L’Antéchrist di Verona: un poemetto della fine del XIII secolo

L’Antéchrist manifesté sous la forme d’un roi. Hortus Deliciarum (XIIe siècle).

L’Antéchrist di Verona: un poemetto della fine del XIII secolo. Il prologo (1) di Alessia Marchiori

Por ce qe je say le fracois
E qu [je] soy parler ancois
Franchois qe nul altre lengaje,
Si me samble strange e sauvaje
De ce qe j(e) aipris en enf(r)ance
Laiser (vv. 1-6)

Questo è l’incipit della Légend de l’Antéchrist nella versione conservataci nell’unico manoscritto dell’Arsenal 3645. Lungo tutto il Medioevo il récit dell’Anticristo ebbe una grande fortuna e diffusione: si trattava, infatti, di una breve narrazione nota a qualsiasi fedele che ne conosceva i motivi principali sia grazie alla tradizione orale dei sermoni sia grazie ai diversi riferimenti indiretti in testi di varia natura (2).
Fino ad oggi sono state tramandate, a nostra conoscenza, nove versioni della narrazione presa in esame. Tuttavia, il testo contenuto nel manoscritto dell’Arsenal occupa una posizione alquanto particolare all’interno della tradizione dei récits pervenuteci, in primis a causa della coloritura linguistica: esso si caratterizza per il fatto di essere composto in una lingua francese che tradisce però numerosi tratti morfologici o lessicali della lingua italiana, in secundis, perché esemplato alla fine del XIII secolo non in area francese (come per tutte le altre versioni), bensì in Italia settentrionale, precisamente a Verona, cosi come indica l’explicit contenuto nell’unico testimone (3). Di conseguenza, questa Légende fa parte di quel corpus letterario di area francoveneta tanto vivace e ricco quanto poliedrico e sfuggente a qualsiasi norma linguistica o formale ben definita (4).
Le nove versioni della leggenda dell’Anticristo (di cui quella qui presa in esame) che circolano tra il XII e XIII secolo, per la maggior parte nei territori d’oltralpe, sono tutte in lingua d’oïl ad eccezione della nostra.
Si tratta di testi in alessandrini o in octosyllabes, salvo un paio di versioni (5) scritte in prosa, dai duecento ai trecento versi ciascuno, i quali occupano solitamente una parte ben precisa di opere più ampie, (6) a carattere religioso-edificante ed allegorico.
Tutte queste versioni pervenuteci traducono, o per meglio dire rielaborano, per mezzo di diverse tecniche retoriche che appartengono all’abreviatio e all’amplificatio, il testo latino Epistola ad Gerberam reginam De ortu et tempore Anticristi dell’abate Adson de Montier en Der, composto attorno al 950 circa, a sua volta concepito come una sorta di compilazione (in forma di epistola dedicata a questa Gerbera sposa di Louis IV d’Outremer) di materiali scritturali, apocrifi e patristici ben calibrati.
il poemetto dell’Antéchrist preso in esame si divide in quattro sezioni principali e ben distinte: l’Antéchirst propriamente detto, che occupa i primi 241 versi (7), i Quinze signes de la fin du temps, ovvero un altro poemetto basato su una visione apocalittica attribuita a San Girolamo alla fine del XII secolo. In quest’ultimo vengono illustrati i quindici indizi dell’arrivo del Giudizio Universale e questa sezione è rintracciabile anche in alcune altre versioni della Légende, anteposto o posposto al récit dell’Anticristo (8). In seguito, l’Arsenal 3645 conserva un’ulteriore visione di un certo «homme de religion», dibattito tra il corpo e l’anima che diventa lungo il testo una vera e propria esposizione dottrinaria di quest’ultima (9), ed infine il Jugement dernier, passo tratto dal testo evangelico di Matteo XXV, che ritroviamo ugualmente in altre versioni pervenuteci. Gli ultimi trenta versi invece, contengono una sorta di invettiva contro la corruzione dei chierici, la quale, pur trattando una materia piuttosto generale, si distacca dalla narrazione edificante precedente e si rivolge intento polemico assai acceso ad una categoria sociale ben precisa (10).
La versione dell’Antéchrist qui considerata, e tràdita da un solo esemplare, non vanta certo un gran numero di studi, né ha attirato, in questi ultimi anni, l’attenzione dei ricercatori. È possibile consultarla grazie all’edizione critica di Emmaneul Walberg, del 1928, che correda al testo edito un’introduzione nella quale illustra i contenuti, alcune fonti (11), la patina linguistica e la grafia dell’opera.
Virginio Bertolini, rispettivamente negli anni 1980 e 1987 – con due articoli dal titolo «A proposito degli explicit dell’Antéchrist e del Livre d’Enanchet» e «I Montecchi, ulteriore documentazione» – si è concentrato sul colophon del testo che riportiamo di seguito: «Explicit liber de Antecrist. | Atum est hoc mcclj die Jovis [post] festum sancti Thomei apostoli | Super carcer Polorum in contrata de Monteculis de Verona» (12). Secondo lo studioso veronese, che riporta parecchi lacerti delle carte di Archivio contenenti riferimenti alla famiglia Montecchi e ai suoi possedimenti a Verona e dintorni, in un arco cronologico che va dal 1136 al 1281, la contrada «Monteculis» dovrebbe essere stata situata nella zona della contrada San Biagio, vicino al Foro romano, che va dal Duomo a corso Sant’Anastasia (13). Rimane apparentemente senza spiegazione, invece, il sintagma «super carcere Polorum», al quale non ho saputo dare un’identificazione certa o anche plausibile (più di quello che possa avere affermato Bertolini), pensando ad una torre di una certa famiglia Polo o Poli, al legame con il culto di San Paolo apostolo ed al fatto che la forma tradizionale del nome è conservata nella denominazione della chiesa di San Paolo a Verona e del relativo quartiere (al limite del Campo Marzo), tuttavia queste restano delle supposizioni, in attesa di approfondire tale pista di ricerca ancora inesplorata (14).
In questo articolo mi limiterò a proporre e a suscitare delle riflessioni sull’elaborazione del materiale letterario da parte dell’autore anonimo del poemetto franco-italiano dell’Antéchrist in questione.
È importante notare, anzitutto, che questa versione dell’Antéchrist si distingue da tutte le altre, le quali presentano questa sezione paratestuale come costituita da un appello, una brevissima captatio benevolentiae al pubblico, per avere un prologo di ben 58 versi ricco di topoi piegati alle esigenze espressive dell’autore. Nei primi dodici versi, assistiamo a una sorta di gioco di parole, che assume una forma discorsiva quasi circolare, nel quale l’autore si concentra sul fatto di parlare «francois», con l’iterazione del sintagma «parler ancois» (v. 2 e v.12) e «parler (en) françois» (v.1 e v. 11). Ora, secondo Paul Meyer, questa insistenza da parte dell’autore sulla lingua appresa e parlata potrebbe mascherare in realtà la sua vera origine italiana: si tratterebbe allora di un’affermazione e contrario che lascerebbe intendere lo statuto del francese come lingua appresa. L’editore Emmanuel Walberg, d’altra parte, legge in questi versi un intento mimetico, un chiaro manifesto riguardante l’idioma dell’autore: espungendo la «r» di «enfrance» al v. 5, egli dichiarerebbe in tal modo il «françois» come lingua madre, appresa appunto nell’ infanzia.
Questi primi versi, con il loro intento persuasivo nei confronti dell’uditore riguardo l’idoneità del mezzo linguistico, così come accade per altre opere franco-venete che per mezzo di alcune osservazioni legittimano l’utilizzo della lingua d’oltralpe (15), potrebbero suggerire che l’autore, in realtà, ha appreso tale lingua in territorio francese e ne ha quindi apprezzato la qualità e la pregevolezza. Dal momento che in questo poemetto egli utilizza una maggioranza di rime inclusive, nonché di rime identiche (16), può essere plausibile che questo quinto verso sia proprio leggibile come «en france» in quanto preposizione semplice aggiunta al sostantivo, conservando quindi la –r espunta dall’editore.
Il seguito del prologo si concentra sulla figura topica del chierico che si rivolge al pubblico per attirare l’attenzione sulla sua «istoire». Quest’ultimo ha vegliato a lungo per la costruzione del testo e qui richiama alla memoria, accumulandoli in una sorta di enumeratio, alcune referenze bibliche incatenate (la visione di Daniele, Ezechiele, l’Apocalisse più in generale, ed Isaia) (17) sulle quali l’autore ha riflettuto e scritto da ormai più di sette anni. Auctoritates che non sono nominate nelle altre versioni dell’Antéchrist (18) e che costituiscono tuttavia alcune delle fonti utilizzate dall’ipotesto di Adson. Nel loro insieme, esse mirano ad attribuire al testo che segue un maggior grado di autenticità, e quindi garanzia dei contenuti li presenti. Queste fonti nominate, seppur rapidamente e senza un criterio di referenza ben preciso, contribuiscono a legittimare l’operazione di rielaborazione e compilazione dell’autore in questione.
Il topos del livre source, in questo caso trovato a Roma e letto più volte, si inserisce all’interno del ritratto di un autore che utilizza spesso il pronome personale je e che assume, fin dall’inizio, una postura savante capace di assemblare nella sua memoria diverse referenze testuali. Egli intende farsi spazio all’interno della tradizione di coloro che trattano «de la fin de mond», soprattutto attraverso un linguaggio allegorico, e che ammaestrano il loro pubblico al riguardo. La conclusione del lungo prologo, in forma di esortazione a fare attenzione al dolore venturo in occasione della venuta dell’Anticristo, riallaccia questa porzione paratestuale direttamente alla narrazione dei falsi miracoli di quest’ultimo, distinguendo l’incipit di questa versione dell’Arsenal da tutte le altre in nostro possesso.

Note

1) Cito dall’edizione Deux versions inédites de la Legende de l’Antéchrist, en vers français du XIIIe siècle, publiées par Emmanuel Walberg, Lund, Gleerup, 1928. Delle due versioni édite, una anonima, l’altra di un certo Bérengier, viene qui presa in considerazione solo la prima, riportata nell’unico manoscritto dell’Arsenal 3645. Il codice pergamenaceo risale alla fine del XIII secolo ed è composto da 68 carte. Il testo esemplato occupa una sola colonna per carta, è privo di miniature e presenta le iniziali rubricate. D’ora in avanti faremo riferimento a questa edizione, nel testo, con il titolo abbreviato di «Arsenal 3645». Si veda, inoltre, Henry MARTIN, Catalogue des manuscrits de la Bibliothèque de l’Arsenal. Tome troisième, Paris, Plon, 1887, pp. 450-451; Paul MEYER, Légendes hagiographiques en français in Histoire littéraire de la France, Paris, Imprimerie Nationale, t. 33, 1906, pp. 328-458, in particolare p. 343. Si veda anche la scheda corrispondente a tale opera, tuttavia ancora in fase di preparazione, sul sito di RIALFrl (Repertorio informatizzato antica letteratura franco-italiana) http://www.rialfri.eu/rialfriWP/opere/antechrist.
2) Ricordiamo che la figura dell’Anticristo compare nell’Apocalisse di Giovanni (1 ep. II, 18) ma ne fa riferimento anche Paolo nella seconda lettera ai Tessalonicesi (2,1-12). Nel contesto delle opere medievali, l’Anticristo è spesso ebreo, il nuovo Messia atteso, che compirà miracoli, avrà molti adepti e distribuirà un gran numero di ricchezze. Per avere una panoramica, ma anche una disanima puntuale, dei testi antichi che hanno trattato dell’Anticristo dal II al XII secolo, si veda il volume L’Anticristo, a cura di Gian Luca Potestà e Marco Rizzi, Bologna, Fonazione Lorenzo Valla, Arnoldo Mondadori Editore, 2 voll. (vol. I, Il nemico dei templari, 2005; vol. II, Il figlio della perdizione, 2012).
3) A tal proposito, si veda infra. In realtà, il manoscritto dell’Arsenal pare copiare l’explicit direttamente dall’antigrafo, secondo il parere di Paul MEYER in Légendes hagiographiques en français, cit., p. 339, il quale, in un articolo precedente, era incline a datare questo testimone alla prima metà del XIV secolo: Paul MEYER, De l’expansion de la langue française en Italie pendant le Moyen-âge, in Atti del congresso internazionale di scienze storiche, Rome, Tipografia dell’Accademia dei Lincei, 1903, t. IV (sezione Storia delle letterature), pp. 62-104.
4) Per avere una visione di insieme si veda la voce «Letteratura francoveneta» di Anna LOMAZZI nel Dizionario critico della letteratura italiana, diretto da Vittore Branca, Torino, Utet, 1974, 3 voll., vol. 2, pp. 125-132 e inoltre: Gianfranco FOLENA, Culture e lingue nel Veneto medievale, con una nuova Presentazione di Paolo Trovato e il Veneto di Gianfranco Folena di Alfredo Stussi, Padova, Libreria universitaria, 2015 (1a ed. 1990); Luca MORLINO, La letteratura francese e provenzale nell’Italia medievale, in Atlante della letteratura italiana, 3 voll., vol. 1, Dalle origini al Rinascimento, Torino, Einaudi, 2010, pp. 31-50; La cultura dell’Italia padana e la presenza francese nei secoli XII-XV, Pavia, 11-14 settembre 1994, a cura di Luigina Morini, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2001.
5) E’ indispensabile consultare, a tal proposito, la voce «Antéchrist» in Transmédie: Giovanni BORRIERO, Antéchrist in Translations médiévales,: cinq siècles de traductions en français au Moyen Age (XI-XVème siècles), étude et répertoire, sous la direction de Claudio Galderisi et Vladimir Agrigoraei, Turnhout, Brepols, 2011, II/2.1, n. 105.
6) In altre parole, la Leggenda costituisce una sorta di récit circoscritto che si inserisce nella maggior parte dei casi in testi devozionali più ampi.
7) Sono questi, precisamente, i versi che traducono o rielaborano l’epistola di Adson.
8) Per esempio nella versione di Bérengier le Quinzes signes vengono posposte all’Antéchrist, formando un testo a sé, così come per Henri d’Arci, o per Huon le Cambrai, nel suo Regret de nostre dame, mentre per la Bible des sept états du monde di Geoffroi de Paris, esso viene direttamente inglobato nel testo.
9) «Ge ne vos ai encor toz dit | Zo qe je trovay en escrit | c’un home de religion | vit une mult grant vision | qe il estoit u jugement | venu si come l’autre gent», Arsenal 3645, Emmaneul WALBERG, Deux versions, cit., vv. 807-812.
10) Dal confronto con le altre versioni, si tratta di una parte del tutto originale, a quanto pare, di questo testo.
11) Per le fonti l’editore Emmanuel Walberg si limita a segnalare l’ipotesto di Adson de Montier-en-Der di cui sottolinea qualche somiglianza, e qualche punto di contatto con versioni come quella di Henri d’Arci e Geoffroi de Paris; per i Quinze signes invece rimanda direttamente a Pietro Comestore e alla sua Historia Evangelica; Emmanuel WALBERG, Deux versions, cit., pp. XIV-XX.
12) Emmanuel WALBERG, Deux versions, cit., p. XIV.
13) Virginio BERTOLINI, A proposito degli explicit dell’Antéchrist e del Livre d’Enanchet: la contrada dei Montecchi in Atti e memorie dell’Accademia di agricoltura, scienze e lettere a Verona, VI, 31, 1979-1980, pp. 193-213 e Id., I Montecchi: ulteriore documentazione in Atti e memorie dell’Accademia di agricoltura, scienze e lettere a Verona, VI, 38, 1986/1987, pp. 431-438.
14) Si veda a tal proposito la voce «Polo» e «Poli» in Giovanni RAPELLI, I cognomi del territorio veronese, Rovigno, Lint, 2012, p. 559; Id., I cognomi di Verona e del veronese: panorama etimologico-storico, Vago di Lavagno, La Grafica, 2012, p. 311.
15) Sulla questione di una lingua ibrida come il franco-italiano, scelto dall’autore, e la carica di autoelogio che spesso ne deriva, si legga Maria Grazia CAPUSSO, La produzione franco-italiana dei secoli XIII-XIV: convergenze letterarie e linguistiche in Plurilinguismo letterario, edizione a cura di Renato Oniga e Sergio Vatteroni, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2007, pp. 159-204; per un approfondimento del concetto di «franco-italiano», delle dinamiche autoriali e di ricezione è utile consultare Günther HOLTUS, Che cos’è il franco-italiano? in Guida ai dialetti veneti X, a cura di Manlio Cortelazzo, Padova, Cleup, 1988, pp. 7-60.
16) In questo caso la rima sarebbe «en france | de France» (vv. 5-6), con un raddoppiamento scorretto, però, della preposizione «en». Elenco di seguito alcuni esempi di rime inclusive o identiche dell’Arsenal 3645: «entrendront | tendront» (vv. 15-16); «mond | semond» (vv. 41-42); «finira | ira» (vv. 45-46); «Antecrist | Crist» (vv. 47-48); «ardi | acoardi» (vv. 57-58); «argent | gent» (vv. 103-104); «mer | clamer» (vv. 121-122); «prendre | aprendre» (vv. 137-138); «prendre | prendre» (vv. 151-152); «estre | terestre» (vv. 159-160); «estre | estre» (vv. 305-306); «parties | parties» (vv. 376-377); «esperdues | perdues» (vv. 400-401); «senble | en semble» (vv. 490-491); «d’ire| dire» (vv. 498-499); «seroit/seroit» (vv. 548-549); «ordures | ordures» (vv. 839-840); «orde | recorde» (vv. 853-854); «mostre | mostrer» (vv. 989-990). Le coppie di lessemi in rima, che costituiscono quasi dei binomi lessicali fissi che vengono utilizzati più volte lungo il testo, hanno spesso una valenza semantica ben precisa.
17) Daniele 7-12 (in particolare Daniele 11, 21-45); Ezechiele 38-39; Apocalisse di Isaia 24-27.
18) L’unica versione, tra quelle consultate, che fa riferimento in modo generico alle fonti scritte consultate è quella di Henri d’Arci: «E ne quidez pas que de mun sen le die | Kar ne l’ai controuvé pas, ne quidez mie | mes les livres mult ententivement cerçai | et sicum jel trovai escrit sil vus dirai», Henri d’Arci: The Shorter Works, Reginald PERMAN, cit., vv. 17-20.

Alessia Marchiori, dottorato in filologia romanza presso l’Università di Verona e ParisIV-Sorbonne, insegnante di scuola secondaria, autrice di diversi saggi di letteratura medievale e di una tesi sul Songe du vieil pelerin di Philippe de Mézières, primo autore francese a nominare Dante in Francia, consultabile online. Per contattare l’autrice clicca qui !
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