
La rappresentazione dell’Impero ottoniano e dell’imperatore Ottone I nei Gesta Ottonis Imperatoris di Rosvita di Gandersheim di Niccolò Caramel
La tradizione di Gandersheim (1) ci fornisce molto di quello che oggi conosciamo sugli Ottoni e sui loro antenati. Questa tradizione memoriale è stata raccolta dalla canonichessa Rosvita di Gandersheim (2) su richiesta di Gerberga, badessa sua maestra nonché nipote di Ottone, e trasformata in un poema epico che ha per tema la fondazione e la storia del suo monastero (3). Il poema, intitolato Gesta Ottonis Imperatoris, sorse in onore delle imprese del sovrano sassone divenuto imperatore e fu ideato nel periodo compreso tra il 962 e il 9654. Nel 965 Ottone ritornò dall’Italia e
riunì a Colonia, ospite del fratello Brunone, tutta la famiglia imperiale e i più importanti vassalli per la solenne celebrazione della Pentecoste, come visibile dalla manifestazione del nuovo impero. Furono prese decisioni di alleanze dinastiche e matrimoniali, e cominciò una stagione di costruzione di edifici religiosi, ampliamento e restauro di quelli esistenti, e di sistemazione adeguata delle reliquie che l’imperatore aveva portato dall’Italia. (5)
In questo periodo si pensa possa essere sorta l’idea di celebrare letterariamente l’evento: il poema potrebbe essere allora una delle numerose manifestazioni di imperialismo (6). I Gesta Ottonis sarebbero stati pensati come un’opera di propaganda finalizzata a incoraggiare il ruolo dell’alto clero nella politica ottoniana (in un periodo di transizione tra Ottone e il suo giovane erede, che avrebbe dovuto proseguire la linea politica paterna e che il poema avrebbe dovuto assecondare).
Nel periodo in cui Rosvita portava a termine il poema, Ottone II stava per sostituire il padre al trono. Un’opera di divulgazione sarebbe stata utile al nuovo imperatore e la realizzazione del poema di Rosvita, commissionato da Gerberga e forse anche da Guglielmo di Magonza, dimostra che le alte gerarchie religiose erano a fianco di Ottone II nel momento della successione. Poiché l’opera di Rosvita sarebbe stata esaminata da Guglielmo di Magonza in seguito alla sua compilazione, la giovane autrice doveva tenere alcuni accorgimenti nella stesura dell’opera: «celebrare le gloriose imprese del monarca vivo e regnante, modulare l’encomio senza raggiungere l’adulazione, affrontare la contemporaneità e la complessa interpretazione di eventi recenti che ancora si ripercuotevano sul presente, soprattutto dal suo punto di vista, vicina e appartata dagli eventi» (7). Realtà storica e deformazione ideologica si intrecciano in ogni pagina del poema: la sua posizione e il compito affidatole rendevano impossibile una piena libertà nella scrittura (8). Nonostante ciò, il poema di Rosvita «offre una testimonianza importante, non tanto sullo svolgimento degli eventi, sui loro dettagli, e forse neppure sullo sfondo in cui si svolsero, quanto piuttosto sulla loro interpretazione fra i contemporanei» (9). Gli storici sostengono, infatti, che Rosvita fosse a conoscenza delle opere che i suoi contemporanei scrivevano riguardo agli Ottoni, anche se sembra che la canonichessa abbia utilizzato in modo preponderante fonti orali, perlopiù di testimoni diretti degli eventi.
Il poema, anche se caratterizzato da una scrittura molto peculiare e caratteristica, se non altro perché femminile (10), mantiene sempre un’ottica germanocentrica ed è, come tutta la produzione di Rosvita, inserito nel suo ambiente culturale (11). Il poema procede in senso cronologico, ma l’intento dell’autrice non è di fornire un’esposizione completa degli eventi: si concentra solamente sugli episodi che per lei sono particolarmente degni di nota e descrive dettagliatamente il comportamento dei protagonisti (12).
Il racconto segue costantemente il modello biblico: i riferimenti religiosi sono molteplici ed anche gli accostamenti tra personaggi biblici e componenti della famiglia ottoniana (13). Le vicende di Ottone, Christus Domini, si inseriscono nella lotta tra Dio e il demonio – all’interno di una prospettiva fideistica e teleologica – «dove il re è protagonista nel quadro umano, ma solo strumento contingente nel piano divino», in cui «Ottone deve rispecchiare le virtù divine: così la poetessa usa le stesse espressioni per indicare Dio e per indicare Ottone, raffigurando la simmetria di ruoli» (14).
Nell’ottica retrospettiva con cui Rosvita interpreta le lotte civili che inaugurano il regno di Ottone I, si nota un’unione d’ideologia del vincitore e visione teleologica della religiosa: «per Rosvita non ci sono incertezze nel definire come preordinato da Dio lo schema monarchico accentrato che Ottone dovette imporre in anni di lotte interne» (15). Nel poema si percepisce costantemente la convinzione di Rosvita «che Ottone sia l’eletto del Signore» (16). Il rapporto privilegiato con Dio, che viene espresso mediante il sostegno che si evince dai successi militari, permette al sovrano di legittimare «un’autocrazia che lo pone al di sopra sia della gerarchia laica che di quella religiosa» (17).
Rosvita presenta molti esempi di autolegittimazione imperiale e di accordi tra volontà divina e azioni imperiali (18): allude alla profezia di Daniele per legittimare l’impero mediante la volontà divina, si richiama costantemente alla prospettiva provvidenziale, sacralizza la missione imperiale e l’immagine regia (19). L’elemento ideologico più rilevante per la rappresentazione imperiale ottoniana è l’identificazione tra Salomone e Ottone III e tra David e Ottone (20), i quali rappresentano l’emblema biblico della sovranità imperiale.

Ottone I e Ottone II vengono indicati nei prologhi del poema come reggitori dell’impero di Cesare e Augusto, quindi eredi dell’impero romano (già con Enrico): a questo fatto viene attribuita una grande importanza da Rosvita poiché Roma aveva un ruolo preminente nell’impero e l’incoronazione imperiale viene così enfatizzata e presentata come vertice della vicenda di Ottone (21). È proprio con l’incoronazione imperiale del 962 che Rosvita termina il poema.
Note:
1) Gandersheim era un convento dell’Alta Sassonia fondato nell’852 da Liudolfo e destinato a mantenere la memoria familiare degli Ottoni al pari di quello di Quedlinburg. Cfr. Hrotsvitha Gandeshemensis, Gesta Ottonis Imperatoris, Maria Pasqualina Pillola (cur.), Edizioni del Galluzzo, Firenze 2003 p. IX.
2) Della poetessa si conosce solamente quello che lascia trapelare dalle sue opere. Probabilmente è entrata nel monastero da bambina ed era inserita nel circuito di Ottone I, nel quale ella avrà fortuna grazie alle sue doti da scrittrice.
3) Hagen Keller, Gli Ottoni: una dinastia imperiale fra Europa e Italia, Carocci, Roma 2012, p. 30.
4) Fu composto presumibilmente in due fasi: la prima che va dalla primavera del 965 e il 967 (periodo nel quale Rosvita avrebbe raccontato le vicende ottoniane che giungono fino al 962), la seconda durante l’estate del 967 (dove aggiunse gli eventi che vanno dal 962 al 967).
5) Pillola, Introduzione, in Gesta Ottonis, p. LXXIII.
6) Nonostante ciò, come afferma Roberto Lopez, «i vivaci drammi religiosi alla maniera di Terenzio, che la monaca Rosvita, nipote di Ottone I, compose in latino nel X secolo, non esercitarono alcun influsso fuori del convento per il quale erano stati redatti», Roberto S. Lopez, Nascita dell’Europa. Storia dell’età medievale, 1962, il Saggiatore, Milano 2004, p. 220.
7) Pillola, Introduzione, in Gesta Ottonis, p. XIX.
8) Molteplici sono infatti le condizioni che devono essere valutate per comprendere quali motivi ideologici risalgono all’autrice del poema e quali ai suoi committenti, ad ogni modo la sua ricostruzione in esametri delle vicende dell’impero di Ottone I è stata condizionata dalla sua posizione nel convento e dalla personalità dei committenti e dei destinatari. Cfr, Ivi., p. LXIII. La poetessa non poteva raccontare integralmente «le discordie all’interno della famiglia regia poiché la sua mentore è, appunto, Gerberga, che è figlia di uno dei personaggi piu controversi dell’epoca, Enrico di Baviera, direttamente coinvolto nei conflitti. Ella si trova tra due fuochi: si deve destreggiare in bilico tra l’esaltazione di Ottone e la non totale condanna di Enrico. Nel corso del poema Rosvita non fa affermazioni che avrebbero potuto dispiacere ad Ottone ed anche se in concreto assolve il comportamento di Enrico riesce a fare in modo che non per questo Ottone appaia meno esemplare». Ivi, p. XXVIII.
9) Ivi., p. XXI-XXII.
10) Questa particolarità della scrittura è sostenuta da Janeth Nelson, studiosa dell’Alto Medioevo. Lo stile di Rosvita sarebbe caratterizzato da una maggior libertà nella forma, una cospicua attenzione «agli intrecci parentali, alle vicende e ai rapporti all’interno del nucleo familiare dei Liudolfingi; maggior attenzione alle concrete attività politico-economiche delle donne», Cfr, Janeth L. Nelson, “Gender and Genre in women historians of the earlier Middle Ages”, L’historiographie médiévale en Europe, J.-P. Genet, Paris, 1991, p. 149.
11) Tutta la produzione di Rosvita, come sottolinea Pillola, «seguì i generi coltivati nei suoi tempi, dai poemi agiografici a quelli storici, dedicati a santi, sovrani monasteri, e la storiografia, intesa come conservazione della memoria storica, era tratta da altre scrittrici del X secolo che come Rosvita vivevano in convento», Pillola, Introduzione, in Gesta Ottonis, p. XXI-XXII.
12) Rosvita narra la prigionia, le angherie subite e la rocambolesca fuga di Adelaide, la quale «è sempre totalmente immacolata: Dio parteggia per lei. Liudolfo viene parzialmente giustificato per la sua ribellione, ingannato – dice Rosvita – da cattivi consiglieri e preda di un carattere fragile. Dunque, evitando in ogni modo di spezzare l’armonia familiare, ella da una versione edulcorata del conflitto tra Ottone e il figlio. La ribellione di Enrico viene dipinta come fomentata dal demonio, “l’antico nemico”. Sorprende, infine, lo scarsissimo spazio riservato a Matilde, ma ciò potrebbe essere giustificato dal fatto che Gandersheim rivaleggiava con Quedlinburg. Ad ogni modo, l’intento e un altro: preservare la memoria all’interno di una gerarchia tra fratelli», Sara Caon, Imperi medievali. Oriente ed Occidente a confronto.
13) Ad esempio, nella festività l’autrice non vedeva solamente – al contrario degli storiografi coevi – una circostanza in cui il sovrano «riuniva i suoi fedeli e fissava agli occhi della corte e del popolo il ruolo e il rango di ciascun congiunto e vassallo, stabiliva premi e punizioni, formalizzava riconoscimenti e riconciliazioni», Pillola, Introduzione, in Gesta Ottonis, p. XLVII. Alla festività – in particolare la Pasqua – ella attribuiva anche un significato simbolico religioso: «il Dio della Resurrezione che i nemici di Ottone sfidano, salva il re consentendogli di scoprire la congiura: Rosvita sembra stabilire un parallelismo tra il re vittima innocente e inconsapevole che i suoi nemici vogliono sacrificare per le loro ambizioni e l’Agnello pasquale offerto come innocente vittima sacrificale per l’umanità», Pillola, Introduzione, in Gesta Ottonis, p. XLVIII. Infine, sempre nella festività, l’autrice introduce un parallelismo tra Ottone e Cristo, cfr. Ivi., p. XLIX.
14) Ivi., p. LXVI.
15) Ivi., p. XXXIV.
16) Ivi., p. XXXVI.
17) Ivi., p. LXXI.
18) Secondo il racconto di Rosvita, infatti, l’uomo può solo adattarsi al regno divino, Cfr. Ivi, p. LXVIII.
19) Ottone inaugura il regno con una cerimonia solenne ad Aquisgrana con il rito dell’unzione sacra.
20) Cfr. Ivi, p. LXX.
21) Al contrario, gli storici sassoni contemporanei, come Widuchindo, considerano «il vero momento di assunzione della dignità imperiale l’acclamazione di Ottone sul campo di battaglia di Lechfeld nel 955», Ivi., p. LXXI.

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