
Il “rudere” di Piazza Missori: storia e leggende di Mariano Lio
A Milano, in piazza Missori, c’è il “rudere inventato” dell’antica chiesa di San Giovanni in Conca. Qualcuno, vedendolo, potrebbe forse ricordare il nomignolo (“il dente cariato”) che gli è stato attribuito, altri pensare che si tratti di un residuato bellico, ma i più di solito si fermano ad osservare l’invincibile stanchezza del cavallo di bronzo del monumento a Giuseppe Missori…
Non è facile immaginare che quella era la chiesa che il terribile Bernabò Visconti, signore di Milano, aveva destinato a suo mausoleo.
BERNABO’ AL POTERE
Alla morte di Giovanni Visconti, nel 1354, il dominio visconteo abbraccia buona parte dell’attuale Lombardia ed anche terre piemontesi, liguri, emiliane, toscane, svizzere. Gli succedono i tre nipoti Matteo, Galeazzo e Bernabò: nella solenne cerimonia d’insediamento c’è anche l’immancabile astrologo che cerca disperatamente di proclamare l’attimo propizio per l’inizio della nuova signoria… Bernabò ha 31 anni. L’anno seguente, l’improvvisa morte di Matteo consente ai due fratelli di dividersi i possessi.
Bernabò si insedia in un grande palazzo, iniziato probabilmente dallo zio Luchino, che egli amplia e fortifica: vicinissimo alla chiesa, è in realtà un sistema di palazzi, con una pluralità di funzioni burocratiche, abitative, difensive. Esso ingloba la chiesa di San Giovanni in Conca, che ne diventa così il “cuore”, una cappella di palazzo. A due passi da lì, nella “contrata de Vicecomitibus” (Contrada dei Visconti) fin da tempi lontanissimi, i Visconti si erano arroccati e da qui erano partiti alla conquista della città e del potere.
SIGNORE DELLA GUERRA, SIGNORE DELLA CACCIA
La guerra e l’amore per le armi sono un tratto distintivo dell’irruente personalità di Bernabò Visconti: in un cortile del suo palazzo questo “signore della guerra” fa allestire padiglioni per i tornei cavallereschi.
Ma ciò che nei secoli ha creato il “personaggio Bernabò”, producendo una sorta di mito leggendario, è stato soprattutto il suo viscerale rapporto con l’arte della caccia (un altro tipo di guerra…), i cani, la selvaggina. Le sue punizioni crudeli contro chi non rispettava i suoi ordini in materia venatoria, il numero spropositato di cani di cui si favoleggia (cinquemila e più), la stessa denominazione popolare del suo palazzo milanese (“Ca’ di Can”), ne sono altrettante conferme. In un suo dispaccio del 1374, Bernabò ordina espressamente che si strappino gli occhi a chi prende selvaggina proibita o in tempi proibiti.
Secondo quanto riferisce lo storico settecentesco Giorgio Giulini, minacciose disposizioni imponevano di ospitare e nutrire i cani del signore, con punizioni severe per coloro che non avevano saputo evitare che gli animali si ammalassero o fuggissero. L’ispezione avveniva due volte al mese ed i cani dovevano risultare in perfetta forma!
Per queste cacce i signori si circondavano di un numero impressionante di salariati come battitori, canattieri, falconieri; erano veri e propri “eserciti” di uomini (e di animali) alle dipendenze di maestri di caccia, e tutto questo personale godeva della massima benevolenza del signore.
Spesso falconi e cani venivano scambiati come graditi doni fra i signori e costituivano un vero e proprio strumento diplomatico per ostentare potenza, blandire avversari, rinsaldare alleanze. I Gonzaga, signori di Mantova, dovevano fornire ogni anno ai Visconti due sparvieri come segno della loro sudditanza feudale. Il monopolio sulla caccia era insomma una manifestazione simbolica del potere regio e signorile, connessa più alla qualità della persona che ai suoi possessi; nel 1366, ad esempio, un’ordinanza di Carlo VI di Francia proibiva la caccia ai “plebei”.
IL CROLLO DI BERNABO’
Se suo fratello Galeazzo, spesso assente da Milano, è cauto e prudente, Bernabò appare invece inesauribile, eccessivo, vorace, spesso brutale, spietatamente crudele. Ama circondarsi di giullari, ama il motto e lo scherzo; il suo palazzo è un “caldo vivaio di donne”: “non gli basta la moglie, l’animosa e splendente Regina della Scala, ha intorno una schiera di donne, schiere di figli”. (Maria Bellonci) Effettivamente si ha notizia di un numero di figli superiore alla trentina, fra “legittimi” e “naturali”.
Alcuni storici sottolineano però anche altri elementi della sua personalità: la preparazione giuridica, l’interesse per la letteratura cavalleresca, la committenza di opere d’arte, le donazioni ad istituzioni religiose ed assistenziali ed il suo impulso a rendere giustizia ai sudditi, sia pure in modi improvvisati e sommari.
Nel 1378 muore il fratello Galeazzo: per la porzione di dominio che gli spetta gli succede suo figlio Gian Galeazzo, che diviene così nuovo co-signore insieme a Bernabò. È un giovane non ancora trentenne che ha sposato la cugina Caterina, figlia di Bernabò e che conduce vita ritirata, ma intanto aspetta in silenzio il momento di sbarazzarsi dello zio-suocero. Il 6 maggio del 1385 nei pressi di Sant’Ambrogio, riesce a farlo catturare e poi imprigionare nel castello di Trezzo. Qui morirà, forse avvelenato per ordine del nipote, nel dicembre seguente a 62 anni. Dopo la cattura dello zio, Gian Galeazzo, per conquistarsi il favore dei sudditi, consente il saccheggio del palazzo di Bernabò.
Si narra di una serie di presagi infausti, che avrebbero annunciato la sua sventura: un cerchio di fuoco comparso in cielo nel quale si vedeva un teschio, un incendio ed un fulmine che avevano devastato il suo palazzo (e l’incendio, del 1379, potrebbe aver intaccato la chiesa).
Si svilupperà anche una “leggenda nera” sulle crudeltà del defunto, favorita anche dalla propaganda di Gian Galeazzo, che mirava a rovesciare sullo zio-suocero ogni colpa. Il palazzo viene indicato dalla voce popolare come luogo infestato da fantasmi e va crescendo nel corso dei secoli la sua fama come luogo di ogni crudeltà.
IL SIGNORE DELLA CHIESA DI SAN GIOVANNI IN CONCA
Dunque San Giovanni in Conca vive un’”età dell’oro” con Bernabò, determinato a fare della chiesa la sua cappella-mausoleo di famiglia. Un cronista del tempo narra che il signore l’aveva abbellita con pitture, altari, finestre, opere murarie.
Ed è proprio Bernabò, con ogni probabilità, il committente del ciclo di affreschi realizzato nella chiesa e che ci è giunto assai frammentario; ciò che resta è conservato nei Musei del Castello Sforzesco. Gli affreschi (“Storie di San Giovanni Evangelista”, il santo a cui la chiesa era dedicata) sono databili proprio all’età di Bernabò, tra gli anni 1360-65 e 1370-75: essi vengono attribuiti ad un pittore anonimo, certamente educato sugli artisti giotteschi.
Si può pensare che Bernabò abbia voluto qualcosa di davvero superbo per la sua chiesa: Cesare Cesariano, architetto, pittore, ingegnere, scrittore d’arte, parla nel 1521 della brillantezza e luminosità dei dipinti murali della chiesa di San Giovanni in Conca. Anche il veneziano Marcantonio Michiel ricorda (1518 circa): “in San Zuan de Conca le pitture a fresco antiche (…) oggidì risplendono come specchi”.

Forse il tirannico, imprevedibile Bernabò pensava anche ad un “colpo di teatro”: far collocare in San Giovanni in Conca, in posizione di assoluto rilievo, il suo marmoreo monumento equestre, risplendente d’oro, come conclusione di questa campagna di rinnovamento. Oggi rimane solo il 15-20% della sontuosa doratura e coloritura che impreziosiva l’opera e le donava un’immediata visibilità.
Di certo egli immaginava di trovare nella chiesa una splendida e perenne sepoltura; intanto vi faceva seppellire il figlio Marco e la moglie Beatrice Regina, morta nel 1384 (“La sua morte ha trafitto l’anima nostra con l’aculeo di un fortissimo dolore” – scriveva)
Anche il palazzo non passava inosservato: i porticati con colonne di marmo, le splendide pitture ricche d’oro, la bellezza delle mura e dei soffitti sono descritti con ammirazione dall’umanista Flavio Biondo intorno alla metà del Quattrocento.
Eccessivo e brutale come (quasi) sempre, Bernabò si era rivolto con queste parole all’arcivescovo di Milano che si era rifiutato di esaudire un suo ordine: “Non sai, poltrone, che io sono Papa, Imperatore e Signore in tutte le mie terre?” Fu scomunicato quattro volte (sostanzialmente per motivi politici) ed il papa Urbano V nel 1363 lo proclamò eretico, scismatico, e sciolse la moglie di Bernabò dai doveri coniugali verso il marito (la coppia in realtà ebbe quindici figli!)
IL CAVALLO: TRIONFO E CADUTA
Durante la sua signoria, la corte di Bernabò e la chiesa di San Giovanni in Conca divengono luoghi di primaria importanza nella geografia del potere visconteo a Milano. Nella chiesa si vede lui, a cavallo, scolpito in marmo rifulgente d’oro, incombente su tutto e su tutti: entro il 1363 il suo monumento equestre (e solo questo) è concluso.
È in marmo di Candoglia, opera di Bonino da Campione: Bernabò vi appare severo, maestoso, con la barba a due punte, mentre impugna il bastone del comando e siede altero su una sella da parata che ne innalza la figura. Il destriero è possente, la sontuosa armatura costellata di stemmi, motti, “imprese”, fra cui spicca il biscione dei Visconti. Forse il capo di Bernabò era allora coperto da un elmo con un vistoso cimiero a forma di drago.
Due figure femminili in lunghe vesti, che rappresentano le virtù della “Fortezza” e della “Giustizia” accompagnano nobilmente il signore, un signore forte ma anche giusto e virtuoso.
La grande arca funebre che oggi vediamo al Castello Sforzesco di Milano, alta circa sei metri, consta però di due parti: quella superiore (il monumento equestre vero e proprio) è collocata sopra una cassa sepolcrale che è adornata dalle figure degli Evangelisti, da una “Crocifissione”, un'”Incoronazione della Vergine” ed una “Pietà” insieme a varie immagini di santi.
Uno studio approfondito del monumento ha dimostrato che questa parte inferiore dell’arca (attribuibile a collaboratori di Bonino da Campione) fu realizzata in tempi brevissimi, utilizzando anche materiali di recupero provenienti da altre sepolture. Gian Galeazzo Visconti fece dunque concludere rapidamente il monumento sepolcrale dopo la morte dello zio da lui spodestato per poi tributargli, come tramandano le cronache, esequie fastose. La vestizione della salma con un prezioso tessuto d’oro, il lutto ostentato del nuovo signore, il concorso del popolo richiamato da generose elargizioni, i cavalli coperti da lugubri gualdrappe. Forse anche per allontanare da sé ogni sospetto, Gian Galeazzo archivia rapidamente la memoria di Bernabò.
Così, da allora, le due parti dell’arca convivono, in un suggestivo dialogo tra un Bernabò a cavallo al culmine della gloria ed il sarcofago della “frettolosa” sepoltura, simbolo della sua disfatta…
Dove volle Bernabò che fosse collocata la sua statua a cavallo? Jean de Hesdin, teologo francese, ricorda scandalizzato di aver visto nella chiesa di S. Giovanni in Conca un “abominabile idolum super altare Dei”. Un idolo addirittura sopra l’altare, sopra la sacra mensa? Se questa frase non è da prendere alla lettera, bisogna comunque pensare ad una posizione assolutamente privilegiata nel luogo più sacro della chiesa. Un gesto di orgogliosa affermazione del proprio io e del proprio potere da parte di Bernabò, una sfida alla Chiesa per sottolineare una ferma concezione assolutistica. O forse Bernabò voleva indirettamente suggerire che a lui era destinato il premio eterno in Paradiso?
I resti mortali di Bernabò e della moglie Beatrice Regina Della Scala riposano oggi insieme (a due passi da San Giovanni in Conca) nella chiesa di Sant’Alessandro in Zebedia: quelli di Bernabò dal 1814, quelli di lei dal 1892.
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
ARGENZIANO RAFFAELE, La pittura a Milano tra Duecento e Trecento. Stile e iconografia, Siena, Cantagalli, 2006
BELLONCI MARIA, Tu vipera gentile, Milano, Mondadori, 1972
BONELLI GIUSEPPE, Lettere di caccia viscontee, in “Archivio storico lombardo”, vol. 38 (1911), pp.465-469
CACIAGLI MARIO, Milano, le chiese scomparse, Milano, Civica Biblioteca d’arte, 1997, vol. I [San Giovanni in Conca, pp.46-98]
CATTANEO ENRICO, Istituzioni ecclesiastiche milanesi, in “Storia di Milano”, Milano, Treccani, 1954, vol. IV, pp. 615-721
COGNASSO FRANCESCO, I Visconti, Milano, Dall’Oglio, 1966
DAVID MASSIMILIANO, Milano romana. San Giovanni in Conca, Milano, Schede dell’Associazione Lombarda Archeologica, n.3, 1982
FIORIO MARIA TERESA, (a cura di), Le chiese di Milano, Milano, Electa – Credito artigiano, 1985 [San Giovanni in Conca: pp. 254-257]
GIULINI GIORGIO, Memorie spettanti alla storia, al governo ed alla descrizione della città e campagna di Milano ne’ secoli bassi, (6 voll.) – Documenti illustrativi ed indici generali della storia delle città e campagne di Milano del conte G.Giulini, vol.VII ed ultimo, Milano, Francesco Colombo Librajo editore, 1854-1857 (Nuova edizione con note ed aggiunte)
GUTIERREZ BENIAMINO, Vecchia e nuova Milano: dalle guglie al più antico S. Giovanni, Milano, Banca agricola milanese, 1935
LIMONGELLI MARCO, ‘Lamento di Bernabò Visconti’: edizione critica e commento, Tesi di Dottorato, Anno accademico 2009-2010, Università degli Studi di Trento
MAGNI MARIACLOTILDE, Giovanni in Conca, chiesa di S., in “Dizionario della Chiesa ambrosiana”, a cura di Angelo Majo, Milano, NED, 1989, vol.III, pp. 1461-1462
MICHIEL MARCANTONIO, Notizia d’opere di disegno nella prima meta del secolo XVI esistenti in Padova Cremona Milano … scritta da un anonimo di quel tempo pubblicata e illustrata da d. Iacopo Morelli, Bassano, 1800
Musei e Gallerie di Milano, Museo d’arte antica del Castello Sforzesco, Pinacoteca, Tomo I, Milano, Electa, 1997 [BERTELLI CARLO, Schede nn. 1-2; TRAVI CARLA, Schede nn. 7-21 e 26-31]
PIVA PAOLO, Lo “spazio liturgico”: architettura, arredo, iconografia (secoli IV-XII), in “L’ arte medievale nel contesto (300-1300) : funzioni, iconografia, tecniche”, a cura di P. Piva, Milano, Jaca Book, 2006, pp.141-180
PIZZAGALLI DANIELA, Bernabò Visconti, Milano, Rusconi, 1994
ROMANO GIACINTO, Un matrimonio alla corte de’ Visconti, in “Archivio storico lombardo”, vol. 18 (1891), pp.601-628
ROMANO SERENA, Il modello visconteo: il caso di Bernabò (https://www.academia.edu/5996425/Un_uomo_forte)
ROSA GILDA, Gli affreschi di San Giovanni in Conca, in «Arte lombarda», a. 10 (1. sem.) 1965, pp. 39-48
ROSSETTI EDOARDO, In “contrata de Vicecomitibus”. Il problema dei palazzi viscontei nel Trecento tra esercizio del potere e occupazione dello spazio urbano, in “Modernamente antichi: modelli, identità, tradizione nella Lombardia del Tre e Quattrocento”, a cura di Pier Nicola Pagliara e Serena Romano, Roma, Viella, 2014, pp. 11-43
SANT’AMBROGIO DIEGO, Il sarcofago e la statua equestre di Bernabò Visconti, in “Il Politecnico. Giornale dell’Ingegnere Architetto Civile ed Industriale”, 1908, pp.454-458
SANT’AMBROGIO DIEGO, Nel Museo di Porta Giovia. Il sarcofago di Regina della Scala, in “Il Politecnico. Giornale dell’Ingegnere Architetto Civile ed Industriale”, 1910, (LVIII), pp.181-186
TAGLIABUE ANNA, La decorazione trecentesca della chiesa di San Giovanni in Conca a Milano, in «Arte Cristiana», LXXVII, 732, 1989, pp. 211-224
TRAVI CARLA, Alla corte dei Visconti: pittura gotica in Lombardia, in “Lombardia gotica e tardogotica. Arte e architettura”, a cura di Marco Rossi, Milano, Skira, 2005, pp.147-173
VERGANI GRAZIANO ALFREDO, L’arca di Bernabò Visconti al Castello Sforzesco di Milano, Cinisello Balsamo, Silvana, 2001

Mariano Lio è autore del sito San Giovanni in Conca rivive…
Chi desidera maggiori informazioni può contattare l’autore scrivendo un mail a malio@rocketmail.com.