
Jolly Roger, il furbo Ruggero
Nasce a Genova il mito della bandiera dei pirati?
di Davide Barella
In quel meraviglioso e torbido mondo che è il Medioevo è molto facile imbattersi in personaggi quanto meno controversi. Probabilmente è proprio l’alone di mistero che aleggia intorno ad alcune figure ad accrescerne fascino e capacità attrattiva. Con loro non vi sono mezze misure: si passa da una smisurata ammirazione a una critica feroce in un amen, con la stessa disinvoltura con la quale si gira una paginetta del grande libro della Storia.
A questa categoria appartiene di diritto il controverso personaggio che risponde al nome di Ruggero Da Fiore (o anche Roger Da Flor), armatore brindisino, ex templare e ideatore del… lo vedremo più oltre.
Nato infatti a Brindisi (Ruggero è un personaggio che mi è particolarmente simpatico poiché anche io vanto le medesime origini geografiche) da una nobile locale e da un falconiere di Federico II di Svevia, rimase presto orfano di padre, morto a Tagliacozzo nel 1268. Il 23 agosto i Guelfi (rappresentati da Carlo I D’Angiò) e i Ghibellini (che sostenevano Corradino di Svevia) combatterono lì una battaglia sanguinosa, una sorta di resa dei conti fra sostenitori del potere spirituale del Papa e quelli che militavano per il potere temporale dell’Imperatore. Vinsero gli Angioini, con buona pace degli Svevi, oramai in parabola discendente. Il bambino aveva solo un anno di vita e la perdita del genitore obbligò la famiglia a vivere in condizioni precarie. Nel 1275 accadde l’episodio che determinò la svolta nella vita di Ruggero/Roger; aveva infatti otto anni quando conobbe frate Vassayl, un provenzale che si stabilì per qualche mese con la sua nave e il suo equipaggio al porto di Brindisi; era un monaco Templare e fu subito colpito dalle caratteristiche del bambino, tanto da convincere l’Ordine a fare un’eccezione alla Regola e a fare entrare nelle proprie fila il giovane prodigio. La famiglia del bambino, indigente e alla disperazione, non poté che accettare di buon grado questa soluzione, per garantire un avvenire al rampollo, non avendo tra l’altro, da offrire nessuna alternativa.

La carriera templare di Ruggero/Roger fu fulminante, egli crebbe in fretta e salì le scale gerarchiche fino a divenire sergente a soli vent’anni, dopo aver dimostrato di essere non solo il più giovane ma a anche uno dei più valenti marinai del Mediterraneo. La promozione non tardò ad arrivare: per lui l’Ordine aveva in serbo il comando di un vascello ultramoderno per l’epoca, il Falcone del Tempio. Ma si sa, avere responsabilità vuol dire essere sempre schierato in prima linea, quindi non dovette aspettare molto prima di mettere in mostra le sue capacità belliche.
Nel 1291 si svolse la battagli di Acri. Acri era la capitale dell’Ordine dei Crociati in Terrasanta, fin dal 1104, quando i Cavalieri costruirono il loro porto sul Mediterraneo e la loro immensa città, divisa fra quella in superficie e il misterioso, infinito dedalo sotterraneo. Nel 1229 fu sotto il controllo degli Ordini Spedalieri, poi dei Templari, finché, proprio nel 1291 gli Ottomani, guidati dal Sultano Al –Malik, dopo un assedio finito nel sangue, la espugnarono. I Templari persero, dovendo ripiegare su una ritirata strategica. Insieme alla popolazione civile i galeoni imbarcarono parte dei grandissimi tesori accumulati dall’Ordine e custoditi nelle stanze della città segreta sotterranea, per poi fuggire, direzione coste francesi.
Qui la leggenda comincia a infittirsi e il mito principia a nascere: alcune fonti dicono ch’egli versò tutte le ricchezze portate a bordo regolarmente, altri invece, forse mossi dall’invidia per il potere e il carisma del sergente, riferiscono ch’egli trattenne del denaro e dei preziosi per speculazioni personali, piuttosto che per avidità. Fatto sta che in mancanza di prove il Gran Maestro Jacques De Molay lo mise fuorilegge; data la potenza e la presenza capillare sul territorio dei Cavalieri, Roger dovette fuggire, dapprima a Marsiglia, dove abbandonò il Falcone, quindi a Genova, dove grazie a qualche sostanza personale e l’aiuto di alcuni amici poté comprare e armare l’Olivetta, con la quale dare vita alle sue nuove attività sul mare.
Ecco che il cavaliere del Tempio non esiste più, e al suo posto nasce un pirata; forte, invincibile, arguto, capace, scaltro, senza scrupoli; un mercenario che sarà a disposizione di chi lo ingaggerà per avere le prestazioni della sua nuova brigata. La Regola aveva lasciato delle tracce tangibili nel suo comportamento, poiché egli si mostrava comunque amico, “fratello” dei suoi compagni, anche nella divisione dei proventi della loro attività. Nel corso degli anni combatté per gli Aragonesi in Sicilia, e per chiunque ne chiedesse le prestazioni. Non dimentichiamo che anni prima proprio gli Aragonesi erano stati fra i responsabili della morte del padre… Sotto il servizio dell’Imperatore Andronico II diede vita alla Compagnia Catalana, un formidabile esercito, invincibile, composto prevalentemente da marinai iberici. Con loro vinse numerose battaglie e si impose all’attenzione della comunità internazionale anche per azioni poco valorose, come una strage di mercanti genovesi presso Bisanzio, che all’epoca ancora si chiamava Costantinopoli. Il principe ereditario Michele, figlio di Andronico, iniziava a nutrire nei confronti di Ruggero/Roger un’insana invidia personale, che sfociava nella paura di rimetterci una leadership già molto fragile. E fu così che nel 1305, a trentotto anni, Ruggero/Roger fu ucciso nel corso di una cospirazione amica, mentre si apprestava a conquistare l’Anatolia, strappandola al nemico storico preferito, il saraceno.
Fra le varie eredità di Ruggero, resta quella iconografica della bandiera dei pirati, il “Jolly Roger”. Per molti anni si è creduto, chissà se a torto o ragione, che Jolly Roger derivasse da “Jolie Rouge”, il “rosso carino” delle prime bandiere dei filibustieri, mal pronunciato all’inglese. In realtà, con buona pace dei sostenitore dell’ipotesi cromatica, con ogni probabilità il Jolly Roger va ricondotto proprio a Ruggero da Fiore.
La bandiera templare, quella bianca con la croce patente rossa, il pirata non poteva usarla, perché fuoriuscito dall’Ordine. Ancor peggio sarà in un futuro prossimo, due anni dopo la morte del Da Flor, nel 1307, quando lo stesso Ordine verrà messo fuorilegge dal Re francese Filippo il Bello con la complicità di Papa Clemente V; quel simbolo dovette rimanere clandestino per un po’, fino alle vele delle caravelle di Cristoforo Colombo nella sua traversata del 1492…
Comunque, dicevamo, occorreva trovare un nuovo simbolo. Un Templare resta tale dentro, nell’intimo, anche se l’Ordine lo caccia, quindi il buon Ruggero si rifà lo stesso all’iconografia cavalleresca. Quando un Cavaliere moriva in Terrasanta, i suoi resti venivano custoditi in un ossario a forma di scrigno, preferibilmente in pietra. Tutte le ossa venivano riposte in una cassa, e le più ingombranti, il teschio e le tibie, venivano poste in cima, incastrate fra loro; teschio in mezzo, tibie incrociate appena sotto. Sopra lo scrigno vi era la croce patente, scolpita. Appena si apriva la cassa, ecco che la prima cosa che appariva era la combinazione Skulls and crossbones. Solo un Templare poteva essere a conoscenza della cosa. Si trattò di una furbizia, che fece nascere il mito della bandiera dei pirati. In seguito venne usata da molti altri ex cavalieri che dopo la messa in liquidazione clandestina dell’Ordine dovevano riconoscersi per non attaccarsi fra loro. Ecco che quindi “Jolly Roger” sta per “Il furbo Roger”. In seguito, nel corso dei decenni, ogni grande pirata personalizzò la propria bandiera affidando alle immagini di essa un forte valore simbolico. Ma il primato resta del più scaltro dei pirati di fine 1200, quello che disciplinò per primo un’attività fino ad allora considerata solo criminale. Il furbo Roger.
Davide Barella ha 46 anni, è laureato in Lettere. Vive e lavora nel Ponente ligure, dove insegna e realizza progetti culturali di utilità sociale (scuole, carceri, comunità minorili, centri per disabili, biblioteche, Comuni). È anche uno studioso del territorio, specializzato nei Conti corsari di Ventimiglia in letteratura, dal “Corsaro Nero” di Emilio Salgari in poi, ed esperto dei movimenti segreti creatisi dopo la dissoluzione dell’Ordine Templare. Conferenziere, formatore, ha pubblicato nel 2017 il saggio “Il Conte di Ventimiglia” e nel 2018 “I Ventimiglia. Conti. Corsari. Eroi”, entrambi editi presso Eretica edizioni, Buccino, SA. E-mail: barellabros@outlook.it.