La Capitanata Svevo-Angioina e lo “Statutum de Reparatione Castrorum
La localizzazione della “domus masserie Lucerie” e della “domus Girofalci” di Eduardo Gemminni
Uno degli importanti provvedimenti della politica amministrativa, federiciana prima e quella angioina dopo, fu quella di regolamentare la materia relativa alla manutenzione e alla riparazione dei numerosi castrum e domus sparsi nel Regno di Sicilia. Nacque così quello che viene comunemente chiamato lo “Statuto sulla riparazione dei castelli”, uno dei punti fermi dell’organizzazione dell’amministrazione castellare tanto nell’età di Federico II di Svevia quanto in quella di Carlo I d’Angiò. Federico II decise di regolare questa materia, in occasione delle Constitutiones, disponendo di raccogliere e codificare le consuetudini relative alla riparazione dei castelli, già affermata in età normanna, secondo “l’uso di coinvolgere nella riparazione dei castelli le popolazioni circostanti”. Eduard Sthamer ritiene che lo Statuto, così come pervenutoci, sia nato proprio sulla base di quella disposizione di Federico, come raccolta di consuetudini. Nel mandatum pro reparatione castrotum imperialum, citato da Riccardo di San Germano per l’ ottobre 1231, l’illustre archeologo tedesco non vede altro che la forma primitiva allora codificata di questo Statuto. Quindi quando nella commissio del 1230/31 si dice: i provisores devono far riparare i castelli da coloro i quali erano soliti ripararli al tempo del re Guglielmo II, “non ci troviamo di fronte ad una semplice ripetizione letterale dalla citata disposizione generale di Federico, ma esiste anche un palese nesso causale” (1). In questa commissio, Federico ordina a ognuno dei giustizieri del Regno di scegliere quattro tra gli uomini più anziani della propria provincia, che avessero ancora notizia delle leggi di un tempo emanate dal normanno Ruggero e memoria degli usi e consuetudini generali dell’età di Guglielmo II; questi devono essere inviati a corte. L’intento è chiaramente quello di raccogliere e codificare l’antico diritto consuetudinario normanno: ciò avviene infatti con la promulgazione delle Costituzioni di Melfi.
Nella commissio per i provisores neo-nominati nell’ottobre 1239, compare nuovamente tra i compiti del provisor la riparazione dei castelli e delle domus nostris solatiis deputate, residenze regie di svago, e lo stesso Statutum contiene le norme, non solo per la riparazione dei castelli in senso stretto, ma anche delle numerose domus, in particolare in Capitanata, dove l’imperatore amava sostare maggiormente: <Cum solatiis nostris Capitanatae provinciam frequentius visitemus et magni quam in aliis regni nostri moram sepius trahimus ibidem>. Nella lista dello statuto primoangioino (1269), si dispone che le popolazioni di Monopoli, Bitonto e Bitetto siano tenute alla manutenzione del Castrum di S. Marie de Monte (Castel del Monte), una “madrasa” in terra di Puglia. Questa importante costruzione, che risulta già essere inclusa nella lista del castra exempta del 1239 tra i castelli curiali, nella sua pianta architettonica evoca le antiche madrase islamiche. Forse nell’intento dell’imperatore, più che un palazzo di caccia, questa costruzione doveva rappresentare un luogo di meditazione, forse un centro di spiritualità rivolto a dialoghi interreligiosi. E’ da osservare che il “centro studio superiore”, in cui si insegnavano tutti i rami delle “scienze speculative ”, citato in occasione dell’ambasciata di Ibn Wail a Manfredi, nel 1261, non dovrebbe essere riferito a Lucera (2), ma, con molta probabilità, all’Università di Napoli, istituita da Federico II nel 1224: la prima università europea fondata con un atto regio; Manfredi, nel 1258,ne decretò il ritorno a Napoli da Salerno. Lo Studium napoletano si poneva di fatto sulla scia della madrasa medievale, un ’istituto superiore in cui si insegnavano tutti i rami delle “scienze speculative o razionali”. Studium federiciano e madrasa islamica infatti si caratterizzano per lo studio delle materie, per l’atto di fondazione (waaf) e dagli interessi dei fondatori. Federico II vietò espressamente che istituti di questo genere, Studium, potessero nascere in altre parti del Regno. Probabilmente il passo di questa trascrizione dall’arabo è stato erroneamente interpretato dal contesto del racconto storico.

Con la presa di Lucera (1269), sappiamo che Carlo I ordina di portare a corte i quaterni curie, che si trovavano a Melfi, Canosa e Lucera e, che, a Canosa e a Lucera, erano custoditi atti e registri di età federiciana: “nasce quindi il sospetto che, con la presa di Lucera, cadessero nelle mani di Carlo d’Angiò parti consistenti dell’archivio di Federico II” (3), di Corrado e di Manfredi e, tra questi, probabilmente quel “mandatum pro reparatione castrorum imperialum”, fatto redigere in occasione delle Constitutiones e giunto a noi in redazione di epoca angioina. In esso notiamo che, praticamente, tutte le aziende della corte sveva inventariate ricompaiono quali masserie in età primoangioina, la maggior parte ancora in mano alla Corte regia.Inventariata in età primoangioina, alla cui manutenzione erano tenuti i saraceni di Lucera,: <Domus massarie Lucerie (reparari possint) Sarraceni Lucerie>, questa domus, esplicitamente destinata ad una azienda agricola, “già in età sveva presentava le caratteristiche di azienda produttiva” (4), aziende cioè che, magari dotate di elementi difensivi (come vedremo per la domus max. Lucerie) o di un edificio fortificato, sono destinate essenzialmente alla produzione, prima ancora che alla residenzialità. Sia in epoca federiciana che in quella angioina, questa masseria regia (la masseria regia è in sostanza un’azienda produttiva dislocata in un’area di dominio riservato al potere centrale), era gestita (domus e masseria) da personale saraceno, ecco perché si spiega l’onere della competenza alla riparazione da parte di quest’ultimi. Infatti, il doc. 266, del 24 settembre 1299, del “Codice diplomatico saraceni Lucera”, cita che la “masseria Lucera”, cioè quella collegata alla domus, era (un tempo), in mano al saraceno Madio, uno dei potenti capi della comunità siculo-musulmana, a cui Carlo I spesso si rivolgeva per impartire ordini: <(..) max. Lucerie, que fuit qd. gayti Madii (..)>. Lo stesso Statutum, relativamente a Lucera, dispone che il <Castra Vetus>, cioè il palazzo federiciano, e il <Castrum novum>, cioè l’intera fortezza angioina, devono essere riparate sia dai cristiani che dai saraceni di Lucera.
L’inventario N.640, del 1301, del “Codice diplomatico saraceni Lucera”, elenca i beni immobili di una certa importanza, quasi tutti in mano ai saraceni, donati da Carlo II a Giovanni Pipino, dentro e fuori Lucera; tra questi, viene elencata la <domus una pro massaria subtus nemus Palmarum cum eius pertinentiis;>, cioè una domus esplicitamente collegata ad una masseria, sita al di sotto del bosco di Palmori. La descrizione di questa domus porta alla mente alla domus citata dallo Statutum, <domus massarie Lucerie>”, che, considerata la sua importanza, potrebbe forse coincide con quella elencata tra i beni di Pipino. Completa di pertinenze, questa <domus pro massaria> di fondazione regia, per dimensioni, importanza e destinazione, può essere “comparabile, per scala e tipologia, alle più cospicue grange dei monasteri, con parti residenziali e rustiche razionalmente accostate, e vasti ambienti predisposti per il deposito e la lavorazione del prodotto o come ricovero di animali”(5). La ricerca di questa domus, alla luce di questa breve descrizione, va orientata verso il lato est di Lucera, in quella che era la centuriazione “per decumanos solos”. Ebbene, G.D.B. Jones, in una pubblicazione del 1987, frutto di una ricerca in loco(6), parla di quattro antichi siti agricoli, individuati in località ”Masseria Villano”, area confinante con l’allora esistente bosco di Palmori, località, quest’ultima, non compresa tra le masserie regie di Capitanata di Federico II ne in quelle primoangioino di Carlo I. (7). Di Palmori, tra l’altro, si parla solo della presenza di una masseria, non di una domus collegata a una masseria. In aggiunta agli antichi quattro siti agricoli, Jones, in una illustrazione, “Palmori Lucera East”, contenuta nella pubblicazione del citato anno, descrive, nei pressi di “Masseria Villano”, la presenza di un “terrapieno medievale”, una “motta”, un tipo di fortificazione artificiale altomedievale di pianura introdotto dai normanni, normalmente circondato da un fossato come elemento difensivo, un caposaldo, dove normalmente insistevano le domus di epoca federiciana, non di rado sorte su strutture romane tardo-antiche. Con molta probabilità, è questo il luogo della localizzazione della domus collegata alla masseria, nota come “Domus Massarie Lucerie”. Una conferma in tal senso, in relazione alla loro ubicazione, è data, ad esempio, dalla domus Salsiburgo (nei pressi di masseria Ratini), domus Celani (San Ricciardo?) e Visciglieto (“Motta della Regina”). La varietà e la flessibilità riconosciuta nell’architettura residenziale di ambito svevo, si ripropone nella tipologia delle masserie, come è stato suggerito da Maria Stella Calò Mariani: ”forti punti di riferimento dovevano essere da un lato le aziende agricole cistercensi, dall’altro le ville rustiche tardoromane”. Questa domus, altra caratteristica degli insediamenti federiciani, era ben collegata da una via che da Lucera conduceva verso il Candelaro, passando nelle vicinanze della stessa (masseria Villano), (8). Nel 1270 la domus della masseria di Lucera viene ristrutturata, e una nuova azienda di 6 aratri viene impiantata.
“DOMUS GIROFALCI”.
Lo Statuto sulla riparazione dei castelli, tramandatoci dai ricostruiti registri della cancelleria angioina elenca 24 castra e 27 domus in Capitanata. Tra queste ultime, apprendiamo ai <n.72.73> dello Statuto, l’esistenza della domus Girofalci che, insieme al Castrum di Castelluccio, dovevano essere riparati – il che non lascia alcun dubbio sul fatto, visto la vicinanza delle località tenute alla manutenzione, secondo quando disponevano le antiche consuetudini di età normanna, “l’uso di coinvolgere nella riparazione dei castelli le popolazioni circostanti”, che questi due siti vadano collocati nel territorio di Castelluccio Valmaggiore – dagli uomini di: Castelluccio (Valmaggiore), Castelvetere in Val Fortore, Montefalcone di Val Fortore e Tufara. <Domus Girofalci, castrum Castellucci possunt reparari per homines Catellucci, Castri veteris, Montis falconis et Tufare>. Considerata la stretta connessione, si desume che la domus girifalco risulta essere amministrativamente legata al castrum e di conseguenza doveva essere anche abbastanza vicina a quest’ultimo.
Alla luce di quanto esposto, l’attenzione sulla localizzazione della domus Girofalci si concentra sulla “Masseria Torre”, distante circa due chilometri da Castelluccio e dal suo castello. Resti di strutture tardo–antico e medievale sono segnalate in questa masseria ,sovrastata dal Monte S. Felice, quota 757. (9). Una diramazione della via Traiana, a valle del Buccolo, passava nelle vicinanze della domus e, dopo aver attraversato il Celone, puntava direttamente verso Lucera. L’ipotesi che Masseria Torre possa coincidere con la domus Girofalci, si presenta abbastanza lecita. Si tratterebbe di una delle domus, con palazzo porticato e domus del falcone a guisa di torre, che risponde alla richiesta dell’interesse venatorio dell’imperatore per la caccia e, in particolare, verso il più nobile dei rapaci: il girifalco. Presso le domus di Salpi, il castrum di Tressanti e probabilmente la domus Girofalci, Federico II aveva fatto impiantare strutture per l’allevamento e l’addestramento dei falconi. “Nell’orizzonte visivo degli insediamenti extra-urbani, concepite in aperta relazione con il paesaggio, entravano le costruzioni per l’allevamento e il riparo degli animali: le case dei falchi”(10).

Nelle scene del trattato federiciano, emendato e ampliato da Manfredi, dove sono prescritte torri poligonali a tre piani o case alte isolate immerse nella natura, concepite secondo il modello dei palazzi, ”in turri aut in domo alta solitaria” – dove giovani falconieri sono avviati all’addestramento a questa nobile arte – possiamo immaginarvi l’architettura della domus Girofalci , il cui sito, ”Masseria Torre”, (Castelluccio Valmaggiore), rappresentava la scelta ideale per l’acclimatamento, rispetto alla torrida pianura del Tavoliere, del falco preferito da Federico II, ”girofalcus est nobilior avibus rapacibus”: un insediamento montano appartato, con una arteria viaria facilmente raggiungibile da Lucera, non lontano dal fiume Celone, sembra perfettamente adattarsi alle esigenze di custodia dei girifalchi, un tipo di falco che ama particolarmente il fresco e, che “non avendo l’istintiva paura dell’uomo propria di altri rapaci, era considerato, come descrive il De arte venandi, più facile da addestrare di altre specie di uccelli da caccia”. Si può affermare che Federico, “sulla linea del rapporto gerarchico aquila = imperatore, falconi = nobili, facesse costruire per l’allevamento e l’addomesticamento dei falconi abitazioni nelle quali erano trasferite l’eleganza e la tipologia delle dimore signorili”(11).
Il 1 febbraio 1240, l’imperatore scrive da Foligno al giustiziere di Bari, della Capitanata e Terra di lavoro, perché facciano catturare un gran numero di gru, che rappresentano la preda prediletta dei girifalchi. Il 14 marzo dello stesso anno, l’imperatore da Viterbo, dispone di mandare, da parte di Carnilevario da Pavia, tutti i girifalchi, falconi ed altri uccelli che ha in cura abili a volare. Non sappiamo di più su questi mandati, ma il fatto che Federico parla in maniera particolareggiata di girifalchi (la città di Lubecca inviava, ogni anno, a Federico II, <12 girfalchi>, compresi forse quelli dal pregiato colore bianco) lascia supporre che per questi preziosi rapaci ci fosse una custodia ed una cura particolare, il che nulla vieta di immaginare che la domus Girofalci potesse essere il luogo prescelto dall’imperatore, oltre che per l’addestramento, per l’allevamento di questi pregevoli predatori e rientrare tra l’oggetto di questi o di altri mandati analoghi verso questi amati falchi ed, in generale, verso il mondo dei rapaci destando un notevole stupore allorquando l’imperatore era “capace di riferirsi ad uno dei suoi falchi sacri indicandolo per nome: Saxo; un’ulteriore prova del suo spiccato interesse per tutto ciò che riguardava la caccia col falcone ” (12).
Note
(1) Eduard Sthamer, ”L’amministrazione dei castelli nel Regno di Sicilia sotto Federico II e Carlo I d’Angiò”, Adda editore,1995.
(2) Francesco Gabrieli, Le ambascerie di Baibars a Manfredi, in “Saggi Orientali”,1960.
(3) E. Sthamer, op. cit. pag.27.
(4) Raffaele Licinio, Masserie Medievali, Adda Editore,1998.
(5) Maria Stella Calò Mariani, “Archeologia, storia e storia dell’arte medievale in Capitanata”,1992.
(6) GDB Jones, Apulia. Neolitic Settlement in the Tavoliere”, Vol. I,1987;Volpe,1990.
(7) ”peraltro non indicata nemmeno nel Quaternus, e in età angioina esplicitamente attestata nel sec. XIV”.J. M. Martin-E. Cuozzo, Federico II. Le tre capitali del Regno, Palermo-Foggia-Napoli, 1995; R.Licinio,op. cit. p.72, nota 138.
(8) G. Alvisi, “La viabilità romana della Daunia”, 1970.
(9) Lucia Colangelo, Relazione archeologica, 2010 ; V. Russi, 2000.
(10) Calò Mariani, “Lo spazio dell’ozio e della Festa. I Sollazzi”, in Federico II. Immagine e potere,1995.
(11) Calò Mariani, Archeologia,…op. cit.1992.
(12) W. Sturner, “Federico II e l’apogeo dell’impero”, 2009.