La grande marcia per la Pace del 1399

La grande marcia per la Pace del 1399
Miracoli, apparizioni ed altri eventi prodigiosi avvenuti nell’Italia centro settentrionale durante il pellegrinaggio dei Penitenti Bianchi
di Roberto Giordano

Il lungo e travagliato periodo medievale è stato segnato, come ci insegna la storia, da numerosi e grandi eventi che hanno causato profondi cambiamenti nella vita delle persone dell’epoca. Ma in questo periodo sono anche avvenuti degli episodi rimasti ai margini del ricordo collettivo. Uno tra questi poco conosciuti eventi si sviluppò sul finire del 1300 e coinvolse numerose comunità rurali e cittadine dell’Italia centro-settentrionale.
Il XIV secolo rappresentò un’epoca travagliata per il territorio italiano, devastato dalle lotte fra principati, signorie e feudi, da contrasti fra gli stati imperiali d’Europa e il papato, da scorrerie e saccheggi. Nel 1309, inoltre, era asceso al soglio pontificio Clemente V il quale, in seguito alle pressioni del re di Francia, aveva deciso di spostare la sede del papato da Roma ad Avignone, in Francia. Ebbe così inizio un periodo, passato alla storia come “cattività avignonese” del papato, che durò per quasi settant’anni. In questo tormentato quadro storico si venne a formare il movimento religioso dei “Penitenti Bianchi”, conosciuti più semplicemente come “i Bianchi”. La sua origine è strettamente legata ad alcune apparizioni divine avvenute, secondo le “Croniche” di Giovanni Sercambi, in Inghilterra e in Francia e che furono definite “Il miracolo dei tre pani”. Anche l’Italia non sfuggì a questa fenomenologia poiché un simile episodio è documentato, nei primi mesi del 1399, a Valverde di Rezzato in provincia di Brescia. In questa storia si narra di un’apparizione di Gesù Cristo a un contadino. Quest’uomo, mentre stava lavorando la terra, vide comparire improvvisamente nostro Signore che gli chiese di prendere dalla bisaccia il suo pasto, composto di tre pani, e di gettarlo in uno stagno poco distante. Il contadino, seguendo la richiesta di Gesù, s’incamminò verso lo stagno ma, giunto sulla riva, fu fermato dall’apparizione della Madonna che gli rivelò il significato dei tre pani; essi rappresentavano la guerra, la fame e la peste e se fossero stati gettati nello stagno quei terribili castighi avrebbero devastato tutte le terre intorno.
A tal punto il contadino, dopo esser tornato dal Signore e aver raccontato del suo incontro con la Madonna, ricevette l’assicurazione che solo uno dei tre castighi sarebbe stato messo in atto, mentre gli altri due, grazie all’intercessione della Vergine, erano annullati. Quel povero uomo, quindi, sovrastato da tale enorme responsabilità, gettò nel laghetto un solo pane, simbolo della peste. La Madonna gli chiese, a tal punto, di tornare al suo paese per raccontare la vicenda che ha appena vissuto, ed esortare le genti ad abbandonare le vie dell’empietà e del peccato e vivere cristianamente. In seguito a quest’apparizione gli abitanti di quei luoghi si mossero di paese in paese per narrare quanto avvenuto e, così facendo, provocarono l’aggregazione di molte altre persone, decise a far arrivare le loro preghiere ed invocazioni ai potenti e al Papa di Roma. In questa prima fase della devozione, secondo le cronache dell’epoca, si formarono spontaneamente numerosi cortei di pellegrini.
Il lungo cammino italiano dei Bianchi iniziò dalla cittadina di Chieri, vicino a Torino. Gruppi di uomini e donne, esasperati dalla lunga guerra in corso tra Savoia e Monferrato, si riunirono al grido “Pace e misericordia”, flagellandosi a sangue in segno di penitenza. Coperti da bianche tuniche con cappuccio, forse dei sacchi di farina aperti sul dorso, i fianchi cinti da corde e scalzi, iniziarono a percorrere l’Italia per dirigersi verso Roma. Camminavano in processione dietro la croce cantando laudi sacre e tenendo delle candele accese, durante il loro passaggio si univano a essi altri devoti. I Penitenti, ormai arrivati a cinquemila persone, dopo aver raggiunto Alessandria si spostarono in Liguria ed entrarono a Genova. Ai genovesi, secondo la ricostruzione degli Annales Genuenses, sembrarono una folla senza una guida vera e propria. Benché le testimonianze su questo passaggio nella città ligure siano complessivamente assai limitate, si hanno notizie di diversi miracoli: a Voltri risuscitò un bambino, un uomo zoppo fu sanato, un’immagine della Vergine lacrimò sangue e il vino offerto ai devoti non si esauriva mai. L’ingresso a Genova rappresentò un momento cruciale nella storia dei Bianchi, poiché in questa città il movimento prende forma concreta e diviene un fenomeno collettivo e istituzionalizzato, con connotazioni più sociali e politiche che religiose, in quanto intervenne direttamente sulle discordie civili, pacificando antiche rivalità, chiedendo la restituzione di beni usurpati e il perdono per i colpevoli di delitti di sangue. A Genova, inoltre, il movimento aumentò ancora nel numero di partecipanti e iniziò a diffondersi nelle regioni limitrofe, non senza trovare ostacoli. Una folta schiera di penitenti, guidata dal frate Giovanni Dominici, attraversò lentamente tutta la Lombardia per dirigersi verso Venezia e radunarsi presso il convento dei SS. Giovanni e Paolo, ma le autorità veneziane proibirono l’ingresso in città e i pellegrini furono dispersi con violenza. Il Dominici fu arrestato e condannato a cinque anni di bando dall’intero territorio veneziano. Un’altra colonna di Bianchi, nel frattempo, girò per l’Emilia Romagna e una ancor più numerosa, transitò dalla riviera di Levante, toccando Recco, Chiavari, Rapallo e attraversando la costa tirrenica, dirigendosi verso la Toscana.
Nei primi giorni di agosto questi pellegrini arrivarono a Lucca dove, secondo la ricostruzione delle Croniche vi furono numerose adesioni da parte di “molti ciptadini da bene et donne in gram numero”. Il Consiglio degli Anziani della città, però, fu contrario al movimento dei Bianchi e proibì ai lucchesi di unirsi a essi e uscire dalle mura cittadine. L’ostilità del Consiglio nasceva dal timore che il movimento dei Bianchi potesse causare dei problemi, sia di ordine pubblico sia di carattere politico in quanto, una volta fuori dalle mura cittadine, poteva facilmente sottrarsi al controllo delle istituzioni, divenendo un potenziale pericolo. Nella serata del 12 agosto, nonostante le ostilità, numerosi pellegrini partirono da Lucca per raggiungere Pistoia. Questa città aderì immediatamente alla devozione e alle sue richieste di pace e ben presto furono liberati dei prigionieri e graziati alcuni fuorilegge. Pochi giorni dopo la colonna dei Bianchi lucchesi ripartì verso Prato e, poco giorni dopo, il 15 agosto, entrarono a Firenze dove, però, non trovarono una buona accoglienza, anzi i Priori, signori di Firenze, non vollero assecondare le loro invocazioni di aprire le prigioni. A sostegno delle richieste dei pellegrini intervenne un nuovo miracolo; un tabernacolo portato in processione, contenente delle Ostie consacrate, si saldò alla fronte e alle mani del prete che lo portava, in maniera talmente forte da divenire un tutt’uno con il prete stesso. L’impressione popolare per tal evento fu talmente elevata che i Priori si convinsero a liberare alcuni carcerati e il prete riuscì, miracolosamente, a staccarsi dal tabernacolo. Seguirono molte altre processioni nel corso delle quali furono guariti ciechi, muti, storpi e indemoniati e le genti potettero godere di un periodo di pace, poiché furono risolti diversi conflitti tra paesi del circondario. Pochi giorni dopo questi eventi, nel paese di Borgo a Buggiano, avvenne un altro miracolo; “La domenica a dì 17 agosto, essendo tutti li homini del Borgo a Buggiano riuniti nella chiesa del borgo per trattare una pace d’una guerra anticha, et non potendo tal pace conchiudere, si gittarono ginocchioni dinanzi al crocifissso gridando misericordia et pace. Et dicto questo, tale crocifisso gittò sangue per tre luoghi, et primo per la fronte, l’altre per ambedue le tempie, in tanto che tutta la faccia del crucifisso s’insanguinò”. Il 24 di agosto alcuni pellegrini Bianchi, mentre si recavano in pellegrinaggio verso la val di Marina per scongiurare il diffondersi della peste che aveva fatto la sua comparsa a Empoli, appoggiarono il Crocefisso a un mandorlo secco che fiorì miracolosamente, annunciando così la liberazione del terribile morbo. I pellegrini, dopo la Toscana si spostarono in Umbria, ad Assisi, dove avvenne l’apparizione “della Madonna dell’olivo”. Nel corso di quest’evento la Madonna, vestita di bianco, si rivelò a un giovane in prossimità di un albero di olivo. Nei quadri o negli affreschi dove l’evento è rappresentato si nota, accanto al ragazzo, un’altra figura forse il padre del giovane, che però non vede la Madonna e non riesce a capire cosa stia accadendo. Secondo la tradizione la Madonna esortò il ragazzo a tornare in città per cercare di convincere la gente a far penitenza, indossare una veste bianca e riappacificarsi.
Ai primi di settembre migliaia di penitenti Bianchi, riuniti da giorni a Orvieto, iniziano a dirigersi verso sud, diretti a Roma. Il loro passaggio nell’area Sabina è testimoniato dalle cronache e dagli affreschi presenti nelle chiese di San Pietro ad Muricentum a Montebuono, San Paolo a Poggio Mirteto, Sant’Eusanio a Rieti, San Francesco a Leonessa e nel convento delle Clarisse di Fara Sabina. In breve tempo i pellegrini Bianchi raggiungono Sutri, in provincia di Viterbo, dove avviene un nuovo prodigio. Negli archivi notarili di questa cittadina laziale è registrato tale evento, avvenuto all’interno di una chiesa. Uno dei pellegrini Bianchi, un “miles theotonicus” di nome Enrico, stava tentando di riconciliare un abitante di Sutri con la moglie ma, visti gli esiti negativi, iniziò a pregare così intensamente che il crocefisso presente in chiesa mutò colore e iniziò a gettare sangue dal costato. Una goccia del prezioso liquido cadde sul marmo dinanzi all’altare dove, poco dopo, si formò il disegno di un viso umano. La notizia del miracolo si diffuse per il paese e giunse a conoscenza del vescovo Bernardino, il quale chiese al notaio Stefano di Sutri di redigere una relazione su tale evento. Altre informazioni su tale miracolo si trovano in una lettera, scritta da un fiorentino, fattore di Salnello di messer Bartolomeo Panciatichi, il quale racconta che non appena si diffuse la notizia del miracolo, il conte Nicola dell’Anguillara, signore di Capranica, corse a Sutri e accertatosi di persona del miracolo aderì al movimento dei Bianchi. Il 7 di settembre da Sutri il movimento, ormai composto di migliaia di pellegrini, si mise in marcia sulla via Cassia verso a Roma. Ad attenderli vi era papa Bonifacio IX, che era diffidente nei loro confronti ma anche impressionato dalla portata rivoluzionaria di un simile movimento. Poco tempo prima, infatti, aveva vietato l’ingresso nella città eterna a una compagnia di Bianchi proveniente dalla Lombardia che si era fermata a Viterbo. In questa città un loro capo, tale Elia ritenuto un emissario del papa avignonese, fu bruciato vivo in piazza. In poco tempo, però, Bonifacio IX si rese conto del sincero desidero di pace e fratellanza invocato dai pellegrini. Anche il miracolo di Sutri ebbe il merito di persuadere il pontefice e lo dispose a più benevole aspettative verso i pellegrini Bianchi. Decise pertanto di partecipare alle processioni, nel corso delle quali fu mostrato il Sudario della Veronica, la reliquia più venerata di San Pietro e di promulgare il “perdono di colpa e pena” a chiunque avesse compiuto opere di penitenza per nove giorni. Ben presto, però, il terribile flagello, profetizzato durante l’apparizione “dei tre pani”, si evidenziò ben presto in tutta la sua drammaticità; è l’Anno Santo del 1400, e la peste, che aveva fatto una prima limitata apparizione a Genova e poi a Venezia, trasmessa probabilmente anche dallo stesso pellegrinaggio dei Bianchi, si diffonde con virulenza in tutta l’Italia centrale, facendo strage di migliaia di persone. Anche gli stessi Bianchi, ovviamente, furono colpiti da tale pandemia e moltissimi tra loro morirono tra sofferenze e tormenti.
Il movimento così scomparve, in un intervallo talmente breve dalla nascita da non lasciare un duraturo ricordo tra le genti. I suoi propositi, però, non furono del tutto dimenticati, i suoi ideali hanno costituito le basi su cui sono sorte diverse Confraternite laicali cattoliche, la maggior parte delle quali veste, ancora oggi, un abito bianco in memoria delle lontane vicende del 1399. Ma cosa rappresentò, realmente, il movimento dei Bianchi in quello scorcio di medioevo? Forse la definizione più corretta la fornisce Mario Marrocchi in un suo studio del 1998: “Essi non furono persone né istituzioni: furono un’idea, quanto mai malleabile e docile, trasversale e qualunquista. Furono il prodotto di un ceto medio cittadino e borghese, ben recepito da istituzioni impegnate ad arginare inquietudini che sarebbero potute sfociare in più cruente manifestazioni. Così la devozione venne bene accolta da quelle autorità convinte di poterla controllare e volgere a proprio favore: capace di rispondere alle esigenze di chi la recepiva ma incapace di affermarsi là dove trovava una resistenza”. Il successo del moto dei Bianchi va ricercato anche nella speranza, insita nell’uomo del medioevo, di riuscire a rinviare la morte incombente e nella promessa della salvezza della propria anima.
Fonti Bibliografiche

  • Giovanni Sercambi, Le Croniche, Lucca,1892
  • Arsenio Frugoni, La devozione dei Bianchi del 1399, Todi, 1962
  • Gianpaolo Tognetti, Sul moto dei Bianchi nel 1399, 1967
  • Amleto Spicciani, La devozione dei Bianchi nel 1399, il miracolo del crocifisso a di Borgo a Buggiano, 1998.
  • Stefania Giraudo, La devozione dei Bianchi del 1399: analisi politica di un movimento di pacificazione, 2013

Roberto Giordano

Roberto Giordano è nato a Roma nel 1958 e lavora dal 1979 per aziende di Information Technology. Dal 1981 al 2001, con i Gruppi Archeologici d’Italia, ha partecipato a numerose campagne di scavo e ricognizione in siti archeologici del Lazio e della Toscana. In seguito ha iniziato a collaborare con associazioni di trekking in qualità di esperto in archeologia ed è socio della Società Tarquiniese di Arte e Storia. Da tempo si dedica allo studio del periodo etrusco e altomedievale ed è autore di numerosi articoli e brevi saggi. Nel 2013 è stato pubblicato il suo libro “L’Enigma Perfetto, i luoghi del Sator in Italia”.

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