
Le rare possessiones premonstratensi in Sicilia. Il caso della chiesetta rupestre di San Pietro Prate a Gangi (Sicilia, Italy). Un mondo segreto e nascosto quale risorsa turistica per lo sviluppo del territorio di Mario Siragusa*, Roberto Franco** & Carmelo Giunta***
* Storico contemporaneista dell’Università degli Studi di Enna “Kore”, saggista
** Scrittore, divulgatore scientifico, geologo e docente Miur
*** Cultore di Storia locale, già responsabile Area Alte Madonie di Slow Food
- Quadro storico generale
In Puglia, in Sicilia e in qualche altra regione italiana, il fenomeno di chiese e ambienti rupestri, non di rado scavate in età remote, fu piuttosto marcato nell’alto Medioevo. Si trattava di un’architettura detta “a levare” che sfruttava talora antiche tombe (dette “a camera”) e ambienti ricavati dalla mano dell’uomo (più o meno piccole comunità o gruppi religiosi e laici) lavorando la roccia. Talora ricavata anche da singoli che avevano deciso di vivere lontani dal mondo per scelte di vita e religiose. Le prime comunità cristiane e poi in età tardo antica, bizantina, normanna in Sicilia ricorsero a tali soluzioni. Con la venuta dei Normanni era necessario convertire al cristianesimo comunità di origine araba o di altra espressione etnico-religiosa. I re si servirono di ordini religiosi esistenti e di nuova costituzione. Tra questi ci furono i Premonstratensi fondati da san Norberto nel XII secolo. La comunità religiosa, dalla Francia si espanse in Europa e fu presente anche in Sicilia (Pacault 1989, pp. 185-188). Era legata direttamente a re Ruggero (e all’omonimo padre dello stesso) e ai suoi successori. Secondo uno storico solo alcune sue rare espressioni furono operative nella Sicilia centro-occidentale, specie nell’odierna provincia di Palermo (Townsend White 1984, pp. 316-317).

In realtà, in tutta l’Isola esisteva una sola casa dell’Ordine. Cefalù fu dal sovrano scelta come sede centrale per qualche tempo delle loro operazioni di rievangelizzazione religiosa e di riconquista politico-culturale. Gratteri fu sede madre dell’Ordine premonstratense che aveva delle proprietà (possessiones) concesse dal re e site in villaggi e centri abitati vicini e lontani (Backmund 1951, p. 874; Tullio 2019, p. 190). Fino ad oggi non era stata localizzata e studiata con esattezza la possessio premonstratense di Gangi (dipendente da San Giorgio in Gratteri) indicata nelle fonti coeve e bibliografiche successive. Gli scriventi, che costituiscono un comitato di studiosi indipendenti (Engine Time Team associato al Comitato di Ricerche Engino-Madonite), con anni di ricerche storiche e geoambientali alle spalle, ha svolto uno studio storico preliminare e d’inquadramento generale della presenza premonstratense in loco. Si tratta delle possessiones gangitane dell’Ordre des chanoines réguliers de Prémontré di cui si parla in documenti di età normanna. Emerge un insediamento rupestre sito a pochi chilometri a nord di Gangi, dotato probabilmente di una chiesa o oratorio, poi adibito a funzioni economiche e agricole.
- Il possedimento di San Pietro Prate di Gangi
In un documento medievale, negli anni Ottanta del XII secolo, si parla espressamente di proprietà premonstratense di San Pietro de Prate, che con certezza possiamo collocare nella contrada denominata ancor oggi non casualmente “Prato” (Pirato nelle carte mappali, a nord di Gangi), proprio dove sorgeva la nostra chiesetta o oratorio e ambienti rupestri connessi (presumibilmente cellette per i monaci, stalle, laboratori), poi divenuta palmento. Infatti, papa Lucio III, il 12 gennaio 1182, confermò al monastero di San Giorgio i possedimenti donati decenni prima dal re normanno Guglielmo II: «Confirmamus omnes possesiones concessas, et concedendas a regibus […] possessionem S.[ancti Petri] de Prate Gangae cum pertinentiis suis […]» (Mongitore 1733, p. 839).
La chiesetta è scavata in un bancone quarzarenitico che oppone una scarsa resistenza alle azioni meccaniche, sia naturali che antropiche e che, quindi, si presta facilmente alla realizzazione di architetture rupestri “per via di levare”. Queste tipologie strutturali e insediative sono particolarmente note nei siti rupestri della Sicilia sud orientale, dell’Italia centro-meridionale e dell’area siro-palestinese (Messina 1979, pp. 7, 15-23). In particolare la zona è interessata dal cosiddetto Flysch Numidico, costituito da un intervallo basale prevalentemente pelitico di età oligocenica (Argille Varicolori) e da uno superiore, miocenico, comprendente un’alternanza di argille brune e potenti bancate quarzarenitiche (Carbone 2013, pp. 37-38; 42-45). A questi banconi quarzarenitici, facilmente erodibili e lavorabili dall’uomo, si associano, inoltre, una serie di alti strutturali, fenomeni tettonici che hanno causato l’innalzamento della roccia, e che hanno creato luoghi alti, sicuri per gli insediamenti antropici.

La denominazione “San Pietro” può essere attribuita all’Apostolo di Cristo con aggettivazione o variante localistica, ma non è da escludere una forma dedicatoria a una figura religiosa coeva che allora si distinse per santità proveniente da Prata (forse quella “sannitica” o quella friulana dove forte era la presenza templare) (Capone, Imperio, Valentini 1997, pp. 97-101). Nella grotta, tra le tante esistenti nel nuovo sito premonstratense (sappiamo di almeno 6 o 7 ambienti rupestri antropizzati, di cui almeno 2 sarebbero crollati nel corso del XX secolo), ci sono degli elementi tipici, desumibili da parecchie fonti da noi consultate e riguardanti altre chiese rupestri siciliane e italiane, che ci permettono di classificarla come chiesa: pavimento sfalsato (a due livelli) diviso tramite un muretto basso (pergola che è un’articolazione dell’iconostasi), anelli scavati sul tetto (piano), pozzetti cilindrici ipogeici (scavati nella roccia pavimentale e forse usati originariamente per acqua benedetta e funzioni battisteriali, specie per i bambini), canaletta idrica-lustrale, croci incise (all’ingresso), bassi subsellia (lunghi sedili rupestri ai lati interni in genere utilizzati dai fedeli che seguivano le funzioni cultuali; in alternativa giacigli, magari realizzati nel corso dei secoli), teche o custodie scavate nelle pareti, possibili tombe ellissoidali incavate a livello pavimentale (poi riutilizzate come palmento), grandi archi ciechi che configurano la parete di fondo a mo’ di abside (nel nostro caso triabside proprio come a San Giorgio in Gratteri).

Nell’abside centrale si nota un incavo che, verosimilmente, serviva come nicchia cultuale, corrispondendo anche allo schema architettonico rupestre della teca cultuale. Questa nicchietta è parzialmente inglobata in un semicerchio irregolare (tipo un arcosolio e un rettangolo sottostante disegnato poi “limato” e asportato (?), un altare addossato al muro (?), oppure un sarcofago-altare (come in altre realtà esistevano) addossato al muro di fondo che ha lasciato la sua “impronta” originaria ancora oggi visibile. Alla base sembra esservi stato un basamento o piedistallo. Con questi elementi si può asserire che si trattava di una chiesa anche con elementi funerari (la nostra tesi iniziale sembra essere confermata da questo ulteriore elemento che risulta decisivo ne determinare la natura dell’ingrottato).
Un’effigie, un po’ rara, scolpita sull’architrave dell’ingresso può essere assimilata a San Pietro o a un’ipotetica figura religiosa locale emersa in quel contesto storico, oppure allo stesso fondatore dell’Ordine premonstratense Norberto. Ma non escludiamo del tutto un’ascendenza templare (i cui segni sembrano essere presenti nel territorio e a pochi chilometri di distanza, magari preesistente all’arrivo dei Premonstratensi, un’ipotesi tutta da approfondire). Tuttavia allo stato attuale è preferibile pensare o all’emersione della figura di un capo della comunità cenobitica di grande autorevolezza e valore morale e religioso, oppure all’immagine che raffigura il volto del Principe degli apostoli. Comunque è da sottolineare che la raffigurazione di San Pietro è molto comune nelle chiesette rupestri siciliane. Il volto barbuto, le orbite oculari pronunciate e la tipica capigliatura canuta con riccioli a conchiglietta, assimila molto la nostra immagine a quella affrescata raffigurante San Pietro nella chiesetta rupestre di San Nicolò Inferiore a Modica e datata fra il XIII e il XIV secolo (Di Stefano 2005, p. 37).
Non si può escludere per niente, anzi, poteva essere un connotato della nostra chiesa la funzione battisteriale cui testimonierebbe in suo sostegno il pozzetto (anzi i pozzetti) citato e le grandi vasche poi usate come palmento. La vicinanza del torrente, da cui scaturisce il Pollina, si confà a un insediamento di questo tipo. Attorno al casale o cenobio rupestre, confermato dall’esistenza di diverse grotte antropiche (abitate dall’uomo e da queste modellate nel corso dei secoli), sorsero o esistevano diversi vigneti, le cui tracce erano riscontrabili fino a poco tempo fa nell’agro circostante. La maschera in effigie poteva avere anche funzioni apotropaiche (oltre che celebrative e di venerazione).
Significativamente il sito si trova lungo un antico asse viario granario e commerciale. In questo contesto va valutata, così come scritto in precedenza, una più che possibile traccia nell’abside centrale di un altare (ligneo o litico), un tempo addossatavi e poi rimosso (anche perché il luogo dovette essere riutilizzato come palmento). O poteva trattarsi di un sarcofago col corpo di un capo di quella piccola comunità, venerato dalla gente del luogo (un cosiddetto sarcofago-altare). In questo caso il muretto basso, che configura e separa un’aula interna all’ingresso (per i fedeli) e un’area presbiteriale per recitar messa, poteva avere anche una funzione protettiva del sarcofago. Un luogo sacro che non doveva assolutamente essere violato, con l’entrarvi, da parte di estranei, di laici. Ad ogni modo la bipartizione classica (aula-presbiterio o bema), sembra sussistere. Le arcate laterali (absidi) accanto alla centrale (poste in fondo e dirimpetto all’ingresso) potevano avere, secondo uno schema tipico delle chiese rupestri altomedievali, la funzione di sacrestia (protesis per la custodia delle particole eucaristiche, diaconicon, luogo curato dal diacono o meglio da preti o monaci in cui venivano custoditi i paramenti sacri). Si vedono in una di queste, oltre che in quella centrale, ricorrente nelle chiese rupestri coeve, delle teche con funzioni liturgiche e sacre. Va pure riferita la presenza lungo il costone roccioso esterno da noi studiato di un ambiente grottale, in tempi moderni usato come piccola stalla da contadini e proprietari. Ma in origine c’era una sepoltura bassa a livello pavimentale rivelata dalla parete destra, probabilmente riferibile a un personaggio eminente del sito o della zona. Dall’apposito incavo si deduce che esso poteva ospitare un corpo disteso longitudinalmente. Un’edicoletta o teca all’esterno dell’ambiente ne sottolinea l’importanza sacrale e funeraria (che non escludiamo però poter avuto anche vita in età antica o addirittura preistorica). Pensiamo tuttavia che tale originaria funzione possa essere collocata tra età tardo-antica e Medioevo.
Questo luogo è un mondo segreto e nascosto, un viaggio suggestivo all’indietro nel tempo che racconta una pagina di storia che è giaciuta sino a oggi quasi nell’oblio. Nate come luoghi di rifugio o eremitaggio, meditazione e preghiera, le chiese rupestri sono delle testimonianze di storia e bellezza senza tempo in grado di soddisfare un visitatore attento, curioso e amante della natura fusa con l’arte e la cultura.
Ringraziamenti
Si desiderano ringraziare i signori Gaetano Mocciaro e Pippo Ferraro per la disponibilità concessaci nell’accedere e indagare nei terreni di loro proprietà in contrada Pirato.
Bibliografia essenziale
Backmund N. 1951, Monasticon premostratensis, I, Strabing.
Carbone S. 2013, Note illustrative della Carta Geologica d’Italia alla scala 1:50.000, Foglio 612 “Randazzo”, Servizio Geologico d’Italia-ISPRA, Roma.
Capone B., Imperio L., Valentini E. 1997, Guida all’Italia dei templari: gli insediamenti templari in Italia, Edizioni mediterranee, Roma.
Di Stefano G. 2005, La Chiesetta Rupestre di San Nicolo’ Inferiore a Modica, Tipografia Barone & Bella.
Messina A. 1979, Le Chiese rupestri del Siracusano, Istituto Siciliano di Studi Bizantini e Neoellenici, Palermo.
Pacault M. 1989, Monaci e religiosi nel Medioevo, Il Mulino, Bologna.
Pirri R. 1733, Sicilia Sacra, edizione annotata da A. Mongitore e con aggiunte di V.M. Amico, Palermo.
Townsend White L. 1984, Il monachesimo latino nella Sicilia normanna, Dafni, Catania.
Tullio A. 2019, Gratteri, Chiesa di S. Giorgio. Indagine archeologica, in G. Marino, R. Termotto (a cura di), Arte e storia delle Madonie. Studi per Nico Marino, voll. VII-VIII, Associazione Culturale Nico Marino, Cefalù, pp. 189-208.
Per scrivere agli autori clicca qui !