“La Garda Lombart”, una piccola enclave catara nel Mezzogiorno italiano

I catari cacciati da Carcassonne nel 1209

“La Garda Lombart” una piccola enclave catara nel Mezzogiorno italiano di Giovanni Amatuccio

Nella provincia di Cosenza esiste ancora oggi una piccola enclave che conserva dialetto e tradizioni di derivazione occitana. Da Montalto Uffugo a Guardia Piemontese, passando per San Sisto, la storia e le tradizioni di queste contrade sono state oggetto di vari studi incentrati soprattutto sulla loro passato legato alla presenza di un rilevante insediamento valdese e alle persecuzioni subite da quelle genti nel corso dei secoli. La presenza dei Valdesi in quelle zone, fu un fatto di per sé alquanto singolare, se si considera che l’area di diffusione di tale culto si estendeva tradizionalmente dal sud dell’attuale Francia al Piemonte, con qualche diramazione nel resto dell’Italia centrosettentrionale. Tuttavia, gli storici che si sono occupati della questione – studiosi locali o della Chiesa valdese in generale – fanno risalire le prime testimonianze della presenza valdese nella zona alla metà del Trecento, testimonianze che divengono via via più numerose nei secoli successivi, fino ad arrivare al 1561, quando quei religiosi furono vittime di uno dei più sanguinosi massacri della storia dell’Inquisizione nell’Italia Meridionale, con migliaia di abitanti dell’attuale Guardia Piemontese, barbaramente trucidati dalle truppe di Marino Caracciolo, marchese di Bucchianico (1). Tutto ciò Insomma, è storia documentata, solo che, anche i vari studiosi che si sono occupati della presenza valdese in Guardia Piemontese e nei comuni limitrofi, non hanno prodotto credibili prove della presenza valdese anteriormente al XIV secolo. Qualcuno ha notato che la presenza di “eretici” occitani fosse da farsi risalire già alla metà del XIII secolo; tuttavia, pochi hanno rilevato che le prime testimonianze di quel periodo si riferivano non ai Valdesi, bensì ai Catari (2). In realtà, qualcuno, ha colto in alcune testimonianze di fine XII secolo, le prove di una presenza di Catari in Italia Meridionale risalente già a quel periodo. Giovanni Gonnet, riporta un lungo passo di Gioacchino da Fiore, il quale descrive la presenza di non meglio identificati “patarini” nelle sue terre, e tuttavia dalla descrizione da egli fattane si evincerebbe che trattasi di Catari. Sempre lo stesso, autore, riporta altre testimonianze che attesterebbero la presenza di un vescovo cataro a Napoli e di altri adepti in Sicilia (3).
Di fatto, è nella seconda metà del XIII secolo che riscontriamo la prima testimonianza certa della presenza catara nel sud, testimonianza che risale al 1274, ma relativa a fatti occorsi circa dieci anni prima, diciamo intorno al 1264. In quell’anno (il 1274) erano passati circa trent’anni dalla caduta dell’ultima fortezza albigese nel sud della Francia – il leggendario castello di Montségur – ma l’inquisizione ancora imperversava in quelle regioni per debellare le sacche di eretici ancora presenti. Molti “bonhommes” (così in realtà si definivano quegli eretici conosciuti poi come Catari o Albigesi) cercavano rifugio in Italia settentrionale al riparo delle mura dei liberi Comuni, dove sembrava meno incombente il braccio dell’inquisizione romana e dove da tempo operavano diverse Chiese catare, altrettanto attive di quelle provenzali e occitane prima della Crociata del 1209. Ma spesso accadeva che anche lì alcuni di loro venivano individuati, presi e sottoposti a stringenti interrogatori atti a estorcere confessioni e individuare altri “complici” dell’eresia. Il centro principale dell’inquisizione della regione era Tolosa, la città più grande e importante della Linguadoca, dove gli inquisitori conducevano i loro interrogatori, che spesso coinvolgevano assieme ai Catari anche i Valdesi, che, sebbene professanti un diverso culto, erano accomunati ai primi dallo stesso destino di perseguitati.
Di questi interrogatori ci sono stati tramandati molti registri, nei quali sono scrupolosamente riportate le domande degli inquisitori e le risposte degli inquisiti. È del 1274, dicevo, il registro di uno di quegli inquisitori: Pons de Parnac, che il 24 maggio di quell’anno, a Tolosa, sottoponeva a interrogatorio un certo Raimondo Bussanus, che, forse stanco del peregrinare per terre straniere, era rientrato in patria consegnandosi spontaneamente all’inquisizione, di fronte alla quale rendeva deposizione. Rispondendo alle domande di Ponsac, rivelava che, circa dieci anni prima, era partito dal suo villaggio della regione di Tolosa, alla volta della Lombardia al seguito di un compaesano. Per un po’ di tempo soggiornò a Piacenza presso dei confratelli, dopodiché, assieme ad altri due compagni, si diresse verso l’ “Apulia”, come veniva definito in quei tempi tutto il Mezzogiorno d’Italia. Qui soggiornarono per circa cinque mesi, dalla quaresima fino al mese di agosto, in una località da essi indicata come “La Garda Lombart” (4).
Orbene, i pochi studiosi che hanno esaminato il documento, compreso l’editore del testo, individuano tale località nell’odierna Guardia dei Lombardi in provincia di Avellino (5). Tuttavia, alcuni elementi, mi fanno invece propendere per un’altra ipotesi quella che si trattasse dell’odierna Guardia Piemontese in Calabria – anch’essa denominata un tempo “Guardia Lombarda” o “Guardia dei Lombardi”, ma più semplicemente “Guardia” o “Garda” – e che solo a fine Ottocento assunse il nome attuale, forse proprio per distinguersi dalla cittadina irpina.
Un altro elemento che fa protendere per l’ipotesi della località calabra è che nel verbale dell’inquisitore, la località viene definita «bastida que vocabatur La Garda Lombart». Qui per bastida si deve intendere non un vero e proprio castello, ma un semplice torrione seppur grande (basti ricordare il caso di Salerno, dove presso il castello detto “di Arechi” sorge un isolato torrione circolare ancora oggi conosciuto come “bastiglia”). Ebbene la nostra località calabrese, oggi divenuta un paese di medie dimensioni, era all’epoca principalmente caratterizzata da un’unica grande torre di guardia, da cui la località prese il nome di “Garda” associato a quello di “Lombart”, non come alcuni credono a causa di origini longobarde, ma per il fatto che i suoi primi abitanti furono appunto, probabilmente Catari e Valdesi occitani e piemontesi, ed è noto che al tempo, per gli abitanti del Mezzogiorno, tutti gli “Italiani” del nord erano in genere definiti “Lombardi”. Diverso è il caso, invece, della Guardia dei Lombardi irpina, che sicuramente deve il suo nome alle origini longobarde e che nei documenti coevi del Duecento, viene sempre definita “Guardia Lombardorum”, sede di un vero e proprio castello di fondazione, appunto longobarda, e successivamente al centro di vari episodi guerreschi al tempo dei Normanni, e dalle cui vicende non si ricavano elementi rivelatori di presenze “eretiche” nel corso di tutto il Medioevo.
Ma proseguendo il racconto fatto da Raimondo Bussanus all’inquisitore, apprendiamo che egli e i suoi due compagni soggiornarono per otto giorni in una casa di altri due correligionari, Ponzio Boerio originario anch’egli della diocesi di Tolosa, e Raimondo di Andorra. Qui abbiamo la prova che di veri e propri Catari doveva trattarsi, e non di Valdesi, in quanto è descritto sommariamente il rito cataro dell’”adorazione” (melhorament), in cui il semplice fedele si prostrava inginocchiandosi per tre volte al cospetto di un “perfetto” (come erano definiti coloro che avevano ottenuto il consolamentum e quindi erano a tutti gli effetti membri della Chiesa catara) e pronunciava la formula del benedicite per tre volte; dopodiché mangiò, sempre come prescritto dal rituale della sua Chiesa, il pane benedetto assieme al Perfetto. Il racconto prosegue, inoltre, con la descrizione dell’incontro con quello che doveva essere un importante personaggio della Chiesa catara: il vescovo di Tolosa in esilio Vivenzio (Viventes), anch’egli soggiornante a Guardia, segno dell’importanza del luogo per gli esiliati. Costui li accolse, assieme a molti altri adepti nella sua casa, dove tenne un sermone. Quest’ultimo – conosciuto anche come Vivian, Vivianus, Vivens, Viventius – all’incirca nel 1250, era fuggito dalle persecuzioni in Liguadoca, rifugiandosi prima a Cremona e poi a Piacenza (6).

Item dixit quod de Placentia recedens ivit in Apuliam cum Raymundo Johannis et Petro Johannis supradictis et Guillelmo Terreni qui fuit de Rocavidal diocesis Tholosanensis. Et fuit ibi ipse testis in quadam bastidam que vocabatur La Garda Lombart de carniprivio ad sequentem mensem Augusti. Et ibi stetit ipse testis per octo dies in domo Pontii Boerii qui fuit de Sancto Romano diocesis Tholosanensis et Raymundi de Andorra hereticorum. Et ibi multotiens, inductus et instructus a dicto Pontio heretico, adoravit ipsos herticos ter flexis genibus, dicendo “Benedicite” etc., et multotiens audivit ibi verba et monitiones eorum, et multotiens comedit ibi cum eis et de pane benedicto ab eis, dicendo “Benedicite” in quolibet genere cibi et potus noviter sumpto. Item dixit quod vidit in dicta bastida Viventem hereticorum episcopum Tholose, qui invitavit ibi ipsum testem et predictos Guillelmum Terreni et Raymundum Johannis et P. Johannis et alios quamplures, videlicet Guiraldum Unaudi militem et Matheum de Cerveria militem et alios de quibus non recolit et quos non novit. Qui omnes et ipse testis comederunt ibi cum dicto episcopo hereticorum, et post comestionem audierunt predicationem ipsius. De tempore ut supra. Post hec vero emanavit mandatum a Matfredo tunc principe Apulie quod omnes heretici recederent de dicta bastida. Venerant enim tunc ad dictum Matfredum Sicardus Lunelli, Pesilhacus et Petrus Bertrandi cum litteris inquisitoris et regis Aragonum ad capiendum hereticos. Et propter hoc omnes, tam heretici quam eorum credentes qui erant ibi, recesserunt de dicta bastida. Et tunc ipse testis et cum eo Stephanus Novelli de Sancto Paulo de Corpore sancto qui similiter venerant ad dictam bastidam redierunt in Lombardiam. Et ipsis Stephano et Bernardo remanentibus apud Montem Cogosso, ipse testis venit in Alexandriam. Et stetit ibi ipse testis septem annis vel circa, non in certis hospitiis, sed per tabernas et ubi melius inveniebat (7).

Il fenomeno delle migrazioni catare dalla Linguadoca verso l’Italia settentrionale (sempre genericamente indicata nelle fonti come “Lombardia”), era molto diffuso ed è ben documentato da molte testimonianze. Del resto, in Lombardia esisteva una importante diocesi a Concorezzo (in provincia di Monza), sebbene questa fosse in contrato dottrinale con le consorelle occitane. Ma, evidentemente, il flusso migratorio verso il nord Italia era favorito dalla prossimità geografica, mentre, al contrario, le mete del Sud Italia restavano fuori da queste rotte e quindi questa preziosa testimonianza qui riportata assume una notevole importanza in quanto rappresenta l’unico episodio documentato di una presenza catara nel Mezzogiorno.
Resta da capire il perché proprio di quei luoghi della Calabria e il perché di quel periodo. Alla prima domanda si potrebbe rispondere col rilevare come quella zona fosse stata sede di insediamenti provenienti dal Nord Italia già da prima della data qui accertata di metà Duecento. Ciò sarebbe dimostrato sia dal nome “Lombart” già consolidato alla data suddetta sia dalle successive vicende legate alla Chiesa valdese. In poche parole, è evidente che in quelle terre la presenza di popolazioni provenienti dal Piemonte occidentale, dove erano largamente diffusi sia il catarismo che il valdesismo, favorì l’interscambio con elementi originari di quei luoghi, prima Catari e poi Valdesi. Quanto al perché di quel periodo, e come

Manfredi incoronato, miniatura della Nuova Cronica di Giovanni Villani

vedremo, anche al perché della fine della colonia catara, è importante capire le relazioni con l’allora regnante nel Mezzogiorno d’Italia, vale a dire Manfredi. Quest’ultimo, com’è noto, era in pieno conflitto col papato e al tempo stesso non sembra abbia seguito la stessa ferrea politica antieretica del padre Federico II. Appare dunque credibile che, almeno in una prima fase, abbia tollerato la presenza degli eretici nelle sue terre. L’atteggiamento, tuttavia, cambiò proprio in ragione del conflitto con il papa, quando, probabilmente, Manfredi decise di non esacerbarlo ulteriormente e di non fornire ulteriori pretesti alla propaganda ecclesiastica contro di lui che ormai lo dipingeva come protettore di eretici, oltre che come eretico egli stesso. Il dato emerge con forza dalle lettere dell’allora pontefice Innocenzo IV, suo acerrimo nemico:

quoniam ex hoc libere pullulant hereses” (…) “Sarraceni et scismatici Christicolis preferuntur, defenduntur heretici, adeo quod in nonnullis locis non audemus procedere contra ipsos. In aliquibus vero terris predicatores evangelice veritatis verbum Dei proponere fidelibus prohibentur et hereses publice predicantur (8).

In tal modo ai Catari calabresi fu consigliato, a quanto pare con le buone, di lasciare quelle terre. Terminava così la breve esperienza dell’enclave catara, anche se ancora nel 1269, da un ordine di Carlo d’Angiò di consegnare agli inquisitori francescani un numeroso gruppo di eretici residenti nel suo regno, compare un Angelo Orso di Guardia Lombarda (9). Non sappiamo con certezza se già a quel tempo vi fosse una copresenza valdese nella stessa regione che non fu toccata dall’esodo e rimase in zona oppure se tale presenza fu il frutto di una successiva migrazione avvenuta almeno un secolo dopo, come attestano le fonti disponibili.
Bibliografia

  • Brusa, Antonio, Eretici in Italia meridionale dall’età normanna all’età angioina, in “Quaderni Medievali”, 1(1976), pp. 45-61.
  • Cantù, Cesare, Gli eretici d’Italia; discorsi storici, 3 voll., Torino 1836- 1868.
  • De Boni, Fulvio, L’inquisizione e i calabro-valdesi, Milano 1864.
  • Gioacchino da Fiore, Expositio in Apcalypsim, Venezia 1527.
  • Dondaine, Antoine, La Hiérarchie cathare en Italie, in «Archivum Fratrum praedicatorum», 19 (1949) e 20(1950),
  • Epistolae saeculi XIII e regestis pontificum Romanorum selectae, 3 voll., a c. di C. Rodenberg, Berlin0 1883 – 1894, in MGH, Epistolae.
  • Gonnet, Giovanni, Sur la présence cathare dans le sud de l’Italie vers la fine du XIIe siècle, in «Heresis», 15 (1990), p. 45-49.
  • Manselli, Raul, L’eresia del male, Napoli 1963.
  • Registre de Pons de Parnac et autres inquisiteurs de Toulouse. (Lauragais 1273 – 1282) Doat XXV et XXVI ff° 1-79, a c. di J. De Duvernoy, Paris 1993.
  • Tedesco, Vincenzo, Storia dei valdesi in Calabria. Tra basso Medioevo e prima età moderna, Soveria Mannelli 2015.
  • Tedesco, Vincenzo, Le comunità valdesi in Calabria dall’insediamento alla repressione del 1561. Status quaestionis e prospettive di ricerca, in «Rogerius», 2(2014), pp. 45-58.
  • Volpe, Gioacchino, Movimenti religiosi e sette ereticali nella società medievale italiana: secoli XI-XIV, Firenze 1997.

Note

  1. Per una recente sintesi della questione calabro-valdese rimando ai lavori Tedesco, Storia e Tedesco, Le comunità, con ampi riferimenti alla storiografia precedente.
  2. De Boni, L’inquisizione, pp. 87 e ss.
  3. Gonnet, Sur la présence. Si veda anche Brusa, Eretici, p. 51. Il passo di Gioacchino si trova in: Gioacchino da Fiore, Expositio, III, 9, par. 3, f. 131.
  4. Registre, pp. 103-106.
  5. Registre, trad. franc. p. 86: “Guardia-Lombardi, province d’Avellino”; Dondaine, La Hierarchie, 20 (1950), p. 258, colloca la località “Bastida- Lombart” genericamente nelle Puglie;
  6. Manselli, L’eresia, p. 221 Dondaine, La hiérarchie; pp. 234-324, pp. 258- 2597
  7. Registre, pp. 103-104.
  8. Epistolae, III, p. 535 e p. 588; si veda Volpe, Movimenti, p. 140.
  9. Cantù, Gli eretici, v.1, p. 110.

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Giovanni Amatuccio
GIOVANNI AMATUCCIO, è Dottore di Ricerca e Professore Associato abilitato di Storia Medievale. In particolare si occupa di Storia militare del Mezzogiorno medievale, Ordini Militari e storia dell’Arcieria, temi sui quali ha pubblicato numerosi articoli e saggi. Alle seguenti URL si possono ottenere maggiori informazioni sul suo CV e le sue pubblicazioni: https://independent.academia.edu/GiovanniAmatuccio; https://www.facebook.com/librigiovanniamatuccio.
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