La Basilica (ex, molto ex) di Santa Giulia a Bonate Sotto (Bergamo, cela va sans dire) di Francesco Venturini
C’era una volta, nel secolo duodecimo, una chiesa grande e bella, onusta di decori e di leggende, così agiografiche come storiche.
Le prime vogliono che qui, sulla sponda del Brembo, sbarcassero a trovar pace le spoglie della Santa cartaginese crocifissa in Corsica secondo controversa procedura (con o senza previa ablazione dei seni, ma in ogni caso intorno al 450).
Le seconde attribuiscono alla volontà redentrice di Teodolinda la costruzione della prima chiesa dedicata alla martire di cui si diceva.
Non è invece leggenda che una chiesa, grande e bella e romanica, sia stata qui (ri)costruita fra undicesimo e dodicesimo secolo.
Poi il fato avverso, o l’avarizia iconoclasta, o il fervore muratorio dei bergamaschi da basso, tutto ciò o qualcosa di ciò la ridusse a supermercato di materiali edilizi. Quattro delle cinque campate scomparvero. Se ne può trovare qualche residuo fin nel campanile costruito fra Settecento e Ottocento un paio di chilometri in là, vicino ma non attaccato alla chiesa parrocchiale, che sta ovviamente al centro del borgo operoso.
Così la campata superstite, con quello che fu il presbiterio, desolata e aperta ai venti contempla il cimitero, pure abbandonato, del quale è diventata cappella. A completare lo scempio, un orrido affresco tardo settecentesco sul fondo dell’abside centrale, e insulse lapidi ottocento-novecentesche intorno, sotto lo sguardo affranto di belve e omini dai due capitelli che ancora testimoniano del romanico la dignità offesa ma non abolita, il fascino spregiato dai muratori e dai preti ma non dai cercatori devoti delle antiche istorie. Come ne testimoniano le absidi, scandite da filiformi semicolonnine e confortate da archetti su peducci con qualche espressiva testina, e le monofore, che ancora recano segni di voluttuosi intrecci. E’ ben vero che l’abside centrale fu assurdamente rialzata nel mai abbastanza deprecato Settecento. Sacrilegio per aggiunta, dopo il sacrilegio per sottrazione.
Resta da ricordare l’urna cineraria romana finita in cima a una colonna e spaccata in due dal capitello. Anche l’urna porta il carico di una leggenda longobarda, perché Teodolinda fu regina anche dell’immaginario, come dimostra il ciclo di affreschi nella cappella a lei dedicata, dentro il duomo di Monza.
Nato nel 1950. Per molti lunghi anni docente di materie letterarie in un liceo. Ora dedito a interessi vari e per la maggior parte innocenti, come l’esplorazione di chiese romaniche, delle quali parlo ai miei coetanei nelle Unitre.
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