Le crociate di Musarra: una storia mediterranea come antidoto per gli stereotipi

Le crociate di Musarra: una storia mediterranea come antidoto per gli stereotipi (recensione di Vincenzo Roberto Cassaro)
Nell’immaginario comune le crociate costituiscono uno dei tratti più emblematici dell’epoca medievale, sebbene si tratti di un fenomeno che supera abbondantemente i limiti cronologici dell’età di Mezzo. Antonio Musarra nel suo nuovo saggio Le crociate. L’idea, la storia, il mito, edito recentemente da “il Mulino”, descrive con estrema chiarezza le caratteristiche del fenomeno crociato, contestualizzandolo e tentando di scardinare alcuni stereotipi. L’autore affronta le diverse tematiche sulla base dei più recenti e importanti risultati della ricerca crociatistica e allo stesso tempo propone nuovi spunti di riflessione e piste di ricerca innovative in grado di rinnovare il dibattito storiografico sul tema. Il saggio è articolato in tre grandi parti: l’idea, la storia, il mito. Già da questa ripartizione risulta evidente che Musarra non si limiti alla storia dei principali personaggi e dei principali fatti politico-militari (quella che i francesi chiamano histoire événementielle), ma cerca, con un approccio socio-culturale, soprattutto nella prima e nella terza parte del libro, di cogliere le radici storiche del fenomeno crociato e l’evoluzione di un’idea in continuo cambiamento, in grado di colpire l’immaginario delle società occidentali. E – ancora – tenta di mostrare come le crociate siano state percepite e raccontate dal medioevo ai nostri giorni tra distorsioni, semplificazioni e leggende difficili da estirpare.
Fin dall’Introduzione Musarra propone alcuni concetti preliminari. Sottolinea il ruolo avuto dalle masse laicali nella prima grande spedizione verso la Terrasanta, elemento del tutto innovativo per l’epoca, non a caso lo studioso usa l’espressione “rivoluzione crociata”, scrivendo chiaramente: “per la prima volta, le masse si fanno protagoniste, emergendo dalla bruma del tempo, segnano uno spartiacque nella storia d’Europa e del Mediterraneo” (p. 17). Musarra chiarisce che né crociata, né jihad furono “guerre sante”, un’espressione fuorviante, usata strumentalmente nel corso del tempo, poiché nelle religioni abramitiche una guerra non può mai essere santa e il termine jihad, portatore di molteplici e mutevoli significati (ad esempio, secondo un autore egiziano dell’XI secolo significava guerra difensiva o guerra interiore contro le pulsioni), non indica una guerra offensiva, né tantomeno una guerra contro l’Occidente o contro la cristianità: riletture, quest’ultime, di frange estremistiche. E poi la crociata non fu un fenomeno solo medievale, non riguardò esclusivamente la Terrasanta e l’Oriente mediterraneo, non fu indirizzata solamente contro i musulmani: le crociate vennero bandite anche in epoca moderna (pensiamo alla battaglia di Lepanto) e in Europa (ad esempio, nella penisola iberica o nell’area baltica) e – addirittura – vennero indirizzate all’interno della cristianità (ricordiamo la spedizione contro gli “eretici” della Linguadoca). Dunque dall’Introduzione emerge la complessità di un fenomeno che recentemente è stato oggetto di rinnovato interesse, ma a cui spesso sono state attribuite immagini stereotipate e luoghi comuni.
Nella prima parte del saggio, la più innovativa e significativa, dedicata allo sviluppo dell’idea di crociata, vengono analizzate le premesse culturali e politiche dell’iter gerosolimitano. Musarra fa luce sull’intricato rapporto tra cristianesimo e guerra, soffermandosi sull’ideologia cristiana, elaborata da teologi, pensatori e canonisti, finalizzata a giustificare l’uso della violenza per conciliarla con i valori evangelici. Da Agostino d’Ippona, che arrivò alla conclusione che la guerra è un male, ma talvolta un male necessario se finalizzato a scongiurare un male maggiore o se volto a contrastare un’ingiustizia, al Decretum Gratiani del XII secolo, nel quale venne disciplinato il concetto di “guerra legale”, fino alla riflessione di frate Tommaso d’Aquino, per il quale una guerra poteva essere promotrice di virtù e – addirittura – poteva costituire atto di carità se combattuta per difendere le vittime di un’ingiustizia.
La dissoluzione delle strutture statuali carolingie, tra IX e X secolo, determinò una situazione di diffusa insicurezza e instabilità, aggravata dalle invasioni di ungari, normanni e saraceni, pertanto la violenza dei milites divenne endemica, contrastata con scarsi risultati attraverso le “paci” e le “tregue” di Dio tra X e XI secolo. La Chiesa “riformatrice”, bisognosa di milites per fronteggiare i numerosi oppositori, tentò di utilizzare le armi dei cavalieri a proprio vantaggio: venne elaborata la figura del “milites christianus”, un nuovo cavaliere portatore di un’etica fondata sul rispetto della volontà di Dio e sulla difesa dei più deboli, che combatte in nome e in difesa della Chiesa, un cavaliere che sarà chiamato ad assumere il signum crucis. Dunque la crociata fu anche una valvola di sfogo verso l’esterno della violenza cavalleresca dalla società cristiana, nella quale la cultura della guerra era centrale e il guerriero era tutto, ma nella quale era sorta l’esigenza di una pacificazione interna dopo gli sconvolgimenti provocati dalla lotta per le investiture e dalla riforma.
Proprio nel capitolo successivo, centrale nell’economia del saggio, Musarra sottolinea lo stretto legame tra riforma e crociata, un aspetto poco indagato dalla storiografia. Il papato “riformatore” dell’XI secolo aveva cercato di contrastare la simonia e il nicolaismo serpeggianti nelle gerarchie ecclesiastiche, sfruttando a proprio vantaggio diverse forze, soprattutto le città. Pensiamo al caso della “pataria” milanese, un movimento laicale e antigerarchico, le cui istanze vennero cavalcate dal papato, ma fino ad un certo punto, in quanto il laicato chiedeva un ruolo più attivo nella vita ecclesiastica e nella gestione degli affari religiosi. La Chiesa “riformatrice” invece intendeva agire solo su un piano etico, senza mettere in discussione le prerogative e il ruolo della gerarchia ecclesiastica, uscita fortemente rafforzata dalla riforma con l’affermazione della supremazia del clero sul laicato e il monopolio dei chierici nella gestione del sacro, di cui i laici vennero ridotti a meri fruitori. Pertanto, la crociata fu una valvola di sfogo per quelle masse laicali le cui aspettative erano state frustrate e tradite dalla riforma e che nell’iter gerosolimitano vedevano un’opportunità di riscatto. Le masse laicali vennero pure attirate dall’immaginario legato a Gerusalemme (pensiamo alla Gerusalemme celeste, meta irrinunciabile per ogni cristiano) a cui si aggiunse certamente la concreta brama di bottino. Le relazioni tra crociata e riforma non finiscono qui. L’idea di dover diffondere il nome di Cristo per l’ecumene è un prodotto della riforma e di un papato con crescenti aspirazioni universalistiche e una fisionomia sempre più monarchica. La crociata divenne uno strumento di legittimazione per il papato “riformatore”, in lotta con l’impero e con il clero filoimperiale guidato dall’antipapa Clemente III. La riforma concorse al mutamento della sensibilità religiosa del tempo: la penitenza non più percepita come una sanzione, ma come un programma da osservare e applicare allo scopo di restaurare la vita apostolica; rivalutazione della vita attiva e ridimensionamento della vita contemplativa (premesse sulle quali nasceranno gli Ordini Mendicanti nel XIII secolo); aspirazione a liberarsi dal peccato (da cui verrà inventato il Purgatorio tra XII e XIII secolo).
È fondamentale per la comprensione del saggio il capitolo “Metamorfosi di un’idea”, nel quale Musarra ricostruisce l’evoluzione del concetto di crociata. All’epoca dell’appello di Clermont (1095) quella che chiamiamo “crociata” era considerata iter, cioè viaggio militare, finalizzato alla difesa dei cristiani orientali e al recupero dei Luoghi Santi, e peregrinatio, cioè pellegrinaggio penitenziale verso la Terrasanta: assunse dunque la forma del pellegrinaggio armato. L’autore mette in evidenza l’importanza della pratica del pellegrinaggio su cui s’innestò l’iter gerosolimitano. Musarra ricorda la differenza tra crux transmarina, al di là del mare, dunque verso la Terrasanta, e crux cismarina, interna alla società cristiana e finalizzata a contrastare gli eretici, gli scismatici e i pagani e i nemici politici e religiosi del papato. Dunque la crociata divenne uno strumento politico potentissimo nelle mani del pontefice, pronto a farne uso per garantire l’unità della Chiesa, per espandere il cristianesimo e per schiacciare ogni forma di dissenso. Dalla terza crociata le spedizioni vennero organizzate con maggiore pianificazione e la via marittima divenne la più frequentata per raggiungere l’Outremer, per cui l’iter divenne passagium generale, cioè trasporto da una parte all’altra del mare per mezzo delle navis, che facilitavano il trasporto dei crucesignati. La perdita definitiva di Gerusalemme e le difficoltà crescenti per gli stati crociati dirottarono l’attenzione al piano militare: secondo il frate Predicatore Umberto de Romans sarebbe stato necessario inviare un esercito permanente, invece per il frate Minore Gilberto di Tournai bisognava creare una forza mercenaria. Così, nel corso del secondo concilio di Lione del 1274, si affermò l’idea del passagium particulare, che prevedeva l’invio di piccoli contingenti di professionisti della guerra, ritenuti necessari alla luce degli insuccessi militari registrati in Terrasanta. Dal XIV secolo l’espansionismo turco ottomano trasformò la crociata in guerra antiturca.
Musarra analizza le caratteristiche principali dell’iter gerosolimitano: la disciplina del voto crociato, l’indulgenza, il sistema di finanziamento, la predicazione e l’organizzazione del consenso. A tal proposito l’autore sottolinea la trasversalità della crociata, poiché essa era rivolta a tutti, compresi i penitenti, le donne e i bambini, considerati aderenti al modello del crucesignato ideale in quanto portatori di valori evangelici: ognuno doveva dare il proprio contributo alla crociata in base al proprio status. Musarra coglie l’aspetto “democratico” delle crociate, che ponevano i partecipanti sullo stesso piano ed eliminavano temporaneamente e idealmente le differenze di ceto: i ricchi dovevano rendersi più poveri e i pauperes vedevano elevarsi la propria condizione. Tutti erano pellegrini penitenti che avevano assunto la croce per diffondere il nome di Cristo, con le armi o con la persuasione. Viene messo in risalto il ruolo avuto dai frati Minori e dai frati Predicatori nell’attività di predicazione a favore della crociata, a cui si aggiunsero altre prerogative, come la gestione delle risorse finanziarie necessarie o la stesura di piani militari strategici o ancora la pianificazione di progetti ingegneristici volti a realizzare o ripristinare fortificazioni in Terrasanta.
Nella seconda parte del saggio, nonostante l’impianto evenemenziale (storia dei principali personaggi e fatti politico-militari), Musarra riesce ad offrirci acute prospettive di analisi. Quelle che chiamiamo “crociate”, furono spedizioni piuttosto eterogenee tra loro, con obiettivi diversi e mutevoli, di cui è davvero difficile tenerne il conto numerico: per esempio, le crociate indirizzate verso la Terrasanta e il Mediterraneo orientale furono più delle 8/9 indicate tradizionalmente dalla manualistica scolastica, che non tiene conto di altre spedizioni, come quella guidata da Pietro l’Eremita, la cosiddetta crociata dei pauperes, che nel tragitto verso Costantinopoli si resero protagonisti del massacro di diverse comunità ebraiche lungo le città del Reno e del Danubio. Oppure pensiamo alle spedizioni successive alla presa di Gerusalemme (15 luglio 1099), finalizzate al completamento delle conquiste dell’entroterra e della fascia costiera, dove l’apporto delle marinerie italiane, soprattutto genovese e pisana, fu fondamentale e tra le quali rientra anche la crociata voluta da papa Pasquale II, guidata dall’arcivescovo di Milano Anselmo IV e dal vescovo riformatore di Genova Airaldo (che organizzò un’armata navale), con l’obiettivo, mai raggiunto, di affermare il diretto dominio papale sulle terre conquistate in Outremer. Pensiamo alla spedizione del 1217 guidata dal re d’Ungheria Andrea II e dal duca Leopoldo d’Austria o alla crociata dei baroni (1240-41), guidata dal conte di Champagne Tibaldo IV e in seguito da Riccardo di Cornovaglia.
Musarra tenta di contrastare lo stereotipo piuttosto radicato nella nostra società secondo cui in Terrasanta le crociate sarebbero state condotte sulla base di una netta contrapposizione tra due schieramenti solidi e compatti, quello latino e quello musulmano: nulla di più lontano dalla realtà. Lo studioso evidenzia le divisioni tra i crucesignati, ad esempio nei rapporti da intrattenere con il basileus Alessio Comneno o nella scelta dell’itinerario da intraprendere per raggiungere Antiochia durante la prima crociata. Le divisioni furono emblematiche nel corso della terza crociata: pensiamo agli scontri avvenuti a Messina (usata come porto di scalo) tra crucesignati inglesi, guidati dal re Riccardo Cuor di Leone, e crucesignati francesi, guidati dal re Filippo II Augusto, che misero a ferro e a fuoco la città dello Stretto. Divisioni che si manifestarono pure durante l’assedio di Antiochia, condotto dai crociati con due schieramenti rivali tra loro, ognuno dei quali appoggiava personaggi diversi per la corona di Gerusalemme, contesa tra Guido di Lusignano e Corrado di Monferrato. Mancò spesso una comunione d’intenti tra crociati e latini d’Outremer, una situazione destinata a diventare cronica: ad esempio, durante la seconda crociata risultarono evidenti le differenti sensibilità e obiettivi tra il re di Francia Luigi VII e il principe d’Antiochia Raimondo di Poitiers, il quale invitò il sovrano francese a marciare insieme a lui su Aleppo, ma Luigi declinò l’invito poiché desideroso di raggiungere Gerusalemme e il Santo Sepolcro. Oppure pensiamo all’accordo siglato da Riccardo di Cornovaglia nel 1241 che prevedeva la neutralità franca nei confronti dei territori del sultanato Ayybide d’Egitto, ma subito dopo la sua partenza i latini d’Oltremare strinsero un’alleanza con gli Ayybidi di Siria (in particolar modo con i signori di Damasco, Kerak, Homs e Aleppo) in funzione anti egiziana. Le divisioni scorrevano anche tra i latini della Terrasanta: ne fu emblematica la guerra di San Saba, scoppiata nel 1256 inizialmente tra veneziani e genovesi, per poi allargarsi e trasformarsi in una vera e propria guerra civile in Outremer. E d’altra parte nel 1144 Zangi, capostipite della dinastia turcomanna degli Zengidi, decise di attaccare Edessa pure perché consapevole dell’inimicizia tra la contea e il principato antiocheno che difficilmente sarebbe intervenuto per aiutare i propri correligionari. Tra latini e greci i rapporti non furono più semplici. Da alleati (la prima crociata venne bandita propagandisticamente da papa Urbano II per difendere i cristiani orientali e i greci fornirono ai crucesignati supporto logistico e informazioni fondamentali per il proseguimento della prima grande spedizione, partecipando alle operazioni militari con piccoli contingenti) i greci divennero nemici nel corso della cosiddetta crociata dei veneziani (1202-04), le cui conseguenze rivoluzionarono l’assetto geopolitico del Mediterraneo orientale, con la creazione dell’impero latino d’Oriente.
Il mondo musulmano del Vicino Oriente era piuttosto complesso e in continua evoluzione. Basta pensare che durante la prima crociata i latini combatterono in Anatolia contro i turchi selgiuchidi del sultanato di Rhum, il cui sultano Alp Arslan (il vincitore di Manzikert nel 1077) era impegnato a combattere sul versante orientale dei suoi territori contro i turchi danishmenditi. In Siria l’emirato selgiuchide di Damasco era contrapposto all’emirato sciita di Aleppo. E nel 1098 il califfato sciita egiziano fatimide strappò Gerusalemme ai selgiuchidi siriani con cui erano in conflitto. Le divisioni interne al mondo musulmano si perpetrarono nei decenni successivi: nel 1154 Nur al-din, a capo della dinastia Zengide, pose fine alla dinastia Buride di Damasco, conquistando la città. Dopo il dominio di Salah al-din (morto nel 1193) la dinastia curda degli Ayybidi fu attraversata da continui dissidi e conflitti: ad esempio, il sultano egiziano al-Malik al-Kamil dovette fronteggiare le aspirazioni espansionistiche del fratello al-Malik al-Mu’azzam, signore di Siria, e in seguito sarà costretto a fronteggiare quelle del suo successore al-Nasir.
Alla luce di quanto detto, non stupisce la formazione di alleanze trasversali tra latini e musulmani: pensiamo all’alleanza tra Federico II di Svevia e al-Malik al-Kamil, il quale chiese aiuto all’imperatore per timore di una possibile alleanza tra gli Ayybidi siriani e i Kwarezmiani, una popolazione proveniente dall’impero corasmio (dissolto nel 1231), ormai in piena decadenza anche a causa dell’avanzata mongola verso occidente. Un’alleanza potenzialmente devastante per il sultanato egiziano e per i latini d’Outremer: pertanto le contingenze spinsero l’imperatore e il sultano a diventare alleati. Forse fu ancora più significativa l’alleanza siglata nel 1241, già ricordata in precedenza, tra i latini d’Outremer e i signori Ayybidi siriani in funzione anti egiziana e per tutta risposta l’ultimo sultano Ayybide d’Egitto al-Salih strinse un’alleanza con i Kwarezmiani, invitandoli ad invadere la Siria. Dunque, ancora una volta gli Ayybidi si mostrarono divisi e ancora una volta franchi e saraceni si ritrovarono alleati e addirittura marciarono gli uni accanto agli altri: tra il 1241 e il 1243 le truppe Ayybidi di Damasco tentarono insieme ad alcuni contingenti di cavalieri templari di conquistare Gaza, ma soprattutto fu emblematica la battaglia di Harbiya del 1244: una delle più grandi battaglie combattute dai latini in Terrasanta, nella quale il sultanato Ayybide d’Egitto e i Kwarezmiani si schierarono insieme fronteggiando i latini d’Outremer e gli Ayybidi di Damasco e Kerak (l’esercito franco-siriano venne spazzato via in poche ore).
Musarra invita il lettore ad abbandonare la visione latino centrica, di cui spesso siamo vittime, ricordando, ad esempio, che dopo la vittoria di Harbiya il sultano al-Salih non procedette alla conquista degli stati crociati, certamente alla sua portata, perché il suo obiettivo principale era affermare il proprio potere sugli Ayybidi siriani: non a caso, subito dopo la grande battaglia campale ordinò al proprio esercito di marciare su Damasco, cingendo d’assedio la città. Gli stati latini in Terrasanta costituivano realtà politico-territoriali minori rispetto alle vere protagoniste dello scenario geopolitico vicino-orientale, soprattutto nella seconda metà del XIII secolo, quando a dominare la regione erano due grandi potenze: il sultanato mamelucco d’Egitto e i mongoli dell’Ilkhanato di Persia. Per i mamelucchi gli stati latini costituivano una sorta di cuscinetto utile a rallentare l’avanzata mongola e per i mongoli la Siria latina era un comodo corridoio per raggiungere il Nilo. L’Outremer cercò di sopravvivere tra giganti e la sua fine avvenne non solo a causa della potenza mamelucca (in tal senso fu fondamentale l’azione del sultano Baybars e del suo successore Qalawun), ma anche a causa delle divisioni interne e del disinteresse da parte dei principali sovrani d’Europa.
Nella terza e ultima parte del saggio, piuttosto illuminante e innovativa, Musarra esplora il modo in cui le crociate siano state percepite, lette, interpretate e usate nel corso dei secoli. Un fenomeno manifestatosi fin da subito. Nel XII secolo la cronachistica ebbe un ruolo fondamentale nell’elaborare il mito secondo cui le crociate erano spedizioni volute da Dio, compiute in una dimensione provvidenziale e dotate di uno scopo morale. Nelle cronache erano continue le allusioni bibliche: per esempio, viene proposto il parallelismo tra crucesignati ed ebrei in marcia verso la Terra Promessa. La cronachistica del XII secolo generò una sorta di epica sacra sulle crociate, nella quale l’etica religiosa fondata sul peccato si mescolava ai valori cavallereschi, veicolati dalla cultura cortese. L’autore ricorda che il mondo latino non ebbe sempre posizioni favorevoli e univoche nei confronti della crociata, infatti, fin dal XII secolo si levarono critiche contro l’iter gerosolimitano, specialmente dopo il disastro della seconda e il fallimento della terza. Il dibattito sull’uso o abuso della crociata generò posizioni lontanissime tra loro: chi, ad esempio, era contrario all’uso della violenza e chi invece riteneva che la crux cismarina distraesse dalla crux transmarina.
Nel corso dei secoli l’interpretazione e la riflessione sulle crociate si legò alle contingenze del momento: ad esempio, nel ‘400 venne accentuato il carattere difensivo della crociata, trasformata in guerra antiturca a causa dell’avanzata ottomana. E nel ‘500 vi fu un nuovo forte interesse per la crociata, con la rivalutazione dei valori cavallereschi, a cui si aggiunsero gli entusiasmi generati dalla vittoria di Lepanto del 1571 e in tale contesto, nel quale pure i protestanti avevano paura del turco ed erano favorevoli alla guerra anti ottomana, la “Gerusalemme Liberata” di Torquato Tasso (prima edizione nel 1581) contribuì al successo dell’epos crociato in Europa.
Le crociate sono state usate strumentalmente per la costruzione dell’identità nazionale: è il caso della Francia del XVII secolo, dove venne enfatizzato il ruolo dei francesi nelle spedizioni in Terrasanta e venne rivendicato il ruolo sacro della corona francese pronta a difendere la Cristianità. Per cui la crociata fu presentata come un’impresa divina compiuta per mezzo della nazione francese.
In base al contesto culturale le crociate hanno vissuto alti e bassi: con l’avvento dell’illuminismo le crociate vennero ridotte come espressione del fanatismo e del dispotismo religioso e la contemporanea moda orientalistica elaborò il mito culturale dell’Oriente raffinato, sensibile, avanzato, con un’enfatizzazione della civiltà islamica. Al contrario, il romanticismo rivalutò la crociata come scrive chiaramente l’autore: “la nuova sensibilità romantica trovava nella crociata tutto ciò che andava cercando: l’eroismo, l’esotismo, l’erotismo, la religiosità più pura, l’irrazionale e il senso del mistero” (p. 268).
Nell’ultimo capitolo, uno dei più importanti del libro, Musarra affronta il problema della definizione di crociata, illustrando le principali tendenze storiografiche: dai tradizionalisti, che pongono l’attenzione sull’obiettivo principale della crociata, cioè la liberazione di Gerusalemme e della Terrasanta, ai pluralisti, che si focalizzano sul soggetto promotore, cioè il papato. Secondo tale prospettiva le crociate non furono solo indirizzate verso l’Outremer, ma furono tutte quelle bandite dal pontefice. E dopo l’analisi di altre tendenze storiografiche, Musarra espone la sua posizione sul problema della definizione di crociata: “si può dire che la posizione migliore, sostenuta dal sottoscritto, sia quella volta a tenere assieme sia le radici storiche della crociata – legate al contesto della riforma […] -, sia la sua concreta applicazione quale “pellegrinaggio armato” (prima), strumento d’affermazione del papato (durante), guerra antiturca (dopo). Senza nulla togliere alla centralità di Gerusalemme – e, dunque, a tutto ciò che in termini d’immaginario vi si connetteva” (p. 292).
Musarra termina Le crociate. L’idea. La storia. Il mito attraverso una proposta storiografica innovativa. L’autore ricorda che all’indomani dell’11 settembre 2001 si sia fortemente diffusa l’idea fuorviante dello “scontro di civiltà” tra mondo Occidentale e musulmano, alimentata dalla poca reciproca conoscenza, dalla retorica propagandata dai media e poi proposta nei programmi scolastici. Con lucidità Musarra ritiene necessario proporre una nuova narrazione, fondata sull’unità di un Mediterraneo plurale e sulla necessità di proporre lo studio della storia attraverso una prospettiva euro-mediterranea: secondo l’autore, la corretta via di mezzo tra la prospettiva dello stato-nazione, troppo limitante, e la prospettiva globale, “necessariamente superficiale”. Con tale prospettiva la storia dei singoli paesi o dei singoli continenti risulterebbe più chiara, soprattutto se l’attenzione fosse rivolta alle molteplici e variegate interazioni avvenute in area mediterranea (ad esempio, gli scambi commerciali e tecnologici, le migrazioni, le reciproche tolleranze e intolleranze, i conflitti e le relazioni diplomatiche, i rapporti tra le religioni abramitiche, i prestiti interculturali e i relativi processi di acculturazione). Dunque come scrive Musarra “sostengo fortemente la nascita della Storia del Mediterraneo – di cui la crociatistica è branca fondamentale – come disciplina scolastica e universitaria” (p. 299).
Le crociate. L’idea. La storia. Il mito di Antonio Musarra ci consegna un suggestivo spaccato di storia mediterranea, nella quale l’autore riesce a fornire la complessità del contesto in cui nacquero le crociate e a sottolinearne le principali premesse culturali e politiche e le caratteristiche più peculiari. L’autore cerca di contrastare alcuni stereotipi legati alle crociate e invita ad abbandonare la prospettiva latino centrica, generatrice di letture fuorvianti e limitanti. Allo stesso tempo offre una panoramica delle rielaborazioni di cui è stato oggetto l’iter gerosolimitano nel corso dei secoli fino ai nostri giorni. Musarra riesce a mantenere vivo il rapporto dialettico tra passato e presente, mostrando che ancora oggi la crociata venga usata per finalità politiche e propagandistiche: narrazioni di cui siamo vittime, pensiamo ad esempio alla presunta inconciliabilità tra civiltà occidentale e musulmana propagandata attraverso i mezzi d’informazione. Il grande merito dell’opera può essere colto nella sua capacità di vivacizzare il dibattito storiografico sulle crociate, mediante la proposta di una storia mediterranea come nuova disciplina, necessaria per la comprensione dei rapporti intercorrenti nel tempo tra culture cristiano-europee e culture musulmane: una storia caratterizzata molto più da relazioni diplomatiche, commerciali e culturali, piuttosto che da conflittualità. Le crociate. L’idea. La storia. Il mito è dunque una lettura raccomandata per gli specialisti, ma anche per tutti coloro che desiderano riflettere e immergersi in un saggio in grado di aprire la mente e ampliare la comprensione del passato e del presente.
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