La legislazione federiciana dei porti: primo esempio nel Mezzogiorno

Miniatura da un rotolo di pergamena del XIII secolo: secondo alcuni il sovrano sarebbe Federico II di Svevia

La legislazione federiciana dei porti: primo esempio nel Mezzogiorno di Alfonso Mignone

Alla fine del Regno normanno il sistema portuale era incardinato ancora su pochi porti e l’intervento normativo regio puntò al miglioramento di alcune strutture portuali già importanti come Bari, Brindisi, Otranto, Napoli, Palermo, Messina, e nella creazione di nuovi arsenali a Gaeta, Salerno, Amalfi e nella stessa Napoli. Inoltre vi era una costellazione di piccoli porti, più propriamente approdi (Scalea, Amantea, Gallipoli, Nardò, S. Nicola di Petrola, Torre Pozzelli, a 12 miglia da Brindisi, S. Vito-Polignano, Porto S. Felice-Mattinata), e di ancoraggi per piccole imbarcazioni alle foci dei fiumi navigabili che fornivano un naturale riparo dai venti (il Garigliano, il Neto, il Sinni, il Saturo presso Taranto, il Tronto).
Il quadro portuale normanno è diversificato in porti statali amministrati dalla burocrazia imperiale e porti monastici gestiti da potenti abbazie per antichi e nuovi privilegi ottenuti dalla pubblica autorità.
Tuttavia non esisteva una vera e propria regolamentazione ed il primato in tutta la Penisola, nonostante sia molto scarsa la letteratura storiografica, spetta a Federico II di Svevia.
Con l’ Ordinatio novorum portuum per regnum ad extraenda victualia del 5 ottobre 1239, nel quadro di una revisione già stata avviata nel 1235 con l’ Edictum super portubus, lo Stupor Mundi fu il primo a varare, nel Meridione d’Italia, una sostanziale “riforma portuale”, potenziando i gli scali già strategici per bizantini, longobardi e normanni e ampliandone di nuovi sia a scopo commerciale che difensivo ponendo altresì le basi per un ordinamento giuridico degli stessi e affidandone una gestione “tecnica” a funzionari regi ad essi preposti come i mastri portulani con funzioni amministrative e propulsive per i traffici marittimi finalizzate ad attirare mercanti, armatori ed espandere fondaci.
Grazie a questo intervento di eccezionale lungimiranza strategica i porti del Sud divennero hub per il commercio con i maggiori empori internazionali del medioevo e gates per il ricchissimo Oriente mantenendo la loro centralità per secoli.
Il testo legislativo istituiva 11 nuove autorità portuali, due in Sicilia – Trapani e Augusta –, gli altri nella parte peninsulare del regno: Torre del Garigliano, Pozzuoli, Vietri, Vibo sul Mar Tirreno; Crotone sullo Jonio; Pescara, Rivoli, Torre a Mare e S. Cataldo di Bari sull’Adriatico.
Ad ogni “nuovo” porto corrispondeva un ambito regionale vocato alla produzione cerealicola destinata a confluire in esso.
L’Ordinatio novorum portuum è strutturata sotto forma di enciclica, contenuta nel Registro della Cancelleria che raccoglie tutti gli atti del Regno, in cui vengono assegnati gli incarichi imperiali ai custodi ed ai notai a loro sottoposti e allo stesso modo stabilisce come tali funzionari debbano agire, secondo un criterio geografico, ed i criteri di successione.
Il tutto era contenuto in un prospetto completo e schematico dei nuovi porti e dei funzionari ai quali quei porti erano stati affidati, un vero e proprio organigramma da tenere sempre aggiornato e al quale poter fare riferimento ogni volta si fosse reso necessario comunicare con i responsabili di questo o quel porto.
Nella lista erano immediatamente percepibili le informazioni relative al personale addetto all’amministrazione di ciascun porto; era distribuito su tre righe secondo un unico schema: sulla prima riga il nome della località dove era stato istituito lo scalo portuale, sulla seconda quello del custos o dei custodes, ossia dei responsabili del porto, sulla terza quella del notarius incaricato delle pratiche di scrittura, ossia della redazione degli atti amministrativi e della registrazione delle scritture finanziarie.
La disciplina distingue porti di nuova costruzione (Vietri, Rivoli, San Cataldo di Bari, Torre di Mare, Vibo, Crotone, Augusta e Trapani) da quelli già esistenti.
Figura cardine dell’ordinamento portuale federiciano era il Magister Portulanus. L’ufficio, di creazione normanna, aveva competenze distrettuali con giurisdizione sui porti e sorveglianza sui custodes portuum, sull’andamento dei traffici marittimi e sulla riscossione dei diritti portuali. All’occorrenza poteva svolgere anche funzioni giurisdizionali nei confronti dei contravventori.
Venne creata, dunque, una rete funzionariale su base locale, costituita da undici portulani ‒ uno per ogni porto, con le eccezioni di Pozzuoli e Trapani ‒ ai quali si affiancava un notarius per la redazione delle scritture contabili, che costituiva la prima fase tangibile di una politica di riforma del sistema commerciale del Regno in cui i magistri portulani diventavano allora i responsabili diretti della gestione dei commerci marittimi, sia per quanto riguardava l’esazione dei diritti di estrazione dei cereali, sia per la gestione dei meccanismi commerciali. La loro presenza si rendeva necessaria per adeguare la rete dei porti alle nuove esigenze di politica economica del sovrano.
I compiti dei magistri portulani erano quindi attinenti al controllo degli scali marittimi: essi dovevano nominare direttamente i custodes portuum, scelti tra persone “provvide e fedeli”, tenere le scritture relative all’attività di tutti i porti sotto la loro giurisdizione, redatte dai notai, e raccogliere le somme esatte in sede locale e utilizzarle su mandato della Curia regia; occasionalmente si occupavano anche della riscossione di tributi non derivanti direttamente dalle attività commerciali; a loro era infine affidata la manutenzione dei granai regi e degli approdi. Potevano anche concedere, su autorizzazione della Curia, le licenze di esportazione ed era loro affidato il carico cerealicolo in uscita dai granai regi. Al portulanus dovevano essere denunciate la quantità e il genere delle merci importate ed esportate via mare, il nome delle navi, compratore o destinatario delle merci, luogo di destino e permesso di importazione.
Non è difficile individuare la ratio di una siffatta dislocazione dei porti con lo sviluppo del sistema di masserie e di produzioni poste sotto il monopolio dello stato, anche perché non tutti quelli elencati sono effettivamente di nuova costruzione.
Il progetto federiciano, che prevede la costruzione di depositi e scaricatoi granari, è particolarmente rivolto proprio alla Puglia e in particolare alla Capitanata, che ha un porto tutto per sé. Il Tirreno, del resto, sta già diventando una via granaria collegata con Venezia e il Nord Europa mentre la Sicilia ha già una potente rete portuale che ospita, in porti separati, le navi delle Repubbliche Marinare che qui fanno scalo. Con i due provvedimenti regi, la Constitutio super massariis e la Constitutio novorum portuum, viene creato un vero e proprio “Distretto logistico” che collega in tal modo il sistema produttivo del Regno alla rete mediterranea e, di conseguenza, i rapporti internazionali vengono demandati a mercanti, armatori e banchieri delle Repubbliche Marinare, capaci di organizzare una rete globale, una specie di gigantesco outsourcing imperiale.

Alfonso Mignone
alfonso_mignoneAlfonso Mignone è nato a Salerno il 12/03/1977 ed ivi residente, dopo aver conseguito la maturità classica e la laurea in giurisprudenza attualmente svolge la professione di avvocato in materia di diritto della navigazione e dei trasporti, turismo e contrattualistica interna ed internazionale offrendo consulenza a privati e aziende, promuovendo corsi di formazione e convegni anche in ambito di formazione continua degli avvocati del Consiglio dell’Ordine della sua città.
Collabora inoltre con riviste specializzate di settore: «Il Diritto Marittimo», «Diritto dei Trasporti», «Rivista del Diritto della Navigazione» nonché con le riviste online «International Law Office» e «Altalex». Di recente autore di un saggio dal titolo “Nuovi Studi sulla Tabula de Amalpha”.
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