La grotta di San Biagio – ipogeo dei santi Giasone e Mauro. Castellammare di Stabia di Filippo Basilico
Sulla collinetta di Varano che sovrasta la città di Castellammare di Stabia (Napoli) sorgeva, in età romana, la città di Stabiae: il luogo che – in quanto ritrovo dell’aristocrazia romana – ospitava numerose ville residenziali. La città scomparve, insieme a Pompei ed Ercolano, a seguito della violenta eruzione del Vesuvio nel 79 d. C.
Ai piedi di questa collina sorge la grotta di San Biagio che, in età romana, era raggiungibile attraverso una galleria che collegava le soprastanti ville residenziali al mare e alla pianura sottostanti[1]. Per molti secoli questo luogo è rimasto sepolto nell’oblio fino agli scavi di età borbonica che per la prima volta lo riportarono in luce tra 1757 e 1762[2].
Le scoperte più importanti derivano però dagli scavi più recenti del secolo scorso: la più celebre campagna di scavi fu senza dubbio quella condotta da Libero d’Orsi (1888 – 1977) nel 1950 che portò al ritrovamento di alcune tombe sia interne, sia esterne alla grotta per cui si è parlato di un sepolcreto (fig. 1); il rinvenimento poi, nel 1987, di un’iscrizione databile ai secoli VI e VII ha permesso di datare alcune sepolture all’epoca paleocristiana[3]. È in quest’epoca quindi che l’antica cava romana fu trasformata da alcuni vescovi locali in oratorio cristiano per il culto e la venerazione dei defunti[4]. Prima di diventare un luogo di culto cristiano la cava fu – stando ad alcune fonti – un tempio pagano dedicato a Plutone e al contempo il luogo di un oracolo. Tra le fonti che legano questo luogo al culto di Plutone ricordiamo, ad esempio, l’importante testo di Catello Parisi Cenno storico-descrittivo della città di Castellammare di Stabia del 1842 nel quale l’autore presenta tale luogo come Tempio di Plutone e scrive, tra le altre cose:
non presenta attualmente questa grotta che una informe idea del tempio di Plutone e ad una catacomba piuttosto potrebbesi rassimilare […]. Nella parte esterna poi esistono ancora al di sopra della sua porta i ruderi di una magnifica e grandiosa fontana in cui le vittime preparavansi col lavacro che in questo tempio a Plutone in sacrifizio offerìvansi[5].
Un’altra importante fonte è rappresentata dallo storico napoletano Bartolomeo Capasso (1815 – 1900):
Un ultimo tempio infine dedicato a Plutone,e posto a man dritta della città si rammemora come il più celebre di tutti dai patrii storici. Esso era sito in una grotta posta ai piedi del colle Varano, che ora dicesi Grotta di S. Biagio. Dalla sua interna struttura il Milante sospettò avervisi dovuto venerare un oracolo poiché osservò che non era gran fatto dissimile, giusta la descrizione che ci ha lasciata Pausania, dall’antro di Trofonio tanto celebrato in Grecia per queste superstizioni[6].
Il passaggio da tempio pagano a luogo di culto cristiano avvenne ad opera dei benedettini che tra il VI e il VII secolo vi si insediarono e iniziarono ad officiare; è a loro infatti che si deve la ripresa di un luogo ormai abbandonato. L’avvenimento più importante che avvenne in questi anni fu l’ampliamento e la risistemazione dell’edificio in seguito alla deposizione delle reliquie dei martiri romani Iason e Maurus (Giasone e Mauro) morti nel III secolo. Si tratta – come spiega Mario Pagano – di una coppia di fratelli sepolti, con la madre Hilaria, presso la via Salaria a Roma e successivamente traslati e venerati all’interno della chiesa dedicata ai martiri Crisanto e Daria, ed è altresì possibile che il motivo per cui i benedettini dedicarono molta importanza a questo luogo fu dovuta all’erronea convinzione che le spoglie di Mauro, appena giunte nell’oratorio, fossero quelle dell’omonimo santo amico e discepolo di san Benedetto da Norcia, quindi uno dei santi più importanti dell’intero ordine benedettino[7].
Rimane ora da chiedersi come siano arrivate nell’attuale territorio campano delle reliquie situate nei pressi di Roma.
L’ipotesi suggerita da Pagano è che la traslazione sia opera di san Catello, vescovo della diocesi di Castellammare di Stabia che durante un soggiorno romano, nel VII secolo, abbia acquisito delle reliquie in alcuni cimiteri romani, tra cui anche quelle dei due fratelli martiri Mauro e Giasone[8]. La grotta di san Biagio inoltre fu indicata proprio come luogo di sepoltura di san Catello ma il corpo non è mai stato ritrovato[9].

Risalente all’VIII secolo – quindi successivamente alla deposizione delle reliquie dei due martiri – è anche una prima fase decorativa cui si deve la rappresentazione – ormai molto rovinata – dei due santi, entrambi in posizione eretta, ai due lati opposti del sottarco nord. San Mauro con tonsura e abito vescovile stringe nella mano sinistra un rotolo di papiro (fig. 2); a cui si contrappone l’immagine di san Giasone – che purtroppo ha perso l’iscrizione – con in testa la corona del martirio e (fig. 3)


L’arco sovrastante l’immagine dei due santi fu anch’esso decorato in una fase poco più tarda databile al IX secolo: all’interno di cinque clipei si stagliano, su un fondo rosso, delle figure ritratte dal busto in su che rappresentano Cristo (al centro) circondato dai quattro arcangeli; si tratta di un topos iconografico molto in voga nell’ambiente romano[10] (fig. 4).
L’altra fase importante per l’oratorio benedettino fu tra X e XI secolo quando, in seguito ad un abbandono progressivo della zona, i benedettini contribuirono a bonificare e coltivare il territorio circostante rendendolo nuovamente fertile e contrastando le invasioni. Nei secoli successivi l’oratorio benedettino – che ebbe lavori di rinforzo e consolidamento – strinse un’alleanza con il vicino monastero di San Renato di Sorrento. Un nuovo ciclo pittorico – reso possibile dall’ampliamento della struttura e dalla creazione di nuove pareti – sembra confermare l’alleanza tra i due monasteri: su una parete infatti sono affrescati, uno accanto all’altro, proprio i santi patroni dei due monasteri: san Benedetto e san Renato.
I due santi, in posizione eretta, si stagliano su uno sfondo decorato a fasce. Entrambi guardano diritto verso lo spettatore e hanno l’aureola; alla sinistra dei loro volti sono scritti in bianco e in stampatello i loro nomi: BENEDICTUS e RENATUS. San Benedetto ha l’abito monacale, sorregge con la mano sinistra un testo sacro e con la destra fa il segno della benedizione; san Renato – che ha anch’egli tra le mani un testo sacro – ha una barba bianca e i paramenti episcopali color oro (fig. 5).
A parte l’iconografia, l’alleanza tra i due monasteri, è attestata da alcuni documenti molto importanti di cui parla Domenico Camardo nel proprio saggio:
Nel documento del 1427 in cui si parla della presenza della chiesa dei Santi Jasone e Mauro a Castellammare è riportata anche la consuetudine dell’abate del monastero di San Renato di Sorrento di offrire un «prandium magnum» al clero stabiano. L’origine di questa consuetudine sembra essere in un documento del 1356, in cui per l’accomodamento di una lite sorta fra il vescovo stabiese e l’abate di San Renato di Sorrento, quest’ultimo «promisit facere prandium magnum, quod fieri debuit in festo S. Jasoni et Mauri, de Mense Julii». Nel documento del 1427 questa consuetudine sembra essere ancora praticata. Infatti nel «die decimo mensis Julii», partendo dalla «maiorem Ecclesiam» stabiese, si svolse una processione che condusse il clero stabiese e l’abate di San Renato «ad Ecclesiam Sanctorum Jasonis et Mauri de dicta civitate» e da questa alla chiesa di San Severino di Castellammare, dove l’abate di San Renato aveva fatto preparare il «prandium solemne de bacca una et aliis ferculis». Dai due documenti si può quindi rilevare, almeno dal 1356, una dipendenza della chiesa dei Santi lasone e Mauro dal convento di San Renato di Sorrento. A questo proposito bisogna ricordare la presenza nella serie di affreschi di XI sec. che decorano la grotta, al fianco di San Benedetto, proprio di San Renato […][11].

In questo documento del 1427 notiamo che a proposito della chiesa vengono menzionati ancora i santi Giasone e Mauro, per cui è possibile che la denominazione tardiva di S. Biagio deve essere avvenuta intorno al XVI secolo «il nome lasone non fu più compreso nei secoli successivi e venne interpretato come Biase, da cui si trasse la denominazione “Grotta di san Biagio”»[12].
La chiesa andò incontro nei secoli successivi ad un lento ma inesorabile declino per cui, nel 1695, un vescovo locale – Annibale di Pietropaolo – decise di chiudere e sconsacrare definitivamente la chiesa ormai parzialmente interrata e ridotta ad uno stato perenne di decadenza e deterioramento[13].

L’interesse per questo sito è dato dal fatto che – come ha evidenziato il sito STORIE E ARCHEOSTORIE – grazie alla collaborazione tra il Parco archeologico di Pompei e il Centro Interdipartimentale dei Beni Culturali (CiBEC) dell’Università Federico II di Napoli, il santuario verrà finalmente restaurato. I responsabili scientifici saranno per il CIBEC l’ing. Luciano Rosati, docente di Scienza delle Costruzioni, e per il Parco Archeologico di Pompei gli ingg. Vincenzo Calvanese ed Alessandra Zambrano[14].
Queste le parole soddisfatte del direttore Gabriel Zuchtriegel che riprendiamo dal sito STORIE E ARCHEOSTORIE:
Si tratta di un contesto unico da recuperare e valorizzare, che si aggiunge al quadro storico delle testimonianze archeologiche dell’area di Stabia. Tutto il territorio è oggetto di grande attenzione da parte del Parco archeologico che sta investendo in questi anni complessivamente circa 4 milioni di Euro a Castellammare di Stabia. Oltre alle indagini sulla grotta di San Biagio, abbiamo in campo una serie di progetti di ricerca, manutenzione, restauro e accessibilità delle ville antiche sul piano del Varano e un progetto di ampliamento del Museo Libero D’Orsi presso la Reggia di Quisisana. Visto l’unicità e la complessità del patrimonio presente sul territorio, possiamo definire Stabia un vero gigante culturale e come tale va raccontato. L’importanza dell’antica Stabia si comprende non ultimo dalla vicenda della straordinaria statua del Doriforo, trovata nel 1976 nel territorio stabiese e finita negli Stati uniti, che speriamo di riportare in Italia. Insieme al procuratore capo di Torre Annunziata, Nunzio Fragliasso, abbiamo aggiornato il Ministro Sangiuliano sulla vicenda in occasione della sua visita a Pompei poche settimane fa[15].
BIBLIOGRAFIA FINALE
L. Aiello, La città di Stabia e San Catello suo patrono, Castellammare di Stabia 20075.
Bonifacio – A. M. Sodo (a cura di), Stabiae: storia e architettura. 250°anniversario degli scavi di Stabiae 1749-1999, convegno internazionale: Castellammare di Stabia, 25-27 marzo 2000, Roma 2002.
Camardo, La “Grotta di San Biagio” e la topografia dell’antica Stabiae, «Bollettino di Archeologia», 19 – 21, 1993, pp. 105 – 115.
Capasso, Topografia storico-archeologica della Penisola sorrentina e raccolta di antiche iscrizioni edite ed inedite appartenenti alla medesima, Napoli 1846.
La riscoperta di Stabiae. L’avventura archeologica di Libero D’Orsi, Castellammare di Stabia 2000.
Pagano, Il sepolcreto e la grotta di San Biagio a Castellammare di Stabia: le origini e una nuova interpretazione, «Rivista di Studi Pompeiani», 14, 2003, pp. 257 – 272.
Valcaccia, I tesori sacri di Castellammare di Stabia. Dall’Arte Paleocristiana al primo Rinascimento, Castellammare di Stabia 2013.
SITOGRAFIA
Sito STORIE E ARCHEOSTORIE: https://storiearcheostorie.com/
- Langella, La grotta di San Biagio a Castellammare di Stabia:
- S: La bibliografia presente, com’è evidente, non ha alcuna pretesa di esaustività. Ulteriori testi per approfondire sono citati nei saggi qui riportati. Le immagini sono riprese tutte dai saggi consultati per la stesura dell’articolo.
[1] D. Camardo, La “Grotta di San Biagio” e la topografia dell’antica Stabiae, «Bollettino di Archeologia», 19 – 21, 1993, pp. 105 – 115. Scrive l’autore: «Si potrebbe quindi ipotizzare che la galleria collegasse il centro abitato di Stabiae, che sorgeva sul pianoro di Varano, con il sottostante litorale, superando il dislivello esistente grazie a questa via sotterranea», p. 108.
[2] Ivi, p. 106.
[3] M. Pagano, Il sepolcreto e la grotta di San Biagio a Castellammare di Stabia: le origini e una nuova interpretazione, «Rivista di Studi Pompeiani», 14, 2003, pp. 257 – 272. Cfr. con G. Bonifacio – A. M. Sodo (a cura di), Stabiae: storia e architettura. 250°anniversario degli scavi di Stabiae 1749-1999, convegno internazionale: Castellammare di Stabia, 25-27 marzo 2000, Roma 2002, pp. 149 – 150.
[4] M. Pagano, Il sepolcreto e la grotta di San Biagio…, p. 258.
[5] A. Langella, La grotta di San Biagio a Castellammare di Stabia, p. 5. Consultabile online: http://www.vesuvioweb.com/it/wp-content/uploads/Aniello-Langella-La-Grotta-di-San-Biagio-a-Castellammare-di-Stabia-vesuvioweb-2013.pdf.
[6] B. Capasso, Topografia storico-archeologica della Penisola sorrentina e raccolta di antiche iscrizioni edite ed inedite appartenenti alla medesima, Napoli 1846, p. 22. Cfr. con A. Langella, La grotta di San Biagio…, p. 7.
[7] M. Pagano, Il sepolcreto e la grotta di San Biagio…, p. 263.
[8] Ivi, pp. 263 – 267.
[9] G. L. Aiello, La città di Stabia e San Catello suo patrono, Castellammare di Stabia 20075, p. 67.
[10] M. Pagano, Il sepolcreto e la grotta di San Biagio…, p. 269. Si veda inoltre: E. Valcaccia, I tesori sacri di Castellammare di Stabia. Dall’Arte Paleocristiana al primo Rinascimento, Castellammare di Stabia 2013.
[11] D. Camardo, La “Grotta di San Biagio”…, p. 113. Il corsivo è dell’autore.
[12] Ivi, p. 112. Cfr. con M. Pagano, Il sepolcreto e la grotta di San Biagio…, p. 262.
[13] D. Camardo, La “Grotta di San Biagio”…, p. 113 e M. Pagano, Il sepolcreto e la grotta di San Biagio…, p. 270.
[14] Consultabile online: https://storiearcheostorie.com/.
[15] Ibidem.
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