi e piccoli, in piedi davanti al trono. E i libri furono aperti. Fu aperto anche un altro libro, quello della vita. I morti vennero giudicati secondo le loro opere, in base a ciò che era scritto in quei libri (Apocalisse 20, 11-12).
Questo passo dell’Apocalisse è importante perché ritorna anche – come abbiamo visto prima – la figura del trono e del Cristo seduto. In un altro importante passo tratto da Daniele – nell’Antico Testamento – ritorna il tema dei libri:
Un fiume di fuoco sgorgava e scendeva dalla sua presenza; mille migliaia lo servivano, e diecimila miriadi gli stavan davanti. Il giudizio si tenne, e i libri furono aperti (Daniele 7, 10)[2].
Gli uomini verranno quindi giudicati – proprio come avviene durante un processo giudiziario – in base a ciò che è scritto nei libri e «il libro della vita» diventa il criterio definitivo per spiegare tutto quel che riguarda la nostra condizione di creature fino alla morte[3].
In base alle fonti citate si capisce perché, da un punto di vista iconografico, nelle opere che rappresentano il Giudizio Universale determinati elementi non mancano (quasi) mai: le trombe, i libri, la divisione destra/ sinistra e – ovviamente – il Cristo in veste di giudice.
- Il Giudizio Universale nella storia dell’arte: Giotto (1305)
Siamo a Padova dove tra 1303 e 1305 venne edificata una capella (consacrata il 16 marzo 1305). Il committente è Enrico degli Scrovegni (1266-1336) figlio di uno dei più implacabili usurai del tempo Rinaldo che, infatti, Dante collocherà nel VII cerchio dell’Inferno dove sono puniti per l’appunto i violenti contro Dio, Natura e Arte: bestemmiatori, sodomiti e usurai (Inf. XVII, 64)[5]. Con le ricchezze accumulate – anzitutto dal padre – Enrico acquistò la zona dove c’era un’antica arena di età romana (non a caso la Cappella Scrovegni è conosciuta anche come “Cappella dell’arena”), subito dopo rivolse una supplica al vescovo di Padova Ottobono Razzi (nel 1302) per costruire e decorare, sul terreno acquistato, una cappella:
Enrico Scrovegni, dopo aver firmato il contratto di acquisto della nuova proprietà, fece domanda di costruire una cappella per sé e la famiglia. L’atto di autorizzazione vescovile, rilasciato dal vescovo Ottobono, Razzi fu firmato davanti al notaio Federico, figlio di maestro Giovanni. Allo Scrovegni era riconosciuto il permesso di edificare una piccola chiesa in forma di oratorio per sé, la moglie, la madre e la famiglia, alla quale non avrebbe potuto accedere il popolo. In un atto notarile del 1317 si ricorda che Enrico Scrovegni aveva costruito la sua piccola chiesa non solo in remedium suae animae, cioè per la propria anima, ma specialmente in honorem et bonum statum civitatis et communis Paduae, in onore e per il bene della città e del Comune di Padova[6].
Trasformando quindi la cappella, grazie all’intervento papale di Benedetto XI con cui Enrico era in ottimi rapporti, da luogo di culto esclusivamente familiare a luogo aperto a tutta la popolazione «Enrico non si presentava soltanto come un generoso e pio mecenate: i padovani gli dovevano gratitudine, vedendo in lui non l’odioso usuraio ma il nobile cavaliere benefattore: gli atti notarili qualificano rispettosamente Enrico come nobilis et egregius miles»[7]. Sappiamo inoltre attraverso un’epigrafe, ormai perduta, che la cappella fu dedicata il 25 marzo del 1303 alla Vergine[8].
Il responsabile del ciclo pittorico fu Giotto che, dopo aver soggiornato a Roma, fu chiamato a Padova per realizzare tra il 1303 e il 1305 gli affreschi nella cappella. Il ciclo di affreschi comprende le Storie di Gioacchino e Anna (genitori della Vergine), le Storie della Vergine, le Storie di Cristo, 14 figure allegoriche dei Vizi e delle Virtù (dipinte a monocromo nella fascia inferiore delle pareti) e infine un grandioso Giudizio Universale in controfacciata dove compare anche il ritratto di Enrico Scrovegni[9].

Vediamo in questo affresco una duplice separazione: quella tra la parte superiore e la parte inferiore; e – nella parte inferiore – quello tra destra e sinistra.
La parte superiore, occupata dall’ordine celeste, presenta al centro un Cristo giudice assiso in trono che divide la scena (superiore) in due parti simmetriche. Anche la parte inferiore presenta una divisione simmetrica creata da una grande croce a T lignea portata da Adamo e sorretta da due angeli. A sinistra (dell’osservatore) vediamo, tra la dimensione terrena e non più celeste, la presenza dei beati che si accingono ad ascendere al Paradiso: gli eletti; a destra invece, nell’altra metà, i dannati precipitati nell’Inferno. Tutto il Giudizio è dominato «nella parte superiore dalla grande finestra trifora con i due fiori della vita da cui entra la luce […]»[10]. Sotto di essa c’è – all’interno di una mandorla retta da 12 angeli – il grande Cristo giudice avvolto dalla luce divina, ai suoi lati ci sono – sei da una parte e sei dall’altra – i 12 apostoli anch’essi seduti in trono. Dei 12 angeli che circondano la mandorla, i due della parte inferiore e i due della parte superiore suonano la tromba per annunciare il Giudizio imminente.
Dalla grande mandorla, inoltre, fuoriesce [in basso, alla sinistra di Cristo] un turbine di fuoco, che si divide in quattro fiumi di fiamme: Acheronte, Stige, Flegetonte e Cocìto (vd. Inf. XIV, 115-120). I dannati, per via della loro nudità, si distinguono da tutto il resto dei personaggi che invece sono vestiti. Il dominatore della scena infernale è Lucifero che siede su due draghi e presenta il vultus trifrons – proprio come lo aveva descritto Dante (Inf. XXXIV, 37-45) – per divorare più dannati contemporaneamente. Nella parte più alta dell’affresco, ai lati della finestra, sono dipinti il sole e la luna che rappresentano l’intero firmamento che sta per essere riavvolto come un rotolo di papiro da due angeli, consentendo finalmente alla Gerusalemme celeste di mostrarsi e di prendere il posto della realtà così com’è scritto nell’Apocalisse:
Et coelum recessit sicut liber involutus (E il cielo si ritrasse come un libro che si riavvolge) (Ap 6, 14)[11].
- Il Giudizio Universale nella storia dell’arte: Michelangelo (1536-1541)
La decorazione pittorica si svolse in tre fasi e per volontà di tre pontefici diversi:
- 1 fase (1481 – 1483; papa Sisto IV della Rovere) – Storie di Mosè (Antico Testamento) e Storie di Cristo (Nuovo Testamento): affreschi eseguiti da un’equipe di pittori dell’Italia centrale: i fiorentini Botticelli, Ghirlandaio, Cosimo Rosselli (insieme al giovane Piero di Cosimo), il cortonese Luca Signorelli e l’umbro Perugino;
- 2 fase (1508 – 1512; papa Giulio II della Rovere) – Storie della Genesi: fu il dotto teologo e filosofo neoplatonico Egidio da Viterbo (1469 – 1532) appartenente all’ Ordine degli Agostiniani che suggerì al papa questo tema. La Genesi è il primo libro della Bibbia in cui si narra della creazione, della separazione della luce dalle tenebre, della creazione degli astri, del diluvio universale, del peccato originale ecc. L’intero ciclo decorativo – realizzato sulla volta – fu affidato in questo caso ad un solo artista, cioè a Michelangelo Buonarroti (1475 – 1564);
- 3 fase (1536 – 1541; Paolo III) – Giudizio Universale: il committente dell’affresco fu papa Clemente VII (1523 – 1534) che chiese a Michelangelo di affrescare l’intera parete dietro all’altare. Quando iniziarono però i lavori nel 1536 il papa era già morto e non poté mai vedere l’opera che aveva commissionato (fig. 2). I lavori ebbero inizio infatti sotto il suo successore Paolo III Farnese (1534 – 1549). L’artista tornò così alla pittura dopo oltre venti anni nello stesso luogo che lo aveva consacrato come pittore[12].

Sotto il Cristo Giudice, e appena sopra la testa del demoniaco Caronte, c’è un gruppo di angeli che suonano la tromba (uno degli elementi apocalittici imprescindibili). Gli angeli sono privi di ali e col suono della tromba risvegliano i morti[13]; in quel gruppo rivestono particolare importanza due angeli che reggono due libri aperti: uno più grande in direzione dei dannati e uno più piccolo in direzione dei beati; questo perché il numero dei (con)dannati è certamente superiore a quello di chi verrà salvato:
Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno (Luca 13, 24).
A sinistra (dell’osservatore) c’è un moto ascensionale che è quello delle anime beate che stanno per salire in Paradiso, a destra invece – preceduta dalla barca di Caronte – c’è il gruppo di dannati che si accingono ad incontrare Minosse per il giudizio ultimo sulla loro collocazione nell’Inferno. Caronte in procinto di colpire i dannati è una chiara citazione dantesca: batte col remo qualunque s’adagia (Inf. III, 111). Il fulcro dell’opera è rappresentato da Cristo che, a differenza di quello giottesco, è in piedi e non seduto; accanto a lui la Vergine volge il capo in attesa che si compia la divina giustizia. Scrive a tal proposito Antonio Forcellino: «Cristo, la Vergine e i santi principali sono raffigurati leggermente più grandi, quanto basta a segnarne l’importanza ma non tanto da squilibrare e rendere incongrua la rappresentazione di uno spazio unitario e credibile»[14].
Molti dei santi che circondano il Cristo sono identificabili attraverso i loro simboli: riconosciamo infatti san Lorenzo per via della graticola e san Bartolomeo con la sua pelle (perché egli venne scuoiato vivo). A destra di Cristo ci sono sant’Andrea – posto di spalle – il cui simbolo è l’omonima croce che tiene con il braccio destro; san Giovanni Battista con la pelle di cammello sulle spalle e Adamo che – alla destra del Battista – si sporge per guardare in direzione del Salvatore.
A sinistra di Cristo invece ci sono san Pietro con le chiavi del Paradiso, Disma il Buon Ladrone che sorregge una possente croce di legno, san Biagio con i pettini chiodati dei cardatori di lana, santa Caterina d’Alessandria con un pezzo di ruota dentata, san Sebastiano in ginocchio con le frecce. San Filippo apostolo ha il simbolo della croce e Simone Zelota della sega. Nelle due lunette superiori appaiono gruppi angelici che mostrano gli elementi della Passione di Cristo: nella lunetta di sinistra (sinistra dell’osservatore) compaiono la croce di legno, la corona di spine e i chiodi mentre in quella di destra troviamo la colonna della flagellazione, la scala per deporre il corpo e l’asta con la spugna imbevuta di aceto.
GIOTTO E MICHELANGELO: LE DIFFERENZE
In Michelangelo gli strumenti del martirio (croce – colonna) sono posti nelle lunette superiori quindi al di sopra della figura di Cristo; in Giotto la croce lignea – strumento della passione – sembra avere ancora una dimensione terrena essendo collocata, invece, al di sotto del Cristo giudice.
In Giotto le pose dei personaggi sono estremamente ripetitive, uniformi e uguali; in Michelangelo – viceversa – domina l’estrema varietà dei gesti, il dinamismo delle figure realizzate in molteplici effetti di scorcio:
Michelangelo accolse e rielaborò l’apparato iconografico della tradizione, ma lo trasformò in maniera dinamica e originalissima. Per lui, innamorato del corpo maschile, la rappresentazione del tema era soprattutto la possibilità di esprimere l’infinita varietà dei moti dell’anima attraverso l’altrettanto infinita varietà delle attitudini dei corpi nello spazio[15].
Per quanto riguarda il tema del nudo che domina in Michelangelo (al contrario di Giotto), Giovanni Paolo II ritiene che Michelangelo riprenda – come aveva già fatto con gli affreschi della volta – il Libro della Genesi che, riguardo la creazione dell’uomo, maschio e femmina, rileva: Erano nudi, ma non ne provavano vergogna (Gen 2, 25)[16]. Evidenzia inoltre Antonio Forcellino: «Se Giotto a Padova e Buffalmacco a Pisa avevano rappresentato i diavoli come creature aliene dal regno umano, Michelangelo si richiama all’esempio del Signorelli nella Cappella di San Brizio a Orvieto […], rappresentando i diavoli che sembrano (solo) una leggera degenerazione degli uomini e degli angeli»[17]. In essi non viene mai meno «la congruenza anatomica e naturalistica del corpo umano in piena fioritura»[18]. Si può dire anzi, continua Forcellino, che
I diavoli dipinti da Michelangelo siano i diavoli più umani comparsi nella storia della pittura occidentale fino a quella data […]. Dare anche ai diavoli aspetto di uomini gli permette d’altronde di svolgere la rappresentazione tutta all’interno di un orizzonte umano. Tutto avviene in un concitato scontro di corpi, che ha fatto parlare molto a proposito di un’immensa gigantomachia[19].
Insomma in Michelangelo assumono un ruolo centrale il corpo umano e la sua nudità (tanto vituperata all’epoca e soprattutto durante la Controriforma), al punto che Giovanni Paolo II affermo: La Cappella Sistina è proprio – se così si può dire – il santuario della teologia del corpo umano[20].
[1] Si veda il seguente documento online: https://www.parrocchiamadone.it/wp-content/uploads/2020/12/Cristo-Re.pdf.
[2] Consultabile online: https://www.wordproject.org/bibles/it/27/7.htm.
[3] Alcune letture per approfondire L’Apocalisse: G. Elia, L’Apocalisse – Rivelazione del senso della storia. Testo e commento, Torino 2021; C. Lombardi – L. Silvano (a cura di), Apocalisse ieri oggi e domani. Atti della Giornata di studio in memoria di Eugenio Corsini, (Torino, 2 ottobre 2018), Alessandria 2019; G. Florio, L’Apocalisse tra simbolismo e profezia, Roma 2018; R. H. Mounce, Apocalisse. Introduzione e commento, Chieti 2013; E. Corsini, Apocalisse di Gesù Cristo secondo Giovanni, Torino 2002.
[4] Sul Giudizio Universale nella storia dell’arte si vedano: V. Pace (a cura di), Alfa e omega. Il giudizio universale tra Oriente e Occidente, Castel Bolognese 2006; Yves Christie, Il giudizio universale nell’arte del Medioevo, Milano 2000.
[5] In realtà l’interpretazione dantesca di Rinaldo come uno dei più spietati usurai del tempo è stata contestata in un saggio molto recente: «Ma è credibile che un personaggio importante come Rainaldo Scrovegni e soprattutto così legato al clero fosse un noto usuraio? Documenti del tempo confermano che lo Scrovegni prestava anche forti somme, ma non era certo un usuraio perché concedeva il denaro a un interesse piuttosto basso per i tempi, quando gli statuti comunali permettevano più del doppio sia a Padova sia a Vicenza con cui egli intratteneva rapporti di affari. Inoltre in città moltissimi guadagnavano denaro prestando denaro: notai, professori universitari, ma anche osti e mercanti» (M. B. Autizi, La Cappella Scrovegni sotto il segno dei Templari, Treviso 2018, p. 14)
[6] Ivi, p. 24. Il corsivo è dell’autrice.
[7] C. Frugoni, Gli affreschi della Cappella Scrovegni a Padova, Torino 2005, p. 10.
[8] Ibidem.
[9] Per una descrizione più puntuale si veda: A. Tomei, Giotto. La pittura, Firenze – Milano 2016, pp. 20-21.
[10] M. B. Autizi, La Cappella Scrovegni…, p. 170.
[11] C. Frugoni, Gli affreschi della Cappella Scrovegni…, p.97. Per una ulteriore bibliografia di riferimento, consultabile anche online, si vedano: A. Tomei, Giotto, in Enciclopedia dell’arte medievale (1995): https://www.treccani.it/enciclopedia/giotto_%28Enciclopedia-dell%27-Arte-Medievale%29/ ;
- Merotto Ghedini, Padova, in Enciclopedia dell’arte medievale (1998): https://www.treccani.it/enciclopedia/padova_%28Enciclopedia-dell%27-Arte-Medievale%29/ ;
- Châtelet, Pittura dal 1260 al 1400, in Enciclopedia dell’arte medievale (1998): https://www.treccani.it/enciclopedia/pittura-dal-1260-al-14_%28Enciclopedia-dell%27-Arte-Medievale%29/ ;
- De Biasi, Scrovegni, in Enciclopedia Dantesca (1970): https://www.treccani.it/enciclopedia/scrovegni_%28Enciclopedia-Dantesca%29/ ;
- Frugoni – R. C. Mueller: Scrovegni, in Dizionario Biografico degli Italiani – XCI (2018): https://www.treccani.it/enciclopedia/scrovegni_%28Dizionario-Biografico%29/
- Boskovits: Giotto di Bondone, in Dizionario Biografico degli Italiani – LV (2001): https://www.treccani.it/enciclopedia/giotto-di-bondone_(Dizionario-Biografico)/
[12] Una breve bibliografia di riferimento consultabile online:
- Lombardi, papa Sisto IV, in Dizionario Biografico degli Italiani – Volume 92 (2018): https://www.treccani.it/enciclopedia/papa-sisto-iv_%28Dizionario-Biografico%29/ ;
- Prosperi – papa Clemente VII, in Dizionario Biografico degli Italiani – Volume 26 (1982):
https://www.treccani.it/enciclopedia/papa-clemente-vii_(Dizionario-Biografico)/ ;
- Fragnito, papa Paolo III, in Dizionario Biografico degli Italiani – Volume 81 (2014):
https://www.treccani.it/enciclopedia/papa-paolo-iii_%28Dizionario-Biografico%29/ ;
- Benzoni, Paolo III, in Enciclopedia dei Papi (2000):
https://www.treccani.it/enciclopedia/paolo-iii_%28Enciclopedia-dei-Papi%29/ ;
- Ernst – S. Foà, Egidio da Viterbo, in Dizionario Biografico degli Italiani – Volume 42 (1993):
https://www.treccani.it/enciclopedia/egidio-da-viterbo_%28Dizionario-Biografico%29/ ;
- Dussler – E. Noè Girardi, Michelangelo Buonarroti, in Dizionario Biografico degli Italiani – Volume 15 (1972):
https://www.treccani.it/enciclopedia/michelangelo-buonarroti_(Dizionario-Biografico)/ ;
- Medde, Michelangelo Buonarroti, in Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco (2014):
https://www.treccani.it/enciclopedia/michelangelo-buonarroti_%28Storia-della-civilt%C3%A0-europea-a-cura-di-Umberto-Eco%29/.
[13] Sull’assenza delle ali negli angeli di Michelangelo si veda: A. Angela, Viaggio nella Cappella Sistina, Milano – Città del Vaticano 2016, p. 215.
[14] A. Forcellino, Michelangelo. Una vita inquieta, Roma 2005, p. 271. Si vedano anche: Id., L’ultimo Michelangelo. Dal Giudizio universale alla Cappella Paolina, Bari – Roma 2022; Id., La Cappella Sistina. Racconto di un capolavoro, Bari – Roma 2020.
[15] A. Forcellino, Michelangelo…, p. 271.
[16] Giovanni Paolo II, Celebrazione eucaristica per l’inaugurazione dei restauri degli affreschi di Michelangelo, omelia di Venerdì, 8 aprile 1994. Consultabile online:
[17] A. Forcellino, Michelangelo…, p. 272.
[18] Ibidem.
[19] Ivi, pp. 272 – 273.
[20] Giovanni Paolo II, Celebrazione eucaristica… .
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