Il sud della Marca dal IV secolo alla guerra greco-gotica

Il sud della Marca dal IV secolo alla guerra greco-gotica di Riccardo Renzi[1]

Il presente lavoro intende indagare le dinamiche che hanno interessato il territorio più meridionale delle Marche dagli anni che vanno dallo spostamento della capitale imperiale da Roma a Milano sino alla guerra greco-gotica.
In questo ultimo periodo molto ho scritto su Firmum picenum e le Marche meridionali durante l’epoca romana, ma ho fatto solo sporadici riferimenti alle vicende relative a tali zone in epoca Tardo-antica, perciò nel presente contributo si vuole andare ad indagare le sorti che toccarono alla Marca meridionale dopo la caduta dell’Impero romano d’ occidente sino alla guerra greco-gotica.
Le osservazioni che seguiranno tengono naturalmente conto dei lavori di Procopio di Cesarea[2], Nereo Alfieri, Mario Dalle Carbonare, Gianfranco Paci e Maria Cecilia Profumo. Paci nell’intervento Le Marche in età tardoantica: alcune considerazioni tenuto presso il convegno di Ascoli Piceno del 2004[3], in continuità con ciò che afferma Procopio, si riconosce una continuità abitativa in tutto il territorio della Marca meridionale tra il V e il VII secolo. Il perdurare di dei centri urbani sino alla prima età longobarda è un elemento che emerge con forza anche negli scavi effettuati negli ultimi vent’anni in Italia centrale e settentrionale. È però doveroso sottolineare come riconoscere la continuità urbana non vuol dire affermarne la vivacità cittadina, economica e commerciale del periodo imperiale. Paci e Dalle Carbonare[4] nei loro interventi sottolineano più volte come sia improprio parlare di frattura con il mondo romano almeno sino alla fine del VI secolo[5]. Dal punto di vista amministrativo, l’area meridionale delle Marche fu scorporata a partire dagli inizi del IV secolo dalla regio V Flaminia et Picenum e venne a costituire il Picenum suburbicarium[6].

Parco Archeologico Castelleone di Suasa (AN)

Tale ripartizione era funzionale al numero di abitanti e alla distribuzione dei carichi fiscali, considerando che non dovevano più giungere a Roma, ma a Milano. I centri urbani amministrativamente autonomi in questa zona erano numerosi, circa 36[7]. Questi centri nella grande maggioranza erano anche centri episcopali, segno evidente della penetrazione del cristianesimo nel centro Italia. I centri più importanti erano quelli concentrati lungo la costa e lungo i fiumi, poiché potevano essere ancora attivi dal punto di vista commerciale. A tal proposito bisogna sottolineare come le città adriatiche e in particolare quelle attorno a Ravenna mantennero uno scambio commerciale costante con l’Oriente e Costantinopoli. L’influenza di Ravenna sul territorio circostante divenne predominante anche dal punto di vista artistico, come si evince chiaramente dagli scavi archeologici relativi alle zone di Rimini, Pesaro, Ancona e Urbisaglia[8].

Monile longobardo degli scavi di Castel Trosino

Le difficoltà dell’agricoltura altomedievale furono molto più marcate all’interno della Marca, lungo le pendici appenniniche. Durante il conflitto greco-gotico furono proprio queste zone ad avere la peggio, mentre alcuni centri lungo la costa andarono assumendo maggiore importanza e rilevanza strategico-commerciale. Tale fenomeno interessò sia l’area marchigiana che quella ravennate e basso ravennate[9]. La presenza di comunità e monumenti cristiani nelle zone di Fermo, Ancona, Pesaro e Porto Civitanova è databile tra la fine del IV secolo e gli inizi del V. Le sedi episcopali nel sud della Marca erano poche (Potentia, Cluana, Numana, Firmum e Cingolum) e le uniche veramente rilevanti dovevano essere Fermo e Cingoli. Tra quelle della marca settentrionale aveva un ruolo predominante Ancona. Durante il regno di Teodorico, il papa Gelasio I[10] rivolge alle sedi episcopali del piceno una lettera, senza però metterne in evidenza nessuna: ad omnes espiscopos per Picenum. La lettera, risalente al 493, si apre con un chiaro riferimento alle devastazioni della guerra, perciò non è da escludere che tali fatti possano aver creato scompiglio anche tra i vescovi e le sedi episcopali del territorio marchigiano. Per maggiore chiarezza tale lettera è da confrontarsi con quella dell’anno seguente indirizzata dal medesimo Papa ai vescovi Massimo ed Eusebio nella quale prega loro di vigilare sui confini delle diocesi. Questa è la prova connotata che la guerra stava devastando e facendo mutare quei territori. Dunque, potremmo affermare che il territorio del sud della Marca dagli inizi del IV secolo sino alla guerra greco- gotica (535-553), non ha subito forti mutamenti amministrativi e demografici, questi iniziarono solo con lo scoppio della guerra e lacerarono quei territori anche nel secolo successivo.

[1] Istruttore direttivo presso Biblioteca civica “Romolo Spezioli” di Fermo.
[2] Nativo di Cesarea marittima, in gioventù studiò retorica, filosofia e diritto a Gaza, dove conobbe anche le opere degli autori antichi, come Erodoto e Tucidide. Successivamente si trasferì a Costantinopoli sotto il regno di Anastasio, esercitando la professione di avvocato. Le fonti lo indicavano anche come retore («ῥήτωρ») e sofista («σοφιστής»). Nel 527, quando il generale Belisario divenne comandante delle truppe di Dara contro i Persiani, Procopio venne nominato suo consigliere. In quanto consigliere e segretario del celebre generale, prese parte alla guerra iberica (526-532) contro i Sasanidi e alla guerra vandalica (533-534) contro i Vandali. Nel 534, in seguito alla conquista dell’Africa, Procopio non seguì Belisario a Costantinopoli ma restò in Africa alle dipendenze del magister militum e prefetto del pretorio Salomone. Quando scoppiò una rivolta dell’esercito africano, Salomone e Procopio furono costretti a fuggire in Sicilia da dove chiesero aiuto a Belisario, che aveva poco prima strappato l’isola ai Goti. Belisario, pur infliggendo una sconfitta ai ribelli, non ottenne una vittoria definitiva su di essi, e ben presto fu costretto a ritornare in Sicilia. Procopio lo seguì divenendo di nuovo suo segretario, e partecipando alle campagne condotte contro i Goti (535-540). Ritornato a Costantinopoli con Belisario nel 540, fu testimone oculare dell’epidemia di peste che flagellò la capitale nel 542. Dopo il 540 dovrebbe essere rimasto a Costantinopoli, non seguendo Belisario nelle sue successive campagne, sebbene non tutti gli storici siano d’accordo. Nel 551 scrisse una Storia delle guerre in sette libri che narra delle guerre di cui è stato per molti fatti testimone diretto; un ottavo libro dell’opera, un aggiornamento, uscì nel 553. Su richiesta dell’Imperatore scrisse anche Sugli Edifici, uno scritto encomiastico relativo alle opere edilizie sorte per iniziativa di Giustiniano. Fu autore anche di una Storia segreta (gr. Anékdota), un libello astioso contro Giustiniano e Teodora venuto alla luce molti secoli dopo la morte dell’autore. È stato identificato da taluni con il Procopio prefetto di Costantinopoli nel 562, anche se tale identificazione non è certa e potrebbe essere un caso di omonimia.
[3] G. Paci, Le Marche in età tardoantica: alcune considerazioni, in Ascoli e le Marche tra tardoantico e alto medioevo, Spoleto, 2004, pp. 3-24.
[4][4] M. Dalle Carbonare, Le Marche Meridionali da Teodorico a Giustiniano, in Picus, n. 1, 2006, si veda p. 44.
[5] B. W. Perkins, The towns of northern Italy: rebirth or renoval?, in Rebirth of towns in the west. AD 700 – 1050, London, 1988, pp. 16-27.
[6] N. Alfieri, L’insediamento urbano sul litorale delle Marche durante l’antichità e il Medioevo, in Themes de reserches sur les villes antiques d’occident, Strasbourg 1-4 octobre 1971, in Colloques internationaux du Centre national de la reserche scientifique, n. 542.
[7] S. Bocci, Le Marche nelle fonti storico-letterarie tra V e VI secolo, in Ascoli e le Marche tra tardoantico e alto medioevo, Spoleto, 2004, pp. 30 – 31.
[8] M. C. Profumo, La tarda antichità e il Cristianesimo, in La necropoli altomedievale di Castel Trosino. Bizantini e longobardi nelle Marche, Ascoli, 1995, p. 29.
[9] D. Vera, Proprieta terriera e societa rurale nell’Italia gotica, in Teodorico il grande e i Goti d’Italia: atti del 13. congresso internazionale di studi sull’alto medioevo, Milano 1992, pp. 133-166.
[10] Gelasio, come egli stesso dichiarava in una lettera all’imperatore Anastasio I (Epistola XII, n. 1), era Romanus natus. Tuttavia, il Liber Pontificalis riporta che era natione Afer, quindi, a volte, viene indicato come persona di colore. Per afer, tuttavia, si intendeva un nativo della provincia d’Africa, pertanto papa Gelasio, era con ogni probabilità di carnagione chiara, dato che il popolo che lì vive da millenni, quello dei berberi, è di pelle mulatta tendente al bianco. Prima della sua elevazione al soglio di Pietro, Gelasio era stato spesso impiegato dal suo predecessore Felice III, soprattutto nella stesura di documenti ecclesiastici, e la sua elezione, il 1º marzo 492, fu un gesto di continuità. Tale questione ha portato alcuni studiosi a confondere gli scritti dei due pontefici. Uomo che ebbe i suoi natali nell’attuale Algeria, cristiano fervente e caritatevole che durante il suo papato si interessò dei profughi che fuggivano dal territorio italico a causa dell’invasione di Teodorico; il pontefice tenne ottimi rapporti con quest’ultimo. Si autodefinì “Vicarius Christi” a seguito del sinodo romano del 13 maggio 495 in cui, con lo stesso, volle sottolineare l’importanza del potere di Roma e mettere in secondo piano il potere di Costantinopoli – che al tempo veniva anche chiamata “seconda Roma”. Con il titolo di vicario volle altresì ricordare alle chiese che il vescovo di Roma faceva le veci del Figlio di Dio e pertanto di Lui ne difendeva i diritti e ne esercitava la responsabilità.

Riccardo RENZI (1994). Dopo la laurea triennale in Lettere classiche presso l’Università degli studi di Urbino, discutendo una tesi recante titolo “La nobiltà in Francia nei primi due secoli dell’età moderna” (febbraio 2017), ha conseguito la Laurea magistrale in Scienze Storiche presso l’Università di Macerata discutendo una tesi dal titolo “Latin historian’s manuscripts and incunabola preserved at Fermo Public Library Romolo Spezioli” (ottobre 2020). Ha inoltre conseguito una Summer school in metrica e ritmica greca presso la Scuola di metrica dell’Università di Urbino (2016), il percorso psico-pedagogico per l’insegnamento (24 CFU) presso l’Università di Macerata (2019) e i diplomi in LIM e Tablet. Nell’ottobre 2022 consegue il Master di primo livello in “Operatore delle biblioteche”. Ha insegnato materie letterarie presso l’Istituto di Formazione Professionale Artigianelli di Fermo dall’ottobre 2021 al marzo 2023, attualmente, dopo la vittoria del concorso pubblico di categoria D1 presso il IV settore del Comune di Fermo, lavora come Istruttore Direttivo presso la Biblioteca civica Romolo Spezioli di Fermo. È membro dei comitati scientifici e di redazione delle riviste Scholia e Il Polo, è inoltre vicedirettore della rivista Scholia (Didattica) e membro del comitato scientifico del Centro Studi Sallustiani. È inoltre socio dell’Aib, della Società Dantesca Fermana, dell’Unipop di Fermo e dell’Associazione teste di Rapa di Rapagnano. Per contattare l’autore clicca qui !

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