Io mi son giovinetta

“Io mi son giovinetta” di Patrizia Bovi

Contesto: I giovani della brigata “si levarono a’ balli costumati, e forse mille canzonette più sollazzevoli di parole che di canto maestrevoli avendo cantate, comandò il re a Neifile che una ne cantasse a suo nome; la quale con voce chiara e lieta così piacevolemente e senza indugio incominciò: Io mi son giovinetta e volentieri…” (Decameron, IX, conclusione). Tratto dal progetto dell’Ensemble Micrologus “Canti di una brigata fiorentina: Trattenimenti musicali nella novellistica toscana del Trecento”. ricerca musicologica di Francesco Zimei presentato al Early Music at I Tatti, XXII. il 13 giugno 2013.
Nel testo di Boccaccio la forma musicale di spicco che conclude le giornate di narrazione è la ballata monodica. A differenza di altri poemi dell’epoca,come il Liber Saporecti di Prodenzani, il Decameron non presenta nessun brano che sia rimasto nella tradizione manoscritta dell’epoca, fatta eccezione di alcuni brani di tradizione popolare come “L’acqua corre alla borrana” o la “Canzone del basilico”. Quest’ultima ci viene restituita da due codici di mano fiorentina, il primo è il Laurenziano XLII. 38 vergato verso la fine del Trecento, e il secondo è il Laurernziano Gaddiano reliqui 161, trascritto nella seconda metà del Quattrocento. La maggior parte delle ballate che chiudono ogni giornata e che venivano affidate ad un membro della brigata, sono state composte da Boccaccio. Quale musica immaginiamo che fosse utilizzata per cantare questi testi? Un indizio ce lo danno le 16 ballate monodiche che abbiamo ricevuto dai manoscritti alla fine del XIV secolo. Alcune di queste ballate, composte da Lorenzo da Firenze e Gherardello, possono essere usate, come è stato suggerito dalle ricerche di Marco Gozzi, come formule, quando condividono uno schema metrico simile, per rivestire i testi di Boccaccio.
Un esempio è dato da “Io mi son giovinetta”, ballata a chiusura della nona giornata che viene qui eseguita, seguendo la ricostruzione di Marco Gozzi, sulla musica della ballata monofonica di Lorenzo “Donne e ‘fu credenza” (Biblioteca Laurenziana, MS Mediceo Palatino 87, f. 51r), seguendo la tecnica del contrafactum. La pratica di adottare una melodia preesistente per un nuovo testo letterario, noto anche come cantasi come, era abbastanza comune nell’Italia tardo medievale. E’ proprio Lorenzo da Firenze che ci restituisce in musica quando ancora Boccaccio è in vita, due suoi testi, la ballata conservata nel codice Squarcialupi, “Non so qual i ‘mi voglia” ed il madrigale “Come in sul fonte fu preso Narciso”. Francesco Zimei, ideatore del progetto “Canti di una brigata fiorentina”, evidenzia nel suo articolo “Riflessi musicali nella novellistica toscana del Trecento” quali erano le forme poetiche e gli strumenti musicali più citati: ballate e canzoni seguite dai madrigali e per gli strumenti: trombe, liuto, organo portativo e viella. Zimei, dopo aver analizzato i testi ed il contesto storico artistico, giunge alla conclusione che la musica costituisse un momento centrale dell’intrattenimento dell’ambiente borghese fiorentino, e che i generi praticati conformi al gusto ars novistico, lo fossero, da un pubblico abbastanza vasto che, nonostante le difficoltà tecniche imposte da quei repertori, si trovava del tutto a suo agio, molto più di quanto oggi possiamo immaginare.

CATEGORIE
CONDIVIDI SU
Facebook
Twitter
LinkedIn
Pinterest
WhatsApp
Email
Stampa
My Agile Privacy
Questo sito utilizza cookie tecnici e di profilazione. Cliccando su accetta si autorizzano tutti i cookie di profilazione. Cliccando su rifiuta o la X si rifiutano tutti i cookie di profilazione. Cliccando su personalizza è possibile selezionare quali cookie di profilazione attivare.