
Industria e commerci savonesi tra Medioevo e Età Moderna di Stefano Roemer de Rabenstein
Le radici del commercio a Savona affondano nei secoli antecedenti la nascita di Cristo: già Fenici e Cartaginesi scambiano stoffe, gioielli e spezie sulle coste savonesi. La fioritura degli scambi commerciali, che fa di Savona il miglior punto di incontro tra Valbormida, Piemonte, Lombardia ed Emilia-Romagna e le coste del Mediterraneo, propiziata dalla conformazione territoriale, è sicuramente di epoca tardomedievale: dalla nostra città partono regolarmente merci di vario tipo, con destinazioni fisse, tanto da definire quattro vere proprie linee commerciali: la prima, del grano e del vino, solca i porti di Civitavecchia, Napoli e della Sicilia; la seconda, delle spezie, dell’oro e delle pietre polverizzate, scende a Gaeta, Napoli, Rodi, Cipro e Alessandria d’Egitto; la terza, del sale e della cera, da Savona raggiunge la Provenza, la Catalogna, Minorca e Ibiza; la quarta, dei tessuti, passa lo Stretto di Gibilterra, scaricando vino e caricando tessuti e lana in Inghilterra.
Lo scalo savonese, amministrato da nove magistrati, detti Sabarbari, è innegabilmente l’infrastruttura fondamentale e necessaria a tutto ciò: grazie alla costruzione del molo di Sant’Erasmo, del molo delle Casse e della Calata e ai perfezionamenti dell’insenatura di Levante, porto naturale, Savona spaventa le repubbliche marinare (in particolare l’eterna rivale Genova), forte di un’organizzazione all’avanguardia, che offre servizi di stoccaggio, aree per stipulare contratti e discutere affari, oltre a una dogana amministrata dai Misuratori della Raiba.
In città molte botteghe artigianali diventano vere proprie industrie, in particolare nei settori della lana, all’apice dello splendore nei secoli XIV e XV, della maiolica, le cui radici risalgono al 200 d.C. e capace di produrre vasellami esportati nelle più importanti corti quattrocentesche italiane, delle pelli, in ascesa fino al ‘500, del sapone, sopraffatto dalle concorrenti francesi a causa delle sciagure del 1528, del ferro, che diede vita ad un vero e proprio circuito, con la materia prima in arrivo dalle miniere Elbane, lavorate nelle ferriere del comprensorio e utilizzate o esportate in città, e della cantieristica navale, di cui si hanno notizie già nel XII Secolo come officine-magazzini sulla spiaggia. Un ruolo importante in questo processo di industrializzazione lo ha giocato il sistema corporativo, codificato nell’edizione degli Statuta Antiquissima e capace di regolamentare non solo la professione, ma anche usi e costumi degli artigiani iscritti, sotto la guida di uno o più consoli, eletti annualmente.

E’ quindi lecito pensare che la subordinazione del settore commerciale ed industriale savonese rispetto alle altre potenze del Mediterraneo sia da additare a fattori esterni, dal momento che Savona, seppur libero comune dal 1191, ha sempre dovuto fare i conti con podestà filogenovesi, governi francesi, viscontei e sforzeschi, alternando periodi di sottomissione a periodi di indipendenza da Genova, che non hanno certo giovato, minando la stabilità e la continuità di tale settore; il famoso insabbiamento del porto del 1528, ordinato dal genovese Andrea Doria, e lo scoppio della polveriera cittadina del 1648 ne hanno poi siglato la fine.
Stefano Roemer de Rabenstein si è laureato a Febbraio 2016 presso la Facoltà di Giurisprudenza all’Università di Genova, Corso Giurista dell’Impresa e dell’Amministrazione, presentando una tesi intitolata “La disciplina dell’industria e del commercio navale Savonese tra Medioevo ed Età Moderna“.
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