Il monachesimo irlandese in Italia e la fondazione del monastero di Bobbio per concessione dei sovrani Longobardi di Valentina Falanga
Dal deserto al monastero.
Le fondazioni monastiche furono la naturale evoluzione di due modi di testimoniare la fede che si diffusero tra la seconda metà del III secolo e la seconda metà del IV secolo: l’anacoretismo e il cenobitismo[1]. Si assistette, quindi, alla comparsa di monaci stiliti e dendridi, i quali predilessero luoghi impervi ed impossibili da abitare per meditare ed espiare i peccati. Essi, rinunciarono ad ogni bene materiale perché la povertà era il primo passo per porsi fuori dal mondo ed avvicinarsi meglio a Dio. I deserti della Siria, della Palestina, della Calcide e dell’Egitto ma, in generale tutti quelli del Medio Oriente tra il III e il IV secolo d.C. si riempirono di stiliti. Quest’ultimi erano chiamati così perché restavano in preghiera sulle colonne dei resti delle città romane sotto il sole cocente. Il più famoso tra loro fu Simone che visse su una colonna per quarant’anni[2]. I dendridi, dal canto loro, scelsero come luogo d’ascesi gli alberi senza toccare mai il suolo. Queste due esperienze vennero poi definite anacoretiche, la parola deriva dal verbo greco ἀναχωρέω (anacoreo) e vuol dire “ritirarsi”.
L’altro modo di avvicinarsi a Dio fu il cenobitismo il suo fondatore fu Pacomio che nel 320 d. C. nella città egiziana di Tabennesi raccolse una comunità organizzata in uno spazio chiuso sottoposta all’attenzione di un superiore dove si lavorava e si pregava[3]. Quest’ultima forma di separasi dal mondo fu il germe del monachesimo medievale.
Gli impeccabili ed irlandesi servi del Signore.
Tra le varie esperienza di monachesimo che si susseguirono in tutta Europa sicuramente il monachesimo irlandese è degno di un’attenzione particolare in quanto ha saputo apportare una nuova linfa vitale allo stesso monachesimo europeo. L’Irlanda per la sua posizione geografica non subì nessun processo di romanizzazione e le popolazioni autoctone ricevettero il cristianesimo senza la mediazione della cultura romana come, invece, avvenne per gran parte delle popolazioni barbariche dell’Europa continentale e nella stessa Bretagna[4].
La cristianizzazione dell’Irlanda fu lenta ma costante e vide i suoi capisaldi nei futuri San Patrizio e San Colombano. I primi missionari giunti sul territorio provenivano dalla Britannia e dalla Gallia[5] e probabilmente dalla Britannia nel V secolo d. C. proveniva anche il primo vescovo d’Irlanda: Patrizio. Patrizio visse fino all’età di sedici anni negli agi di una famiglia benestante fino a quando non fu rapito dai mercanti di schiavi che lo trapiantarono in Irlanda. Questa esperienza fece maturare la fede del futuro santo, il quale dopo anni di prigionia e peripezie varie riuscì a ritornare presso i suoi parenti dove espresse la volontà di recarsi nuovamente sull’isola per testimoniare il Vangelo[6]. Sempre a lui si deve anche il radicamento di un primo nucleo clericale[7]: il monachesimo irlandese utilizzò la ripartizione territoriale dei tùatha presso le quali furono fondate le singole diocesi guidate dai vescovi[8]. Se a Patrizio si deve la prima organizzazione della Chiesa sul suolo irlandese a Colombano si deve la fondazione di monasteri tanto in Irlanda quanto in Europa. Colombano nel nacque nel 540 in Irlanda e una volta fattosi monaco iniziò la sua predicazione prima in Francia dove restò per vent’anni fondando vari monasteri, tra cui il più importante fu quello di Luxeuil. Successivamente si spostò nell’aria dell’odierna Zurigo – Costanza per evangelizzare le genti di stirpe germanica[9]. Egli incarnava in pieno lo spirito e la peculiarità del cristianesimo nord-insulare: il carattere erratico fu una costante nella sua vita e si differenziava dagli altri suoi contemporanei perché fu l’unico tra i monaci peregrini del VII secolo ad aver viaggiato così tanto e ad essersi spinto così lontano. Colombano si dimostrò essere un uomo non solo molto colto (scriveva e parlava latino perfettamente) ma anche di forte temperamento tanto da redarguire, criticare sovrani o interloquire con un papa dal carisma di Bonifacio VIII[10]. Va detto, inoltre, che la peregrinatio veniva vissuta come un martirio perché «abbandonando la propria gente, rinunciava a gran parte dei propri diritti nella società. Fino al VI secolo questa rinuncia ebbe il significato di volontaria estraniazione sociale. Per seguire la propria vocazione di estraniazione, l’asceta irlandese scelse sempre più frequentemente le vie d’oltremare»[11]. Il monachesimo irlandese anche se connotato di forti tratti anacoretici non rifugge totalmente il mondo perché è ricco di slancio e passione missionaria. Il peregrino pro Cristo divenne il loro ideale ascetico[12].
Colombano dopo la fondazione di molti monasteri in Irlanda ed in Francia approdò in Italia dove nel 614 fondò il famoso monastero di Bobbio in Emilia-Romagna grazie all’appoggio dei sovrani longobardi Agilulfo e Teodolinda.
La cultura nei monasteri irlandesi.

Conservazione, innovazione e caratteristiche dell’arte della miniatura irlandese.
La vita come in tutti i monasteri non era solo preghiera e contemplazione. Lo studio della retorica e della grammatica, la produzione rimedi officinali, la preparazione dei pasti, la coltivazione dei campi e l’accoglienza dei pellegrini facevano dei monasteri delle vere e proprie isole di autosufficienza. Le attività quindi, erano molteplici e variegate e ciò valse anche per i monasteri dell’Irlanda. Essi inoltre ebbero il pregio e la particolarità, rispetto a quelli continentali, di trasmettere e non di sradicare la cultura celtica locale infatti proprio i monasteri si fecero promotori della creazione di scuole per i poeti irlandesi affinché essi potessero continuare a mantenere viva la propria letteratura tradizionale[13]. Allo stesso tempo nello scriptorium del monastero irlandese i monaci si dedicarono alla copiatura dei testi trasformandoli da orali a scritti, facendosi così custodi e garanti della cultura celtica[14] che in alternativa sarebbe andata perduta per sempre.
Un altro aspetto molto interessante è l’arte della miniatura. Il termine miniatura deriva da minio cioè il solfuro rosso di piombo e col passare del tempo per trasposizione la parola iniziò a significare “piccolo”[15] .La miniatura irlandese è considerata tra le più raffinate e ricercate nonché geniale per estro, qualità e colore[16]. Nelle regioni che non appartenevano al mondo classico e con un elevato tasso di analfabetismo il libro miniato «portò fin dall’inizio il marchio di un mondo superiore. Esso offriva quindi nei paesi del Nord uno stimolo alla decorazione artistica molto forte rispetto a quelli mediterranei dove la cultura miniata non ebbe mai un ruolo così predominante»[17]. Il libro nel Medioevo è avvolto da un aura sacra perché attraverso esso si diffondeva il Vangelo e la salvezza. Per fare un esempio: «gli evangeliari di san Patrizio, apostolo degli irlandesi, di sant’Agostino di Canterbury, apostolo degli anglosassoni, di san Bonifacio, apostolo dei tedeschi, erano venerati come reliquie e oggetti di culto nazionale»[18].
Una delle caratteristiche della miniatura è sicuramente la particolarità dell’iniziale che nel Medioevo divenne un motivo formale. Nelle iniziali più antiche ritroviamo i motivi zoomorfi soprattutto pesci ed uccelli, la cui origine si è ipotizzato provenisse dalla tradizione decorativa armena rinvenute poi nei manoscritti in Italia e in Gallia[19]. La miniatura irlandese non rappresentava la figura umana ed era antinaturalistica preferendo forme geometriche e la più raffinata testimonianza di ciò è il Libro di Durrow, conservato a Dublino[20]. Il Libro di Durrow è il più antico evangeliario che conosciamo e risale alla seconda metà del VII secolo e riposta sei pagine a tappeto arricchite da nodi, intrecci, spirali, vortici tipici dello stile celtico il cui colore predominante era verde, rosso, marrone e giallo[21].
Altro esempio eccezionale è certamente il Libro di Kells datato 475 d. C. e scritto secondo la leggenda dalla stesso Colombano, esso non è altro che la raccolta dei quattro vangeli in latino ed è conservato al Trinity College di Dublino[22]. Anch’esso come tutti i manoscritti insulari non presenta ricami in oro o in argento mentre l’azzurro era ricavato dalla polvere di lapislazzuli, i quali provenivano dall’Afghanistan[23] testimoniando così rapporti commerciali tra le zone insulari e l’Europa mediterranea. Le decorazioni miniate di Kells sono molto complesse, l’autore o gli autori sono stati attenti e dettagliatissimi nel rendere gli intrecci assolutamente perfetti.
Altro esempio mirabile è l’Evangelario di Lindisfarne miniato dal vescovo Eadfrith che oggi è conservato nella British Library di Londra. Lindisfarne è un’isola che si trova al largo della costa nord orientale dell’Inghilterra ed era rinomata per la produzione di manoscritti in latino e in anglosassone[24]. Inoltre, da quest’isola partivano i missionari per l’evangelizzazione dell’Inghilterra settentrionale fino a quando nel 793 d.C. un’incursione vichinga saccheggiò e distrusse l’abbazia mentre i monaci supersiti si trasferirono a Durham. L’Evangelario dimostra lo stretto rapporto tra la cultura irlandese e quello anglosassone, è scritto in maiuscola irlandese ed i colori utilizzati sono varie sfumature di blu, rosso e giallo[25] e risale al 635 d.C. qui «l’estetica mediterranea sembra essere superata, l’effetto risulta totalmente modificato attraverso una costruzione dello spazio e un uso del colore completamente diversi»[26].

Dall’Irlanda a Bobbio: Colombano, il padre fondatore e l’eclettismo della miniatura bobbiese.
L’Italia nel VIII secolo era contesa tra i Bizantini, il Papa e i Longobardi. Quest’ultimi avevano definitivamente messo in crisi già il precario equilibrio italico andando a fondare i ducati di Lombardia, Spoleto e Benevento. I Bizantini erano schiacciati in enclavi soprattutto sulla costa o mantenevano il controllo di alcune importanti città come Ravenna ma, restavano comunque isolati tra di loro sul territorio. Il papa, dal canto suo, tentava di prendere le distanza tanto dall’imperatore d’Oriente quanto dai barbari invasori[27].
In un quadro così intricato nel 612 si presentò Colombano accompagnato da alcuni confratelli, essi lo fecero al cospetto dei sovrani longobardi Agilulfo e Teodolinda che furono ben lieti di accoglierli, la fame li aveva preceduti[28]. Il monaco irlandese con ogni probabilità fu attratto dall’Italia perché gli apparve come un territorio ancora da cristianizzare e di fatti tutti i torti non aveva. Agilulfo era ariano mentre Teodolinda era cristiana e il resto della popolazione longobarda oscillava tra il paganesimo e l’eresia ariana. Dopo due anni di permanenza presso la corte Agilulfo concesse a Colombano una zona presso il fiume Bobbio e Trebbia dove fondare un cenobio quello che poi divenne il monastero di Bobbio[29]. Il monastero di Bobbio fu la prima fondazione regia longobarda e la sua ubicazione non fu casuale perché i sovrani longobardi volevano rafforzare la loro presenza in una zona di grande interesse politico tra la pianura padana e la Toscana quasi a monitorare i movimenti dei Bizantini che avevano ancora gran parte della Liguria[30]. Va sottolineato che: «la fondazione dell’abbazia bobbiese all’inizio del VII secolo fu un fenomeno eccezionale e isolato. In questo tempo la Chiesa, in particolare nell’Italia settentrionale, attraversava un periodo di crisi»[31].
Il monastero rispose anche ad esigenze politiche oltre che spirituali del re longobardo infatti: «Agilulfo poteva venire attratto dall’idea di stringere rapporti con monaci che, per quanto devoti al papa, non avevano innate avversioni di razza e che erano più vicini per lingua e stirpe ai Longobardi che ai Latini»[32]. La missione evangelizzatrice degli irlandesi nell’Italia settentrionale «si era svolta in un periodo in cui in altre della penisola l’azione di S. Benedetto si era già fatta sentire: nei luoghi dove sorgeva Bobbio però l’influenza benedettina non era giunta, e il monachesimo di S. Colombano poteva essere considerato un’esperienza nuova»[33].
Colombano improntò la vita della nuova comunità sulla regola benedettina, tutte le mansioni erano divise e ogni monaco doveva avere una parte attiva nella gestione del monastero. Esso svolgeva un’importante funzione ospitaliera – assistenziale per monaci o pellegrini laici in viaggio come accadeva nella gran parte delle abazie medievali. Bobbio oltre all’opera assistenziale coniugava anche quella artistica creando così certamente un sottile fil rouge con i monasteri irlandesi ma, allo stesso tempo prendendo le distanze dalla tradizione miniaturistica insulare. L’arte di ricopiare testi sacri o latini per poi miniarli era una pratica ravvisabile in tutti i monasteri medievali e le miniature di Bobbio non possono essere definite come copie o rielaborazioni di quelle che si facevano in Irlanda. Certamente, in una prima fase questo senz’altro vi fu ma con il passare del tempo Bobbio sviluppò un proprio canone estetico attingendo a varie tradizioni figurative che andavano da quella irlandese, mediterranea e centroeuropea[34].
Ne risulta un pastiche che non privilegia nessun stile in particolare ma tende a crearne uno nuovo partendo proprio dalle novità o peculiarità degli altri centri scrittori testimoniando così anche il dialogo e la circolazione di manoscritti tra le varie abbazie italiane ed europee.
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Note
[1] C. Moreschini, Letteratura cristiana delle origini greca e latina, Città Nuova, Roma, 2007.
[2] J. M. Laboa, Momenti cruciali nella storia della Chiesa, Jaca Book, Roma, 1996.
[3] S. Pricoco, Il Monachesimo, Laterza, Roma-Bari, 2015.
[4] N. Davies, Isole. Storia dell’Inghilterra, della Scozia, del Galles e dell’Irlanda, Mondadori, Milano, 2000.
[5] C. H. Lawrence, Medieval monasticism: forms of religious life in western Europe in the Middle Age, Routledge, London and New York, 2015.
[6] J. J. O’Riordain, I primi santi d’Irlanda. Vita e spiritualità, Jaca Book, Milano, 2005.
[7] C. H. Lawrence, Medieval monasticism.
[8] A. Nebbia, Il monachesimo irlandese e le resistenze dei culti antichi nella pratica religiosa celtica tra Tarda Antichità e alto medioevo, Chaos & Kosmos XIV, 2013.
[9] A. Ghisalberti, La cristianizzazione dell’Europa in San Colombano e l’Europa. Religione, cultura, natura, a cura di L. Valle e P. Paulina, Como – Pavia, Ibis, 2001, pp. 13-25.
[10] I. Biffi, La disciplina e l’amore: un profilo spirituale di San Colombano, Jaca Book, Milano, 2002.
[11] J. M. Laboa, Momenti cruciali nella storia della Chiesa, cit., p. 117.
[12] A. Bulla, Gregorio Magno, l’ideale monastico. Monachesimo irlandese, silenzio e profezia in San Colombano e l’Europa. Religione, cultura, natura, a cura di L. Valle e P. Paulina, Como – Pavia, Ibis, 2001, pp. 13-25.
[13]A. Nebbia, Il monachesimo irlandese.
[14] E. Percivaldi, I Celti: un popolo e una civiltà d’Europa, Milano, Giunti, 2005.
[15] J. J. A. Gham, I miniatori medievali e il loro metodo di lavoro, Modena, Panini, 2003.
[16] L. Castelfranchi Vegas, Arti Minori, Roma, Jaca Book, 2000.
[17] O. Päch, La miniatura medievale: un’introduzione, Torino, Bollati Boringhieri, 1987, cit., p. 11-12.
[18] Ivi, cit., p. 10.
[19] O. Päch, La miniatura medievale.
[20] D. Formaggio, C. Basso, La Miniatura, Novara, Istituto Geografico De Agostini, 1960.
[21] C. De Hamel, Storia di dodici manoscritti, Milano, Mondadori, 2017.
[22] A. Pinelli, Le ragioni della bellezza. Dalla tarda antichità a Giotto, Torino, Loescher, vol., II, 2012.
[23] A. Pinelli, Le ragioni della bellezza.
[24] Ivi.
[25] M. J. Rickert, La miniatura inglese: dalle origini alla fine del XII secolo, Milano, Electa, 1959.
[26] D. Formaggio, C. Basso, La Miniatura, cit., p. 112.
[27] S. Gasparri, I Longobardi alle origini del Medioevo italiano, Firenze, Giunti, 1990.
[28] N. Grimaldi, S. Colombano e Agilulfo in Medioevo e periodo storico, a cura di G. Falco, Parma, 1932, pp. 3-39.
[29] V. Polonio, Il monastero di San Colombano di Bobbio dalla fondazione all’epoca carolingia, Genova, In Palatio Archiepiscopali Ianuensi, 1962.
[30] M. Gazzini, La rete ospedaliera di Bobbio fra alto e basso medioevo in La diocesi di Bobbio. Formazione e sviluppi di un’istituzione millenaria a cura di E. Destefanis, P. Gugliemotti, Firenze, Unversity Press, 2015, pp. 481-508.
[31] Ivi, cit., 10-11.
[32] Ivi, cit., p. 16.
[33] Ivi, cit., p. 93.
[34] G. Z. Zanichelli, I modelli dello scriptorium di Bobbio in San Colombano e l’Europa. Religione, cultura, natura, a cura di L. Valle e P. Paulina, Como – Pavia, Ibis, 2001, pp. 27-61.

È nata a Torre del Greco, provincia di Napoli, il 10 gennaio 1991. Da sempre appassionata di storia, arte e letteratura il 24 novembre 2017 si è laureata con il massimo dei voti in Scienze Storiche, indirizzo medievale-rinascimentale, all’università Federico II di Napoli.
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