L’autunno del medioevo a Milano – La cappella Portinari a Sant’Eustorgio

Basilica di Sant'Eustorgio
Basilica di Sant’Eustorgio

L’autunno del medioevo a Milano – La cappella Portinari a Sant’Eustorgio di Francesco Venturini

Pigello Portinari (si chiamava così e non è colpa mia), direttore della filiale milanese del Banco Mediceo negli anni di Piero il Gottoso padre del Magnifico, volle una degna dimora in cui attendere il giudizio e se la fece costruire attaccata alla chiesa paleocristiana-altomedievale-tardoromanicolombarda di Sant’Eustorgio in Corso di Porta Ticinese (foto 1). Le vicende postume della cappella che ne derivò, terminata nel 1468, non sono meno avventurose di quelle della chiesa cui è annessa, ma possiamo ragionevolmente sperare che l’aspetto attuale, dopo rifacimenti, ripristini e restauri, restituisca in buona sostanza l’aspetto che il Pigello commissionò.

Qualcosa, nell’eleganza geometrica degli spazi “a misura d’uomo”, come scrivono i manuali scolastici, riporta alla Sacrestia Vecchia di San Lorenzo e alla cappella de’ Pazzi in Santa Croce. La prima opera compiutamente rinascimentale a Milano, scrivono gli scoliasti moderni (foto 2, 3).

Epperò, tanto per cominciare, è dedicata a un santo cupamente medievale, l’inquisitore domenicano Pietro da Verona, che venne ucciso (a colpi di roncola, o falcastro, sulla testa) poco dopo la metà del Duecento, ai margini della Brianza operosa, dai famigli di un fastidiato signorotto barlassinese, uno dei quali famigli, pentuto e confesso, morì in convento dopo molti decenni di espiazione e venne beatificato. Le ossa sono nella chiesa parrocchiale di Cinisello Balsamo (relata refero: non sono andato a controllare).

Va da sé che l’inquisitore diventò santo subito, come ci si aspetta dai martiri, e fu celebrato perfino da Piero della Francesca. La roncola è a Seveso, nel Santuario dedicato al martire (come sopra). Nulla rimane del confratello secolui martirizzato, ma non santo.

Come che fosse, era il santo preferito del Pigello (foto 4), che lo volle celebrato anche negli affreschi della cappella, e ivi ne raccolse le spoglie (forse la sola testa fenduta) entro una fastosissima e invadente arca marmorea tripudiante di sculture (foto 5). Furono senza dubbio contenti i Domenicani, ai quali Sant’Eustorgio era stata assegnata perché fosse la sede dell’inquisitore di Milano.

Orbene, pittura e scultura testimoniano quanto il medioevo fosse duro a morire, come proveremo a esporre per exempla.

1) La chiesa di Sant’Eustogio

2-3) La cappella, della quale si intuiscono linee e proporzioni

4) Il committente inginocchiato davanti al suo Patrono, che ostenta il segno del martirio (Piero della Francesca, meno pulp, nella pala di Urbino lo gratifica solo di un modesto graffio sulla pelata fratesca).

5) L’arca, che disturba proporzioni e linee

6) Dettaglio dell’arca: il martirio è reso con vivace realismo alquanto naif e molto romanico, per quanto l’arca sia piuttosto gotica.

7) Altro dettaglio: un antropocefalo stiloforo. Qualcuno trova che assomigli al ritratto della foto 1? Era così devoto che voleva essere il Domini canis del suo idolo?

E veniamo ai sussulti più tellurici del medioevo moribondo ma coriaceo: i miracoli del Santo (sempre Pietro). Molti glie ne attribuì il confratello Jacopo da Varagine, che giusto allora iniziava a scrivere l’imaginifica Legenda Aurea. Si trovano tutti, ma beninteso quelli soli che furono compiuti vivente Jacopo, nel capitolo LXIII, prendendo a riferimento la seconda edizione stampata a Lipsia nel 1850, perché altrimenti la numerazione può variare.

Vincenzo Foppa, che accedeva con quei miracoli al suo personale, il successo sulla ribalta artistica milanese, non disponeva di tempo e spazio in misura pari alle disponibilità dell’agiografo. Trovandosi ristretto a difficili scelte, o ai voleri del committente, ci lasciò comunque il documento di un prodigio in grado di sorprendere anche i più sperimentati cultori del genere. Non certo il miracolo del piede riattaccato (foto 8), che è, per così dire, pedestre; né la nuvola chiamata a rinfrescare i fedeli anfananti al solleone (foto 9), effetto speciale alla portata di un predicatore texano.

L’ammirazione attonita nasce bensì dal miracolo dell’ostia, grazie alla quale il futuro martire disvela il diabolico inganno della falsa apparizione e offre alla vista dei fedeli circuiti due solide paia di corna, che distruggono il gentile aspetto nella madre e nel bambino (foto 10, 11). Ad maiorem Dei gloriam.

Francesco Venturini
Nato nel 1950. Per molti lunghi anni docente di materie letterarie in un liceo. Ora dedito a interessi vari e per la maggior parte innocenti, come l’esplorazione di chiese romaniche, delle quali parlo ai miei coetanei nelle Unitre.
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