L’economia della campagna russa nel Medioevo

di Aldo C. Marturano.

Nel XII sec. d.C. la Rus’ di Kiev dopo la morte di Jaroslav il Saggio, succeduto a suo padre san Vladimiro, si sfascia e si frantuma in tanti appannaggi (udel) ereditati e spezzettati fra i vari figli e cugini della grande famiglia vladimiriana, i cosiddetti Riurikidi. Mentre costoro sono in perenne lotta nei reciproci tentativi di colonizzare con le armi le regioni migliori della Pianura Russa o di sottrarle al parente avversario, nella prima metà del XIII sec. d.C. arrivano i Tataro-mongoli che conquistano e incorporano nel 1236 Bulgar-sul-Volga e il suo ricco stato, risparmiano Novgorod, ma distruggono Kiev nel 1240 e infine in un impeto irrefrenabile devastano la Mitteleuropa.
E’ una vera catastrofe per i regni e regnucoli dell’Europa nordorientale e solo quando il nuovo regime si consolida in stato a Sarai-Batu, la nuova capitale tatara sul Volga, ritorna una certa pace pure nella Pianura Russa. Ormai però i principi russi non contano più niente e sotto il dominio tataro devono rispondere con la massima collaborazione, pena la morte.
Sarà in questi anni che si procederà ai primi, in assoluto, censimenti dei sudditi, contadini e non, da parte dell’autorità tatara. La conta non sarà effettuata in modo sistematico a causa delle realtà abitate piccolissime e sparse in una foresta in gran parte inesplorata e inesplorabile e dunque ignote all’autorità nel numero e nell’importanza economica e si concluderà nei grandi agglomerati urbani o fra le loro rovine lasciandoci pochi e incerti dati. L’operazione è di ispirazione persiana e dovrebbe servire a calcolare i tributi dovuti in uomini e in derrate che i principi russi sono incaricati di esigere per poi consegnare pari pari a Sarai. In realtà resta un’operazione monca giacché, come abbiamo sottolineato, nessuno sa bene chi vive nella foresta né si sa che cosa queste persone producano o siano in grado di produrre. E’ politica dei Tatari infatti radunare nei loro centri abitati gli artigiani prelevati con la forza dai popoli assoggettati affinché si dedichino a produrre novità per migliorare e abbellire la vita di questi signori nomadi e così queste e altre questioni collegate diventano una specie di ossessione per i principi russi fino alla fine del XV sec. d.C. specie allorché non riescono a racimolare abbastanza per Sarai. Spesso sembra una loro scusa l’ignorare che cosa facciano i loro sudditi e creano un grosso malinteso con i Tatari, mettendo in pericolo l’autorità russa nell’udel.
L’unica organizzazione che può aiutare è la Chiesa che i Tatari rispettano e hanno esentato dalle tasse, ma è un periodo confuso il XIII-XV sec. d.C. anche per i preti impreparati a lottare con gli attacchi che vengono dal sud, da Costantinopoli in mano cattolico-eretica dal 1204 al 1261, come pure dal Mar Baltico dove i Cavalieri Teutonici, monaci cattolici armati, si stanno costruendo uno stato con le armi, per non parlare dell’Islam che va affermandosi nelle steppe dalla Crimea fin nel cuore dello stato tataro-mongolo. Né possiamo dimenticare che verso la metà del XIV sec. d.C. da Caffa in Crimea si diffonde la micidiale infezione contagiosa della peste bubbonica o Morte Nera che devasterà a diverse ondate l’Europa Occidentale spopolandola e successivamente arriverà nella Pianura Russa attraverso il Mar Baltico (Grande Novgorod, 1351) e, pur risparmiando i contadini nella foresta grazie al loro scarsissimo inurbamento, metterà comunque in crisi il sistema di potere.
A questo punto è chiaro che le descrizioni che abbiamo dato finora delle istituzioni tradizionali relative all’abitazione non si possono riferire a un ambiente tranquillo e statico, come sembrerebbe, ma le dobbiamo vedere vivere in gruppi di persone che non fanno altro che fuggire e nascondersi per non essere schiavizzate, letteralmente, fra le guerre e le battaglie che si susseguono ai margini delle foreste le une dopo le altre. Vivere nell’impenetrabile fitto è in questi secoli una necessità per il contadino russo e slavo in generale.
Finalmente Mosca si emancipa dalla dipendenza da Sarai alla fine del XVI sec. d.C. e inizia la sua attività di pesante colonizzazione della Pianura Russa e dei territori vicini partendo dal vicino e irraggiungibile nord. Sarà però un processo lunghissimo e incompiuto ancora nel XVII sec. d.C. giacché un consigliere di corte molto importante, J. Križanii?, continuava ad avere un’impressione negativa dei contadini russi sotto la Moscovia dei Romànov in espansione. Scriveva: “Il nostro popolo è mentalmente ritardato e non riesce a scoprire cose nuove per i suoi bisogni… Non abbiamo libri sull’agricoltura… (perché) la nostra gente è oziosa e letargica e non farebbe niente di veramente valido, se non fosse forzata a farlo…” e delle case di abitazione lamentava che: “I nobili e i mercanti più abbienti vivono in case fatte di pietra. Hanno cominciato a costruirle in questo modo solo una trentina di anni fa. Fino ad allora erano vissuti in case di legno con soltanto qualche elemento di arredamento insignificante. Marito, moglie, figli e servi e a volte anche galline e porci dormivano nello stesso ambiente…”.
Sono poche righe da tenere a mente perché sono i punti che avrebbero dovuto già essere superati in quel secolo in cui la Pianura Russa intera stava entrando nella compagine moderna europea. Il potere aveva ormai già compreso finalmente che l’agricoltura rimaneva il settore chiave dello sviluppo della gente russa e che era qui che andavano promosse le azioni di miglioramento dell’artigianato e di conseguenza la sua produzione da immettere nel commercio su cui si fondava il budget statale moscovita. Quando però richiedeva una produzione di surplus alimentare che riuscisse a mantenere liberandola dal lavoro estenuante dei campi una parte della popolazione attiva affinché al posto dello smierd (russo spregiativo per contadino, zoticone) ignorante e arretrato si formassero più artigiani al servizio del potere. Il progetto politico in tal senso però fallirà tanto che J. Križanii? scriverà ancora che: “(con quello che i nostri contadini producono) è possibile alimentare soltanto una ridotta popolazione e allevare bestiame in un piccolo numero di capi che, per di più, è più piccolo in mole corporea di altre parti (del mondo europeo). (Da noi)… si trovano solo cavalli piccoli… (e) … la nostra campagna è la più povera giacché produce soltanto grano, pesce e carne…”.
In conclusione il quadro è triste. Ci troviamo in pieno XVII sec. d.C. e le misure di definire almeno i confini del territorio che l’imperatore moscovita domina per poi assegnare alle famiglie una stabile localizzazione all’interno di questo territorio non vengono prese in tempo e la gente continuerà a spostarsi e a non riconoscere le frontiere della nazione che Mosca sogna.
Che fare? A chi affidare il compito di riformare adeguatamente la campagna in modo consono all’autoritarismo di Mosca? Non è nostro compito addentrarci oltre in questi problemi e rimandiamo il nostro lettore alle analisi vivide e ben documentate di E. Knobloch (op. cit.), se vuol sapere come andrà a finire. Per quanto ci riguarda ci fa comodo pensare che la vita nelle città proseguì a essere nettamente diversa e separata da quella delle campagne e che nei secoli di crescita del potere moscovita il modo di vivere nell’abitazione non subì grandi mutamenti giacché la sedentarietà risultò un obbligo burocratico dato che il sovrano moscovita voleva avere costantemente sotto gli occhi i suoi “servi” e non implicò alcuna notevole miglioria domestica.
Al contrario per quanto riguarda lo smierd e la sua izbà fu preferibile per lui tenersi il più lontano possibile da quelle cittadine mura simbolo minaccioso del potere e i travagli a questo proposito della sua gente (in russo ?orn’) li leggiamo nelle favole russe (byliny) in cui lo smierd è un’anima vagante di giovane età con un sacco di semi sulla spalla, un’ascia in cintola alla ricerca costante di una radura più interna e più sicura per la sua famiglia, mentre esseri mostruosi o figure semidivine potentissime lo attorniano, lo tormentano e lo ingannano…
Alla fine quello che noi avevamo definito seminomadismo slavo principalmente da notare nella Pianura Russa non è altro che una fuga eterna dalle grinfie dei principi russi/lituani/monaci-guerrieri o dalle razzie dei nomadi delle steppe e, finché non sarà possibile riformare i concetti di proprietà della terra e della libertà o del servaggio di chi ci vive sopra, non cambierà.
In Occidente problemi analoghi a quelli degli slavo-russi erano stati in parte e da tempo bene o male risolti. Prima dell’arrivo dei Tatari gran parte della Slavia occidentale era infatti in intimo contatto con le esperienze agricole della Germania e dell’Austria e gli esodi in massa dei giovani dai villaggi e la fondazione di nuovi insediamenti erano drasticamente diminuiti sotto il controllo attento dell’autorità. I villaggi erano appannaggio ormai o dei grossi vescovadi tedeschi o delle amministrazioni dei Cavalieri Teutonici e qui, per impedire che il contadino abbandonasse il campo esaurito, era stato imposto l’uso dell’aratro con versoio che dava rese maggiori e migliori per le granaglie alimentari e si era introdotto il metodo dei tre campi per fare in modo che la gente restasse per sempre occupata e radicata nello stesso luogo. Eppure, sebbene il traguardo di porre fine alle frequenti migrazioni fosse raggiunto, l’esigenza di produrre un surplus aveva distrutto l’autarchia tradizionale e aveva asservito la famiglia contadina al signore feudale, laico o ecclesiastico, e nella Mitteleuropa il contadino cominciò, sì!, a abitare in case fatte di terra cruda e non più di legno, ma giusto perché quest’ultimo materiale serviva alla metallurgia medievale in rinascita più che alle abitazioni (i mattoni, anch’essi consumatori di enormi quantità di legname, erano per le chiese e i castelli!).
La Pianura Russa restò in gran parte del suo territorio impermeabile a tali innovazioni. Non solo! Se ci accorgiamo che per tutta la durata del Medioevo Russo a ben guardare il contadino è l’unica classe di persone che produce ricchezza consumabile e commerciabile, è comprensibile che le élites al potere, se non non riescono a circondarlo, aggirarlo e a controllarlo, lo paventino.
Anzi! In difesa e per giustificare la propria posizione di preminenza, l’élite al potere inventa precocemente varie leggende, tutte mediate dalla Chiesa. Ne citiamo qualcuna fra le tante per sottolinearne il peso ideologico cristiano che si va affermando nel nordest europeo.
L’élite variaga di Kiev, ad esempio, faceva risalire nel racconto delle Cronache dei Tempi Passati il proprio ruolo di sovranità alla “consegna spontanea” da parte delle popolazioni del nord delle terre russe a Rjurik il Variago perché mettesse ordine fra le genti.
Per i Premislidi della Boemia addirittura Cosma di Praga racconta la parabola della scelta fatta da Libussa, donna divina, che indica un contadino dai costumi ineccepibili, Premysl, affinché venga appunto tolto di peso dal lavoro dei campi e venga posto sul trono.
Sono leggende edificanti che la gente accetta come veramente accadute, ma quel che è certo dall’archeologia è che per gli Slavi appena apparsi nella storia tutto era cominciato in modo più prosaico in assenza di poteri centralizzati.
Riassumiamo un momento quanto abbiamo già detto. Verso il VII sec. d.C. avevano fondato villaggi a capo dei quali c’erano degli anziani e un certo numero di villaggi facevano capo a un santuario etc. La loro agricoltura di quel periodo non poteva essere molto arretrata rispetto alle altre aree europee contemporanee limitrofe non slave a giudicare dalle varietà delle granaglie: frumento, segale, orzo, avena e miglio oltre a fave e lenticchie e alle piante tessili canapa, lino e tifa, che corrispondevano a una grande competenza per aver messo a punto per ogni microclima locale i cultivar più adatti. Né disdegnavano di raccogliere i frutti del susino che crescevano spontanei nella foresta o del nocciolo e del castagno (nel sud) o persino le ghiande della quercia per farne farina in momenti di ristrettezze. L’archeologia ci informa pure che furono gli Slavi a diffonderenelle regioni nordiche dell’Europa il frumento Triticum monococcum (Einkorn), T. dicoccum (Emmer) e la segale Secale cereale insieme con le tecniche agricole introdotte millenni prima dalla Civiltà Danubiana. Essi infatti usavano per il lavoro dei campi (e perciò allevavano) il bue dalle piccole corna ricurve grande poco più di un pony moderno, mentre il porco, la cui scrofa era lasciata pascolare nella foresta per eventualmente accoppiarsi col verro selvaggio, rappresentava la carne servita più spesso come cibo. Le oche erano conosciute e diventarono popolari soprattutto nel XIII sec., mentre gli altri gallinacei arrivarono un po’ più tardi del VIII sec. d.C. Il cavallo invece restò raro. D’altronde era un animale costoso e inutile per l’agricoltore se non era usato come animale da tiro per l’aratro o per trascinare l’erpice. Per di più non c’erano strade e i carri e i carretti, quando c’erano, si tiravano a mano. In più il cavallo richiede foraggio da coltivare a parte a spese dei cereali per gli uomini e solo i principi russi potevano permettersi di mantenerne in gran numero per le loro parate… obbligando (altra oppressione) i contadini a fornire l’avena necessaria!
Questo, ai tempi dell’Impero moscovita, avrebbe dovuto essere un passato definitivamente superato e invece come abbiamo visto la situazione restava stagnante nel XVII sec. d.C.
Pregando ancora una volta il nostro lettore di riferirsi per i particolari degli sviluppi successivi della Moscovia ad altri lavori, ritorniamo però all’autarchia contadina.
Con tale termine già accennato altrove intendiamo un’economia chiusa dove i bisogni del consumatore sono soddisfatti da ciò che egli stesso produce col suo lavoro in uno spazio tutto suo e che nessuno gli può alienare, se non con la forza. In altre parole avendo a disposizione il terreno, gli arnesi e le materie prime sotto forma di minerali o di piante e animali utili, i bisogni basilari connessi col cibo, con la casa e col vestito vengono coperti perfettamente. E noi partiremo da questa autarchia per descrivere sommariamente la vita dello smierd durante il Medioevo Russo nella sua izbà e come le varie élites al potere, costringendo il seminomadismo a trasformarsi in una fuga perenne, esponeva – impedendo praticamente l’accumulo di provviste – le famiglie alla morte immediata allorché fosse intervenuta una stagione sfavorevole, un’epidemia, un’epizoozia etc.
Occorre dire anche che, con il deteriorarsi dei rapporti fra i Tataro-mongoli e i principi moscoviti, questi ultimi tentarono in molti modi di attirare i contadini e gli artigiani presso le loro sedi, ma sempre in terreni fuori delle mura delle loro città-fortezze e concedendo soltanto a volte la costruzione di un’eventuale loro difesa con un nuovo ordine di mura. Lo schema più diffuso perciò fu: Un nucleo interno o cremlino abitato dal principe e dai suoi armigeri con il terem al centro e le case dei nobili intorno più la chiesa principale e circondato da mura fornite di porte che si aprono e si chiudono secondo regolamenti appositi e uno spazio esterno immediatamente intorno o Posad concesso, in special modo, alle case più dimesse fatte prevalentemente di legno per gli artigiani. Quelle fortezze-città erano il prodotto di scelte militari fatte nel lontano passato su una una specie di promontorio elevato alla confluenza di due fiumi dove le due correnti confluenti facevano da fossato difensivo mentre il lato aperto verso la zona di terra ferma con mura e porte si raccordava con l’hinterland. Le élites variago-russe non apprezzavano perciò le costruzioni circolari in mezzo ai laghi che abbiamo visto nel resto della Slavia e è notevole, a questo proposito, la differenza fra la maniera di pianificare una città-fortezza e Grande Novgorod dove esisteva una divisione virtuale degli spazi abitativi cittadini in Cantoni, ma mancava il Posad.
Alla fine i principi russi saranno costretti a fondare essi stessi dei villaggi tutt’intorno alle loro residenze e a canalizzarne lo sfruttamento. Non conosceranno il modo “feudale” dell’Occidente, bensì baseranno ogni loro misura sulla proprietà attribuita al principe “della terra e degli uomini che su essa abitano” e con la conseguente concessione temporanea e benevolente ai nuovi abitanti (salvo la revoca divina in tempi cristiani per punire il principe peccatore!). Alla fine chiunque si affacciasse fuori dalla foresta e fosse avvistato era subito identificato e dichiarato proprietà del principe locale. Se poi era una famiglia, ad essa veniva concesso a riscatto un pezzo di terra indebitandola per tutta la vita al nuovo padrone.
D’altronde il regime tataro-mongolo finché durò impediva ai principi russi del nordest, troncando sul nascere ogni loro sforzo di ingrandimento del territorio dominato, che un udel fagocitasse gli altri benché con l’espediente di apparentarsi gli stessi principi riuscissero a creare e a vantare diritti di eredità e di qui pretendere alla morte di uno di loro di appropriarsi del dominio (terra e uomini) del defunto. Mosca poté iniziare la sua ascesa politica e territoriale nella seconda decade del XV sec. d.C. proprio in questa maniera e approfittando della crescente impossibilità tecnica di Sarai di intervenire in ogni bega ereditaria di cui veniva a conoscenza fra i principi russi. Non solo! L’élite che si formò prima presso la corte di Andrea Bogoljubskii a Vladimir-sulla-Kljazma (XII sec. d.C.) e poi presso la corte moscovita risultò composta da “…cortigiani, bojari, generali d’armata e burocrati i quali riconoscono di essere i servitori-schiavi ossia i più disprezzabili e poveretti dei servi del Gran Principe e riconoscono che ogni bene mobile e immobile che personalmente amministrano appartiene non a loro, ma al Gran Principe…” scrive Alessandro Guagnini, storico-militare veronese, in visita a Mosca nel XVI sec.
Siccome grandissima parte del budget statale continuò ad essere fondato sul commercio internazionale costituendo il cespite di entrate maggiore per il lusso e lo sfarzo dello spettacolo del Gran Principe, a questi non basterà assicurarsi la sussistenza (in russo kormlènie) distribuendo semenze e definendo le coltivazioni e l’ammontare dei tributi. Dovrà premere sugli artigiani, non reclutandoli o attirandoli con ricompense, ma prelevandoli e trapiantandoli da qualche parte nel Posad (come hanno visto fare ai Tatari) e legandoli ai suoi capricci. Ancora A. Guagnini scrive: “Il lavoro degli artigiani di solito si paga con pochi soldi. Quando poi aumenta il prezzo del pane per costoro è difficile comprarne con quello che guadagnano lavorando per tutta una giornata.” Se poi teniamo presente che l’artigiano deve avere fra le mani la materia prima per lavorarci, la situazione diventa ancora più complicata legata com’è a metalli da importare e, soprattutto, alle pellicce pregiate da cacciare nella foresta!
A questo punto lasciamo la vita cittadina lungo i fiumi russi e tuffiamoci nella campagna e dalle notizie che si riescono a raccattare – dal folclore specialmente – vediamo come la casa-izbà vive.
Se ricordiamo che nell’organizzazione societaria slava l’individuo in sé e per sé non esiste, ma che è in primo luogo un membro della stirpe o Rod che di solito si rifà a un personaggio leggendario o eponimo, le famiglie e i villaggi fondati dai discendenti di questo o di quell’eponimo costituiscono altrettante vere e proprie mini-nazioni. In russo ancor oggi quando si chiede allo straniero o allo sconosciuto da dove viene si domanda: Otkuda ty Rodom? o tradotto: Da quale stirpe provieni? Nel passato ci si spettava come risposta che il richiesto rispondesse snocciolando una lista di antenati (le genealogie erano i primi insegnamenti che i ragazzi ricevevano) in modo che il richiedente potesse trovare delle relazioni di parentela con la sua gente. Non poterne elencare una affidabile corrispondeva a un’eventuale cacciata dal rod per grave colpa ed era considerata una vera morte.
La famiglia slava, patrilocale, imponeva un’educazione molto rigida in cui ogni componente occupava uno e un solo posto nella gerarchia tradizionale e a cui si accedeva per la prima volta non appena si fosse raggiunta la pubertà e che generalmente sarebbe restato immutabile per tutta la vita, salvo la morte o lo sposalizio o l’emigrazione. Il capo-famiglia, custode geloso della tradizione, aveva potere di vita o di morte su ogni membro, benché la Chiesa e i principi russi tenteranno di avocarlo a sé in tutti i modi e non sempre riuscendovi.
Con l’Impero Russo inoltre si cominciarono a classificare i luoghi abitati, man mano che li si censiva, in diversi modi e con diversi nomi a seconda delle occupazioni degli abitanti, della posizione, della grandezza, del padrone della terra occupata, etc. e così nella letteratura ufficiale troviamo nomi come sjelò, derèvnja, slobodà etc. e che a noi conviene inglobare in un unico termine italiano: villaggio intendendolo abitato da chi lavora la terra.
Su questo sfondo già a partire dal XIII sec. d.C. vedremo di ricostruire l’autarchia contadina nel suo svilupparsi come economia domestica e ne sottolineeremo le differenze regionali allorché sarà utile. Il contadino in russo intanto si chiama: krestjanin o, come abbiamo già detto con un termine spregiativo, smierd.

Il primo bisogno dello smierd è quello di conservare i semi e quindi dalle messi sceglie i migliori e li mette da parte, ma impedendo ad essi di germogliare, altrimenti dopo saranno inservibili, e li terrà al riparo da inopportuni commensali come insetti e altri animali frugivori. A questo scopo (finché non sarà costretto a fuggire e a abbandonare la sua casa) userà una specie di giara interrata chiamata protiven’. E’ noto agli archeologi esistere nella Mitteleuropa sin da tempi lontanissimi e, fra le due figure qui sopra (da J. Hermann, op. cit.), la prima a sinistra è il disegno di questo silo verticale interrato nel suolo della propria casa dove sono immessi i semi scelti per la seminagione che seguirà. Nella figura il numero 1. indica una specie di tappo d’argilla che impedisce l’entrata di aria e altri contaminanti, 2. è la cosiddetta camera a CO2 , 3. e 4. sono i semi immagazzinati, 5. è la parete fatta di argilla poi seccata fino a farla diventare impermeabile. Su 1. si pone ancora una pietra piatta in modo che tutto rimanga ben protetto e custodito. Ed ecco come funziona: I semi nella poca aria che li sovrasta (nella figura naturalmente il volume è stato esagerato) respirano e producono perciò anidride carbonica (CO2) che, una volta che la ristretta atmosfera ne sia satura, impedisce un’ulteriore respirazione e quindi la vita ad ogni altro essere vivente eventualmente presente e costringe i semi ad andare in tranquilla quiescenza per tutto il tempo che serve.

Giunge poi il momento giusto dell’anno per seminare.
Nella seconda figura, a destra del protiven’, è mostrato il modo più antico di arare i campi che non produce solchi troppo profondi e dove perciò si semina a mano con una manovra faticosa (profondamente chinati!) affinché i semi si alloggino bene nel terreno. Sappiamo però che già in tempi più antichi gli Slavi adoperavano l’aratro di legno tirato dai buoi, come nel disegno sottostante tratto da un manoscritto bulgaro del VI-VII sec. d.C. che riproduce questo modo di arare più razionale a Pliska, l’antica capitale bulgara nel bacino danubiano, e che lo si ritrova addirittura nella stessa Bulgaria danubiana nei graffiti su pietra risalenti al tempo dell’immigrazione anatolica.

Lavorare i campi è un lavoro che richiede tempo e fatica e non ha intervalli di riposo giacché, subito dopo la seminagione, i mesi successivi sono di attesa trepidante per le messi. Cadrà la pioggia? Sarà abbastanza? Con l’occhio sempre rivolto al cielo sperando che non ci sia troppa pioggia o troppo sole o altre casualità negative i semi finalmente potranno germogliare. Presto occorrerà con la falce in mano raccogliere le spighe e farle seccare nel sole prima di passarle per qualche tempo nell’ovin (specie nel nord dove l’estate è breve) per poi trebbiare nell’aia, coperta nel nord e scoperta nel sud, aiutati dai ragazzi e soprattutto dal cavallo che tirava l’erpice e dai bovini che nel trepestio “gioioso” degli zoccoli calpestavano i chicchi di grano facendoli staccare dalla spiga. Finalmente adesso potevano essere setacciati nel vento e il lavoro di un anno era compiuto…
Si diceva: Tali i semi, tale la famiglia! in russo per significare che siamo ciò che mangiamo e che per questo motivo i semi dovevano sempre essere i migliori affinché gli epigoni fossero sempre migliori dei propri genitori. Era anche logico che il protiven’ fosse protetto dalle necistye sily, ma soprattutto che la scelta dei semi fosse stata fatta lontano da sguardi estranei (ricordate? Portatori di malocchio o sglaz) e che tali semi non era permesso né vendere né usarli per mangiare (!). Se i semi erano posti in sacchi in quanto ci si stava trasferendo altrove i sacchi andavano chiusi con un laccio e mai “offesi” da un ago e da una cucitura. E, siccome c’è da aspettarsi l’impurezza femminile, alla donna era proibito sedersi su un sacco di semi per seminare o sul coperchio del protiven’.
La vita umana d’altronde risponde all’alternarsi delle stagioni in dipendenza dei cicli vitali delle piante e degli animali che l’uomo coltiva/accudisce e di cui alla fine si nutre. E’ logico che il clima locale e l’economia domestica ad esso legata rappresentino delle sfere di attività importanti e, per chi è stretto osservante delle tradizioni, è anche tutta una serie di rituali e cerimonie che vanno tenuti a mente e attentamente rispettati e ripetuti durante l’anno.
Ricordando quanto avevamo detto sulla struttura famigliare slava e sull’istruzione che veniva passata ai più giovani, ecco che notiamo un aspetto particolare e esclusivo della gente slavo-russa nel contesto presente: La partecipazione attiva degli animali alla vitadella casa. Insomma, sebbene J. Križani? si dolesse della gente che dormiva insieme a galline e a porci, in realtà ai ragazzi più giovani della famiglia competeva da sempre una certa intimità con gli animali in giro per il dvor e come “prima attività lavorativa” toccava a loro portare le oche a razzolare, accudire ai vitelli e stare attenti ai porci quando c’era da riprenderli dalla foresta per riportarli al porcile etc.
Quante favole occidentali e byliny russe non ricordano ragazze e ragazzi che fanno questi lavori? Attenzione però! In ciò si nasconde com’è solito la visione olistica dell’universo e della posizione dell’uomo in esso insieme con la sua abitazione che, lo ripetiamo per un’ennesima volta, si colloca in uno spazio che alla fine non è il suo, ma è da condividere con tutti gli altri occupanti, visibili e invisibili, attraverso la mediazione magico-religiosa.
Vediamo allora come funzionasse tale convivenza o commensalismo di cui abbiamo parlato.
La convivenza di animali con uomini oggi sappiamo che non è solo un evento macroscopico basato sul consumo dei rifiuti organici che l’uomo sparge intorno a sé e pone a disposizione di altri esseri viventi, ma è il fondamento della domesticazione di alcune specie animali. E questo è l’aspetto positivo. Esiste però anche l’aspetto negativo giacché si costruisce un insieme di circostanze in cui le malattie dovute a parassiti interni e esterni e dell’uomo e degli animali addomesticati/commensali si mescolano e si scambiano con esiti a volte spettacolari. Oggi sappiamo della tubercolosi presa dai bovini, dell’influenza presa dai gallinacei, della scabbia dai porci e della terribile Morte Nera del 1347 d.C. con le altre epidemie e epizoozie che, per la Pianura Russa, i monaci di Kiev hanno registrato nelle Cronache dei Tempi Passati.
Dunque occorre considerare anche l’aspetto sanitario del fenomeno, benché nel passato agli occhi pagani dell’uomo, bravo a antropomorfizzare qualsiasi cosa o evento o persino gli adattamenti fisici e psicosomatici derivati da cronicità morbose o la morte stessa, il morbo la malattia il disagio fisico (ma non la morte!) erano degli attacchi personali delle ne?istye sily.
Ciò detto, diamo una rapida occhiata a certi riti collegati agli animali domestici.
La capra ad esempio era trascinata in strada ai festeggiamenti dei Koljady del principio dell’anno affinché con la sua presenza e i suoi movimenti desse delle previsioni del futuro (gadànie in russo). La testa cotta del porco invece regnava sulla tavola del pranzo di Capodanno come compagnia reale più che come cibo.
Gli animali più vicini all’uomo restavano il gatto e il cane, proprio come ancora oggigiorno. Addirittura nel caso del gatto – l’abbiamo già visto protagonista nella consacrazione della casa stessa – l’animale di solito aveva il suo posto per dormire e tale posto non si doveva occuparlo con la culla, ad esempio, giacché il gatto si accoccola sempre dove ci sono le ne?istye sily e con la sua presenza le trattiene difendendo la casa tutta. Inoltre, quando sta sulle ginocchia di qualcuno, vuol dire che ha sentore di una malattia latente in chi lo sostiene e cerca di allontanarla deviando su se stesso le relative ne?istye sily.
Anche i bovini che vivono col contadino e collaborano con lui per la sua prosperità dovevano essere protetti. La vacca, una volta mostrata la strada per la foresta dove andare a pascolare nel bel tempo, sa ritornare a casa da sola e all’imbrunire quasi mai occorre andare a cercarla. E per proteggerla dai ladri c’era uno scongiuro apposito che si pronunciava mentre si girava intorno all’animale e che più o meno recita così: “Un muro di pietra ti metto intorno, ti chiudo dietro una porta di pietra non con tre serrature né con tre chiavi, ma con queste parole sante. Come un ladro non potrebbe mai mettersi in tasca l’universo, così non ti potrà neppure portar via da me dopo questo scongiuro. Né oggi né domani né mai.” E’ necessario infatti impedire alle ne?istye sily che l’attacchino con qualche malattia e per profilassi addirittura si produceva una piccola cavità nelle corna e vi si versava qualche goccia di mercurio e poi si sigillava. D’ora in poi l’animale è sicuro che resterà sano! Si diceva persino, con l’introduzione del cristianesimo, che a san Nicola il Caldo (9-10 maggio col calendario tradizionale ortodosso o 22 maggio col calendario gregoriano) la vacca si risveglia perché attende il santo che gli darà da mangiare o, in altre parole, sente che la primavera è giunta e il foraggio è a disposizione nella foresta…
Dunque è importante il ruolo degli animali (come pure delle piante) per la loro maggiore sensibilità al cambiamento del tempo e delle stagioni rispetto all’uomo. Nella Pianura Russa infatti, come in molti altri luoghi alle stesse latitudini, le attività domestiche stagionali si svolgevano distribuite razionalmente in due grandi periodi dell’anno: la stagione calda e quella fredda fra le quali la prima era abbastanza corta rispetto alla seconda che invece era abbastanza lunga. A queste due stagioni competevano di conseguenza riti magico-religiosi da rispettare affinché l’universo non fosse sconvolto da atti e comportamenti errati e perciò dannosi alla comunità. Se un rito o una celebrazione venisse dimenticata, secondo i vecchi saggi di campagna (znahar’) sarebbe un grosso guaio perché ciò farebbe intervenire gli déi (in linguaggio cristiano odierno si direbbe: i santi e dio stesso) e nella loro ira la stirpe/famiglia ne sarebbe coinvolta da colpevole. Il lavoro umano affinché renda bene deve rispettare quindi le tradizioni e le tradizioni non sono che esperienze antiche fatte nel passato sotto la guida e la benedizione degli dèi. Attenzione quindi alle date!
Alla mancanza di un calendario e di un orologio il sole e la luna sopperivano con la loro eterna e ciclica apparizione e rappresentavano perciò il riferimento di base per la campagna, ma non solo! Lo stesso corpo che passava attraverso gli stadi di crescita era un sistema di misura del tempo che scorre: nascita, pubertà, matrimonio, maturità, senescenza, morte e tutto esattamente, benché sotto altre forme, come gli altri esseri viventi.
E gli strumenti? Anche gli strumenti sono magici. Gli dèi permettono il loro uso e una volta che lo strumento è nelle mani dell’utilizzatore, funzionerà solo se costui è destinato e guidato da loro.
L’aratro addirittura è un simbolo chiaramente fallico in quanto anche il fallo umano manda il suo seme nella vulva della donna che rappresenta il solco fatto nella terra e da cui verrà fuori un nuovo essere vivente e, siccome il coito è il vero trionfo della natura umana, quasi ogni cerimonia o rituale accenna o imita l’atto supremo. E l’osservazione che l’uomo fa nel veder ritornare la vita partendo dal seme serve a far credere che l’essere in sé è eterno attraverso il coito ossia proprio facendo all’amore l’uomo come essenza di vita non muore mai.
Non staremo qui a elencare e descrivere i numerosissimi miti e riti esistenti in campo sessuale nel mondo giacché essi sono ben classificati e continuano ad avere una loro ragion d’essere nella umana realtà, ma, dato che il Cristianesimo stava penetrando nell’intimo della vita della gente slavo-russa e partiva dalla condanna del primo atto sessuale fra Adamo e Eva come atto esecrabile e peccaminoso, forse val la pena consigliare il lettore di leggersi il documentatissimo lavoro di K.-H. Deschner, Das Kreuz mit der Kirche, eine Sexualgeschichte des Christentums, Munchen 1980. Qui il nostro autore scrive: “…san Paolo (fondatore della chiesa e della sua organizzazione), impotente probabilmente da tenera età o perlomeno al limite dei complessi antisessisti, combatte continuamente (nelle sue lettere) l’impudicizia (porneia in greco da cui pornografia), il vizio, gli effetti del buio (sulla mente umana)… (e via di questo passo fino ad esortare i fedeli:)… Uccidete i vostri falli che nella loro scostumatezza sono legati alla terra…(e ricordate che)…ogni altro peccato che un uomo compie resta fuori dal corpo, mentre lo scostumato pecca contro il suo stesso corpo.”.
Accennare alla questione sessuale c’interessa in quanto l’azione che la Chiesa cristiana nei secoli XI-XII d.C. ne fece la giustificazione unica per le sue azioni contro il paganesimo, nel nostro caso quello slavo con tutti le sue celebrazioni. Si combatterà la promiscuità, i costumi sessuali “troppo liberi” e soprattutto la venerazione esagerata per la donna degli Slavi (la dea massima, Madre Umida Terra, era festeggiata il 25 marzo!). Per la Chiesa niente sesso e comunque che sia regolamentato e non eccessivo e che alla donna sia impedito di sedurre con le sue manovre e col suo corpo l’uomo troppo debole. Poligamia? Deviazioni sessuali? Omosessualità? Ognuno è fatto come è fatto e non va né ostracizzato né eliminato, se rende economicamente, e il sesso e i suoi diversi aspetti non sono problemi concettuali di grande importanza nella società contadina slava fino al XIX sec. d.C. E’ un argomento che richiede ulteriori ricerche (e magari ci saranno delle sorprese), ma noi abbiamo avuto questa impressione nel leggere le affermazioni, i silenzi e le lotte della Chiesa Ortodossa Moscovita contro la famosa doppia-fede (dvoeverie) allo stabilizzarsi della compagine russa imperiale.
D’altronde non si potranno distruggere dei templi, come si è già fatto in altri posti d’Europa, perché nella Pianura Russa i templi pagani sono alberi, luoghi sacri e qualche idolo di legno e l’unico modo lecito e fattibile per la lotta contro i riti orgiastici e i giochi di attrazione sessuale significherà applicarlo in casa, nel delicato e privato microcosmo del contadino.
Dove colpirà il bastone punitivo della Chiesa nell’izbà?
Sarebbe ingenuo pensare a un esercito di preti mandati in giro per le terre russe a costruire chiese e fondare parrocchie con la situazione che abbiamo descritto fin qui e entrare in casa a distruggere simboli pagani. Quasi nulla infatti si sa dell’organizzazione ecclesiastica russa fino al XVII sec. d.C. Di certo occorre partire dai pogosty che Olga di Kiev aveva stabilito qui e là lungo le rive dei fiumi russi per la raccolta del tributo che la Chiesa sfruttò all’inizio. In notizie successive al XI sec. d.C. sappiamo per Grande Novgorod che nel pogost vicino alla città si battezzavano e si seppellivano i morti e si obbligavano i contadini a convenire lì per le feste comandate con le offerte per le celebrazioni cristiane. Qui si sarebbe imparato a cantare e a pregare come facevano i cristiani e, soprattutto, a apprendere le regole del vivere insieme della famiglia (domostroitel’nost’ in russo). In seguito, non solo presso i pozzi impossibili da nascondere, ecco che le terre russe si riempirono di ?asovny cioè di cappellette dove periodicamente si incontrava il prete che dava consigli e elargiva conoscenze mediche e giuridiche invitando sempre e comunque a battezzarsi.
Le chiese-costruzioni per lunghissimo tempo resteranno invece monumenti inaccessibili, spesso rinchiuse nelle città-fortezze, e non solo nella Pianura Russa, ma pure in Polonia e in Germania Orientale dove agiva la Chiesa di Stato (Reichskirche) degli imperatori discendenti di Ottone I.
In alcune località forse per il savoir-faire di qualche prete più colto e più attento di altri la “parrocchia-cappelletta” diventò un posto di incontri, dove si giunse a convincere gli anziani riunirsi col prete per le decisioni collettive del villaggio e persino a discutere e eleggere il capo-villaggio che subito sarebbe stato benedetto dal prete. Si condannò in queste sedi la cremazione dei cadaveri perché, se ciò si fosse perpetuato, al momento della resurrezione promessa da Cristo non si sarebbe più rivissuto nel corpo originario. Si pregava inoltre di evitare l’ebbrezza continua durante le feste quando si trangugiavano le varie bevande alcoliche preparate dalle donne perché non è vero che gli dèi pagani parlano attraverso le parole dell’ebbro. Il dio cristiano parla attraverso la parola eterna scritta che il prete conosce e può leggere per la gioia di tutti.
Insomma si esorta la gente a non partecipare alle solennità pagane nella foresta, i cosiddetti igry (specie quelli famigerati dedicati a Kupàla), e a venire a pregare nella cappelletta o a attendere le grandi feste della Pasqua per partecipare alla grande cena, l’agape, per la morte e per la resurrezione di Cristo. D’altronde è difficile e insensato pensare di eliminare le feste del tutto visto come esse erano legate alle diverse operazioni che l’agricoltore doveva compiere in quel dato giorno. Si correva il rischio della perdita delle messi!
A poco a poco la costruzione ideologica cristiana penetra nelle coscienze dei contadini che si abituano così a sostituire i nomi dei vari dèi tradizionali con quelli più esotici dei santi cristiani e a rivolgersi direttamente a loro o usando della mediazione del prete la cui presenza a poco a poco diventerà indispensabile in ogni evento. L’alternativa pagana chiaramente non scompare e nel nord ci sarà sempre l’antico sacerdote pagano che può intervenire, sebbene di nascosto.
Per intanto i morti non si seppelliranno più nei pressi di casa o nella foresta, ma nel campo apposito intorno alla cappelletta o alla chiesa, se si vive in prossimità di un tale edificio. La domenica sarà imposto il riposo, non proprio totale, ma comunque da tener in conto. Due digiuni durante la settimana – anche questa è un’innovazione cristiana nella vita contadina – in cui non si mangerà carne e un grande digiuno quaresimale prima della scorpacciata pasquale più altre limitazioni sulle piante e gli animali da mangiare, per tacere di analoghe regole imposte in campo alimentare dall’Islam in altri luoghi della Pianura Russa.
In conclusione cambiando lentamente il modo di vedere il mondo, la casa cambia e lo si vede dall’arredamento che in parte si arricchisce e in parte si modifica affinché, come abbiamo detto e ridetto in questo nostro scritto, nell’izbà i membri di una famiglia vivano meglio e comodi in ogni momento. La famiglia? Cristo ha prescritto che per ogni matrimonio, se ne fondi una nuova e che vivere insieme non è bene. Non si sa dove alloggiare la nuova coppia? Ci si consigli con il prete che con le sue conoscenze e i suoi agganci con l’élite al potere può trovare la sistemazione adatta.
Tutto ciò si trova nelle lettere “pastorali” che viaggiavano fra i vescovi russi del XIV-XV sec. d.C. e nel XVIII sec. d.C. le prescrizioni saranno raccolte nel famoso “galateo russo”, il Domostroi, in circolazione soltanto presso i nobili che dal punto di vista storico rimane un documento interessante per immaginarsi la vita in casa.

Aldo C. Marturano

Nato a Taranto, ha studiato nelle Università di Bari, poi di Pavia, infine di Amburgo, dove ha chiuso i suoi corsi di laurea in chimica industriale. Non ha mai lavorato come chimico e ha invece sfruttato le sue conoscenze linguistiche. Conosce infatti (parla e scrive correntemente) russo, inglese, tedesco, francese, spagnolo, ungherese e ne ha studiate un’altra decina che spera di portare a maggiore perfezione nel prossimo futuro. Si è diplomato in Lingua Russa all’Istituto Pusckin di Mosca dove ha avuto inizio la sua avventura nel Medioevo Russo. Lavorando sui mercati internazionali si era infatti appassionato al Medioevo, ma quando scoprì che non riusciva mai a sapere gran che su quello russo, colse l’occasione della tesi all’Istituto Pusckin e scelse di studiare un personaggio del Medioevo bielorusso, Santa Eufrosina di Polozk: di lì via via è entrato in quel mondo magico e nuovo.

Ha pubblicato il saggio storico in chiave divulgativa Olga La Russa, 2001 (che non è la sorella di Ignazio La Russa, per carità!), e poi per i ragazzi L’ombra dei Tartari, 2002, ovvero la saga di Alessandro Nevskii.

Altre sue opere sul Medioevo russo sono visibili nel portale delle Edizioni Atena.

Collabora attivamente con il portale Mondi Medievali curando la rubrica Medioevo Russo.

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