Le tracce e l’influenza della cultura araba medievale nei confronti della cultura siciliana di Soumaya Bourougaaoui
La storia del Mediterraneo è tutta intrisa di conflitti, di incontri, di avvicendamento di popoli, di migrazioni. E la Sicilia, è, lì, al centro di quel mare, isola-cuore dell’Europa e del Mediterraneo.
Lungo la storia millenaria è stata ricettacolo di diverse culure, di popoli dei quali conserva indelebili tracce non solo nell’arte, nell’architettura, nelle espressioni linguistiche, ma anche nel suo spazio fisico e naturale così vario. La Sicilia è stata sempre una terra contesa dalle maggiori potenze, creando così una storia fatta di varie dominazioni che si sono succedute di volta in volta.
Creando così nuovi assetti politici ed egemonie; dai tiranni delle colonie greche ai proconsoli romani, poi Barbari, Bizantini, Arabi, Normanni, Svevi monarchi, Angioini, Aragonesi, i Vicerè Spagnoli, i Borboni che furono gli ultimi dominatori della storia prima di cedere il passo alla dinastia di Savoia. In questo lavoro mi soffermerò sulle tracce e sull’influenza della cultura araba medievale nei confronti della cultura siciliana, ma soprattutto quanta cultura araba c’è ancora in Sicilia di oggi?
Prima di tutto, la conquista araba della Sicilia iniziava ufficialmente nell’anno 827 prima c’erano numerose incursioni fin dal lontano 652, piuttosto i tentativi di conquistare la Sicilia, tutte fallite. Però la spedizione definitiva venne effettuata, quando il ribelle bizantino Euphemius[1], chiamò gli arabi in aiuto. La conquista fu dura, Palermo la ebbero nell’831, Messina nell’843, aiutate dalle truppe napoletane. Enna, da loro chiamata Kasr Janna (da cui Castrogiovanni), fu presa nell’859. Le ultime a cedere furono Siracusa nell’878, Catania nel 900, Taormina nel 902 ed infine completarono l’occupazione con la caduta di Rometta nel Messinese correva l’anno 965. La spedizione araba è stata guidata da un giurista settantenne Asad Ibn Furàt[2], ma le sue truppe ebbero delle difficoltà conquistando l’isola a causa dello scarso nutrimento.
Durante la dominazione araba, in Sicilia non ci fu un regno unitario arabo ma tante piccole signorie dirette da Kàdì. Poi gli arabi divisero l’isola in grandi distretti amministrativi; Val di Mazara che comprendeva la parte centro occidentale, Val Demone che comprendeva la parte settentrionale orientale e Val di Noto, per la parte meridionale. La Sicilia fu dapprima una provincia dello stato Aghlabide, ma dopo la caduta di quella dinastia passò alle dipendenze dei Fatimidi d’Egitto, verso il 960 la Sicilia si rese, di fatto indipendente, trasformandosi in principato ereditario con la dinastia dei Kalbiti (948-1040), sotto la quale raggiunse il suo massimo splendore[3].
Quando la Sicilia appartiene al mondo arabo, gli arabi economicamente introdussero un nuovo sistema dell’agricoltura, sostituendo la monocoltura del grano con la varietà delle coltivazioni da loro importate; riso, agrumi, cotone, canna da zucchero, palma dattilifera, grano duro, carrubbo, pistacchio, gelso, ortaggi, melanzane, spinaci, meloni, ecc. Erano maestri nello sfruttamento delle risorse idriche, sostituendo le coltivazioni con efficientissimi sistemi di irrigazione. Anche la Sicilia rienserita nella rete marittima di scambi commerciali, diviene il perno delle attività nel Mediterraneo ed assurge ad un ruolo dominante. Durante i 200 anni della loro dominazione essi portarono nell’isola la cultura, la poesia, le arti, le scienze orientali ed abbellirono il loro regno con i monumenti stupendi. Come affermava lo storico italiano, specializzato nello studio del Medioevo Antonio De Stefano:
«La cultura araba siciliana, sin dall’epoca degli emiri Kelbiti ( 948 ), aveva già raggiunto un prodigioso rigoglio. Erano fioriti gli studi di teologia e di giurisprudenza, di medicina, di astrologia e di meccanica, di grammatica, di filologia e di storia, ed era soprattutto fiorita la poesia. La maggior parte dei dotti e degli scienziati erano stati anche poeti»[4].
La dominazione araba in Sicilia è solamente riconosciuta come tollerante perché le istituzioni isolane furono conservate ed i cristiani ebbero la facoltà di vivere secondo il proprio credo religioso e con gli stessi diritti di proprietà di cui godevano i musulmani. Pagavano più imposte e non potevano costruire nuove chiese, non potevano nemmeno suonare le campane delle chiese, o fare processioni, o leggere la bibbia, nelle vicinanze di un musulmano, ma nel complesso i nuovi dominatori erano aperti e tolleranti nei confronti della popolazione siciliana, di fede diversa. In ogni caso, non forzarono mai le cose al fine di far convertire all’islàm la popolazione siciliana.
Lo storico ed il medievista americano Lynn Townsend White osserva che i musulmani furono tolleranti con i cristiani (detti Dhimma), e non fecero nulla di concreto per impedire l’ascetismo dei monaci siciliani e la loro predicazione addirittura, egli nota che i rapporti tra basiliani e musulmani divennero «del tutto cordiali». Tanto che un poeta arabo. Ibn Hamdis del secolo XI, racconta che, quando egli era adolescente, i giovani musulmani di Siracusa erano soliti andare di notte in un monastero femminile per bere del buon vino vecchio offerto da un’anziana suora[5].
Per quanto riguarda la documentazione araba prodotta dall’amministrazione musulmana in Sicilia, è andata perduta e rimangono solo cronache storiche, geografiche, giuridiche o letterarie generalmente, di scrittori vissuti durante il periodo normanno, che scrivono attingendo a fonti, oggi, non più accessibili!
Grazie all’arabica impostura, organizzata dall’abate Giuseppe Vella, che spacciandosi per profondo esperto della lingua e della storia araba, si inventò due codici arabi, rinnovando l’interesse per questo periodo storico. L’abate fu aiutato dal governo borbonico che cercava, ispirandosi alle antiche amministrazioni arabe, e di ridimensionare la pratica del latifondo ed il potere baronale. Per lui fu Rosario Gregorio riuscì ad imparare l’arabo, smascherando così il Vella. L’arabica impostura diede comunque l’apertura di una serie di studi condotti da Salvatore Morso, successore del Vella alla cattedra di arabo, da Saverio Scrofani, Vincenzo Mortillaro, Giuseppe Caruso, ed infine da Michele Amari con la sua gigantesca opera Storia dei musulmani di Sicilia, anche è conosciuto con un’altra colossale opera La biblioteca arabo-sicula. I suoi studi sulla presenza araba in Sicilia hanno tracciato un percorso che ancora oggi è punto di riferimento importante per metodo e risultati. All’Amari sono seguiti tanti orientalisti, il maggior dei quali, a parere di molti è stato appunto Umberto Rizzitano. E non dimentichiamo lo storico italiano ed arabista Francesco Gabrieli.
Fu a partire dal XVI secolo, come è da più parti riconosciuto, che in Occidente prese ovvio il processo di perfezionamento, della tecnica storiografica e della metodologia, consistente in una più accurata elaborazione dei dati storico-cronologici e filosofici, durante fino alla metà del secolo XVIII. In Sicilia è importante fu il contributo di Tommaso Fazello (1498-1570), ritenuto il padre della storia siciliana ed autore di Storia di Sicilia in cui la storia viene considerata lux veritatis, anche quando trattò la pagina di storia relativa all’islàm in Sicilia.
Quindi gli studi arabistici in senso stretto del periodo compreso tra la fine del settecento e gli inizi del secolo XIX incoraggiarono il desiderio di acquisizione di nuove conoscenze meno approssimative, che in Sicilia si aveva del passato islamico, sollecitando interessi ed indagini più rigorosi nel quadro della riscoperta del grande momento, che per la Sicilia avrebbe rappresentato l’epoca-arabo normanna.[6]
Anche dopo la conquista normanna, la cultura araba, permarrà tuttavia sotto varie forme fino ad oggi sono ancora riconoscibili nel popolo palermitano; le espressioni idiomatiche, le usanze, i costumi alimentari, l’architettura, i toponimi e le credenze derivano da quel lungo periodo di dominazione araba.
Lo scrittore, il saggista ed il giornalista siciliano Vincenzo Consolo dice:
«Vengo dalla Sicilia, la regione più araba d’ Italia e una terra fra le più arabe al mondo(…) Con la civilizzazione araba, durata due secoli e mezzo, la Sicilia attraversò una sorta di rinascimento: scoprì le tecniche dell’ agricoltura, vide fiorire le arti e la scienze e diffondersi princìpi di uguaglianza e tolleranza. Quando giunsero i Normanni, che riportarono l’ isola alla cristianità, l’ eredità dei vinti fu accolta e inglobata, tanto che sotto il regno di Ruggero il Normanno Palermo contava 300 moschee, oltre a sinagoghe ebraiche e a chiese cristiane dei due riti, romano e bizantino»[7].
Inoltre egli afferma che ancora oggi, infatti, la terminologia dei pescatori tunisini è in dialetto siciliano, mentre molte parole contadine, da siciliani, sono arabe. E vi è da notare che le lingue si incontrano.
È stata una notevole influenza in chiave linguistica; anche in questo caso i principali termini di origine araba sono quelli riferiti all’ambito bucolico, con i riferimenti alla campagna ed a tutto ciò che a essa si riferisce. Quando gli arabi hanno introdotto nuove specie di piante ed il nuovo sistema di irrigazione. Tra i termini di chiara origine araba ne ricordiamo alcuni:
Fawwara: sorgente impetuosa e abbondante.
Gebbia: vasca rettangolare e circolare per il ricetto dell’acqua da usare soprattutto nei periodi di siccità.
Gabiya: zappa d’acqua.
Sabba: misura d’acqua
Giarra: recipiente
Marzappa (Mirzaba): mazza per battere il grano.
Zzàccanu (sakan): luogo dove si rinchiudono le bestie ecc.
Secondo il filologo ed il mediterraneista professor Alfonso Campisi dal suo libro (Ifriqiyya et Siqillyya, un jumelage méditerranéen, Editions Cartaginoiseries-Tunis, 2009), lo storico e l’arabista italiano Umberto Rizzitano, nella conferenza tenuta a Tunisi, era appunto il primo a mettere in rilievo la similitudine che rendeva gemelle ed uguali l’Ifriqyya e la Siqillyya nel Mediterraneo. Già, la conferenza è stata intitolata «Ifriqiyyà et Siqilliyyà, un jumelage méditerranéen», nella quale il grande ricercatore siciliano sperava, la riconciliazione di questi due paesi evidentemente attraverso la loro filiazione culturale. Suggerendo il gemellaggio da Palermo a Qayrwàn, da Mazara a Monastir, da Trapani a Sousse, e da Siracusa a Sfax[8].
Ancora oggi, secondo le credenze arabe, i siciliani nei loro usi e costumi, mettono al collo del bambino il cornetto di corallo, per proteggerlo in quanto più sensibile al malocchio.
Proprio sotto la dominazione araba il nome di Marsala (Marsa-allah)= porto di Dio, o secondo altra origine Marsa Ali=porto di Ali. Numerosissimi toponimi; Caltanissetta, Caltagirone, Caltavuturo ecc[9], derivano il loro nome da Kalat, castello. E poi ci sono anche termini commerciali come; funnacu (fondaco), tariffa, sensale, termini agricoli come fustuca (pistacchio), zagara; (i fiori dell’arancio o del limone), giggiulena (sesamo), ed altri vocaboli come giurana (rana), zotta (frusta), o cognomi come Badalà o vadalà (servo di Allah), Fragalà (gioia di Allah).
Oggi le tracce della civiltà araba sono abbastanza presenti nell’isola, dai punti di vista di alcuni storici e studiosi che si interessano alla cultura araba, secondo il professor Alessando Vanoli, esperto conoscitore delle culture del Mediterraneo, ha scritto un libro intitolato La Sicilia musulmana (Il Mulino, 2012) mi dice: « Il mio libro di qualche anno fa fu il tentativo di fare il punto sulle ricerche storiografiche riguardo al periodo di dominazione islamica sulla Sicilia. Credo che ci sia molta cultura araba, ma che questa parte di cultura non giunga alla Sicilia semplicemente e solo attraverso il periodo di dominazione, bensì derivi dalla inevitabile vicinanza geografica col mondo dell’Africa settentrionale ».
La storia dell’influsso culturale arabo-islamico e dei suoi luoghi nel Mezzogiorno peninsulare sarebbe tutta da descrivere non tanto sulla base dei testi arabi quanto sugli spunti, già studiati da alcuni storici per zone limitate, delle fonti occidentali (cronache, testi agiografici, documenti d’archivio o altro) e particolarmente (ma sarebbe necessario una équipe di specialisti) sulla base dell’esame delle sopravvivenze nel folclore e nelle tradizioni popolari, nel campo della cultura materiale, nel settore epigrafico, artistico ed architettonico, in campo linguistico-lessicale, in quello della filosofia.
Fino all’inizio del XIII secolo, vi furono uomini di grande cultura, soprattutto nelle moschee, in cui si studiano e s’insegnano la lessicografia, la grammatica, le scienze religiose anche giurisprudenza (detto Fiqh o hadith in arabo), come Ibn Rachiq, Ibn al-Fahhàm (1062-1122), Zafar-as Siqilli (m. 1171) ed Ibn Qattà (1041-1121), fu autore di una storia della Sicilia, andata perduta e di un compendio dei poeti arabo-siculi, una perla preziosa, sui poeti dell’isola. Di cui si sono ritrovati solo dei frammenti e con l’avvento dei Normanni, Ibn Qattà decise di emigrare in Egitto[10].
Intorno l’anno mille, prende vita, in Sicilia, un’importante scuola poetica araba, che, in quasi tre secoli, di attività, lascerà tra manoscritti dell’Andalusia e del Nord Africa le tracce preziose di una ricca produzione e di un incancellabile intreccio di culture. La scrittrice italiana ed arabista Maria Francesca Corrao, nel suo libro Poeti arabi di Sicilia, rinnova quella profonda relazione, la rende viva all’esperienza e alla sensibiltà del presente. Tra i poeti arabi ricordiamo Al-Ballanùbi, Abd al-Rahmàn al- Atrabanshi (Trapani XII secolo), era membro della corte reale normanna di Ruggero II d’Altavilla, detto anche segretario. Il poeta celebra, la dolcezza e la bellezza di una residenza reale a Palermo, la Favara:
Quale visione, offri tu, Favara eccelso palazzo!
Tu, soggiorno di voluttà, alle rive dei due mari.
In nove ruscelli che splendono chiari tra il verde degli alberi,
Spartesi l’acqua per inumidirti i giardini[11].
Dimenticato per buona parte del XX secolo, Ibn Hamdis viene citato da Leonardo Sciascia nell’articolo del 1969 Sicilia e Sicilitudine, compreso nella raccolta, La corda pazza. Dagli anni novanta si assiste in Italia a una rivalutazione dell’opera di Ibn Hamdis anche al di fuori dell’arabistica, e più in generale della cultura araba in Sicilia. Ciò ha ispirato anche poeti e musicisti italiani. Nell’opera del poeta siciliano Sebastiano Burgaretta, l’influenza di Ibn Hamdis è chiara, ed al grande poeta arabo-siculo, Burgaretta ha dedicato un’intensa lirica in lingua siciliana, poi vincitrice del premio di Vann’antò Saitta. Nel 2007, in Sicilia, le manifestazioni Zagara e Rais e, con il patrocinio della Regione siciliana a cura di Antonio Reitano, Poesia araba siciliana hanno inteso onorare i poeti arabi di Sicilia.
In realtà, il massimo esponente della poesia araba di Sicilia a cavallo tra XI e XII secolo, fu il poeta Ibn Hamdis (1056-1133), quando era già in stato avanzato la conquista normanna di Sicilia, egli lasciò l’isola per giungere in al-Andalùs, e poi a Siviglia. Fu accolto alla corte del principe, poeta e mecenate Muhammad al-Mùtamid. Ibn Hamdis, poeta di follie amorose, delle ebbrezze voluttuose, e dei giardini in fiore, ed anche poeta civile della patria perduta:
O vento, quando tu apporti la pioggia a ricreare i campi assetati,
Spingi verso di me i nugoli asciutti, sì ch’io li saturi con le mie lagrime.
Bagni il mio pianto la terra, ove passai la giovinezza;
Oh! Che, nella sventura sia sempre irrorata di lagrime[12].
L’ensemble musicale Milagro Acustico ha dedicato tre CD alla poesia dei poeti arabi di Sicilia, e specialmente a Ibn Hamdis: Poeti arabi di Sicilia (2005), Siqiliah terra d’islàm, viaggiatori e poeti arabi di Sicilia (2007) e Sicilia araba (2013)[13]. Ha un ruolo rilevante nella diffusione della cultura mediterranea nel mondo e particolarmente della cultura araba L’ensemble è guidato dal polistrumentista, compositore e scrittore italiano Bob Salmieri, che mi dice a proposito dell’influenza della cultura araba sulla Sicilia di oggi:
«La Sicilia è sempre stata un crocevia importantissimo nel Mediterraneo e tantissime popolazioni si sono fermate e hanno lasciato la loro testimonianza ma nessuno come gli arabi hanno trasformato così in profondità il carattere delle persone e la morfologia stessa dell’isola. Infatti in quasi tre secoli di dominazione sono tantissime le testimonianze lasciate dagli arabi nel modo di vivere e di lavorare e di mangiare. Pensiamo all’agricoltura, con i sistemi di irrigazione e alle tante specie di piante e alberi portati in Sicilia, o alla pesca. Fino a pochi anni fa, ancora si praticava nelle isole Egadi ( da dove viene la mia famiglia) la pesca al tonno con il sistema chiamato Mattanza(…). Il capo pesca si chiamava Rais. Nella cucina sono decine i piatti tipici che derivano dalla cucina araba come il Couscous. Per non parlare della poesia, riscoperta a metà Ottocento da Michele Amari che tradusse e compilò ″l’Antologia Arabo-Sicula″ e scrisse la ″Storia dei Musulmani di Sicilia″. Purtroppo poco resta in architettura a causa del tempo e della volontà cattolica di distruggere le testimonianze islamiche.
Ma a parte tutto, tracce della civiltà islamica si trova nell’indole delle persone, nei tratti somatici che caratterizzano la popolazione di ″sangue″ araba, che ben si distinguono da quelli di sangue Normanno, alti e biondi.
Credo che i siciliani abbiano ereditato dagli arabi il senso dell’ospitalità, della famiglia e dello stare insieme, nell’orgoglio e nel senso dell’onore, importantissimo in Sicilia. Fino a 50 anni fa, era possibile vedere, specie nell’entroterra, donne velate di nero in tutte le stagioni, compresa la calda estate siciliana».
Poi, nel 2011, il musicista Siciliano Franco Battiato ha messo in musica alcune opere di Ibn Hamdis in un progetto musicale intitolato Diwan, L‘essenza del reale, al fine di festeggiare i 105 anni dell’unità d’Italia con un omaggio alla ricchezza sue radici culturali[14].
In seguito, le tracce della dominazione araba siano architettonicamente così rare, fa pensare che le culture successive, particolarmente angioine ed aragonesi abbiano portato avanti una sistematica cancellazione di ciò che fu edificato. Invece dei resti che possiamo apprezzare, la Zisa (dall’arabo Aziza, meravigliosa), o San Giovanni degli Eremiti a Palermo, non sarebbero stati edificati dei musulmani ma, nel periodo successivo dai normanni che però utilizzarono manodopera islamica. E la denominazione di questi edifici ha derivazione araba. Come il castello della Cuba (dall’arabo qubba, cupola), la Cappella Palatina ( cioè di palazzo) e il parco reale della Favara, dall’arabo Fawwàra (sorgente). E la Kalsa che deriva dall’arabo al-Khalisa (l’eletta), è il vecchio nome di un quartiere di Palermo, costruito dagli arabi, una specie di cittadella fortificata fuori dalle vecchie mura, della città, un posto d’élite dove vivevano separati dal popolo l’emiro ed i suoi dignitari. Oggi la Kalsa è un quartiere popolare e di arabo non c’è praticamente di nulla, è però uno scrigno che racchiude come dei gioielli alcuni dei monumenti più belli di Palermo.
La tesi della distruzione o manipolazione dell’architettura musulmana in Sicilia, è comprovata dal portico sud della cattedrale di Palermo. In esso è ancora visibile una colonna araba, che porta inciso un versetto del corano (versetto 54 della sura 7, detta del Limbo) che recita: « egli copre il giorno del velo della notte che avida l’insegue; e il sole e la luma e le stelle creò, soggiogate al suo comando. Non è a Lui che appartengono la creazione e l’Ordine? Sia benedetto Iddio, il Signor del creato! »
Un altro splendido momumento nello stile islamico, è il castello di Maredolce[15], o di Favara, prese il nome dalla sorgente Fawwarah, che dal Monte Grifone si estendeva fino al mare. Anche l’appellativo di Maredolce, si riferisce alla grande sorgente ( oggi diminuita nella portanza) che scaturisce da una grotta ai piedi del Monte Grifone e che un tempo formava il piccolo mare. Secondo l’Amari, questo solarium il suo bagno (oggi distrutto), il lago, sono da attribuirsi all’emiro kalbita Giafar, e sempre secondo lo storico, nell’anno 1019, a causa del suo malgoverno, il popolo insorse e assalì il palazzo; l’emiro fu cacciato in esilio e in una vece venne eletto Ahmed. Il castello venne conquistato nel 1071 dal conte Ruggero. Dalla testimonianza della cronaca di Ramualdo Salernitano, re Ruggero, lo costruì, ripopolando anche il famoso lago e l’isola, che erano stati tanto decantati dai poeti della corte emirale. Il castello continuò a rimanere quale solarium reale anche nel periodo svevo[16].
Questo castello si trova nel quartiere di Brancaccio a Palermo, oggi l’Associazione culturale castello di Maredolce (è nata nel 1999), ha un contributo importante nella valorizzazione, il recupero e l’apertura alla cittadinanza del parco di Maredolce ed il relativo sollazzo, opera per favorirne l’accettazione, il rispetto e la salvaguardia. Soprattutto rafforzare il recupero della memoria storica del quartiere.
Infine, la Sicilia, più di ogni altra regione italiana, ha in sé tracce di varie culture che nel tempo, a volte, si è cercato di rimuovere o dimenticare e che oggi si cerca di riscoprire e recuperare come il caso della civiltà araba. Nella cultura siciliana si trova evidentemente delle influenze forti e predominanti vissute per molti secoli. Infatti, sulle basi della cultura araba, i siciliani hanno poi costruito il loro vivere ed il loro pensare. E la cultura araba si rispecchia in loro. Secondo lo scrittore pachistano Tariq Ali, io condivido pienamente il suo punto di vista affermando che: «il mondo arabo conosce molto poco della Sicilia, della cultura e delle sue tradizioni. Solo adesso stanno incominciando a tradurre in arabo qualche testo della presenza islamica in Sicilia. Però i re normanni sono conosciuti ed apprezzati, molto meno amato il geografo arabo al-Idrisi, perché quando molti intellettuali arabi, ai premi segni di intolleranza, se ne andarono in Spagna, Lui restò a Palermo e perciò viene considerato un collaborazionista».
Riferimenti bibliografici:
Libri:
- M, Storia dei musulmani di Sicilia, volume 1, Firenze-Felice Le Monnier, 1854.
- M, Biblioteca arabo-sicula, Catania-Siracusa, 1982.
- A, Gli arabi in Sicilia, Antores-Palermo, 2010.
- G, Ieri e oggi Sicilia ( storia, cultura, problemi ), Ed Pellegrini Cosenza-Italy, 1996.
- D’Agostino. G, La lunga Marcia dell’islàm politico, Gangemi Editore, 2013.
- De Stefano. A, La cultura in Sicilia nel periodo normanno, Nicola Zanichelli Editore-Bologna, 1954.
- C, Il Breviario Miniato dei Carmelitani di Sutera, Officina di studi Medievali, 2004.
- G, Il castello di Maredolce, pubblicazione a cura di Azienda Autonoma Provinciale per l’incremento Turistico (AAPIT) – Palermo, 2006.
- H, al-Qayrawàn ( Attasis wa Izdihàr), Sotepa Graphic-Tunis, 2010.
- Maredolce, studiare il territorio di Maredolce/Brancaccio e valorizzarlo come distretto culturale e turistico, a cura di Liceo scientifico Ernesto Basile di Palermo, Ed Amici di Plumelia, 2014.
Articoli:
- L, L’islàm dei nostri antenati, La Repubblica.it, 12/01/2005.
- A, Michele Amari e gli studi islamici in Sicilia, Kalòs Edizioni d’Arte, n. 1, 2007.
- A, La memoria araba torna con Tariq Ali, La Repubblica.it, 13/09/2006.
- H, Ifriqiyyà et Siqilliyyà de Alfonso Campisi un livre à lire!, La Presse de Tunisie, 17/05/2010.
- M, Pour le rapprochement des deux contrées. Publication : «Ifrqiyyà et Siqilliyyà», un jumelage méditerranéen d’Alfonso Campisi, Le Temps, 5/02/2012.
Sitografia
- Michelangelo Schipa, Eufemio da Messina, in Treccani ( Enciclopedia italiana ), Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 1932, URL http://www.treccani.it/enciclopedia/eufemio-da-messina.
- Poeti arabi di Sicilia 827-1091, in http://www.milagroacustico.net/#!poeti-arabi-di-sicilia/cykh.
Note:
[1] Fu promotore dell’occupazione araba della Sicilia, rappresentato in modi diversi e contraddittori dalle varie tradizioni latina, bizantina e musulmana, e variamente giudicato dagli stessi storici moderni. È verosimile che, al principio del terzo decennio del sec. IX, egli, audacissimo tra i più ricchi ottimati siciliani e turmarca o capo militare di uno dei distretti della Sicilia bizantina, cospirasse con altri turmarchi contro il patrizio Gregora, che venne ucciso. L’imperatore Michele il Balbo inviò allora, a domare quei condottieri, lo stratego Fotino, che cercò di sopprimere in Eufemio l’animatore del complotto. Eufemio era accusato di aver rapito dal convento una fanciulla: non il ribelle dunque, ma il sacrilego doveva soccombere alla legge. Ma i complici di Eufemio, scorto il proprio pericolo nel suo, ruppero a ribellione aperta, sconfissero e uccisero lo stratego, proclamarono imperatore Eufemio (826). Contro di lui però si rivoltarono con le loro milizie altri capitani; sicché, costretto a fuggire, Eufemio riparò in Africa, dove ad al-Qayrawān indusse il principe aghlabita Ziyādat Allāh ad accettare la sovranità della Sicilia ricevendone tributo e a fornirgli le forze occorrenti. Di queste, chiese ed ottenne il comando Asad ibn al-Furāt, che le sbarcò a Mazara il 16 giugno 827. Ma, al primo aprire delle ostilità, diffidando di Eufemio, lo ammonì che si tenesse in disparte. Quando Asad vittorioso si avanzò ad assediare Siracusa, Eufemio incitò segretamente i Siracusani a resistere. Poi, sotto Castrogiovanni, ebbe da quei cittadini promessa di sottomissione. Ma, recatosi l’indomani al posto convenuto per il giuramento, i supposti sudditi lo uccisero e trionfalmente ne portarono la testa dentro Castrogiovanni (828). Cfr. Michelangelo Schipa, Eufemio da Messina, in Treccani ( Enciclopedia italiana ), Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 1932, URL consultato il 09/03/2016. E ved. Cfr, Habib Jenhani, al-Qayrawàn ( Attasis wa Izdihàr), Sotepa Graphic-Tunis, 2010, pp 112-113.
[2] Fu africano di al-Qayrawàn, ma con studi a Medina e a Kùfa, di scuola prima malikita ( con i maestri Ibn Anas e Ibn Wahb ) e poi hanafita ( con il maestro ash-Shaybàni ), di cui si ricorda l’opera Assadiyya, che riassume le sue concezioni giuridiche. All’epoca una delle accuse più frequenti dei sapienti ai governanti riguardava il modo di vita troppo lussuoso che spesso astentavano. Proprio su questa questione Ibn al-Furàt, all’epoca del califfo Imàm al-Mamùn, entra in conflitto con l’Emiro Aghlabide d’Ifriqiyà Ziyadat- allah è allora nell’827 che è nominato comandante di una spedizione contro la Sicilia bizantina, che avrà successo, determinato la presenza islamica nell’isola per oltre 200 anni. Asad morirà di peste presso Siracusa, poco tempo dopo l’impresa anche se bisognerà attendere il 902 perchè la conquista aghlabide sia completata. Cfr. Glauco D’Agostino, La lunga Marcia dell’islàm politico, Gangemi Editore, 2013, p 19.
[3]Cfr. Giovanni Cucinota, Ieri e oggi Sicilia ( storia, cultura, problemi ), Ed Pellegrini Cosenza-Italy, 1996, p 49.
[4]Antonio De Stefano, La cultura in Sicilia nel periodo normanno, Nicola Zanichelli Editore-Bologna, 1954, p 12.
[5] Cfr. Calogero Ferlisi, Il Breviario Miniato dei Carmelitani di Sutera, Officina di studi Medievali, 2004, pp 90-91.
[6] Antonio Pellitteri, Michele Amari e gli studi islamici in Sicilia, Kalòs Edizioni d’Arte, n. 1, 2007.
[7] Leonetta Bentivolgio, L’islàm dei nostri antenati, La Repubblica.it, 12/01/2005, consultato il 19/03/2016.
[8] Cfr. Mokhtar Triki, Pour le rapprochement des deux contrées. Publication : «Ifrqiyyà et Siqilliyyà», un jumelage méditerranéen d’Alfonso Campisi, Le Temps, 5/02/2012, consultato il 18/03/2016.
[9] Cfr, Houcine Tlili, Ifriqiyyà et Siqilliyyà de Alfonso Campisi un livre à lire!, La Presse de Tunisie, 17/05/2010, consultato il 19/03/2016.
[10] Alberto Costantino, Gli arabi in Sicilia, Antores-Palermo, 2010, p 66.
[11] Antonio De Stefano, op. cit, p 16.
[12] Ibidem.
[13] Poeti arabi di Sicilia 827-1091, in http://www.milagroacustico.net/#!poeti-arabi-di-sicilia/cykh, consultato (22/03/2016).
[14]Poeti arabi di Sicilia 827-1091, in http://www.milagroacustico.net/#!poeti-arabi-di-sicilia/cykh, consultato (22/03/2016).
[15]Il viaggiatore andaluso Ibn Giubayr che nel 1184 giunse a Palermo, descrisse un castello (Qasr), che corrisponde al castello di Maredolce « Non lungi dal Qasr Sàd, ad un miglio circa che mena alla capitale, è un altro castello somigliante, che s’addimanda Qasr Giafar, dentro il quale è un vivaio (nutrito da) una polla d’acqua dolce ». Ved. Michele Amari, Biblioteca arabo-sicula, Catania-Siracusa, 1982, 1, p 154.
[16] Maredolce, studiare il territorio di Maredolce/Brancaccio e valorizzarlo come distretto culturale e turistico, a cura di Liceo scientifico Ernesto Basile di Palermo, Ed Amici di Plumelia, 2014, p 63.

Soumaya Bourougaaoui è Dottoranda in lingua, letteratura e civiltà italiana presso la facoltà di Lettere, delle Arti e dell’umanità di Manouba- Tunisia.
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