di Michele Colabella.
Uno degli episodi centrali dei Vangeli è senza dubbio quello del banchetto pasquale o dell’istituzione dell’Eucarestia, con la transustanziazione del vino nel sangue di Gesù Cristo. A questa tematica furono dedicate numerose opere: in questa sede viene scelto e presentato un gruppo contraddistinto dalla stessa composizione strutturale, denominata ”a sigma”, per la sua conformazione a semiluna.
Iniziamo proprio da Milano, dove nel Tesoro del Duomo è esposta la copertura dell’Evangelario, detta Dittico delle cinque parti. Nella valva posteriore, dedicata alla divinità di Cristo, al centro della lamella laterale destra, è scolpita la scena dell’Ultima Cena, interpretata anche come Cena con l’apostolo Giacomo, dall’Apocrifo dei Nazareni. Su un triclinio sono seduti in semicerchio Gesù e altri tre personaggi, attorno a una tavola su cui sono posti i pani e un pesce1. È ritenuta opera della fine del V secolo dell’alta Italia, più probabilmente ravennate. In effetti, sono state riscontrate analogie col successivo mosaico dell’Ultima Cena del VI secolo, nella basilica di Sant’Apollinare Nuovo. Si vede la stessa tavola semicircolare con pani e pesci, con la differenza che ora i commensali semisdraiati sono chiaramente i dodici apostoli, strettamente uniti l’uno accanto all’altro, quasi a esprimere i loro sentimenti all’unisono, nei confronti di Gesù, collocato a sinistra, secondo l’uso romano. La scena dal punto di vista iconografico mostra alcuni punti di contatto con una delle miniature dell’Evangelario di Rossano Calabro (Codex purpureus rossanensis), della seconda metà del VI secolo, nella quale compare un calice e si nota una maggiore varietà e vivacità nella differenziazione espressiva degli apostoli. Per la tecnica di esecuzione propria dei codici purpurei, così denominati per la pergamena tinta in porpora in cui venivano scritti, appare strettamente legato al Vangelo di Sinope (Codex sinopensis) della Bibliotèhque Nationale di Parigi, nel quale è raffigurato il banchetto di Erode.
Molto si discusso sulla provenienza del modello archetipico di queste opere, ma si può avere la conferma dell’ipotesi della sua origine mediorientale, dopo l’analisi del mosaico pavimentale di una casa romana del terzo secolo d. C. di Sepphoris, a 9 Km da Nazareth, esposto nel Jewish Museum di New York dal 30 luglio al 5 novembre del 2000, con l’organizzazione dell’Israel Museum di Gerusalemme. Vi è infatti raffigurato un convivio, con i personaggi semisdraiati su un triclinio attorno a un tavolo; sulla destra è raffigurato un miliarium, vaso di bronzo per il riscaldamento dell’acqua da miscelare con il vino2. Questa composizione musiva è un’ulteriore conferma della teoria, secondo la quale sotto l’aspetto stilistico la prima arte cristiana non si configura con tratti propri, ma si innesta su quella romana, assumendo tuttavia nuovi significati simbolici. Si può dunque affermare che siamo davanti a un chiarissimo caso di sincretismo religioso: il tema pagano del convivio viene trasfigurato in quello cristiano della sacra cena dall’arte bizantina, che, in virtù della sua caratteristica conservatrice, per secoli lo ripropose come modello figurativo.
Andando avanti negli anni, nella Biblioteca Nazionale di Napoli possiamo ammirare il prezioso Omilario degli inizi sec. XI, proveniente dalla cattedrale di Troia: le sue origini sono incerte, tuttavia sembra molto verosimile che sia stato scritto e illustrato nel territorio barese, sotto le influenze dei libri italo-greci e delle tradizioni bizantine. Nell’abbazia benedettina di Sant’Angelo in Formis, presso Capua, nell’affresco dell’Ultima Cena (1072-1087 ca.) eseguito sulla parete del terzo registro della navata centrale, il Cristo nimbato e i dodici apostoli sono disposti alla maniera antica attorno al tavolo in forma di sigma. Gesù e Pietro, secondo la tradizione, sono posti alle due estremità, mentre le teste dei discepoli sottolineano l’arrotondamento del tavolo; a sinistra e a destra, degli addobbi decorativi ricadenti davanti al tavolo in emiciclo completano la scena. Nel XIX secolo tra gli studiosi sorse un vivace dibattito sulle caratteristiche stilistiche del ciclo delle pitture di Sant’Angelo in Formis, tuttavia la recente ricerca iconografica si è orientata verso la tesi che esso vada inserito in un percorso di pertinenza di base bizantina e vada considerato come espressione, sia pure in zona periferica, di una particolare direttrice della pittura della capitale d’oriente della seconda metà del secolo XI.
Infine, dietro l’altare maggiore della basilica di San Marco di Venezia rifulge nel suo splendore la Pala d’oro, un vero e proprio capolavoro delle arti suntuarie medievali. La prima pala fu commissionata dal doge Pietro I Orseolo (976-978) a un’officina costantinopolitana; fu poi fatta ingrandire intorno al 1105 dal doge Ordelaffo Falier con l’inserimento di placchette quadrate di probabile scuola veneziana, ma sicuramente di stile e gusto bizantini. Nell’ottava placchetta in alto risalta la scena dell’Ultima Cena, con gli apostoli disposti a sigma attorno a una tavola, alle cui estremità siedono come sempre Gesù e san Pietro.
Note
1 In alcune delle opere più antiche, assieme al pane compaiono i pesci, invece dei rituali calici di vino, poiché anche il pesce era considerato un mezzo di nutrimento spirituale e simbolo del banchetto eucaristico (cfr. Luca 24, 41-43). Si deve inoltre osservare che il pesce viene utilizzato come simbolo di Cristo, perché deriva dal termine greco icts, ”pesce”, considerato come l’acrostico delle parole Iess Crists The Uis Sotr, cioè Gesù Cristo figlio di Dio e Salvatore. La popolarità di questo motivo era accresciuta dal fatto che rimandava agli episodi della pesca miracolosa e della moltiplicazione dei pani e dei pesci.
2 Similmente, nell’Ultima Cena dipinta nel XII secolo nel Pantheon della basilica di Sant’Isidoro, a Laon, è rappresentato san Marziale nella veste di picerna: mentre con la mano sinistra sinistra porge una coppa, con l’altra afferra per il manico una specie di teiera copta di bronzo di bronzo.
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